Subido por marco.del.nero

La Dottrina segreta dei Rosacroce

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MAGUS INCOGNITO
La Dottrina segreta dei Rosacroce
TITOLO ORIGINALE:
The Secret Doctrine
of
The Rosicrucians
Illustrated with
The Secret Rosicrucian Symbols
Traduzione di
Pierpaolo Mura
Immagine di copertina di
Carla Viparelli
Seconda edizione
©2001 Copyright by Venexia
Viale dei Primati Sportivi, 88
00144 Roma
Indice
Prefazione
Parte I
I Rosacroce e la loro dottrina segreta
Parte II
II Genitore Eterno
Parte III
LAnima del Mondo
Parte IV
L’androgino universale
Parte V
L’uno e i molti
Parte VI
La fiamma universale della vita
Parte VII
I piani di coscienza
Parte VIII
I tre piani superiori di coscienza
Parte IX
L’anima settupla dell’uomo
Parte X
Metempsicosi
Parte XI
II viaggio dell’anima
Parte XII
L’aura e i colori aurici
Parte XIII
I sette principi cosmici
Prefazione
Per apprezzare fino in fondo la ricchezza di informazioni iniziatiche fornite
dalla Dottrina segreta dei Rosacroce è necessario svelare al lettore l’identità
di Magus Incognito, ossia di William Walker Atkinson, alias Yogi Ramacharaka, grandissimo maestro americano di occultismo e terapie naturali di inizio
secolo.
La prima pubblicazione ufficiale del testo alla quale siamo riusciti a risalire
è stata quella del 1949 a Chicago, ma per le informazioni scientifiche in esso
contenute, il libro è senza ombra di dubbio di 30 o 40 anni precedente. Il
modo organico in cui l’autore struttura l’argomento, per non parlare delle
scelte lessicali, le citazioni dei suoi numerosi autori preferiti, nonché la sua
predilezione per gli pseudonimi (ne sono noti almeno altri tre) con cui
affronta i vari temi, lo identificano definitivamente come Atkinson.
Spesso cita se stesso come “un noto scrittore esperto dell’argomento”
facendo riferimento soprattutto a tre dei suoi libri firmati con tre alias diversi:
Hatha Yoga — Yogi Ramacharaka, L’Energia mentale: il segreto della
magia — W. W. Atkinson, Il Kybalion - I Tre Iniziati1.
Magus Incognito/Atkinson era un grande iniziato il cui scopo era quello di
divulgare, all’inizio di questa nuova era, un antichissimo sapere proveniente
da tempi primordiali.
L’ordine dei Rosacroce viene presentato come un veicolo della tradizione
originale che, grazie all’ausilio dei suoi simboli, insegna e trasmette a nuove
generazioni di ricercatori gli insegnamenti sulle origini, la creazione e il
divenire del mondo. Studiando questi simboli se ne avverte la verità e
osservandone la graduale evoluzione, espansione e contrazione, sembra di
percepire davvero “il respiro dell’Anima del Mondo che tutto crea”.
Magus Incognito analizza inoltre i piani di coscienza, l’aura, la struttura
dell’anima e la fiamma universale della vita, insieme ai sette principi cosmici
fondamentali. Molte informazioni iniziatiche e, perché no, di potere sono
celate in maniera più o meno velata nel testo, tra le quali spicca la seguente:
“La stabilità è potere che deriva dall’equilibrio. L’equilibrio si ottiene
spostandosi e rimanendo nel punto mediano tra i due poli opposti.
Con la stabilità e l’equilibrio, il maestro neutralizza la polarità e il ritmo,
risolvendoli in unità.
Nel cuore della tempesta c’è pace; al centro della vita c’è stabilità e
potere. Cercali sempre, o neofita, poiché in essi troverai te stesso.”
L’Editore
La Dottrina segreta dei Rosacroce
Figura 1. Simbolo mistico della Fratellanza Rosacrociana
Parte 1
I Rosacroce e la loro dottrina segreta
Lo studioso di storia dell’occultismo e di insegnamenti segreti, e persino il
lettore medio di libri e riviste, trovano frequenti riferimenti ai “Rosacroce”,
una presunta antica società segreta dedita allo studio di dottrine esoteriche e
all’evocazione di potenze occulte. Ma quando lo studioso o il lettore in
questione cerca di procurarsi informazioni dettagliate riguardo a questo
antico “ordine” si ritrova confuso e frustrato. Prima di riconoscere l’inutilità
della sua ricerca, tuttavia, egli di solito interroga uno o più dei cosiddetti
ordini nel cui nome figura la parola rosacrociano, con il solo risultato di
ricevere l’invito a unirsi all’ordine in questione previo pagamento di una
quota o contributo il cui ammontare varia, raggiungendo in determinati casi
cifre considerevoli. Ciascuno di questi gruppi pretende di essere l’unico
ordine originario e accusa tutti gli altri di essere ignobili plagiari.
La verità è che non esiste, e non è mai esistito, alcun ordine occulto che
possa ricondursi agli autentici Rosacroce, che risulti aperto al pubblico e nel
quale sia possibile entrare pagando una quota, così come si fa con una
qualunque delle tante ben conosciute associazioni e confraternite del nostro
tempo. I veri Rosacroce non hanno un’organizzazione nel senso specifico
della parola, e a tenerli uniti sono soltanto i legami del comune interesse per
gli studi occultistici ed esoterici, oltre che l’omaggio da tutti loro tributato a
determinati principi fondamentali di fede e di conoscenza.
Quest’ordine privo di una vera organizzazione può contare su membri che
appartengono a tutte le classi sociali e a svariate nazionalità, e che non
dichiarano mai pubblicamente la propria adesione alla confraternita
rosacrociana.
L’ammissione non si ottiene pagando una quota associativa, ma soltanto
grazie alla segnalazione e all’appoggio di tre membri qualificati, che già da
lungo tempo facciano parte della confraternita e che, sotto la guida di più
esperti adepti allo studio della sapienza arcana, si siano già spinti
sufficientemente avanti nella conoscenza esoterica e nella dimostrazione dei
principi scoperti.
Membri dell’ordine rosacrociano occupano prestigiose posizioni
gerarchiche all’interno di quasi tutte le organizzazioni e società occultistiche
del mondo; in verità, proprio questi individui rappresentano il lievito genuino
nella massa opaca, e tengono viva in quelle organizzazioni la sacra fiamma
della verità. Molti Rosacroce hanno anche posizioni di rilievo nell’ambito di
circoli filosofici e scientifici, e alcuni di essi sono importanti uomini d’affari,
professionisti e politici. Altri svolgono un ruolo chiave all’interno del
movimento operaio e nei sindacati. Alcuni ricoprono posizioni importanti
nelle gerarchie delle varie chiese, e altri ancora dirigono la massoneria e le
società segrete analoghe. In tutti questi circoli i Rosacroce esercitano
un’influenza determinante, e sempre in direzione del bene.
La confraternita dei Rosacroce
L’interesse moderno per gli insegnamenti rosacrociani risale ai primi anni del
XVII secolo, più precisamente a una data intorno al 1610. A quel tempo
giravano voci circa l’esistenza di una società segreta, conosciuta con il nome
di “Confraternita dei Rosacroce”, i cui adepti e luoghi di riunione non erano
noti al pubblico. La misteriosa società venne duramente attaccata dalle
autorità ecclesiastiche e da altri, e fu altrettanto vigorosamente difesa da
quanti si interessavano di occultismo e di insegnamenti esoterici in generale.
Vennero fondati svariati ordini spuri e fasulli nei successivi cento anni e
anche nei secoli seguenti, ma nessuno di essi è riuscito a dimostrare un
collegamento certo con l’ordine originario. Alcuni degli insegnamenti
originari dei Rosacroce sono stati accolti nei gradi più alti dell’iniziazione
massonica, e lì sono serviti egregiamente al fine.
La leggenda riguardante le origini dell’ordine, vera in certi aspetti, erronea
in altri, è la seguente.
Un certo Christian Rosenkreutz, aristocratico tedesco che aveva preso gli
abiti di un non precisato ordine monastico, aveva visitato l’India, la Persia e
anche l’Arabia, ed era tornato portandosi dietro una dottrina segreta ricevuta
dai saggi e dai veggenti dell’Oriente. Fu lui che, a quanto si dice, fondò
l’originaria confraternita rosacrociana intorno al 1425 che fu resa nota
soltanto quasi duecento anni dopo. I veri Rosacroce, tuttavia, riconoscono in
questo racconto leggendario soltanto un intelligente travestimento delle reali
circostanze in cui avvenne la fondazione di quest’ordine particolare,
circostanze da leggere tra le righe, con l’ausilio degli occhiali della
comprensione, in modo da afferrarne il significato autentico.
L’autore del presente scritto non si sente autorizzato a presentare in queste
pagine il racconto nel modo in cui egli personalmente lo intende e in cui gli è
stato trasmesso da chi aveva l’autorità per farlo; in verità, nel renderlo
pubblico egli violerebbe una promessa delle più solenni, il che equivarrebbe a
tradire i segreti della propria iniziazione. Egli, tuttavia, è autorizzato ad
affermare che la dottrina segreta dei Rosacroce è un corpo di insegnamenti
esoterici, trasmesso nel corso dei secoli da uomini sapienti particolarmente
versati nelle dottrine esoteriche e nelle tradizioni occultistiche.
Detta sapienza è venuta dall’Oriente e, in verità, ancor oggi include parte
degli insegnamenti segreti di alcune fra le massime fratellanze orientali. La
sua storia non è altro che l’ennesimo esempio della giustezza degli antichi
assiomi, uno dei quali afferma che dobbiamo “guardare a Oriente, da dove
viene la luce”.
Per molti anni fu permesso rivelare al pubblico solo molto poco della
dottrina segreta dei Rosacroce, ma nel corso degli ultimi vent’anni è invalsa
una libertà sempre maggiore a questo riguardo, fino a che oggi molti
importanti insegnamenti rosacrociani costituiscono parte di quasi tutti gli
scritti e le lezioni sul tema dell’esoterismo in generale, e della più alta
metafisica in particolare. La teosofia e il generale interesse per le filosofie e
le religioni orientali hanno contribuito molto a rendere pubblici alcuni punti
tra i più elementari della dottrina segreta. In verità, negli scritti e negli
insegnamenti di livello più elevato di alcune delle importanti organizzazioni
collegate ai Rosacroce, è possibile trovare svariati frammenti seminascosti
della dottrina rosacrociana, ingegnosamente dissimulata per la massa dei
profani, ma rivelata in tutta la sua chiarezza a pochi sapienti.
L’alchimia in senso superiore
I Rosacroce, a detta dei più comuni testi di riferimento, erano dediti alla
pratica dell’alchimia. In effetti questa affermazione è corretta. I moderni
compilatori di tali opere, sono tuttavia caduti nell’errore di credere che
l’alchimia in questione si limitasse esclusivamente al piano materiale e in
particolare alla trasmutazione degli elementi. Essi dimostrano di ignorare il
fatto che l’alchimia che attraeva i Rosacroce, e che occupava gran parte del
loro tempo e della loro attenzione, era l’alchimia mentale e quella spirituale;
qualcosa, dunque, di assai differente, pur avendo essa ovviamente dei legami
con l’alchimia materiale secondo la legge della Corrispondenza. Il lettore di
questo libro scoprirà tale verità, e riceverà svariate preziose indicazioni circa
le forme superiori di alchimia, sempre che egli sia preparato a leggere tra le
righe del testo e a ragionare per analogie. L’assioma “come sopra, così sotto”
si rivelerà illuminante anche a questo riguardo.
