ON . LINE ISSN 2035-7982 RESTAURO DEL MODERNO CONFRONTO TRA DIFFERENTI "RETI" IDEOLOGICHE Olimpia Niglio Il presente contributo è tratto dal volume curato da Federica Fernandez, Il restauro dell’edificio AR a Palermo, Palermo 2008, pp. 10-20 [ISBN 978-1-4092-0146-5] Non solo gli individui, ma anche la scienza può essere psicoanalizzata e sottoposta a terapia allo scopo di smascherare le pigrizie intellettuali che sostengono determinate scelte concettuali e operative, le motivazioni inconsce che inducono a dare per scontate certe nozioni, i bisogni pratici che spingono in una direzione piuttosto che in un’altra, la caparbietà nell’insistere su idee collaudate ma prive di prospettive, l’infantilismo delle esperienze primitive che condizionano i successivi sviluppi, il fascino ingannevole del realismo che dà una falsa sensazione di verità, la pretesa paranoica dell’unificazione e della generalizzazione a ogni costo, la pressione pragmatista del risultato immediatamente utilizzabile, le pulsioni soggettive che condizionano prima le visioni del mondo e poi le teorie scientifiche. Umberto Galimberti Paesaggi dell’anima, Milano (1996) In occasione di un ciclo di lezioni tenute nel dicembre 1991 da John D. Barrow presso la cattedra di Filosofia della Scienza dell’Università di Milano, l’astronomomatematico inglese cercando di dare una definizione della matematica afferma: Se fermate per strada uno storico o chiunque altro studioso e provate e chiedergli la definizione della sua materia, non avrà difficoltà a darvela. Ma provate a fermare per strada un matematico: questi non sarà in grado di dirvi che cos’è la matematica; leggete un qualsiasi libro di testo, andate ad una qualsiasi lezione all’università e non capirete mai che cos’è la matematica1. Le differenti posizioni teoriche che vanno dall’empirismo, all’idealismo, al formalismo, al costruttivismo fino a giungere alla logistica fanno della matematica una disciplina che continua da secoli il suo percorso evolutivo e di sviluppo senza porsi 1 J. D. Barrow, Perché il mondo è matematico, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 6. 1 ON . LINE ISSN 2035-7982 traguardi definitivi e quindi senza preoccuparsi necessariamente del suo significato o delle sue possibili definizioni assolute. Ma tutto questo non rallenta il suo processo evolutivo che anzi è alla base del mondo in cui viviamo. Questa autonomia ed indipendenza di pensiero, propria della matematica creativa, scopriamo che è alla base anche di altre discipline quali la musica, l’arte, il disegno, l’architettura, tutti settori però nei quali si è cercato sempre di giungere a dare delle affermazioni di autorevole scientificità. Questo il caso anche del restauro dell'architettura rivolto all’opera moderna su cui questa nota intende rivolgere la sua attenzione. Dopo secoli di storia della matematica gli studiosi continuano ad affannarsi nel ricercare un suo preciso significato se non nel modo con cui questa giunge a dare una definizione di se analizzando la realtà a cui si riferisce di volta in volta. Ma sembra che non si possa pervenire ad una definizione generalizzata. Allora come può una disciplina giovane come il restauro essere giunta a darsi tante definizioni e ad affermare quasi delle verità assolute in così breve tempo, sostenuta anche da dottrine e leggi che ne regolano in modo assoluto il suo operato? Eppure tra le varie autorevoli definizioni ancora tante ed indefinite sono le posizioni scientifiche assunte dalle differenti scuole di pensiero. Questo è certamente un segnale su cui concretamente riflettere. Al riguardo può valere la pena segnalare un dubbio manifestato anche da Roberto Masiero che, analizzando le definizioni del termine restauro di nove studiosi a confronto e sui vari disaccordi rilevati, annota l’impossibilità stessa di arrivare ad una definizione per il restauro. Penso anche - scrive Roberto Masiero - che coloro che operano e pensano al restauro dovrebbero riflettere il più possibile usando tutti gli strumenti a disposizione sui paradossi, sulle contraddizioni, sulle