IL RESTAURO DEL MODERNO

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ISSN 2035-7982
RESTAURO DEL MODERNO
CONFRONTO TRA DIFFERENTI "RETI" IDEOLOGICHE
Olimpia Niglio
Il presente contributo è tratto dal volume curato da Federica Fernandez, Il restauro dell’edificio
AR a Palermo, Palermo 2008, pp. 10-20 [ISBN 978-1-4092-0146-5]
Non solo gli individui, ma anche la scienza può essere
psicoanalizzata e sottoposta a terapia allo scopo di
smascherare le pigrizie intellettuali che sostengono
determinate scelte concettuali e operative, le
motivazioni inconsce che inducono a dare per scontate
certe nozioni, i bisogni pratici che spingono in una
direzione piuttosto che in un’altra, la caparbietà
nell’insistere su idee collaudate ma prive di prospettive,
l’infantilismo
delle
esperienze
primitive
che
condizionano i successivi sviluppi, il fascino
ingannevole del realismo che dà una falsa sensazione di
verità, la pretesa paranoica dell’unificazione e della
generalizzazione a ogni costo, la pressione pragmatista
del risultato immediatamente utilizzabile, le pulsioni
soggettive che condizionano prima le visioni del mondo
e poi le teorie scientifiche.
Umberto Galimberti
Paesaggi dell’anima, Milano (1996)
In occasione di un ciclo di lezioni tenute nel dicembre 1991 da John D. Barrow
presso la cattedra di Filosofia della Scienza dell’Università di Milano, l’astronomomatematico inglese cercando di dare una definizione della matematica afferma:
Se fermate per strada uno storico o chiunque altro studioso e provate e
chiedergli la definizione della sua materia, non avrà difficoltà a darvela. Ma
provate a fermare per strada un matematico: questi non sarà in grado di
dirvi che cos’è la matematica; leggete un qualsiasi libro di testo, andate ad
una qualsiasi lezione all’università e non capirete mai che cos’è la
matematica1.
Le differenti posizioni teoriche che vanno dall’empirismo, all’idealismo, al
formalismo, al costruttivismo fino a giungere alla logistica fanno della matematica una
disciplina che continua da secoli il suo percorso evolutivo e di sviluppo senza porsi
1
J. D. Barrow, Perché il mondo è matematico, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 6.
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traguardi definitivi e quindi senza preoccuparsi necessariamente del suo significato o
delle sue possibili definizioni assolute. Ma tutto questo non rallenta il suo processo
evolutivo che anzi è alla base del mondo in cui viviamo.
Questa autonomia ed indipendenza di pensiero, propria della matematica creativa,
scopriamo che è alla base anche di altre discipline quali la musica, l’arte, il disegno,
l’architettura, tutti settori però nei quali si è cercato sempre di giungere a dare delle
affermazioni di autorevole scientificità. Questo il caso anche del restauro
dell'architettura rivolto all’opera moderna su cui questa nota intende rivolgere la sua
attenzione.
Dopo secoli di storia della matematica gli studiosi continuano ad affannarsi nel
ricercare un suo preciso significato se non nel modo con cui questa giunge a dare una
definizione di se analizzando la realtà a cui si riferisce di volta in volta. Ma sembra che
non si possa pervenire ad una definizione generalizzata. Allora come può una disciplina
giovane come il restauro essere giunta a darsi tante definizioni e ad affermare quasi
delle verità assolute in così breve tempo, sostenuta anche da dottrine e leggi che ne
regolano in modo assoluto il suo operato? Eppure tra le varie autorevoli definizioni
ancora tante ed indefinite sono le posizioni scientifiche assunte dalle differenti scuole di
pensiero. Questo è certamente un segnale su cui concretamente riflettere.
Al riguardo può valere la pena segnalare un dubbio manifestato anche da Roberto
Masiero che, analizzando le definizioni del termine restauro di nove studiosi a confronto
e sui vari disaccordi rilevati, annota l’impossibilità stessa di arrivare ad una definizione
per il restauro.