Perché gli insegnamenti esoterici vengono tenuti segreti
Risulta difficile spiegare all’occidentale le vere ragioni della segretezza che
immancabilmente avvolge gli insegnamenti esoterici di tutte le grandi scuole
di pensiero occultistico. Egli è infatti portato a pensare che l’unico motivo sia
il piacere del mistero che egli attribuisce automaticamente a tutti i maestri di
dottrine occultistiche. Per chi tuttavia percorre anche per un breve tratto il
Sentiero le vere ragioni divengono subito manifeste. Questi avverte i pericoli
di ciò che potrebbe accadere svelando prematuramente importanti principi
esoterici alla mente impreparata della massa delle persone. La seguente
citazione di un famoso scrittore fornirà forse qualche indicazione utile alla
soluzione di tale problema.
“Il metodo orientale per coltivare la conoscenza è sempre stato
diametralmente opposto a quello seguito in Occidente parallelamente allo
sviluppo della scienza moderna. Mentre l’Europa ha investigato la natura il
più pubblicamente possibile, discutendo ogni singolo stadio della ricerca con
la più completa libertà, e mettendo subito in circolazione ogni nuova scoperta
a beneficio di tutti, la scienza orientale è sempre stata studiata in segreto e le
sue scoperte custodite gelosamente. Il lettore vedrà in seguito che ciò risulta
perfettamente coerente con lo schema generale della filosofia occultistica.
L’approccio a detta filosofia è sempre stato, in un certo senso, aperto a
chiunque. In maniera vaga, in tutto il mondo si è vagamente diffusa l’idea che
determinati metodi di studio, seguiti da individui particolari, potessero
condurre all’acquisizione di una conoscenza di livello superiore a quella
insegnata all’umanità in generale dai maestri e dai libri. L’Oriente, come già
sottolineato, è sempre stato certo di ciò, ma anche in Occidente è fermentato
all’interno della società europea un intero corpo di testi esoterici
sull’astrologia, l’alchimia e il misticismo in generale, generando in alcune
menti particolarmente recettive e qualificate la convinzione che importanti
verità si nascondono dietro ciò che a uno sguardo superficiale sembra non
abbia senso. A simili individui, studi stravaganti hanno talvolta rivelato
passaggi nascosti che conducevano ai più grandiosi regni di illuminazione
che l’immaginazione potesse concepire.
Fino a oggi, tuttavia, secondo la legge di queste scuole, non appena il
neofita riusciva a penetrare la regione del mistero, si trovava vincolato al più
assoluto segreto circa tutto ciò che si riferiva al suo ingresso e a i suoi
ulteriori progressi in quel mondo. In Asia allo stesso modo il chela, ovvero il
neofita di occultismo, non appena diveniva tale cessava di essere un
testimone della realtà della sapienza occulta. Personalmente sono rimasto
sorpreso nello scoprire, dal momento in cui ho cominciato a occuparmi di
questo tema, quanto numerosi siano i chela e quanto sia improbabile che
confessino di essere tali senza autorizzazione. In questo modo la grande
scuola di filosofia esoterica è riuscita a proteggere efficacemente il proprio
isolamento.
È tuttavia opportuno liberare il lettore da certe false idee che
probabilmente si è formato riguardo agli oggetti dell’iniziazione. Lo sviluppo
di quelle facoltà spirituali, attinenti ai più alti oggetti della sfera occulta,
cresce insieme al progredire di una gran quantità di conoscenze riguardo a
leggi fisiche della natura generalmente non ancora comprese. Queste
conoscenze, e le tecniche che ne conseguono, hanno lo scopo di manipolare
determinate forze oscure della natura. Inoltre, conferiscono all’iniziato, e
anche ai suoi discepoli già relativamente presto nel loro apprendistato, poteri
straordinari che, se utilizzati nelle faccende della vita quotidiana, possono
produrre risultati che paiono assolutamente miracolosi.
Da un punto di vista ordinario, l’acquisizione di tali poteri rappresenta una
conquista così straordinaria che la gente a volte è portata a pensare che la
meta che si proponeva l’iniziato, mettendosi alla ricerca di quella conoscenza,
era precisamente di poter disporre di quegli agognati poteri.
Il che equivarrebbe ad affermare riguardo a un grande patriota, autore di
leggendarie imprese militari, che ciò che lo ha spinto a diventare un soldato è
stata la prospettiva di indossare l’uniforme di gala in modo da colpire
l’immaginazione delle balie”.
La dottrina segreta dei Rosacroce
Quella che è conosciuta come la “dottrina segreta dei Rosacroce” è un
consistente corpo di insegnamenti esoterici e di tradizioni occultistiche
trasmesse dal maestro al discepolo, dallo ierofante al nuovo iniziato,
attraverso innumerevoli generazioni. Raramente parti della dottrina segreta
sono state scritte o diramate alla pubblica conoscenza prima dell’attuale
generazione.
In precedenza, quel poco che veniva scritto o stampato era dissimulato
sotto i termini vaghi dell’alchimia e dell’astrologia, cosicché lo stesso
concetto aveva un dato significato per il lettore medio e un altro più profondo
per chi possedeva la chiave del mistero. I frequenti riferimenti negli antichi
libri allo zolfo, al mercurio e ad altri elementi chimici, nonché alla pietra
filosofale, intendevano tutti indicare determinate parti degli insegnamenti
della dottrina segreta a coloro che già ne possedevano la chiave.
I meglio informati ritengono che la dottrina segreta dei Rosacroce sia stata
costruita gradualmente, cautamente e lentamente dagli antichi maestri e
adepti, mettendo insieme i frammenti sparsi degli insegnamenti esoterici
custoditi gelosamente dai sapienti di tutte le razze. La leggenda vuole che
questi frammenti fossero riconducibili allo smembramento della sapienza
esoterica dell’antica Atlantide e che essi fossero solo pezzi del consistente
corpo di dottrine occulte atlantidee, dispersi in tutte le direzioni dal grande
cataclisma che distrusse il continente. I pochi sopravvissuti esponenti della
civiltà atlantidea preservarono con ogni cura questi brandelli di verità, e li
trasmisero ai loro discepoli eletti e ai loro degni discendenti.
Gli antichi maestri che dedicarono la loro vita a mettere nuovamente
insieme questi elementi sparsi, e a ricostruire così la dottrina occulta degli
Atlantidi, trovarono porzioni di questo sapere in Egitto, India, Persia, Caldea,
Media, Cina, Assiria e nell’antica Grecia, nonché nei testi mistici degli Ebrei,
come la Cabala e lo Zohar. La fonte comune, tuttavia, può considerarsi
marcatamente orientale e si può arrivare a dire che le grandi filosofie
dell’Oriente siano state costruite sulla base di questi ancora più antichi
insegnamenti. Inoltre si pensa che le dottrine segrete dei Greci fossero basate
sulla conoscenza ottenuta da tale fonte comune. Così, in definitiva, è
possibile affermare che la dottrina segreta dei Rosacroce sia la dottrina
segreta di Atlantide, trasmessa attraverso i discendenti del popolo di quel
grande centro di sapienza occulta.
La seguente citazione da un autore che ha personalmente raccolto svariati
frammenti dell’antica saggezza può risultare interessante. Parlando di questi
antichi insegnamenti egli afferma: “La dottrina è giunta all’epoca presente
attraverso i corridoi del tempo, dai periodi bui delle passate ere, razze e
scuole di pensiero. Anche coloro che erano al vertice di quegli antichi circoli
occulti, tuttavia, non sono in grado di rintracciare in linea diretta l’origine di
quegli insegnamenti spingendosi più indietro del tempo di Pitagora (V secolo
a. C. circa) e dell’antica Grecia, anche se trovano molti riferimenti e richiami
in alcuni più antichi documenti egizi e caldei, i quali dunque dimostrano che
la scuola pitagorica e altre scuole esoteriche elleniche si fondavano su
insegnamenti esoterici ancora più remoti, ricevuti in una linea diretta di
successione di maestri e discepoli che abbraccia svariati secoli. Gli studiosi
hanno trovato tracce di tali insegnamenti in documenti persiani e medi, e si
pensa che l’ispirazione che anima gli originari insegnamenti filosofici di
Gautama, il fondatore del Buddhismo, provenga dalla medesima fonte.
Tracce di essa sono anche rinvenibili negli insegnamenti esoterici ebraici”.
Lo scrittore continua: “Le dottrine dell’antica Grecia risalivano
indubitabilmente a fonti egizie, per il tramite di Pitagora; il rapporto fra le più
antiche dottrine e filosofie elleniche e la scuola egizia è assai stretto. È noto
che Pitagora era stato istruito da ierofanti egizi e persiani. Si può
legittimamente supporre la più stretta rassomiglianza tra le dottrine degli
antichi Greci e quelle delle confraternite esoteriche egizie. Alcuni maestri,
tuttavia, ritengono che le scuole elleniche e quelle egizie non fossero altro
che due distinti germogli di un insegnamento originario più antico che aveva
la sua origine nel continente perduto di Atlantide. Esistono numerose
tradizioni che collegano l’insegnamento ad Atlantide ed è possibile che tanto
la Grecia quanto l’Egitto lo abbiano ricevuto da quella fonte comune, e che
dunque l’antica Grecia non sia affatto debitrice dell’Egitto per la sua
trasmissione. Comunque sia, è un fatto certo che tutte le tracce
dell’insegnamento che i vari occultisti hanno raccolto da tradizioni,
frammenti di dottrine e leggende riguardanti Atlantide si armonizzano con la
parte migliore delle conoscenze esoteriche e occultistiche di cui dispone oggi
l’umanità. I frammenti degli insegnamenti esoterici egizi, molti dei quali si
sono conservati in una linea di successione indubitabilmente diretta, risultano
praticamente identici nei punti fondamentali con gli insegnamenti esoterici
degli antichi Greci. E, come è stato detto, le leggende e le tradizioni persiane,
medie e caldee, e i frammenti di dottrine che si sono conservati dimostrano
una fonte o un’origine comuni a quelle dell’Egitto e dell’antica Grecia”.
Lo scrittore aggiunge: “Adesso stiamo considerando il tema solo dal punto
di vista storico. Le tradizioni occultistiche assumono che l’insegnamento, in
una sua qualche forma, sia antico come l’umanità stessa, e che sia stato
conosciuto dalle menti migliori di tutte le grandi civiltà del passato, molte
delle quali scomparvero migliaia di anni fa senza lasciare traccia alcuna. Le
tradizioni assumono che l’insegnamento venne trasmesso dagli antenati
dell’umanità, spiriti eccellenti che apparvero nei primi giorni del mondo per
piantare i semi della verità, destinati a crescere, a fiorire e a dare frutti nelle
epoche successive. Non vi chiediamo di accettare questa affermazione; ciò
non è indispensabile poiché l’insegnamento ha in se stesso la prova della sua
verità, senza avere bisogno dell’appoggio di un’autorità così alta.
Abbiamo menzionato l’antica tradizione soltanto perché il lettore avesse
modo di sapere che le stesse cose erano accolte come vere da tanti fra i più
eccelsi maestri della sapienza occulta”.
I sette aforismi della creazione
In questo libro desideriamo sottoporre all’attenzione dei lettori i sette
aforismi della creazione dei Rosacroce, che riassumono i principi
fondamentali della dottrina segreta rosacrociana, riproducendo inoltre i
principali simboli segreti dei Rosacroce correlati.