aporie che fanno del restauro un’impossibile disciplina, capendo il fatto che, essendo cultura moderna e contemporanea, una cultura fondata sulla metafisica della storia e dell’arte, il restauro appare come il luogo più problematico di questa stessa cultura, dato che in esso sono continuamente in gioco storia e arte, storia e valori, storia e progetto. Forse potremmo fare un ulteriore esperimento: chiederci come il restauro, che in fondo non sappiamo bene cosa sia, è determinato o determina le seguenti antinomie: materia/forma, forma/contenuto, natura/artificio, natura/cultura, natura/storia, nuovo/antico, tradizione/progresso, creazione/ripetizione, autenticità/inautenticità, vero/falso, comprensione/precomprensione, produzione/riproduzione, libertà/necessità. Tra il <definiendum> ed il <definiens> c’è di mezzo tutto questo e altro ancora. A noi scovarlo.2 Nascono così un insieme di dilemmi che ci suggeriscono di smettere di preoccuparci e di ricercare necessariamente la definizione assoluta di ciò che non ha a sua volta alcun valore assoluto se non relativo al caso di riferimento, appunto l’oggetto dell’intervento di restauro. Ciò che ci guida nell’intraprendere la strada della conservazione del patrimonio culturale sono aspetti molto più complessi che è difficile sintetizzare in una definizione assoluta o nell'articolo di una legge. Si tratta di giudizi variabili e contingenti che mutano in relazione alle mentalità collettive che li accompagnano; ecco perché anche il 2 R. Masiero, Nel definire il restauro, in B. P. Torsello (a cura di), Che cos’è il restauro, Venezia 2005, pp. 158-159. 2 ON . LINE ISSN 2035-7982 quadro normativo e le procedure burocratiche che intervengono su tali operazioni sono il più delle volte fallaci, incapaci di dare risposte obbiettive e non generalizzabili3. Sarebbe molto utile e costruttivo, al riguardo, riflettere sul modo con cui le differenti culture e le diversificate capacità di percezione intervengono nelle scelte connesse alla conservazione del nostro patrimonio4. La storia del restauro ci ha dimostrato che le scale dei valori sono varie e contingenti (pensiamo ad esempio alle teorie di Viollet Le Duc e di Ruskin o al modo di intendere oggi un intervento di restauro, per esempio, nell'Europa Orientale rispetto ad una cultura Occidentale) e lo sono anche le decisioni riguardanti il perché si conserva e il modo con cui si interviene per conservare. L’itinerario temporale e concettuale di questa disciplina è pieno di complicazioni, di travestimenti e di scambi ideologici strettamente connessi alle singole realtà politicoculturali delle persone che sono intervenute a codificare il suo sviluppo teorico e metodologico e ancora oggi continua la sua evoluzione su un’onda di incertezze e forti contraddizioni. Ma tutto questo fa parte della ricchezza culturale propria della disciplina del restauro e su cui è necessario ricercare e continuare a lavorare. Trova così conferma la relatività del concetto di restauro e l’impossibilità di darne una definizione scientifica assoluta, in contrasto con la prassi comune che, ormai da diverso tempo, pone una grande attenzione sulla ricerca di “categorie” e “schemi” con cui classificare la disciplina. Con ciò non si intende manifestare alcuna velleità a ribaltare o contrastare i risultati raggiunti da oltre due secoli di storia del restauro al fine di proporne dei nuovi, poiché il fatto contrasterebbe con quanto fin qui scritto; diversamente si avverte la necessità di mettere a fuoco maggiormente quei passaggi significativi che hanno informato e informano la maniera di concepire e praticare il restauro. Si tratta, scrive Francesco La Regina, principalmente di rivedere oggettivamente quei (...) legami e condizionamenti che comportano una chiusura di orizzonti ed un ostacolo a quel tipo di ricerca di cui oggi si prova un così vivo bisogno, grazie soprattutto all’eccezionale sviluppo dei metodi di indagine analitica e di accertamento storiografico, in aggiunta alla disponibilità di nuovi strumenti di interpretazione