Penso anche - scrive Roberto Masiero - che coloro che operano e pensano al
restauro dovrebbero riflettere il più possibile usando tutti gli strumenti a
disposizione sui paradossi, sulle contraddizioni, sulle aporie che fanno del
restauro un’impossibile disciplina, capendo il fatto che, essendo cultura moderna e
contemporanea, una cultura fondata sulla metafisica della storia e dell’arte, il
restauro appare come il luogo più problematico di questa stessa cultura, dato che
in esso sono continuamente in gioco storia e arte, storia e valori, storia e progetto.
Forse potremmo fare un ulteriore esperimento: chiederci come il restauro, che in
fondo non sappiamo bene cosa sia, è determinato o determina le seguenti
antinomie: materia/forma, forma/contenuto, natura/artificio, natura/cultura,
natura/storia,
nuovo/antico,
tradizione/progresso,
creazione/ripetizione,
autenticità/inautenticità,
vero/falso,
comprensione/precomprensione,
produzione/riproduzione, libertà/necessità. Tra il <definiendum> ed il
<definiens> c’è di mezzo tutto questo e altro ancora. A noi scovarlo.2
Nascono così un insieme di dilemmi che ci suggeriscono di smettere di preoccuparci
e di ricercare necessariamente la definizione assoluta di ciò che non ha a sua volta alcun
valore assoluto se non relativo al caso di riferimento, appunto l’oggetto dell’intervento
di restauro.
Ciò che ci guida nell’intraprendere la strada della conservazione del patrimonio
culturale sono aspetti molto più complessi che è difficile sintetizzare in una definizione
assoluta o nell'articolo di una legge. Si tratta di giudizi variabili e contingenti che
mutano in relazione alle mentalità collettive che li accompagnano; ecco perché anche il
2
R. Masiero, Nel definire il restauro, in B. P. Torsello (a cura di), Che cos’è il restauro, Venezia 2005, pp. 158-159.
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quadro normativo e le procedure burocratiche che intervengono su tali operazioni sono
il più delle volte fallaci, incapaci di dare risposte obbiettive e non generalizzabili3.
Sarebbe molto utile e costruttivo, al riguardo, riflettere sul modo con cui le differenti
culture e le diversificate capacità di percezione intervengono nelle scelte connesse alla
conservazione del nostro patrimonio4. La storia del restauro ci ha dimostrato che le scale
dei valori sono varie e contingenti (pensiamo ad esempio alle teorie di Viollet Le Duc e
di Ruskin o al modo di intendere oggi un intervento di restauro, per esempio,
nell'Europa Orientale rispetto ad una cultura Occidentale) e lo sono anche le decisioni
riguardanti il perché si conserva e il modo con cui si interviene per conservare.
L’itinerario temporale e concettuale di questa disciplina è pieno di complicazioni, di
travestimenti e di scambi ideologici strettamente connessi alle singole realtà politicoculturali delle persone che sono intervenute a codificare il suo sviluppo teorico e
metodologico e ancora oggi continua la sua evoluzione su un’onda di incertezze e forti
contraddizioni. Ma tutto questo fa parte della ricchezza culturale propria della disciplina
del restauro e su cui è necessario ricercare e continuare a lavorare. Trova così conferma
la relatività del concetto di restauro e l’impossibilità di darne una definizione scientifica
assoluta, in contrasto con la prassi comune che, ormai da diverso tempo, pone una
grande attenzione sulla ricerca di “categorie” e “schemi” con cui classificare la
disciplina.
Con ciò non si intende manifestare alcuna velleità a ribaltare o contrastare i risultati
raggiunti da oltre due secoli di storia del restauro al fine di proporne dei nuovi, poiché il
fatto contrasterebbe con quanto fin qui scritto; diversamente si avverte la necessità di
mettere a fuoco maggiormente quei passaggi significativi che hanno informato e
informano la maniera di concepire e praticare il restauro.
Si tratta, scrive Francesco La Regina, principalmente di rivedere oggettivamente quei
(...) legami e condizionamenti che comportano una chiusura di orizzonti ed
un ostacolo a quel tipo di ricerca di cui oggi si prova un così vivo bisogno,
grazie soprattutto all’eccezionale sviluppo dei metodi di indagine analitica
e di accertamento storiografico, in aggiunta alla disponibilità di nuovi
strumenti di interpretazione critica e di programmi di raccolta ed
elaborazione anche informatica dei dati5.