Il lettore che riesca ad assimilare i principi qui esposti può elevarsi a un
piano di pensiero che tenderà naturalmente a metterlo in contatto con i
massimi insegnamenti dei Rosacroce, e nella condizione di ricevere
rivelazioni ancora più elevate qualora egli desideri proseguire questi studi. Il
lettore ricordi sempre l’assioma: “Quando il discepolo è pronto, appare il
maestro”. Questo momento arriva però solo quando il discepolo ha assimilato
gli insegnamenti di base simili a quelli forniti nelle pagine di questo libro.
Non pretendiamo di fornire tutti gli insegnamenti segreti dei Rosacroce,
come ad esempio le loro formule e metodi di alchimia mentale e
trasmutazione spirituale. Rivelazioni di questo genere non possono essere
diffuse indiscriminatamente, per ragioni che risulteranno evidenti a qualsiasi
lettore serio e intelligente. D’altra parte, simili rivelazioni non possono essere
negate a quanti sono pronti a riceverle e a quanti si sforzano di acquisire la
sapienza segreta mossi da giusti e appropriati motivi.
Quando il discepolo impara a “bussare nella maniera giusta”, subito vede
mantenuta l’antica promessa: “Bussate e vi sarà aperto”.
Il simbolo della rosacroce
Il ben noto simbolo dei Rosacroce, la “rosacroce”, appare sotto svariate
forme. Ad esempio: la croce sormontata dalla rosa; la spada (con l’elsa e
l’impugnatura che formano una croce) attaccata alla rosa; la croce sormontata
dalla corona; una variante della croce fallica, e così via. Ci sono sette
differenti livelli di spiegazione del simbolo, ma i tre più elevati sono riservati
agli iniziati di un certo rango, e non possono quindi essere riportati in questo
trattato. Qui di seguito illustreremo alcuni dei significati che ci è concesso di
rivelare e spiegare:
1) La croce sormontata dalla rosa indica che la “rosa” (simbolo mistico del
divino) può essere ottenuta solo attraverso le sofferenze della vita
mortale (simboleggiate dalla croce).
2) La spada attaccata alla rosa indica che la spada dello spirito deve essere
attivamente impiegata nella battaglia della vita per ottenere la ricompensa
della rosa (la rosa era il premio conferito dalla regina al cavaliere
vittorioso).
3) La croce sormontata dalla corona indica che le sofferenze dell’esistenza
mortale, sopportate dal fedele discepolo della verità, saranno
immancabilmente ricompensate dalla corona della sapienza. “Ogni croce
ha la sua corona” e “nessuna croce, nessuna corona” sono antichi
aforismi tendenti ad affermare questa verità.
4) La variante della croce fallica indica la dualità sessuale dell’universo
manifesto, la presenza e l’attività rispettivamente del principio universale
maschile e di quello femminile.2
In conclusione di questa parte introduttiva, invitandovi ad addentrarvi nello
studio della dottrina segreta dei Rosacroce, consentiteci di raccomandarvi di
considerare con attenzione le seguenti parole di un antico aforisma: “Il
possesso della conoscenza, non accompagnato da azioni che siano la sua
coerente manifestazione ed espressione, è come l’accumulo di metalli
preziosi da parte dell’avaro: una cosa vana e sciocca.
Non dimenticate la legge dell’Uso, in questa e in tutte le altre cose”.
Figura 2. Il simbolo della rosacroce (convenzionalizzato)
Parte II
Il Genitore Eterno
Il primo aforisma
Il Genitore Eterno era immerso nel sonno della notte cosmica. Luce non ce
n’era, poiché la fiamma dello spirito non era ancora stata riaccesa. Tempo
non ce n’era, poiché il mutamento non era ricominciato. Cose non ce
n’erano, poiché la forma non si era ripresentata. Azione non ce n’era, poiché
non vi erano cose che potessero agire. La coppia di opposti non c’era, poiché
non vi erano cose che potessero manifestare la polarità. Il Genitore Eterno,
privo di causa, indivisibile, immutabile, infinito, dormiva un sonno privo di
coscienza e di sogni. Oltre al Genitore Eterno non vi era nulla, né di reale né
di apparente.
In questo primo aforisma della creazione, il discepolo ro- sacrociano è
invitato a rivolgere la sua attenzione al concetto della sorgente infinita di tutte
le cose, il Genitore Eterno da cui tutte le cose procedono. Questo Genitore
Eterno, l’infinito non manifesto, è rappresentato nel simbolo rosacrociano dal
cerchio che non ha nulla fuori di sé e nulla al suo interno.
Non si deve però pensare che il cerchio rimandi a un’idea di limitazione; al
contrario esso rimanda all’idea dell’illimitato. Questo simbolo, pur essendo il
migliore possibile per trasmettere il suo significato, risulta tuttavia inadeguato
a causa dell’impossibilità di rappresentare l’infinito tramite un simbolo finito.
L’unico simbolo adeguato al Genitore Eterno sarebbe quello dello spazio
infinito che ovviamente non può essere rappresentato da un segno poiché, per
quanto ampio possa essere il cerchio tracciato, resterebbe sempre dello spazio
fuori di esso. Pur riconoscendo dunque l’impossibilità di trovare un simbolo
adeguato, gli antichi Rosacroce adottarono il cerchio vuoto come miglior
possibile simbolo finito dell’infinito non manifesto.
Figura 3. Simbolo dell’infinito non manifesto
Il concetto di spazio infinito è sempre stato considerato dai Rosacroce il
migliore possibile per pensare l’infinito non manifesto, poiché quest’ultimo
non può essere pensato consapevolmente come una cosa, e la coscienza è in
grado di considerare soltanto realtà oggettive. Rigorosamente parlando
l’infinito non manifesto è un “nulla” piuttosto che una “cosa”, ma non un
nulla che implichi pura negatività e “nientità” assoluta, bensì semmai un nulla
che implica le possibilità di ogni cosa, senza però le sue limitazioni.
Lo spazio infinito non può essere considerato una cosa, poiché non ha
nessuna delle sue caratteristiche. Tuttavia non gli si può negare un’esistenza e
una presenza effettive. Esprimendosi in modo approssimativo, lo si potrebbe
definire “una non cosa che ha in sé la possibilità di un’infinita condizione di
cosa, o l’infinita possibilità delle cose”. Lo spazio infinito va concepito come
l’assoluto contenitore di ogni essenza, manifesta o non manifesta, poiché al di
fuori dello spazio infinito c’è solo il nulla, o, più rigorosamente parlando, non
esiste un al di fuori dello spazio infinito.
Lo spazio infinito, dunque, è sempre stato scelto come simbolo occulto ed
esoterico che consentiva agli uomini di concepire l’infinito non manifesto, il
Genitore Eterno immerso nel sonno della notte cosmica. In uno degli antichi
catechismi occulti veniva posta la domanda: “Cosa è che è sempre stato, è
ancora e sempre sarà, che ci sia un universo o meno, e che ci siano dèi o
no?”. E la risposta è: “lo spazio!”.
La forza del simbolo dello spazio infinito, indicante l’infinito non
manifesto, viene pienamente colta quando la mente cerca di pensare, o anche
solo di immaginare, l’assenza dello spazio infinito, prima che questo fosse
creato o dopo che questo venga distrutto. Si scoprirà naturalmente che la
mente e l’immaginazione umane sono incapaci di concepire l’assenza dello
spazio in entrambe le ipotetiche circostanze. La mente è costretta a pensare lo
spazio come infinito ed eterno, senza prendere in considerazione qualsiasi
altra cosa ritenuta presente o assente in un qualsiasi momento passato,
presente o futuro. Allo stesso tempo la mente scopre di essere incapace di
definire lo spazio come cosa, pur non osando considerarlo in termini di pura
negatività e nientità. Si vedrà che lo spazio infinito deve essere sempre
concepito come eternamente presente e tuttavia sempre libero dalle
limitazioni delle forme.
Inoltre, dal momento che lo spazio infinito è invisibile e impercettibile,
non può essere “conosciuto” o non se ne può avere cognizione limitativa.
Riferendovisi il pensiero dovrà sempre usare la formula “non è questo, non
è quello”.
Ciò risponde all’antica affermazione del saggio riguardo alla realtà:
“L’essenza dell’essere è priva di attributi, di forma, di distinzioni, ed è
incondizionata. È differente da quanto conosciamo e da ciò che non
conosciamo. Le parole e il pensiero rinunciano a definirla.
I sapienti rispondono alle domande sulla sua natura soltanto con il silenzio.
A tutte le proposte di definizione delle sue qualità, proprietà e attributi i
sapienti rispondono semplicemente: ‘neti, neti; non è questo, non è quello!’.
Di essa i sapienti affermano semplicemente è”. Come altri antichi saggi
hanno detto: “L’immaginazione, l’intelletto e il pensiero astratto si
sforzeranno sempre invano di rappresentarsi l’infinito; poiché nessuna forma
di finitezza (a cui appartengono anche il pensiero e il discorso) può esprimere
l’infinito; né può ciò che è immerso nel tempo esprimere il non temporale e
l’eterno; né può il pensiero prodotto dalla catena causale afferrare ciò che è
privo di causa e che esiste esclusivamente in virtù di se stesso”. Così, in ogni
modo e da ogni angolo, scopriamo che il concetto di spazio infinito è il nobile
e degno simbolo di ciò che intendiamo quando proviamo a pensare l’infinito
non manifesto, ovvero l’essenza dell’essere prima che essa si manifesti
nell’attività e nella forma.
Il primo aforisma afferma che “il Genitore Eterno era immerso nel sonno
della notte cosmica”.
Questa frase contiene un riferimento all’idea dei giorni e delle notti
cosmiche, che sotto una varietà di nomi sta alla base di tutte le dottrine
esoteriche e di tutte le filosofie occultistiche. Le più alte intelligenze umane e
sovraumane hanno testimoniato il fatto che il ritmo è insito e si manifesta nel
cosmo. Nella più insignificante particella di essere manifesto come nella
totalità dell’essere è sempre rinvenibile la presenza e la manifestazione del
ritmo.
Dalle più alte fonti di informazione sull’occulto veniamo a sapere che il
Tutto si presenta alternativamente in lunghi periodi di manifestazione
(chiamati giorni cosmici), seguiti da periodi parimenti lunghi di non
manifestazione (chiamati notti cosmiche).
Durante la notte cosmica il Genitore Eterno esiste come immerso in un
sonno privo di coscienza e di sogni, da cui con l’alba del nuovo giorno
cosmico si desta gradualmente passando a manifestarsi. Il giorno cosmico, a
sua volta, gradualmente volge al tramonto, che lentamente ma
ineluttabilmente cede il passo alle tenebre della notte cosmica, quando tutto
torna nuovamente all’inerzia e alla quiete. Un’altra volta, e un’altra, e
un’altra ancora, in una sequenza e in una ripetizione infinite, in un ritmo
infinito, il cosmo presenta questa successione di giorni e di notti, di
manifestazione e non manifestazione. Così è stato sempre, così sempre sarà,
senza fine, arresto o interruzione. Questo è quello che ci dicono i sapienti e
illuminati maestri dell’umanità.
Un grande maestro dell’occulto ha scritto a proposito quanto segue: “La
dottrina esoterica insegna, al pari del buddhismo, del brahmanesimo e persino
della Cabala, che l’essenza una, infinita e inconoscibile esiste da tutta
l’eternità e che in un’armoniosa e regolare successione di periodi è attiva o
passiva. Nella poetica fraseologia di Manu queste due condizioni sono
chiamate rispettivamente i giorni e le notti di Brahma. Quest’ultimo è ora
‘sveglio’ ora ‘addormentato’ (...).