critica e di programmi di raccolta ed elaborazione anche informatica dei dati5. Si tratta di scardinare e superare una letteratura basata su classificazioni e definizioni per privilegiare e sviluppare una metodologia più connessa alla realtà dell’oggetto di studio, all’ambiente culturale di riferimento e alle reali possibilità di conservazione che solo un oggettivo progetto di conoscenza, preliminare al progetto di restauro, può garantire. Infatti l’interesse e l’attenzione per la conservazione devono essere organicamente inquadrati mediante iniziative opportunamente programmate e mirate. Si restaura ciò che esiste e si insegna a restaurare operando nello spazio attingendo agli insegnamenti accumulati e documentati nel tempo. La conservazione di un bene passa attraverso l’apprendimento diretto e la verifica di esperienze collaudate ma non 3 4 5 F. Dal Co, Il vecchio e il nuovo. L’infondatezza del vecchio, l’aleatorietà del nuovo, in “Casabella” n°754, aprile 2007, p.3. D.R. Hofstadter, In quale misura il pensiero viene incanalato dalla lingua e dalla cultura?, in D.R. Hofstadter, “Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante”, (X edizione) Milano 2005, pp. 408-409. F. La Regina, Il restauro dell’architettura. L’architettura del restauro, Liguri, Napoli 2004, p. 178 3 ON . LINE ISSN 2035-7982 per questo ripetibili, classificabili e generalizzabili, perché ogni intervento di restauro ha una sua irripetibile identità. L’obiettivo della tutela, affermava Mauro Civita in una lezione dal titolo “Restauro e Didattica” nel 2002, può essere conseguito in maniera efficace solo mediante passaggi consequenziali che vanno dall’osservazione diretta, ineludibile base di partenza, all’allestimento di accorgimenti e strumenti analitici finalizzati alla conservazione, fino a giungere ad un dettagliato progetto diagnostico. È un percorso che non può prescindere dalla verificata gradualità dei singoli passaggi che intervengono sulla trasformazione del monumento oggetto di studio e dei valori che questo custodisce. L’esistenza dell’uomo, infatti, si colloca fra innumerevoli punti di riferimento; fra questi ci sono i monumenti che altro non sono che oggetti che ci fanno ricordare qualcosa ed è proprio questo bagaglio di valori in esso custoditi che ci guida nel processo di conservazione le cui regole non sono generalizzabili, ma vanno ricercate all’interno del monumento stesso. In questo senso, probabilmente, si può intendere anche l’affermazione di Vittorio Gregotti quando scrive che ogni progetto di architettura è forma interpretativa di un intervento di restauro in quanto modificazione delle relazioni tra le cose già esistenti e instaurazione di nuova legge tra esse. Misurarsi con l’esistente, significa aderire ad una condizione di conoscenza, di condivisione, di partecipazione alla storia e alle qualità dei luoghi. A partire da queste premesse possiamo operare affinché le tradizionali distinzioni fra conservazione e restauro o, all’interno di questo, fra i diversi modi di intenderlo e definirlo, appaiano sempre più come questioni solo ideologiche che è possibile superare soprattutto se consideriamo il principio di appartenenza come guida ad ogni intervento sul monumento, dove le differenziazioni tradizionali e culturali sono solo varianti di un unico tema: l’intervento sull’esistente. Naturalmente, se da una parte non bisogna rischiare di cadere nell’atteggiamento formalistico e burocratico di chi considera il monumento come documento irrinunciabile, attribuendogli solo un valore di memoria, dall’altra è proprio per poter discernere da tutto ciò che è necessario approfondire le ricerche con giudizio critico, laico e senza malcelati obiettivi, mediante strumenti storico-critici di cui avvalerci per procedere ai fini della conservazione. Su tutto prevale comunque la necessaria contestualizzazione dei temi che fa sì che un bene culturale, sia esso antico o moderno, assuma valore in relazione con il suo specifico contesto locale, più che rispetto alle grandi opere consacrate dalla storia e dalla critica internazionale. Infatti lo stato attuale di un ricco patrimonio culturale mondiale da salvaguardare non richiede solo elaborazioni teoriche e definizioni ma principalmente modi concreti e validi di intervento e su questi principi costruttivamente dobbiamo al più presto operare. 