Si tratta di scardinare e superare una letteratura basata su classificazioni e definizioni
per privilegiare e sviluppare una metodologia più connessa alla realtà dell’oggetto di
studio, all’ambiente culturale di riferimento e alle reali possibilità di conservazione che
solo un oggettivo progetto di conoscenza, preliminare al progetto di restauro, può
garantire. Infatti l’interesse e l’attenzione per la conservazione devono essere
organicamente inquadrati mediante iniziative opportunamente programmate e mirate.
Si restaura ciò che esiste e si insegna a restaurare operando nello spazio attingendo
agli insegnamenti accumulati e documentati nel tempo. La conservazione di un bene
passa attraverso l’apprendimento diretto e la verifica di esperienze collaudate ma non
3
4
5
F. Dal Co, Il vecchio e il nuovo. L’infondatezza del vecchio, l’aleatorietà del nuovo, in “Casabella” n°754, aprile
2007, p.3.
D.R. Hofstadter, In quale misura il pensiero viene incanalato dalla lingua e dalla cultura?, in D.R. Hofstadter,
“Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante”, (X edizione) Milano 2005, pp. 408-409.
F. La Regina, Il restauro dell’architettura. L’architettura del restauro, Liguri, Napoli 2004, p. 178
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per questo ripetibili, classificabili e generalizzabili, perché ogni intervento di restauro ha
una sua irripetibile identità.
L’obiettivo della tutela, affermava Mauro Civita in una lezione dal titolo “Restauro e
Didattica” nel 2002, può essere conseguito in maniera efficace solo mediante passaggi
consequenziali che vanno dall’osservazione diretta, ineludibile base di partenza,
all’allestimento di accorgimenti e strumenti analitici finalizzati alla conservazione, fino
a giungere ad un dettagliato progetto diagnostico.
È un percorso che non può prescindere dalla verificata gradualità dei singoli passaggi
che intervengono sulla trasformazione del monumento oggetto di studio e dei valori che
questo custodisce. L’esistenza dell’uomo, infatti, si colloca fra innumerevoli punti di
riferimento; fra questi ci sono i monumenti che altro non sono che oggetti che ci fanno
ricordare qualcosa ed è proprio questo bagaglio di valori in esso custoditi che ci guida
nel processo di conservazione le cui regole non sono generalizzabili, ma vanno ricercate
all’interno del monumento stesso.
In questo senso, probabilmente, si può intendere anche l’affermazione di Vittorio
Gregotti quando scrive che ogni progetto di architettura è forma interpretativa di un
intervento di restauro in quanto modificazione delle relazioni tra le cose già esistenti e
instaurazione di nuova legge tra esse. Misurarsi con l’esistente, significa aderire ad una
condizione di conoscenza, di condivisione, di partecipazione alla storia e alle qualità dei
luoghi.
A partire da queste premesse possiamo operare affinché le tradizionali distinzioni fra
conservazione e restauro o, all’interno di questo, fra i diversi modi di intenderlo e
definirlo, appaiano sempre più come questioni solo ideologiche che è possibile superare
soprattutto se consideriamo il principio di appartenenza come guida ad ogni intervento
sul monumento, dove le differenziazioni tradizionali e culturali sono solo varianti di un
unico tema: l’intervento sull’esistente.
Naturalmente, se da una parte non bisogna rischiare di cadere nell’atteggiamento
formalistico e burocratico di chi considera il monumento come documento
irrinunciabile, attribuendogli solo un valore di memoria, dall’altra è proprio per poter
discernere da tutto ciò che è necessario approfondire le ricerche con giudizio critico,
laico e senza malcelati obiettivi, mediante strumenti storico-critici di cui avvalerci per
procedere ai fini della conservazione.