“Al principio di un periodo attivo, dice la dottrina segreta, si verifica
un’espansione dell’essenza divina da fuori in dentro e da dentro in fuori, in
obbedienza a leggi eterne e immutabili. L’universo fenomenico o visibile è il
risultato finale della lunga catena di forze cosmiche messe progressivamente
in movimento in questo modo. Analogamente, quando si torna alla
condizione passiva, si verifica una contrazione dell’essenza divina e quanto è
stato precedentemente creato viene gradualmente e progressivamente
annientato. L’universo visibile si disintegra, la sua materia viene dispersa e
un’altra volta le tenebre solitarie regnano sull’abisso.
“Per usare una metafora dei Libri Segreti, che renderà più chiara l’idea,
un’espirazione dell’essenza inconoscibile produce il mondo, e
un’inspirazione ne provoca la scomparsa.
“Questo processo continua da tutta l’eternità, e il nostro attuale universo è
solo uno di una serie infinita che non ha avuto inizio e non avrà fine”.
A questo riguardo, lo studioso delle opere di Herbert Spencer troverà nelle
antiche dottrine occultistiche un’inattesa e solida base per gli insegnamenti
del suo moderno maestro. Spencer, con la sua idea dell’universale presenza e
attività del ritmo, non fa che riprendere ciò che le antiche dottrine
occultistiche insegnavano al riguardo.
Si consideri il seguente passo uscito dalla penna del moderno profeta
dell’evoluzione: “È evidente che le forze universalmente coesistenti di
attrazione e repulsione, che, come abbiamo visto, hanno bisogno di un ritmo
nei mutamenti minuti che si verificano nell’universo, hanno anche bisogno di
un ritmo nella totalità dei mutamenti di esso. Si avrà, dunque, un periodo
straordinariamente lungo durante il quale, predominando la forza di
attrazione, si produce una concentrazione universale, e poi un periodo
altrettanto lungo in cui, predominando la forza di repulsione, si produce una
dispersione universale.
Si alternano, perciò, epoche di evoluzione ed epoche di dissoluzione”.
Il primo aforisma afferma ancora: “Luce non ce n’era, poiché la fiamma
dello spirito non era ancora stata riaccesa”.
È questa un’affermazione che risulterà “difficile” per coloro che,
possedendo solo mezza verità ed essendo ignari dell’esistenza dell’altra metà,
pensano che la realtà infi- nita sia spirito, di cui la fiamma è ovviamente il
simbolo esoterico e occulto.
La grande sapienza antica, che parla per bocca dei più attenti maestri, ha
tuttavia sempre insegnato l’intera verità a quanti erano qualificati a riceverla,
e cioè che non solo dietro la materia, ma anche dietro lo spirito sta un’essenza
eterna e infinita che non è né spirito né materia, ma è la radice e l’origine
incondizionata di spirito e materia. La luce e la fiamma, i due universalmente
riconosciuti simboli esoterici e occulti dello spirito, hanno dietro di loro
l’essenza “priva di luce e di calore” della luce e del calore stessi. L’essenza
della luce e della fiamma spirituale è la realtà infinita e non la luce e la
fiamma stesse.
Il lettore potrà afferrare più facilmente questa verità osservando la fiamma
di una lampada, di una candela, di un fornello a gas o qualsiasi altro tipo di
fiamma materiale; egli avvertirà la presenza, al di sotto e al centro della
fiamma, di un oscuro, trasparente “qualcosa” che è l’essenza da cui la fiamma
stessa procede e da cui attinge sostegno e sostanza. Nella terminologia
occultistica il suo corrispondente su un più elevato piano dell’essere viene
chiamato “la fiamma scura”, che è l’essenza della fiamma e della luce, e non
la fiamma o luce stessa. Come ha scritto un antico autore, “l’essenza è lo
spirito del fuoco, e non il fuoco stesso; di conseguenza, gli attributi del fuoco,
vale a dire il calore, la fiamma e la luce, non sono attributi dell’essenza, ma
piuttosto del fuoco di cui l’essenza è la causa”.
L’infinito non manifesto, ossia il Genitore Eterno addormentato, non deve
essere concepito dal lettore come spirito, nel senso in cui questo termine
viene generalmente impiegato nel nostro pensiero. Esso è piuttosto affine allo
spazio puro da cui emerge la fiamma, e in cui essa è contenuta. È questo un
punto che richiede ragionamenti e distinzioni sottili, che diverranno chiari al
lettore man mano che si procede nell’esposizione, ma che di sfuggita è bene
rilevare subito.
Il primo aforisma afferma ancora: “Tempo non ce n’era, poiché il
mutamento non era cominciato”.
Questa può essere un’altra affermazione difficile per il lettore che non
abbia afferrato l’autentico significato del tempo. “Tempo”, nell’accezione
strettamente filosofica del termine, non significa pura durata dell’esistenza,
bensì “la misura del mutamento nell’esistenza”. Un’esistenza durevole in cui
non vi sia alcun cambiamento di forma, attività, o grado sul piano mentale o
fisico, è al di fuori del tempo. Il tempo, infatti, non è altro che la “misura del
mutamento”.
Senza mutamento non può esservi alcun tempo nel vero significato di
quest’ultimo termine. Il puro essere non presenta una dimensione temporale.
Il tempo è il risultato del divenire, ovvero del mutamento, ed è sempre
misurato tramite il mutamento o il divenire in qualcosa.
Il passo seguente, tratto da un testo moderno, può essere utile a chiarire la
differenza tra la pura durata e il tempo: “La pura durata viene concepita senza
considerare gli effetti del mutamento nelle cose. Il tempo, al contrario, è la
misura sensibile di una qualsiasi porzione di durata, spesso caratterizzata da
fenomeni particolari come l’apparente rivoluzione dei corpi celesti o la
rotazione della terra sul suo asse.
Il nostro concetto di tempo è basato su quello di movimento, e in
particolare su quello dei movimenti regolari e uniformi che avvengono nei
cieli, le cui parti, per la loro perfetta somiglianza reciproca, rappresentano
perfette unità di misura di quella quantità continua e in successione chiamata
tempo, con la quale si pensa coesistano. Il tempo può dunque essere definito
come ‘il numero percepibile di movimenti successivi’.
Il tempo, basato sui movimenti dei corpi celesti o della terra, viene spesso
misurato con strumenti quali gli orologi e le meridiane, anch’essi basati su
tali movimenti”.
Siamo consci dello scorrere del tempo anche grazie ai cambiamenti nei
nostri stati mentali, nei nostri pensieri o nelle nostre rappresentazioni mentali,
sia nello stato di veglia sia in quello di sonno.
Senza mutamenti nel mondo esterno, presenti nella nostra coscienza grazie
alle percezioni che ne otteniamo, o senza variazioni nei nostri stati mentali, il
tempo non esisterebbe per noi.
Ne consegue che, data una realtà eterna immutabile, per la quale e per
mezzo della quale non si manifesta alcun mondo esterno, e che è immersa in
un sonno privo di coscienza e di sogni, non potrebbe esistere il tempo, e il
tempo stesso non potrebbe manifestarsi; a regnare sarebbe la sua assoluta
assenza, fino a che non tornasse a manifestarsi il mutamento.
Di conseguenza, il lettore non potrà che riconoscere la giustezza di quanto
afferma il primo aforisma, e cioè che per il Genitore Eterno immerso nel
sonno della notte cosmica “tempo non ce n’era, poiché il mutamento non era
cominciato”.
Sarebbe impossibile pensarla diversamente, considerata la natura del
tempo e l’assenza del mutamento durante la notte cosmica del Genitore
Eterno. Il lettore comprenderà facilmente che, data l’esistenza infinita e
l’assenza del mutamento, dobbiamo necessariamente postulare la pura durata
e l’assenza del tempo. Non ci sono alternative logiche a una simile
conclusione.
Il primo aforisma afferma ancora: “Cose non ce n’erano, poiché la forma
non si era ripresentata”.
Anche qui abbiamo di fronte una verità ineluttabile. Una cosa è “quanto
esiste, o si pensa che esista come entità separata e come oggetto di pensiero
separabile o distinguibile”.
Ogni cosa è caratterizzata da una forma. La forma è:
(1) l’aspetto o la struttura di qualsivoglia cosa considerata dal punto di
vista della materia da cui è composta, dunque la sua configurazione o figura;
(2) il modo di agire di ogni elemento sui sensi o sull’intelletto, o di
manifestarsi a essi;
(3) l’insieme delle qualità riassunte in un concetto, o la costituzione interna
che fa di ciò che esiste quello che è.
Rigorosamente parlando una “cosa” deve poter essere pensata o
rappresentata come composta di qualità, attributi o proprietà che la
distinguano da altre cose; di conseguenza deve essere caratterizzata da una
forma in modo da essere distinta e percepita dai sensi o dall’intelletto in
quanto tale. Il Genitore Eterno, l’infinito non manifesto, non si può pensare
che sia caratterizzato da una forma o che dimostri o presenti particolari
qualità, proprietà o attributi di manifestazione quando si trova in uno stato di
non manifestazione.
Quando il Genitore Eterno indossa i paramenti della manifestazione, esso
passa a manifestare l’aspetto delle cose. Ciascuna di esse è caratterizzata da
una forma e da un determinato numero di qualità, proprietà e attributi che la
distingue dalle altre.
Risulta assiomatico in metafisica e in filosofia che il non manifesto non
può essere pensato come avente o manifestante (nella sua natura essenziale)
qualità, proprietà o attributi che compaiano in un secondo tempo nella sua
manifestazione delle cose. Ed esso non può essere pensato come contenente
(sempre nella sua natura essenziale) entrambe le opposte serie di qualità,
attributi o proprietà, poiché “gli opposti si annullano” e “le antinomie non
condizionano”.
Invece di possedere qualità, proprietà o attributi, ovvero una forma in uno
qualsiasi dei significati del termine, il non manifesto deve essere considerato
come avente la “possibilità di un’infinita assunzione” di forme, qualità,
proprietà e attributi nelle sue manifestazioni, ovvero un’infinita possibilità di
assunzione degli stessi attributi. L’infinito non manifesto non può essere
pensato come una cosa, né di per sé né attraverso il suo simbolo dello spazio
infinito.
Invece, come un illuminato maestro dell’occulto ha detto, esso deve essere
considerato “un principio onnipresente, eterno, illimitato e immutabile, in
riferimento a cui qualsiasi speculazione risulta impossibile, dal momento che
trascende le possibilità dell’umano concetto e potrebbe solo venir sminuito da
qualsiasi espressione o similitudine umana. Esso è oltre le capacità e i confini
del pensiero, è impensabile e indicibile”.
Durante la notte cosmica, non essendo presente nulla al di fuori
dell’infinito non manifesto, è facile comprendere che necessariamente “cose
non ce n’erano, poiché la forma non si era ripresentata”. Non ci sono
alternative logiche a una simile conclusione.
Il primo aforisma afferma ancora: “Azione non ce n’era, poiché non vi
erano cose che potessero agire”.
Questa affermazione non richiede particolari spiegazioni. Non essendoci
cose presenti, non ve ne erano che agissero. Tutte le azioni dell’infinito
devono avvenire per tramite, ad opera o nell’ambito delle cose. Ogni azione
richiede il mutamento, e dove non c’è mutamento non può esserci azione.
Tuttavia non si deve pensare che l’infinito non manifesto sia impotente,
poiché al contrario possiede tutta la potenza; non si deve pensare che sia
privo di movimento, poiché in se stesso è il movimento astratto. Parlando in
termini finiti si potrebbe dire che nella sua condizione di infinito non
manifesto il Genitore Eterno si trova in uno stato di movimento così infinito
che in confronto al movimento relativo esso si trova in uno stato di quiete
assoluta.
Il primo aforisma afferma ancora: “La coppia di opposti non c’era, poiché
non vi erano cose che potessero manifestare la polarità”.