4 ON . LINE ISSN 2035-7982 Restauro del Moderno? L’incipit della modernità e l’exodus dalla modernità sono un’illusione storiografica o meglio un miraggio che sembra concreto e reale ma quando ci si accosta svanisce. Cesare De Seta L’architetture delle modernità tra crisi e rinascite, Torino (2002) Possiamo vivere senza di lei (l’architettura) e possiamo venerare senza di lei, ma non possiamo ricordare senza di lei. John Ruskin The seven Lamps of Architecture, Milano 1981 In funzione delle premesse fatte risulta incongruente parlare di restauro del Moderno, andando così ad operare semplicemente una classificazione della disciplina propria del restauro rispetto ad un periodo preciso della storia dell’architettura. Non esiste un approccio differente ma un’unità concettuale di base tra restauro dell’architettura antica e restauro dell’architettura moderna e contemporanea. Anche da un punto di vista progettuale esiste un’unità metodologica che riguarda il rilievo, lo studio storico, l’analisi dei materiali ed ovviamente ciò che cambia sono le tecniche costruttive, le competenze delle maestranze specializzate che intervengono ed altro ancora. Ciò è quanto affermato anche da Giovanni Carbonara, relativamente alla recente esperienza di restauro del Grattacielo Pirelli a Milano in cui i criteri propri del restauro dei monumenti hanno funzionato molto bene, anche se innestati su temi contemporanei e su competenze tecniche altamente specialistiche, in cui non sempre il restauratore tradizionale ha trovato il suo idoneo spazio operativo. Infatti il ricorso a tecniche costruttive innovative e la presenza di materiali più moderni, quali ad esempio l’alluminio, ha richiesto maestranze in grado di intervenire in modo appropriato e con competenze specifiche6. In merito al tema più propriamente connesso alla conservazione dell’architettura Moderna risulta interessante citare anche una riflessione di Gillo Dorfles durante una lezione presso l’Università di Cagliari. Non mi sembra si possa parlare di un “restauro del moderno” senza tener conto dell’Antico. Intanto, perché, se un edificio è da restaurare, questo già implica che lo stesso è d’un sia pur prossimo passato; dunque non è più decisamente moderno7. 6 7 M. A. Crippa, Il restauro del grattacielo Pirelli, Milano 2007. G. Dorfles, Il restauro del Moderno rispetto all’Antico, in “Arte/Architettura/Ambiente”, settembre 2004, pp.9-10. 5 ON . LINE ISSN 2035-7982 Sembra di trovaci di fronte al paradosso di Epimenide in cui non si comprende bene quale sia la verità. Se il monumento lo definiamo Moderno, può questo essere allo stesso tempo Antico? E se questo è Antico come facciamo a definire che si tratta di un restauro del Moderno? Forse un paradosso ma ancor di più si tratta di ragionare sulla relatività di archetipi che sono alla base dell’evoluzione culturale della stessa disciplina del restauro e cioè sul significato che associamo al concetto di spazio e di tempo, concetti di natura psichica, di cui Carl Gustav Jung dimostrò la precaria esistenza e al concetto di relatività di Einstein associò quello di sincronicità. In tal modo è possibile valutare due eventi diversi ma tra loro sincronici purché questi vengono percepiti come aventi lo stesso significato, ma senza essere legati da un rapporto diretto di causa ed effetto8. Così Antico e Moderno, possono essere sincronici, cioè analizzati come aventi lo stesso valore all’interno di un dato sistema architettonico e temporale ma non necessariamente l’uno determina l’altro o si contrappone all’altro. In tal caso riusciamo forse a rintracciare uno o più possibili aspetti e valori per i quali un bene culturale anche se non molto datato storicamente viene ritenuto degno di essere conservato nel tempo. Parlare quindi di restauro del moderno