Su tutto prevale comunque la necessaria contestualizzazione dei temi che fa sì che un
bene culturale, sia esso antico o moderno, assuma valore in relazione con il suo
specifico contesto locale, più che rispetto alle grandi opere consacrate dalla storia e
dalla critica internazionale. Infatti lo stato attuale di un ricco patrimonio culturale
mondiale da salvaguardare non richiede solo elaborazioni teoriche e definizioni ma
principalmente modi concreti e validi di intervento e su questi principi costruttivamente
dobbiamo al più presto operare.
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Restauro del Moderno?
L’incipit della modernità e l’exodus dalla
modernità sono un’illusione storiografica
o meglio un miraggio che sembra
concreto e reale ma quando ci si accosta
svanisce.
Cesare De Seta
L’architetture delle modernità tra crisi e rinascite,
Torino (2002)
Possiamo
vivere
senza
di
lei
(l’architettura) e possiamo venerare
senza di lei, ma non possiamo ricordare
senza di lei.
John Ruskin
The seven Lamps of Architecture, Milano 1981
In funzione delle premesse fatte risulta incongruente parlare di restauro del Moderno,
andando così ad operare semplicemente una classificazione della disciplina propria del
restauro rispetto ad un periodo preciso della storia dell’architettura. Non esiste un
approccio differente ma un’unità concettuale di base tra restauro dell’architettura antica
e restauro dell’architettura moderna e contemporanea. Anche da un punto di vista
progettuale esiste un’unità metodologica che riguarda il rilievo, lo studio storico,
l’analisi dei materiali ed ovviamente ciò che cambia sono le tecniche costruttive, le
competenze delle maestranze specializzate che intervengono ed altro ancora.
Ciò è quanto affermato anche da Giovanni Carbonara, relativamente alla recente
esperienza di restauro del Grattacielo Pirelli a Milano in cui i criteri propri del restauro
dei monumenti hanno funzionato molto bene, anche se innestati su temi contemporanei
e su competenze tecniche altamente specialistiche, in cui non sempre il restauratore
tradizionale ha trovato il suo idoneo spazio operativo. Infatti il ricorso a tecniche
costruttive innovative e la presenza di materiali più moderni, quali ad esempio
l’alluminio, ha richiesto maestranze in grado di intervenire in modo appropriato e con
competenze specifiche6.
In merito al tema più propriamente connesso alla conservazione dell’architettura
Moderna risulta interessante citare anche una riflessione di Gillo Dorfles durante una
lezione presso l’Università di Cagliari.
Non mi sembra si possa parlare di un “restauro del moderno” senza tener conto
dell’Antico. Intanto, perché, se un edificio è da restaurare, questo già implica che
lo stesso è d’un sia pur prossimo passato; dunque non è più decisamente
moderno7.
6
7
M. A. Crippa, Il restauro del grattacielo Pirelli, Milano 2007.
G. Dorfles, Il restauro del Moderno rispetto all’Antico, in “Arte/Architettura/Ambiente”, settembre 2004, pp.9-10.
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Sembra di trovaci di fronte al paradosso di Epimenide in cui non si comprende bene
quale sia la verità. Se il monumento lo definiamo Moderno, può questo essere allo
stesso tempo Antico? E se questo è Antico come facciamo a definire che si tratta di un
restauro del Moderno?
Forse un paradosso ma ancor di più si tratta di ragionare sulla relatività di archetipi
che sono alla base dell’evoluzione culturale della stessa disciplina del restauro e cioè sul
significato che associamo al concetto di spazio e di tempo, concetti di natura psichica, di
cui Carl Gustav Jung dimostrò la precaria esistenza e al concetto di relatività di Einstein
associò quello di sincronicità. In tal modo è possibile valutare due eventi diversi ma tra
loro sincronici purché questi vengono percepiti come aventi lo stesso significato, ma
senza essere legati da un rapporto diretto di causa ed effetto8. Così Antico e Moderno,
possono essere sincronici, cioè analizzati come aventi lo stesso valore all’interno di un
dato sistema architettonico e temporale ma non necessariamente l’uno determina l’altro
o si contrappone all’altro. In tal caso riusciamo forse a rintracciare uno o più possibili
aspetti e valori per i quali un bene culturale anche se non molto datato storicamente
viene ritenuto degno di essere conservato nel tempo.