Come qualsiasi studioso di filosofia sa, o dovrebbe sapere, ogni cosa
presenta una combinazione di qualità, proprietà o attributi, ognuno dei quali
rappresenta uno dei due termini di una coppia di opposti, uno dei due poli di
qualità sempre presenti. Ad ogni condizione corrisponde l’opposto o la sua
antitesi. Non vi sono eccezioni a questa regola. Sebbene in taluni casi
l’opposto possa a prima vista non esistere, una ricerca accurata ne rileverà
immancabilmente la presenza.
Ne consegue la logica serie di opposti ben noti: duro e morbido, caldo e
freddo, grande e piccolo, lontano e vicino, alto e basso, giorno e notte, luce e
tenebra, lungo e corto. Anche dove il nostro linguaggio non riesce a fornire
un termine adeguato per l’opposto di una qualità, di una proprietà o di un
attributo, l’opposto può comunque venire espresso premettendo loro la
particella “non”.
Alcuni pensatori hanno cercato di insinuare che il termine “infinito”
implichi una qualità, una proprietà o un attributo che sia l’opposto del finito,
ma questo è soltanto un gioco di parole. La parola “infinito” implica
semplicemente un’assenza di limitazioni, confini e forma, e non indica alcun
limite, confine o forma non importa quanto estesi.
Risulta impossibile formarsi un’immagine mentale dell’infinito non
manifesto, o collegare a esso una condizione di cosa, una forma, una qualità,
una proprietà o un attributo di qualsivoglia genere. Ne consegue che il
termine “infinito” non è un vero opposto. È solo quando la manifestazione
comincia che la coppia di opposti, ovvero la polarità, compare sulla scena.
L’infinito non manifesto ha la possibilità di un’infinità di manifestazioni,
che devono mostrare una qualsiasi serie data di coppie di qualità, proprietà o
attributi. Al contrario, per l’infinito non manifesto di per se stesso, il Genitore
Eterno nella sua essenza, non può esservi alcuna polarità o presenza di
qualsivoglia serie di coppie di opposti.
Qui, come altrove, il lettore è invitato a pensare l’infinito non manifesto
per mezzo del simbolo dello spazio in- finito ogniqualvolta egli desideri
mettere alla prova una delle affermazioni del primo aforisma.
Il primo aforisma infine afferma: “Il Genitore Eterno, privo di causa,
indivisibile, immutabile, infinito, dormiva un sonno privo di coscienza e di
sogni. Oltre al Genitore Eterno non vi era nulla, né di reale né di
apparente”.
Che il Genitore Eterno sia privo di causa è un fatto chiaro di per sé, poiché
non esiste nulla che avrebbe potuto essere causa dell’essere eterno e
originario, da cui procede la manifestazione intera.
Ciò che è eterno deve di necessità essere privo di causa. Ciò che è infinito
non può avere null’altro che lo abbia causato, né avrebbe potuto essere
causato dal nulla, poiché “dal nulla, nulla viene”.
Che il Genitore Eterno sia indivisibile è parimenti ovvio, poiché ciò che
può essere diviso o scomposto in parti o particelle deve essere in primo luogo
originariamente formato di parti o particelle, e non può essere altro che un
composto, un aggregato, una collezione e una raccolta di tali pezzi e di
conseguenza non una vera entità o unità. Inoltre, ciò che è infinito non può
venir diviso o separato senza perdere la sua essenziale infinità: un infinito
diviso non è più un infinito, ma una semplice collezione o raccolta di cose
finite. L’assoluta indivisibilità deve dunque essere necessariamente predicata
della vera unità e dell’essere infinito.
Non ci sono alternative logiche a una simile conclusione.
Che il Genitore Eterno sia incapace di mutare nella sua essenza è un fatto
parimenti ovvio, poiché anche se esso può manifestare un’infinità di
mutamenti, tuttavia de- ve sempre rimanere essenzialmente se stesso, e non
divenire mai nient’altro che se stesso. Inoltre, non essendo nella sua essenza
composto di qualità, proprietà o attributi, non può subire i mutamenti che
derivano dal passaggio da un polo a quello opposto. Non avendo forma, non
può sperimentare i mutamenti che derivano dal cambiamento di forma.
L’assoluta immutabilità deve dunque essere necessariamente predicata del
Genitore Eterno. Non ci sono alternative logiche a una simile conclusione.
Che il Genitore Eterno sia infinito risulta altrettanto evidente. Deve essere
infinito poiché non vi è niente altro da cui possa essere limitato, definito,
circoscritto, causato, influenzato o affetto.
Ciò che è assoluto e originario, ultimo ed elementare non può essere
impedito o limitato da condizioni o cose. L’assoluta infinità deve dunque
essere necessariamente predicata del Genitore Eterno. Non ci sono alternative
logiche a una simile conclusione.
Che il Genitore Eterno dormisse “un sonno privo di coscienza e di sogni” è
considerata da tutti i più profondi metafisici e filosofi una necessità logica, se
dobbiamo postulare l’esistenza di un periodo o di uno stato di non
manifestazione. Poiché, come sanno tutti gli psicologi e i filosofi, la
coscienza (anche nella forma del sogno) è impossibile senza mutamento. Uno
stato di coscienza priva di mutamenti è legittimamente definibile incoscienza.
Tuttavia il lettore non deve cadere nell’errore di credere che questa
incoscienza infinita implichi una condizione “inferiore” a quella cosciente;
poiché essa implica, piuttosto, un’”elevazione” rispetto alla coscienza
ordinaria, uno stato di infinita super-coscienza, una condizione di coscienza
trascendente, in cui è sempre presente la “coscienza a livello potenziale”,
senza che questa passi in atto. La coscienza ordinaria rappresenta uno
scadimento rispetto a questa condizione di incoscienza, non un progresso.
Questa distinzione è estremamente importante e non va persa di vista dal
lettore.
Come presto scopriremo, quando la manifestazione comincia ad apparire,
allora e soltanto allora si può dire che il Genitore Eterno cominci a “sognare”
un’infinità di universi che si succedono in sequenza ritmica. Soltanto quando
il Genitore Eterno si sveglierà completamente dal sogno per passare al
luminoso meriggio dell’autoconsape- volezza infinita, lo si potrà pensare
come pienamente “sveglio” e consapevole. Questi fatti si presenteranno in
tutta la loro chiarezza man mano che procederemo nell’analisi degli aforismi.
“Oltre al Genitore Eterno non vi era nulla, né di reale né di apparente”.
Anche qui abbiamo una verità immediatamente evidente. Non ci poteva
essere alcun altro ente reale, nessun “altro” rispetto alla realtà infinita e
assoluta, poiché il predicato dell’infinità e dell’assolutezza implica quello
dell’esclusività, dell’esaustività e dell’unicità.
Non può esserci alcun ente reale “altro” rispetto alla realtà infinita. E, in
assenza di manifestazione, non poteva esistere alcuna cosa apparente (vale a
dire, cosa o cose manifestate o “create”) durante il periodo dell’infinita non
manifestazione.
Infine invitiamo ancora una volta il lettore, in questa considerazione
dell’infinito non manifesto, ad appoggiarsi al simbolo dello spazio infinito
ogni volta che gli paia difficile o quasi impossibile comprendere la verità
delle affermazioni contenute nel primo aforisma riguardo al Genitore Eterno
nello stato di infinito non manifesto, durante la notte cosmica.
Il simbolo si dimostrerà perfettamente adeguato a consentire di “pensare
l’infinito non manifesto”, anche se naturalmente è impossibile farsi un quadro
mentale esatto sia del simbolo sia della realtà che esso rappresenta.
Edgar Allan Poe ha detto bene a proposito del pensiero e del concetto di
“infinito” e degli sforzi della mente umana di pensare l’impensabile: “Questa
stessa parola e alcune altre espressioni il cui equivalente compare in quasi
tutte le lingue non sono in alcun modo espressione di un’idea, ma semmai di
uno sforzo in tal senso. Esse coincidono con un tentativo di fare tutto il
possibile per esprimere l’inesprimibile.
L’uomo aveva bisogno di un termine attraverso cui indicare la direzione di
questo sforzo, la nube dietro cui si nasconde, sempre invisibile, l’oggetto di
questo tentativo. Era in definitiva necessaria una parola per mezzo della quale
un essere umano potesse mettersi immediatamente in relazione con un altro
essere umano e con una determinata tendenza dell’intelletto umano.
Da ciò nacque questo termine, che rappresenta dunque soltanto il pensiero
di un pensiero (...).
Il fatto è che, enunciando uno qualunque dei termini appartenenti a questa
categoria, vale a dire la categoria che raccoglie i pensieri di un pensiero,
colui che può dire in generale di pensare si sente chiamato non a formare un
concetto, ma semplicemente a dirigere la sua visione mentale verso un dato
punto del firmamento intellettivo ove è situata una nebulosa che non potrà
mai essere penetrata. Del resto, egli neanche si sforza di farlo, poiché
istintivamente capisce non solo che ciò è impossibile ma anche che, ai fini
umani, ciò è assolutamente inessenziale.
Egli vede subito che un simile oggetto sta fuori della portata dell’intelletto
umano, e anche come ciò avviene, pur non comprendendone esattamente il
perché”.
Nella dottrina segreta dei Rosacroce, dunque, non viene compiuto alcun
tentativo di definire l’essenza del Genitore Eterno: infatti, nello spirito del
celebre aforisma di Spinoza, si ritiene che “definire l’infinito significa negare
l’infinito”. Rifiutandosi di ascrivere le qualità, le proprietà e gli attributi finiti
della personalità al Genitore Eterno, i Rosacroce non intendono implicare che
la realtà infinita stia al di sotto del piano della personalità, ma semmai che
essa sia così incommensurabilmente al di sopra di tale piano, e che trascenda
così infinitamente qualsiasi personalità, che è infantile pensarla o parlarne in
termini di personalità.
Come spesso abbiamo affermato nella nostra analisi del primo aforisma,
finché il Genitore Eterno, ossia lo stato d’essere della realtà infinita e
assoluta, permane nella condizione di infinito non manifesto, non può essere
espresso con le parole poiché è al di là delle parole. Può essere pensato solo
simbolicamente tramite l’unico simbolo possibile, quello dello spazio
infinito.
Anche a livello simbolico può essere pensato soltanto in termini negativi,
poiché essendo questo stato quello dell’essere assoluto (che, come dice
Hegel, è praticamente identico a quello del non-essere, ove il termine
“essere” è usato a indicare l’essere finito, condizionato e qualificato), non
può essere concepito come in possesso delle qualità, delle proprietà e degli
attributi che gli uomini ascrivono alle cose, comprese quelle che intuiscono e
che rappresentano il limite estremo dei loro sforzi mentali.
Edwin Arnold, nella sua bella poesia “La luce dell’Asia”, ha ben espresso
la concezione buddhista di questa “impensabilità” dell’essenza della realtà
infinita nelle seguenti parole:
“Om Amataya!
Non misurate con le parole l’incommensurabile;
Non precipiti la corda del pensiero nell’abisso senza fondo.
Chi domanda sbaglia;
chi risponde, sbaglia;
non dite nulla!
Riuscirà l’osservatore a vedere con occhi mortali?
O il ricercatore a conoscere con una mente mortale?
Solleverà velo dopo velo, ma dietro troverà ancora un velo dopo
l’altro!”.
Per questo i Rosacroce considerano la realtà dell’infinito non manifesto
soltanto con il simbolo dell’oceano infinito dello spazio puro, che riposa in
uno stato di quiete e trasparenza assolute attraverso cui l’occhio mortale
osserva e sembra scorgere soltanto il Nulla, che l’intuizione illuminata sa
però essere il Tutto anziché il Nulla, l’essere assoluto e infinito in luogo del
Nulla, la vita infinita invece della morte.