o del contemporaneo, così come di qualsiasi altra schematizzazione temporale, non ha alcun significato specifico, rientra il tutto solo in una classificazione aleatoria della quale abbiamo dimostrato la sua inconsistenza e che spesso viene usata per descrivere le differenze culturali che intervengono nella sua evoluzione. Sul concetto di tempo molti architetti del Movimento Moderno hanno dichiarato poi l’obsolescenza programmata e naturale del bene architettonico. Ma questo aspetto per un restauratore è ininfluente poiché abbiamo il dovere, non fosse altro che per ragioni storiche e testimoniali, di conservare e tramandare alle generazioni future anche ciò che è stato prodotto e pensato per essere anche distrutto. Un caso singolare sono, ad esempio, le scritte elettorali che si riscontrano su alcune chiese romaniche a Pisa o forse ancora più note sui resti di alcuni edifici della città di Pompei. Queste dovevano durare solo poche settimane e poi essere cancellate. Tutto questo non sempre è avvenuto tanto che in differenti realtà territoriali noi le abbiamo ritrovate ed oggi tentiamo di conservarle. Questo è un caso tipico nel quale la moderna intenzionalità conservativa non coincide con quella dell'artefice originario; la cosa si può meglio spiegare in ragione di quell’atteggiamento critico attraverso il quale ci avviciniamo, da moderni, al passato. Si tratta quindi di intervenire sui valori che il monumento, oggetto di studio, custodisce e valutare le motivazioni culturali della sua “trasmissione al futuro” e per fare questo non abbiamo necessità di rinchiudere l’intervento all’interno di una definizione che è molto difficile da dimostrare e sostenere soprattutto da un punto di vista scientifico. Perché parlare di restauro del Moderno se ci riferiamo alla torre di Einstein di E. Mendelsohn a Potsdam (1920), mentre non affermiamo lo stesso principio se parliamo del restauro da eseguire al campanile di San Marco a Venezia ricostruito nel decennio 1903- 1912 com’era e dov’era a seguito del crollo del 1902? Il campanile di San Marco non può essere considerato un’opera moderna se pur ricostruito sulla base di un modello storico perduto? E cosa dire delle opere ricostruite in stile nel secondo dopo guerra? Che 8 P. Odifreddi, C’era una volta un paradosso. Storie di illusioni e verità rovesciate, Torino 2001, pp. 126-128 6 ON . LINE ISSN 2035-7982 differenza esiste, da un punto di vista temporale e spaziale, tra la ricostruzione dell’abbazia di Montecassino (1946-64) ed il progetto per la Stazione Termini a Roma (1948-50)? Si tratta fondamentalmente di due progetti aventi valori culturali e sociali differenti ma della stessa epoca. Ecco quindi la sincronicità del valore Antico e Moderno che allo stesso modo interviene sul medesimo oggetto determinandone aspetti valoriali importanti per la sua conservazione senza che quest’attività venga condizionata da archetipi fittiziamente strutturati. Il problema della conservazione, sia che l’oggetto di riferimento è antico o moderno, si viene così a spostare fondamentalmente sul piano della percezione, decodificazione e comprensione dei valori che l’opera custodisce in se e sulla capacità di ricezione e trasmissione di questi valori propri dell’architettura all’interno della vasta gamma dei principi del mondo contemporaneo, senz’altre fittizie distinzioni. Aspetti valoriali rilevati ed analizzati anche da Roberto Pane che già nel 1959 parlando di classificazione temporale dell’architettura si poneva la domanda su cosa vuol dire architettura moderna e chi sono gli architetti moderni ed affermava che se si tratta semplicemente di alludere all’architettura che si fa oggi, e che è moderna così come lo fu a suo tempo quella di ieri, si afferma solo una tautologia, e quindi non vale neppure la pena di parlarne. Ma con la parola “Moderno” si vuole invece alludere a nuovi e positivi valori di cultura e di gusto (….) dotati di una validità. Quando sento parlare di difesa dell’architettura moderna, mi chiedo quale possa essere il nemico contro il quale si deve