Parlare quindi di restauro del moderno o del contemporaneo, così come di qualsiasi
altra schematizzazione temporale, non ha alcun significato specifico, rientra il tutto solo
in una classificazione aleatoria della quale abbiamo dimostrato la sua inconsistenza e
che spesso viene usata per descrivere le differenze culturali che intervengono nella sua
evoluzione.
Sul concetto di tempo molti architetti del Movimento Moderno hanno dichiarato poi
l’obsolescenza programmata e naturale del bene architettonico. Ma questo aspetto per
un restauratore è ininfluente poiché abbiamo il dovere, non fosse altro che per ragioni
storiche e testimoniali, di conservare e tramandare alle generazioni future anche ciò che
è stato prodotto e pensato per essere anche distrutto.
Un caso singolare sono, ad esempio, le scritte elettorali che si riscontrano su alcune
chiese romaniche a Pisa o forse ancora più note sui resti di alcuni edifici della città di
Pompei. Queste dovevano durare solo poche settimane e poi essere cancellate. Tutto
questo non sempre è avvenuto tanto che in differenti realtà territoriali noi le abbiamo
ritrovate ed oggi tentiamo di conservarle. Questo è un caso tipico nel quale la moderna
intenzionalità conservativa non coincide con quella dell'artefice originario; la cosa si
può meglio spiegare in ragione di quell’atteggiamento critico attraverso il quale ci
avviciniamo, da moderni, al passato.
Si tratta quindi di intervenire sui valori che il monumento, oggetto di studio,
custodisce e valutare le motivazioni culturali della sua “trasmissione al futuro” e per
fare questo non abbiamo necessità di rinchiudere l’intervento all’interno di una
definizione che è molto difficile da dimostrare e sostenere soprattutto da un punto di
vista scientifico.
Perché parlare di restauro del Moderno se ci riferiamo alla torre di Einstein di E.
Mendelsohn a Potsdam (1920), mentre non affermiamo lo stesso principio se parliamo
del restauro da eseguire al campanile di San Marco a Venezia ricostruito nel decennio
1903- 1912 com’era e dov’era a seguito del crollo del 1902? Il campanile di San Marco
non può essere considerato un’opera moderna se pur ricostruito sulla base di un modello
storico perduto? E cosa dire delle opere ricostruite in stile nel secondo dopo guerra? Che
8
P. Odifreddi, C’era una volta un paradosso. Storie di illusioni e verità rovesciate, Torino 2001, pp. 126-128
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differenza esiste, da un punto di vista temporale e spaziale, tra la ricostruzione
dell’abbazia di Montecassino (1946-64) ed il progetto per la Stazione Termini a Roma
(1948-50)?
Si tratta fondamentalmente di due progetti aventi valori culturali e sociali differenti
ma della stessa epoca. Ecco quindi la sincronicità del valore Antico e Moderno che allo
stesso modo interviene sul medesimo oggetto determinandone aspetti valoriali
importanti per la sua conservazione senza che quest’attività venga condizionata da
archetipi fittiziamente strutturati.
Il problema della conservazione, sia che l’oggetto di riferimento è antico o moderno,
si viene così a spostare fondamentalmente sul piano della percezione, decodificazione e
comprensione dei valori che l’opera custodisce in se e sulla capacità di ricezione e
trasmissione di questi valori propri dell’architettura all’interno della vasta gamma dei
principi del mondo contemporaneo, senz’altre fittizie distinzioni. Aspetti valoriali
rilevati ed analizzati anche da Roberto Pane che già nel 1959 parlando di classificazione
temporale dell’architettura si poneva la domanda su cosa vuol dire architettura moderna
e chi sono gli architetti moderni ed affermava che
se si tratta semplicemente di alludere all’architettura che si fa oggi, e
che è moderna così come lo fu a suo tempo quella di ieri, si afferma solo
una tautologia, e quindi non vale neppure la pena di parlarne. Ma con la
parola “Moderno” si vuole invece alludere a nuovi e positivi valori di
cultura e di gusto (….) dotati di una validità.