Sebbene tale realtà non possa essere percepita dai sensi finiti, e sebbene
essa trascenda i più grandi sforzi che l’in- telletto e l’immaginazione possano
compiere per concepire e rappresentare, tuttavia la più alta voce della ragion
pura ci dice che essa deve esistere, e la più alta voce della fede intuitiva ci
rende impossibile dubitare della sua onnipresenza ed effettività. Per
l’ignorante e il finto sapiente può darsi che questo simbolo sembri rimandare
al Nulla, ma per l’illuminato e il vero sapiente esso rappresenta la Totalità
assoluta del reale. Osservate dunque con grande riverenza il simbolo dello
spazio infinito, poiché esso rappresenta il nostro sforzo migliore (se pur
insufficiente) di esprimere la natura dell’essenza infinita dell’essere!
Parte III
L’Anima del Mondo
Il secondo aforisma
Il germe all’interno dell’Uovo Cosmico prende forma. La fiamma viene
riaccesa. Il tempo ha inizio. Una cosa viene all’esistenza. L’azione comincia.
Si formano le coppie di opposti. L’Anima del Mondo nasce e si desta nella
manifestazione. I primi raggi del nuovo giorno cosmico illuminano
l’orizzonte.
In questo secondo aforisma della creazione il Rosacroce è invitato a
concentrare la sua attenzione sul concetto di Anima del Mondo, prima
manifestazione del Genitore Eterno che viene rappresentato dai Rosacroce da
un cerchio con al suo centro un punto nero. Il cerchio rappresenta
naturalmente l’infinito non manifesto, e il punto nero rappresenta il punto
focale della nuova manifestazione, il “germe interno all’Uovo Cosmico”, per
riprendere l’espressione poetica utilizzata dagli antichi occultisti.
Il concetto rosacrociano di Anima del Mondo, la prima manifestazione,
corrisponde a concetti simili trovati, in una varietà di forme, nella maggior
parte degli antichi insegnamenti occultistici delle diverse grandi scuole di
filosofia esoterica. Nell’ambito di alcune scuole viene chia- mata Anima
Mundi, vita del mondo, o Spirito del Mondo. In altre è conosciuta come
Logos, ovvero “parola”. In altre ancora come il Demiurgo. Il senso del
concetto è che dall’essenza incondizionata della non manifestazione infinita
si originò un’anima elementare e universale, avvolta nelle vesti della forma
più sottile ed elementare di materia, che conteneva in sé la potenza e la
possibilità latente di tutti gli universi futuri del nuovo cerchio, o giorno,
cosmico. Di questa Anima del Mondo si parla nel secondo aforisma come del
“germe all’interno dell’Uovo Cosmico”, in quanto viene considerata il germe
minuto all’interno dell’uovo che gradualmente cresce di dimensioni e di
complessità, prendendo forma e divenendo attivo.
Figura 4. Simbolo dell’Anima del Mondo appena nata (”ilgerme all’interno
dell’Uovo”)
Il simbolo dell’Uovo Cosmico, di cui l’Anima del Mondo è il germe
animatore, è molto antico ed estremamente diffuso. Come un importante
occultista ha detto: “Da dove viene questo simbolo universale? L’uovo è stato
assunto come simbolo sacro nella cosmogonia di ogni popolo del mondo, ed
è stato oggetto di venerazione sia per la sua forma sia per il suo intrinseco
mistero. Fin nelle prime concettualizzazioni operate dalla mente umana,
l’uovo era visto come il simbolo perfetto dell’origine e del segreto
dell’essere, nonché un vero e proprio miracolo. Prova ne sono lo sviluppo
graduale del germe impercettibile all’interno del guscio chiuso, e il lavorio
interno, apparentemente privo del concorso di forze esterne, che da un nulla
latente ha prodotto un qualcosa di attivo, senza bisogno di null’altro che di
calore. Essendosi poco a poco evoluto in una creatura concreta, ha rotto il
guscio presentandosi ai sensi esterni di tutti come un essere generatosi e
creatosi da se stesso.
“La dottrina segreta spiega la ragione di questo riferimento all’uovo con il
simbolismo delle razze preistoriche. La Causa Prima all’inizio non aveva
nome. In seguito venne rappresentata nell’immaginazione dei pensatori come
un uccello sempre invisibile che depose nel caos un uovo che divenne
l’universo. Da qui viene la tradizione che Brahma fosse chiamato
‘Kalahansa’, il cigno dell’Eternità, che deponeva un uovo d’oro all’inizio di
ogni Maha- manvantara. Esso rappresenta il grande Cerchio, od ‘O’, a sua
volta simbolo dell’universo e dei suoi corpi sferici (...). Che il cosmo si fosse
originariamente manifestato in forma di uovo era la credenza più diffusa
nell’antichità. L’uovo era un simbolo adottato dai Greci, dai Siriani, dai
Persiani e dagli Egiziani. Nel rituale egizio si dice che Seb, dio del tempo e
della terra, depose un uovo, ovvero l’universo. Ra è mostrato, come Brahma,
nel corso della sua gestazione nell’uovo dell’universo. Presso i Greci l’uovo
orfico rientrava nei misteri dionisiaci e in altri misteri durante i quali l’uovo
mondano veniva consacrato e il suo significato era spiegato. I cristiani,
soprattutto quelli della chiesa greca e latina, hanno pienamente adottato
questo simbolo, e vedono in esso un richiamo alla vita eterna, alla salvezza e
alla resurrezione. Da ciò deriva l’usanza dell’uovo di Pasqua. Tra l’uovo dei
druidi pagani e il rosso uovo pasquale degli slavi è intercorso un intero ciclo.
Tuttavia, tra tutte le popolazioni del mondo possiamo trovare tracce dello
stesso pensiero arcaico e primitivo, purché ci limitiamo a cercarlo e, con
l’arroganza di una nostra presunta superiorità mentale e fisica, non
distorciamo il significato originario del simbolo”.
Possiamo dire che il concetto di Anima del Mondo, pur in una varietà di
interpretazioni e di nomi diversi, sia praticamente universale. In molte antiche
scuole filosofiche veniva insegnato che vi era un’Anima Mundi di cui le
anime individuali non erano altro che componenti solo apparentemente (ma
non realmente) separate. La convinzione che la vita sia una si trova espressa
in quasi tutte le maggiori filosofie dell’antichità, ed è legittimo affermare che,
sebbene elegantemente camuffata, stia alla base delle migliori filosofie
moderne.
Nel concetto filosofico di Logos troviamo un’altra e più evoluta forma di
questo stesso concetto fondamentale. Il termine Logos apparve per la prima
volta in tutta la sua importanza nella filosofia di Eraclito di Efeso, ove esso
stava a significare la legge di natura, che è presente nel mondo con il suo
carattere di salda oggettività per conferire ordine e regolarità al movimento
delle cose. Il Logos aveva un ruolo centrale nel sistema filosofico stoico. Gli
stoici chiamavano Logos il principio attivo presente nel mondo, e lo stesso
termine veniva anche da loro utilizzato in riferimento alla Causa Produttiva
Universale. Un esperto di storia della filosofia ha detto a proposito del
concetto di Logos: “Il Logos, ente intermedio tra Dio e il mondo, è diffuso
attraverso il mondo dei sensi. Il Logos non esiste al pari di Dio dall’eternità, e
tuttavia la sua origine è diversa dalla nostra e da quella di tutti gli altri esseri
creati. È il primogenito di Dio, e per noi esseri imperfetti è quasi un dio; per
mezzo del Logos, Dio ha creato il mondo”.
Nella teoria del Demiurgo troviamo un’altra forma dello stesso concetto
fondamentale. “Demiurgo” era il nome dato dai filosofi platonici a un
principio attivo eccelso e misterioso per mezzo di cui si pensava Dio avesse
creato l’universo. Tale principio era affine al Dio-Natura dei panteisti e alla
“natura vivente” di altre scuole filosofiche. Il Demiurgo era la vita del
mondo, ovvero la vita universale, rispetto a cui le innumerevoli vite delle
creature finite sono come scintille di un’unica fiamma o gocce d’acqua
dell’oceano. Tuttavia, nel suo significato preciso, l’idea del Demiurgo non si
identificava con quella di Dio, ma esprimeva piuttosto la prima grande
manifestazione di Dio, per mezzo della quale Egli crea e conserva il mondo.
L’idea di una Volontà Universale, primigenia manifestazione di Dio,
presente nel cuore della natura e operante nella costruzione e nella
conservazione dell’universo, è riscontrabile in molte filosofie moderne.
Cudsworth, il filo- sofo inglese, ha cercato di riprendere questo concetto nella
sua idea di “natura plastica”, in riferimento a cui dice: “Non sembra poi un
principio così corretto che la natura, in quanto ente distinto dalla deità, venga
sostituita e resa superflua da Dio stesso che produce tutte le cose
immediatamente e miracolosamente. Ne conseguirebbe anche che esse siano
tutte prodotte o con la forza e la violenza, oppure del tutto artificialmente e
non in accordo a un loro principio intrinseco. Una simile idea è ulteriormente
confutata dal processo lento e graduale di generazione delle cose, che
sembrerebbe essere soltanto una vana e inutile pompa o una formalità
inessenziale se la potenza motrice fosse onnipotente, così come dagli errori
che vengono commessi laddove la materia si rivela inetta e indocile. Tutto ciò
dimostra che la potenza motrice non è irresistibile, e che la natura (al pari
dell’arte umana) si vede a volte frustrata e delusa dall’indisponibilità della
materia. Laddove invece una potenza motrice onnipotente, oltre a essere in
grado di compiere la propria opera in un istante, opererebbe infallibilmente e
irresistibilmente, non potendo mai l’inettitudine e l’ostinazione della materia
ostacolarla.
“Di conseguenza, dal momento che né tutte le cose sono prodotte
fortuitamente, o dal meccanismo privo di guida della materia, né si può
ragionevolmente pensare che Dio stesso produca tutte le cose
immediatamente e miracolosamente, è legittimo concludere che sotto di Lui
vi sia una natura plastica che, in qualità di strumento inferiore e subordinato,
esegua servizievolmente quella parte della Sua provvidenza che consiste nel
moto regolare e ordinato della materia. Tuttavia, dietro a questa va anche
riconosciuta la presenza di una più alta provvidenza che, vigilandola, spesso
rimedia ai suoi errori e a volte la sostituisce, non potendo la natura plastica
agire con libero arbitrio e discernimento”.
Altri indirizzi filosofici, in particolare quelli che si rifanno a Schopenhauer,
hanno postulato l’esistenza di uno Spirito universale (il cui principale
attributo è il desiderio- volontà) da cui deriva l’universo delle creature.
Inoltre affermano che questo Spirito Universale sarebbe posseduto da un
desiderio struggente, ostinato e compulsivo di esprimersi nell’esistenza
fenomenica. Schopenhauer lo chiama “la volontà di vita”. Essa viene
descritta come istintiva piuttosto che intellettiva, essendo l’intelletto uno
strumento che essa stessa crea per servire meglio i suoi scopi di autoespressione. Altri filosofi hanno elaborato teorie secondo questo concetto
schopenhaueriano, operandovi varie modifiche. La medesima idea viene
espressa da alcuni antichi filosofi buddhisti, che utilizzano lo stesso termine
“volontà di vita” per indicare l’essenziale natura dello Spirito Universale. Va
tuttavia notato che in tali filosofie lo Spirito Universale è visto più come il
Genitore Eterno che come la sua prima manifestazione. Allo stesso modo una
determinata scuola di pensatori postula l’esistenza di una “natura vivente”,
che si esprime in innumerevoli creature e cose viventi; essa ritiene infatti che
tutte le cose dell’universo siano dotate di una qualche forma di vita,
concordando in questo con la visione rosacrociana.