combattere, e mi pare che esso non possa essere altro se non la numerosa schiera dei cosiddetti architetti che amano definirsi moderni9. Il progetto di restauro, infatti, a prescindere da quanto laboriosa e complessa possa essere la sua elaborazione, resta comunque un progetto dall’esito tutt’altro che vistoso. Il progetto di restauro di un’architettura produce un’opera assolutamente “invisibile” per molti poco creativa e l’architetto, tra tutte le figure intellettuali e professionali, è certamente quella che meno rassomiglia al Pierre Menard, autore del Don Chisciotte immaginato da Borges10. Ed è proprio questo il pericolo a cui forse alludeva Roberto Pane già negli anni ’50 del XX secolo. A questo punto è necessario liberarsi dai pregiudizi e dagli stereotipi e dedicarsi al raggiungimento di uno stadio “primordiale” forse “innocente” pronto ad apprendere ed indagare possibili verità che forse mai si raggiungeranno. Tutto ciò presuppone il rispetto e la volontà ad indagare ogni possibile sistema o codice interpretativo, ascoltando l’architettura, analizzando il tempo senza necessari riscontri in schemi precostituiti. Liberandosi da trappole ideologiche e labirinti interpretativi il percorso della conservazione di un bene culturale (qualsiasi sia la sua natura) deve essere guidato fondamentalmente da una costante tensione di ricerca di quel messaggio che il bene stesso ci aiuta a decifrare e comprendere e il suo valore potrà essere trasmesso solo se 9 R. Pane, La cultura architettonica italiana nel mondo moderno, in M. Civita (a cura di), Attualità e dialettica del restauro, Chieti 1987, p. 161. 10 S. Poretti, L’opera invisibile, DOCOMOMO Italia - giornale 10-11/2002 7 ON . LINE ISSN 2035-7982 opportunamente calato nella realtà culturale contemporanea a cui si riferisce. Conservare l’antico o il moderno comporta lo studio e la comprensione dei suoi specifici valori, l’individuazione dei meccanismi e dei criteri che ne hanno regolato la realizzazione, la trasformazione e la fruizione. Un tema molto complesso che ci obbliga a fare i conti con i temi fondanti della civiltà contemporanea, con i nuovi significati assunti dagli stessi monumenti in relazione alle profonde trasformazioni sociali, culturali, tecnologiche ed economiche. E’ necessario allontanarsi dalle pratiche proprie degli accanimenti terapeutici senza predisporsi all’ascolto concreto e costruttivo del messaggio che il monumento continuamente sussurra ma invano, perché soppiantato dal rumore delle battaglie ideologiche e professionali. Nell’agire frenetico ed affannoso che si percepisce oggi più che mai nei cantieri di restauro sembra del tutto mancare la sapienza di chi ha chiari obiettivi, di chi intravede nel proprio agire la messa in opera proprio di quell’esclusivo messaggio ascoltato direttamente sul monumento. Solo così il restauro potrà essere il momento del riconoscimento, un atto non meramente tecnico ma criticamente e culturalmente orientato caso per caso e contemporaneamente distaccato dalla affannosa ricerca di trovare una sua collocazione all’interno di dizionari e manuali11. Tutto questo non si riscontra, ad esempio, nella recente esperienza di restauro operata sulla Weissenhofsiedlung a Stoccarda (del 1927) in cui convivono opere di vari architetti come Mies van der Rohe, Hilberseimer, Gropius, Le Corbusier ed altri. L’intervento di restauro ha assunto spontaneamente un atteggiamento di ripristino, quasi a voler cancellare il tempo finora trascorso, per quanto pur breve sia stato, per ricercare un’immagine “originale” che i singoli edifici presentavano non appena costruiti e che le fotografie raccolte all’interno di libri e riviste del tempo ci hanno tramandato. È un atteggiamento che il moderno restauro scientifico e critico ha da tempo rigettato e che deriva, probabilmente, da un evidente distacco storico fra noi e queste architetture. Si è così sviluppata una tendenza che non accetta né si pone il tema del riconoscimento ne tanto meno della comprensione storica dell’oggetto di studio e dell’analisi dei segni del