Quando sento parlare di difesa dell’architettura moderna, mi chiedo
quale possa essere il nemico contro il quale si deve combattere, e mi pare
che esso non possa essere altro se non la numerosa schiera dei cosiddetti
architetti che amano definirsi moderni9.
Il progetto di restauro, infatti, a prescindere da quanto laboriosa e complessa possa
essere la sua elaborazione, resta comunque un progetto dall’esito tutt’altro che vistoso.
Il progetto di restauro di un’architettura produce un’opera assolutamente “invisibile” per
molti poco creativa e l’architetto, tra tutte le figure intellettuali e professionali, è
certamente quella che meno rassomiglia al Pierre Menard, autore del Don Chisciotte
immaginato da Borges10. Ed è proprio questo il pericolo a cui forse alludeva Roberto
Pane già negli anni ’50 del XX secolo.
A questo punto è necessario liberarsi dai pregiudizi e dagli stereotipi e dedicarsi al
raggiungimento di uno stadio “primordiale” forse “innocente” pronto ad apprendere ed
indagare possibili verità che forse mai si raggiungeranno. Tutto ciò presuppone il
rispetto e la volontà ad indagare ogni possibile sistema o codice interpretativo,
ascoltando l’architettura, analizzando il tempo senza necessari riscontri in schemi
precostituiti.
Liberandosi da trappole ideologiche e labirinti interpretativi il percorso della
conservazione di un bene culturale (qualsiasi sia la sua natura) deve essere guidato
fondamentalmente da una costante tensione di ricerca di quel messaggio che il bene
stesso ci aiuta a decifrare e comprendere e il suo valore potrà essere trasmesso solo se
9
R. Pane, La cultura architettonica italiana nel mondo moderno, in M. Civita (a cura di), Attualità e dialettica del
restauro, Chieti 1987, p. 161.
10
S. Poretti, L’opera invisibile, DOCOMOMO Italia - giornale 10-11/2002
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opportunamente calato nella realtà culturale contemporanea a cui si riferisce.
Conservare l’antico o il moderno comporta lo studio e la comprensione dei suoi
specifici valori, l’individuazione dei meccanismi e dei criteri che ne hanno regolato la
realizzazione, la trasformazione e la fruizione. Un tema molto complesso che ci obbliga
a fare i conti con i temi fondanti della civiltà contemporanea, con i nuovi significati
assunti dagli stessi monumenti in relazione alle profonde trasformazioni sociali,
culturali, tecnologiche ed economiche. E’ necessario allontanarsi dalle pratiche proprie
degli accanimenti terapeutici senza predisporsi all’ascolto concreto e costruttivo del
messaggio che il monumento continuamente sussurra ma invano, perché soppiantato dal
rumore delle battaglie ideologiche e professionali.
Nell’agire frenetico ed affannoso che si percepisce oggi più che mai nei cantieri di
restauro sembra del tutto mancare la sapienza di chi ha chiari obiettivi, di chi intravede
nel proprio agire la messa in opera proprio di quell’esclusivo messaggio ascoltato
direttamente sul monumento. Solo così il restauro potrà essere il momento del
riconoscimento, un atto non meramente tecnico ma criticamente e culturalmente
orientato caso per caso e contemporaneamente distaccato dalla affannosa ricerca di
trovare una sua collocazione all’interno di dizionari e manuali11.
Tutto questo non si riscontra, ad esempio, nella recente esperienza di restauro operata
sulla Weissenhofsiedlung a Stoccarda (del 1927) in cui convivono opere di vari
architetti come Mies van der Rohe, Hilberseimer, Gropius, Le Corbusier ed altri.