Si deve però sempre ricordare che, nella dottrina segreta dei Rosacroce,
l’Anima del Mondo non è considerata la realtà infinita, ma soltanto la sua
prima manifestazione, da cui tutte le manifestazioni successive proce- dono e
in cui tutte alla fine si risolvono. L’Anima del Mondo non è eterna, ma al
contrario appare e scompare secondo il ritmo delle notti e dei giorni cosmici.
Il secondo aforisma afferma: “La fiamma viene riaccesa”. Dalla luce
oscura si sprigiona nuovamente la fiamma attraverso la forma dell’Anima del
Mondo, e il nuovo universo comincia.
Esso afferma anche: “Il tempo ha inizio “. Ciò è evidentemente vero
poiché è cominciato il mutamento, e il mutamento è l’essenza del tempo, e il
tempo è la misura del mutamento.
Ancora: “Una cosa viene all’esistenza”. Questo perché l’Anima del
Mondo è veramente una cosa, con tutte le caratteristiche della sua condizione.
Essa può essere definita e descritta in termini positivi; può essere pensata
logicamente e intellettualmente, anche se forse non può essere rappresentata
nell’immaginazione.
Ancora: “L’azione comincia”. Questo perché, sin dalla deposizione del
germe nell’Uovo Cosmico, si manifestano attività, movimento e mutamento.
L’Anima del Mondo è in costante e ininterrotta attività dal momento del suo
primo albeggiare a quello del suo tremito finale.
Ancora: “Si formano le coppie di opposti”. Poiché la condizione di cosa è
caratterizzata dalla presenza delle coppie di opposti, le serie di qualità in
contrasto; ne segue che sin dal primo tenue alitare dello Spirito del Mondo
comincia la differenziazione e si manifesta la polarità delle qualità.
Ancora: “L’Anima del Mondo nasce e si desta nella manifestazione”.
L’Anima del Mondo si desta in un’attiva manifestazione sin dal preciso
momento della sua nasci- ta. Sentendo dentro di sé la spinta compulsiva della
volontà di vita e di espressione, essa subito procede lungo le linee dell’istinto
elementare a prepararsi per la manifestazione di più alte e più complesse
forme di vita e di azione.
Ancora: “Iprimi raggi del nuovo giorno cosmico illuminano l’orizzonte”.
Con l’avvento dell’Anima del Mondo il nuovo giorno cosmico è davvero
iniziato e procede senza interruzione fino a quando le tenebre della notte
cosmica gli si sostituiranno di nuovo nella sequenza ciclica.
Secondo la dottrina rosacrociana l’Anima del Mondo non è un’anima priva
di corpo; essa invece indossa le vesti della più sottile ed eterea delle sostanze,
una sostanza, cioè, tanto più fine ed eterea dell’etere spaziale degli scienziati
materialisti, quanto quest’ultimo è più fine ed etereo del più duro acciaio o
granito.
Con questa sostanza eterea l’Anima del Mondo tesse corpi per le sue
manifestazioni, comprese le forme più dense di materia e la tenue forma
corporea delle forme superiori di vita, ben lontane dal nostro relativamente
grezzo piano terrestre.
I Rosacroce ritengono inoltre che non sia corretto pensare che l’Anima del
Mondo sia stata creata “dal nulla” dal Genitore Eterno, e ancor meno pensare
che sia stata creata dall’essenza sostanziale del Genitore Eterno per divisione,
separazione o partizione (simili idee essendo considerate logicamente
impossibili ed erronee). Al contrario essi sono dell’opinione che l’Anima del
Mondo esista come idea del Genitore Eterno, così come noi in sogno o nella
nostra fantasia riusciamo a immaginarci una cosa come esistente. In altri
termini, anche l’Anima del Mondo esiste unicamente come immagine
nell’infinita immaginazione del Genitore Eterno, la cui sostanza è soltanto
un’ombra della realtà e non la realtà stessa.
Si può dire che l’Anima del Mondo, all’alba del giorno cosmico, è come
un sognatore appena svegliatosi da un sonno profondo, che si sforza di
riacquistare coscienza di sé. Non sa cosa è, né sa di essere una mera Idea del
Genitore Eterno. Se potesse esprimere i propri pensieri in parole direbbe che
è sempre esistita, ma che fino ad allora era addormentata. Essa sente in sé, a
livello inconscio e istintivo, la spinta all’espressione e alla manifestazione,
essendo questa spinta parte della sua natura e carattere, in cui è stata
impiantata dal contenuto dell’idea del Genitore Eterno che l’ha portata
all’esistenza. Come il bambino appena nato, si affanna a respirare e comincia
a muovere le membra. E mentre si affanna e si muove riceve una risposta
dalla sua intera natura, e la sua vita attiva comincia. Lasciamo qui per il
momento l’Anima del Mondo mentre inizia a respirare, giacché il suo futuro
è rivelato dagli aforismi che seguono nei prossimi capitoli.
Parte IV
L’androgino universale
Il terzo aforisma
L’uno divenne due. Il neutro divenne bisessuato. Il maschio e la femmina, i
due in uno, si svilupparono dal neutro e cominciò l’opera della creazione.
In questo terzo aforisma della creazione il Rosacroce è invitato a concentrare
la sua attenzione sull’idea dell’Anima del Mondo, prima manifestazione del
Genitore Eterno, come essere universale bisessuato che combina in sé gli
elementi e i principi della mascolinità e della femminilità ed è chiamato negli
insegnamenti rosacrociani l’ermafrodita o l’androgino universale.
Per ermafrodita si intende l’individuo che possiede entrambi gli attributi
maschili e femminili.
Il termine è stato ricavato unendo i nomi di Ermete e Afrodite.
Nell’antichità entrò nell’uso grazie alla leggenda di Ermafrodito, figlio di
Ermete e di Afrodite, che bagnandosi divenne fisicamente tutt’uno con la
ninfa Salmacis.
Il termine “androgino” ha lo stesso significato ed è stato ricavato dalla
combinazione di due parole greche, andrós, che significa “uomo”, e gyné che
significa “donna”.
L’idea della bisessualità della manifestazione universale o dell’essere
universale era riscontrabile nelle antiche filosofìe esoteriche e occultistiche di
tutto il mondo. Nell’antica Grecia, così come in India, Atlantide, Persia e
Caldea, tale idea rappresentava un elemento fondamentale della dottrina
segreta. Nelle sue forme più alte questo insegnamento stava alla base degli
antichi misteri, ed esprimeva la più alta e nobile concezione possibile della
dignità e del valore del sesso. Tuttavia, prostituito dalla mente volgare e
popolare su incitamento di una casta sacerdotale degradata, lo stesso
principio fu capovolto e venne utilizzato quale base dell’evoluzione del culto
fallico, le cui tracce si trovano in ogni pagina della storia delle filosofie e
religioni antiche.
Figura 5. Simbolo dell’androgino universale
I Rosacroce non hanno mai incoraggiato il minimo cedimento verso un
culto fallico, ma, al contrario, hanno tenuto viva la fiamma del vero principio,
e hanno utilizzato il suo simbolo particolare come nome simbolico distintivo,
nonché emblema dell’Ordine.
Per meglio comprendere la simbologia dell’androgino universale è
necessario anzitutto familiarizzarsi con i due più antichi simboli del sesso. In
tutte le antiche filosofìe e religioni vediamo che la “croce” (+) è il simbolo
del maschio e il “cerchio” (O) quello della femmina.
Per rappresentare il bisessuato, i due simboli, vale a dire quello della croce
e quello del cerchio, sono stati combinati in vari modi.
Figura 6. Simbolo della croce fallica
Il modo originario era quello di porre la croce all’interno della
circonferenza del cerchio, ma l’uso più tardo ha preferito le varie forme della
cosiddetta “croce fallica”, che consiste nel cerchio o nell’ovale da cui pende
la croce (vedere illustrazioni). A volte la croce viene rappresentata nella
forma della lettera “T” e il cerchio in quella della lettera “O”.
Il ben noto simbolo esoterico della svastica (vedere illustrazione) consiste
in una croce modificata, concepita come una ruota vorticante (qualcosa di
simile al fuoco d’artifìcio chiamato “girandola”). La croce vorticante della
svastica, se osservata mentre ruota velocemente, ha l’aspetto di un cerchio
che circoscrive una croce.
Figura 7. Simbolo della svastica
Tale simbolo è particolarmente sacro ai Rosacroce poiché per loro
rappresenta l’attività universale e la creazione universale, e indica il grande
mistero della generazione occulta su tutti i piani della vita. Nella fantasiosa
simbologia delle antiche confraternite rosacrociane il cerchio fu trasformato
in una rosa, e la croce divenne talvolta una spada con un’impugnatura a
croce. Il segno, dunque, della croce (o spada) combinata con il cerchio (o la
rosa) simboleggiava l’unione mistica della rosa e della croce, da cui derivò il
nome dell’Ordine, quello dei Rosacroce appunto, che rimanda alla “rosacroce”.
Il terzo aforisma afferma: “L’uno divenne due. Il neutro divenne
bisessuato. Il maschio e la femmina, i due in uno, si svilupparono dal neutro
e cominciò l’opera della creazione”.
In questo aforisma c’è un rimando a un fondamentale insegnamento dei
Rosacroce riguardo ai principi sessuali universali presenti in natura: la
presenza e l’attività della coppia di opposti sessuali, maschio e femmina, che
costituiscono il segreto della creazione. Secondo la dottrina segreta dei
Rosacroce in tutta la creazione agiscono un principio maschile e uno
femminile, entrambi universali nella loro natura, nel loro carattere e nella loro
estensione, entrambi aspetti opposti dell’Anima del Mondo, che agiscono e
reagiscono l’uno sull’altro.
In questo modo producono tutta l’attività creatrice e il “divenire cosmico”,
ovvero l’attività universale e il mutamento. L’insegnamento rosacrociano
implica anche che questi due principi sessuali operano e si manifestano su
ogni piano della vita, da quella sub-minerale a quella minerale, vegetale,
animale, umana o superumana, fino ancora a quella angelica e divina. Allo
stesso modo in ogni aspetto della creazione è presente e manifesta l’azione
del sesso.
Questa affermazione sull’universalità del sesso potrebbe sembrare
sorprendente a chi non sia particolarmente addentro all’antica sapienza delle
scuole esoteriche, o non abbia familiarità con le ardite concezioni della
scienza moderna più avanzata. Tuttavia, chi padroneggia gli antichi
insegnamenti sapienziali oppure i principi essenziali del più progredito
pensiero scientifico moderno non troverà nulla di strano nelle suddette
affermazioni. La sapienza antica insegnava esplicitamente che il sesso era
presente e attivo in tutta la creazione manifesta e la scienza moderna sta
cominciando a insegnare che le prove della presenza del sesso in ogni cosa
sono decisive.
L’antica sapienza, in seguito incorporata negli originari insegnamenti
rosacrociani, asseriva che affinché ci potesse essere divenire, mutamento o
creazione, doveva instaurarsi una reazione che seguisse l’azione, il gioco di
una forza sull’altra. Le migliori fra le antiche dottrine insistevano sul fatto
che queste due forze opposte presenti in natura erano rispettivamente il
maschile e il femminile, i due aspetti dell’essere universale. La scienza
moderna sta arrivando rapidamente a riconoscere e a insegnare la stessa
grande verità.