tempo, delle patine, delle stratificazioni eventualmente intervenute, di uno studio diagnostico serio sulle tecniche e sui materiali utilizzati, spesso anche in via puramente sperimentali ed oggi non facilmente recuperabili. Sono, quindi, principalmente i modi e le differenti culture che hanno condotto alla nascita dell’opera, attribuendole significati e simboli propri, a definire il processo di conservazione dell’opera, per poterla consegnare al mondo ed alla collettività. Da tutto ciò deduciamo che la conoscenza, l’analisi e il progetto diagnostico sono un antidoto importante contro ricette omnicomprensive e soluzioni preconfezionate su opere e testi che ancora necessitano di lunghe ed attente riflessioni sul proprio passato prossimo al fine di interpretare al meglio i sentimenti del presente e le aspettative del futuro. In quest’ottica il restauro necessita di un forte collegamento tra il momento analitico e critico e quello più propriamente di verifica con la contemporaneità, ricercando così possibili suoi significati solo nel modo con cui l’intervento sull’esistente giunge a dare definizione di se analizzando la realtà a cui si riferisce di volta in volta. 11 C. Brandi, Teorie del restauro, Torino 1977 8 ON . LINE Il Grattacielo Pirelli (1955-1961) Architetto Gio Ponti Dopo l’incidente dell’aprile 2002 e dopo i restauri terminati nell’aprile 2004. ISSN 2035-7982 9 ON . LINE ISSN 2035-7982 10 Postdam Torre Albert Einstein (1920-21) Progetto di Erich Mendelsohn Prima e dopo l’intervento di restauro (1999) ON . LINE ISSN 2035-7982 Weissenhofsiedlung a Stoccarda Edificio residenziale di Mies Van der Rohe (1927). Prima e dopo l’intervento di restauro 11 Weissenhofsiedlung a Stoccarda Edificio per abitazioni 1926 Pierre Jeanneret e Le Corbusier ON . LINE ISSN 2035-7982 (Charles-Édouard Jeanneret). Prima e dopo l’intervento di restauro Colonia Rosa Maltoni Mussolini, Postelegrafonici. Progetto di Angiolo Mazzoni Del Grande (1925-26) Prima e dopo il recente restauro terminato nel 2006 12 ON . LINE ISSN 2035-7982 Bibliografia di riferimento Koening G. K., L’invecchiamento dell’architettura ed altre dodici note, Firenze 1967 Dorfles G., Nuovi riti, nuovi miti, Torino 1983 Brandi C., Teoria del restauro, Torino 1977 Civita M. (a cura di), Attualità e dialettica del restauro, Chieti 1987 J. D. 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L’infondatezza del vecchio, l’aleatorietà del nuovo, in “Casabella” n°754, aprile 2007, p.3. Crippa M. A., Il restauro del grattacielo Pirelli, Milano 2007 14 OLIMPIA NIGLIO (1970), si laurea in Architettura nel 1995 presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” dove ha frequentato la Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti. Presso lo stesso Ateneo nel 2000 ha conseguito il PhD in Conservazione Beni Architettonici. Membro della Commissione “Beni Culturali UNI-NorMaL” dal 2001 svolge attività di ricerca e didattica presso l’Università di Pisa dove insegna Restauro Architettonico. Dal 2004 è coordinatore scientifico della collana “Esempi di Architettura” edita in Padova. Dal 2006 è Visiting Professor presso l’Universidad de Ibagué in Colombia dove insegna Restauro Architettonico. Nel 2006 è stata Visiting Professor presso l’Universidad Tecnologica de Bolivar in Cartagena de Indias e presso il Western Galilee College di Akko in Israele. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni nel settore del restauro architettonico di cui ricordiamo Tecnologie diagnostiche per la Conservazione dei Beni Architettonici, (Padova 2004), Palazzo Bertolli Carranza. Una dimora nobiliare nel centro storico di Pisa (Roma 2005) La conservazione dei Beni Culturali. Antologia di scritti (Pisa 2006), Il nuovo Calambrone (Milano 2006), Dall’ingegneria empirica verso l’ingegneria della scienza. La perizia di tre matematici del 1742 per la Cupola di San Pietro (Padova 2007), Il convento di San Matteo in Pisa. Storia e Restauri (Pisa 2008); O. Niglio, La restauracion de la arquitetura metodos y tecnicas de analisis, Universidad de Ibagué, Colombia (2009).