L’intervento di restauro ha assunto spontaneamente un atteggiamento di ripristino, quasi
a voler cancellare il tempo finora trascorso, per quanto pur breve sia stato, per ricercare
un’immagine “originale” che i singoli edifici presentavano non appena costruiti e che le
fotografie raccolte all’interno di libri e riviste del tempo ci hanno tramandato. È un
atteggiamento che il moderno restauro scientifico e critico ha da tempo rigettato e che
deriva, probabilmente, da un evidente distacco storico fra noi e queste architetture. Si è
così sviluppata una tendenza che non accetta né si pone il tema del riconoscimento ne
tanto meno della comprensione storica dell’oggetto di studio e dell’analisi dei segni del
tempo, delle patine, delle stratificazioni eventualmente intervenute, di uno studio
diagnostico serio sulle tecniche e sui materiali utilizzati, spesso anche in via puramente
sperimentali ed oggi non facilmente recuperabili.
Sono, quindi, principalmente i modi e le differenti culture che hanno condotto alla
nascita dell’opera, attribuendole significati e simboli propri, a definire il processo di
conservazione dell’opera, per poterla consegnare al mondo ed alla collettività.
Da tutto ciò deduciamo che la conoscenza, l’analisi e il progetto diagnostico sono un
antidoto importante contro ricette omnicomprensive e soluzioni preconfezionate su
opere e testi che ancora necessitano di lunghe ed attente riflessioni sul proprio passato
prossimo al fine di interpretare al meglio i sentimenti del presente e le aspettative del
futuro. In quest’ottica il restauro necessita di un forte collegamento tra il momento
analitico e critico e quello più propriamente di verifica con la contemporaneità,
ricercando così possibili suoi significati solo nel modo con cui l’intervento sull’esistente
giunge a dare definizione di se analizzando la realtà a cui si riferisce di volta in volta.
11
C. Brandi, Teorie del restauro, Torino 1977
8
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Il Grattacielo Pirelli (1955-1961)
Architetto Gio Ponti
Dopo l’incidente dell’aprile 2002 e dopo i restauri
terminati nell’aprile 2004.
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Postdam
Torre Albert Einstein (1920-21)
Progetto di Erich Mendelsohn
Prima e dopo l’intervento di restauro (1999)
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Weissenhofsiedlung a Stoccarda
Edificio residenziale di Mies Van der Rohe (1927).
Prima e dopo l’intervento di restauro
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Weissenhofsiedlung a Stoccarda
Edificio per abitazioni
1926 Pierre Jeanneret e Le Corbusier
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(Charles-Édouard Jeanneret). Prima e dopo
l’intervento di restauro
Colonia Rosa Maltoni Mussolini,
Postelegrafonici.
Progetto di Angiolo Mazzoni Del Grande
(1925-26)
Prima e dopo il recente restauro terminato nel
2006
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n°754, aprile 2007, p.3.
Crippa M. A., Il restauro del grattacielo Pirelli, Milano 2007
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OLIMPIA NIGLIO (1970), si laurea in Architettura nel 1995 presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”
dove ha frequentato la Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti. Presso lo stesso Ateneo nel 2000 ha
conseguito il PhD in Conservazione Beni Architettonici. Membro della Commissione “Beni Culturali UNI-NorMaL”
dal 2001 svolge attività di ricerca e didattica presso l’Università di Pisa dove insegna Restauro Architettonico. Dal
2004 è coordinatore scientifico della collana “Esempi di Architettura” edita in Padova. Dal 2006 è Visiting Professor
presso l’Universidad de Ibagué in Colombia dove insegna Restauro Architettonico. Nel 2006 è stata Visiting
Professor presso l’Universidad Tecnologica de Bolivar in Cartagena de Indias e presso il Western Galilee College di
Akko in Israele. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni nel settore del restauro architettonico di cui ricordiamo
Tecnologie diagnostiche per la Conservazione dei Beni Architettonici, (Padova 2004), Palazzo Bertolli Carranza.
Una dimora nobiliare nel centro storico di Pisa (Roma 2005) La conservazione dei Beni Culturali. Antologia di
scritti (Pisa 2006), Il nuovo Calambrone (Milano 2006), Dall’ingegneria empirica verso l’ingegneria della scienza.
La perizia di tre matematici del 1742 per la Cupola di San Pietro (Padova 2007), Il convento di San Matteo in Pisa.
Storia e Restauri (Pisa 2008); O. Niglio, La restauracion de la arquitetura metodos y tecnicas de analisis,
Universidad de Ibagué, Colombia (2009).
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