La lezione fondamentale della scienza moderna è che in natura è presente
un’attività stimolante e fertilizzante che agisce su una forza generativa,
quest’ultima reagendo sulla prima. All’altra estremità della scala materiale
troviamo la scoperta che l’atomo (un tempo ritenuto la parte minima di
materia) è a sua volta composto da una moltitudine di elettroni, corpuscoli o
ioni che girano intorno gli uni agli altri a una velocità impressionante. In un
primo momento si era pensato che gli elettroni girassero semplicemente gli
uni intorno agli altri, e che tutti fossero simili per carattere e natura; le più
recenti scoperte, tuttavia, hanno dimostrato che la formazione dell’atomo è
dovuta invece alla rotazione di numerosi elettroni positivi (o “maschili”)
intorno a un elettrone centrale negativo (o “femminile”); gli elettroni positivi
(o “maschili”) apparentemente esercitano un effetto speciale sull’elettrone
negativo (”femminile”), costringendolo a liberare determinate energie che
provocano la “generazione” della struttura atomica.
Tutto ciò concorda pienamente con l’antico insegnamento rosacrociano che
il polo positivo del magnetismo e dell’elettricità (poiché entrambi i fenomeni
erano ben noti agli alchimisti) era maschile, mentre il polo negativo degli
stessi fenomeni era femminile. Sfortunatamente, però, i termini “positivo” e
“negativo” sono spesso usati in maniera sbagliata, e da ciò risulta molta
confusione. Ad esempio, il termine “positivo” viene usato per indicare forza e
realtà in contrasto alla debolezza e all’irrealtà del “negativo”. I dati oggettivi
della scienza naturale, tuttavia, dimostrano la falsità di una simile
interpretazione dei due termini. Il cosiddetto polo negativo della batteria è in
realtà il polo della generazione e della produzione di nuove forme ed energie
e gli esperti preferiscono oggi usare il termine “polo catodico” invece che
“negativo”; la parola “catodo” deriva infatti dalla parola greca che significa
discesa o “sentiero della generazione”.
Dal polo catodico della batteria si sprigionano i grandi sciami di elettroni,
ioni o corpuscoli e anche i raggi meravigliosi che hanno giocato un ruolo così
importante nella fisica moderna. Il polo catodico della batteria è la madre di
tutta quella strana progenie di nuove forme di materia, apparse per confutare
le antiche teorie materialistiche e per distruggere le precedenti concezioni
della scienza. Il polo catodico si dovrebbe chiamare, in realtà e in verità, il
polo femminile, e quello positivo il maschile, poiché questi termini
esprimono meglio la funzione dei due poli.
La scienza moderna insegna anche che gli elettroni, che sono composti di
elettricità negativa (femminile), spesso si distaccano dal loro corpuscolare
compagno maschile e cominciano una carriera indipendente. Essi cercano
l’unione con un corpuscolo maschile e, ottenutala, comincia un nuovo
processo di attività creatrice. Quando il corpuscolo femminile si unisce con il
nuovo maschio si verifica uno strano fenomeno: i corpuscoli cominciano a
vibrare e a ruotare l’uno intorno all’altro e il risultato è la nascita di un nuovo
atomo in cui l’energia maschile e quella femminile si combinano in una
proporzione particolare. L’atomo così formato non presenta le proprietà
dell’elettricità libera, ma semmai una serie interamente nuova di proprietà. Il
processo di distacco degli elettroni femminili viene chiamato “ionizzazione”,
e da tale distacco e dal formarsi di nuove unioni si originano i vari fenomeni
del calore, della luce, dell’elettricità, del magnetismo, e così via.
Allo stesso modo i vari fenomeni dell’attrazione o dell’affinità chimica
derivano dal manifestarsi del sesso sul piano atomico, sebbene la scienza non
si sia ancora accorta di questa verità. La scienza insegna che ci sono
“matrimoni, divorzi e nuovi matrimoni” tra gli atomi, ma esita a spingersi
oltre e ad affermare che ciò rientra nell’universale manifestazione del sesso;
tale ammissione, tuttavia, verrà con il tempo poiché le prove a riguardo sono
innegabilmente convincenti. Le proprietà esplosive di determinate sostanze
sono il risultato di un vero e proprio “divorzio” delle loro componenti
atomiche e molecolari, del distacco delle particelle maschio e femmina sotto
l’influsso di un’attrazione più forte. La formazione delle differenti sostanze,
invece, è il risultato di un processo di attrazione tra determinati elementi
materiali maschili e femminili. L’alchimia ha sempre conosciuto questa
verità; ora spetta alla scienza moderna corroborare e riaffermare le stranezze
degli antichi alchimisti riguardo a questo importante fatto naturale.
La scienza ha sempre ammesso che il sesso era presente nella vita vegetale
oltre che in quella animale, ma alla vita minerale non veniva riconosciuto il
privilegio di partecipare all’azione di questo principio universale. Recenti
scoperte, tuttavia, hanno costretto gli scienziati ad ammettere che nella
cristallizzazione di minerali esiste una prova incontrovertibile della presenza
e dell’attività del sesso, e in un prossimo futuro si scoprirà certamente che
tutti gli altri mutamenti nei minerali sono il risultato dell’attrazione e della
repulsione sessuale. L’azione del sesso, come vedremo in un capitolo
seguente, è rinvenibile anche sul piano della vita mentale.
In breve, su ogni piano della vita, fisico, mentale o spirituale, si vede
presente e attivo il principio universale del sesso in una delle sue fasi e forme.
Il sesso non può essere eluso in natura: l’universo è bisessuato e la creazione
intera, su ogni piano, è prodotta sempre e soltanto dal sesso. La piena
comprensione di questa importante verità rivoluzionerebbe le concezioni
della scienza moderna, e renderebbe realizzabili tante importanti idee che
adesso esistono solo come sogni nella mente dei migliori scienziati. A quanti
non riescono a vedere questo principio con sufficiente chiarezza vorremmo
dire: si ammette generalmente che tutti i fenomeni fisici e mentali dipendono
per il loro svolgimento dalla legge di Attrazione. Una volta scoperto che
questa legge agisce lungo le linee guida del sesso, allora è facilmente
riscontrabile che ogni attività è attività sessuale.
Se l’Anima del Mondo fosse rimasta neutra non ci sarebbe stata alcuna
manifestazione universale o creazione. Era necessario che apparisse il
principio del sesso perché la creazione potesse cominciare. È solo grazie alla
costante e continua azione e reazione dei due principi sessuali presenti in
natura che la creazione, lo sviluppo, il divenire e il mutamento sono possibili,
e dal momento che tutte le cose non sono altro che il prodotto di tali fasi, ne
consegue che senza il sesso non ci sarebbe stato nulla nell’universo, nel qual
caso l’Anima del Mondo sarebbe rimasta solitaria fino alla fine dei suoi
giorni. Con l’avvento del sesso sono iniziate la generazione e la creazione,
grazie alle quali l’uno è diventato i molti, e l’identità è diventata la varietà e
la diversità. Gli antichi insegnamenti forniscono la sola spiegazione logica
della creazione. L’uno diviene il due, e dal due procedono i molti.
Parte V
L’uno e i molti
Il quarto aforisma
L uno diviene molti. L unità diviene diversità. L’identico diviene vario.
Tuttavia i molti rimangono uno, la diversità rimane unità e il vario rimane
identico.
Figura 8. Simbolo dei molti nell’uno
In questo quarto aforisma della creazione, il Rosacroce è invitato a
concentrare la sua attenzione sull’idea di Anima del Mondo, prima
manifestazione del Genitore Eterno, in quanto uno che si manifesta come
molti, unità che si manifesta come diversità, identico che si manifesta come
vario, pur rimanendo sempre uno, unità e identico.
Questa idea dell’Anima del Mondo che si manifesta così nella molteplicità,
nella diversità e nella varietà, rimanendo però sempre uno, viene
rappresentata dai Rosacroce con il simbolo di un piccolo cerchio compreso in
un cerchio più ampio, il cerchio minore contenendo a sua volta svariati
puntini o centri di manifestazione. Il cerchio esterno è, ovviamente, l’infinito
non manifesto; il cerchio minore è l’Anima del Mondo e i puntini sono i
centri individualizzati di vita, essere e attività manifestati dall’Anima del
Mondo.
Che tutti gli esseri siano, in realtà, soltanto espressioni dell’Essere Uno,
centri di coscienza, forma e attività all’interno di esso, è un principio
fondamentale di tutte le dottrine occultistiche ed esoteriche. Che tutto l’essere
sia uno, tutta la vita una, tutta la forma una, tutta la coscienza una, è
conosciuto da tutti i veri discepoli delle scuole occulte ed esoteriche del
passato e del presente, occidentali e orientali, filosofiche e teologiche.
Nascosta dietro e sotto gli insegnamenti esoterici ortodossi è sempre possibile
trovare questa insistenza da parte degli insegnamenti segreti di tutte le scuole
sull’unicità essenziale.
Inoltre, non si deve credere che la vita una si divida e si scinda in pezzi,
parti e particelle al fine di compiere il processo della creazione e la
manifestazione del mondo. È necessario invece pensare che essa si limita a
riflettersi nei molti specchi individuali di espressione, proprio come il sole si
riflette nei milioni di gocce di pioggia che cadono, o in un milione di piccole
brocche piene d’acqua. In altri termini, l’uno può essere pensato come un
infinito oceano di essere in cui sono presenti milioni di bollicine, ciascuna
delle quali apparentemente distinta e separata, ma tutte in realtà centri di
attività ed espressione dell’unico e grande oceano.
La separazione è, per citare uno scrittore, “soltanto l’invenzione
strumentale della creazione”. Tutte le cose apparentemente separate sono
contenute all’interno del cerchio dell’Anima del Mondo, e quest’ultima è
racchiusa all’interno del cerchio dell’infinito non manifesto.
L’idea esoterica dei molti nell’uno e dell’uno nei molti è riscontrabile,
sotto altra forma, nel concetto di sostanza universale proposto dalla scienza
moderna. La scienza postula l’esistenza di una sostanza universale, chiamata
in vari modi, da cui tutte le cose procedono. Non importa se questa sostanza
universale viene definita “sostanza primordiale”, “energia infinita ed eterna”,
o “etere universale”; rimane il fatto che la scienza postula la sua esistenza nei
termini di un qualcosa fondamentale e sostanziale, di cui tutte le forme e le
fasi dell’esistenza fenomenica sono solo manifestazioni. Allo stesso modo,
quelle scuole di filosofia trascendentale che postulano l’esistenza della mente
universale insegnano che tutte le forme e le fasi dell’esistenza fenomenica
non sono altro che forme di pensiero della mente universale. Le antiche
dottrine bra- miniche insegnano similmente che i molti esistono come
incidenti del sogno o della meditazione del supremo signore Brahma.
In tutte le forme, le fasi e le scuole di filosofia troviamo quest’insistenza
sulla presenza e sull’esistenza di un uno, qualcosa di cui tutto il resto è
semplicemente manifestazione. In verità, lo scopo stesso della filosofia è
scoprire il sostrato unico e incondizionato di tutto ciò che esiste
condizionatamente. Tutta la filosofia degna di questo nome è monistica nella
sua essenza. Uno dei principali esperti di storia della filosofia ci dice che “il
termine monismo è propriamente applicabile a qualsiasi sistema di pensiero
che veda nell’universo la manifestazione o l’attività di un singolo principio.
Tale unità può essere al tempo stesso il presupposto tacito e il fine di ogni
sforzo filosofico; nella misura in cui una filosofia non riesce ad armonizzare i
fatti dell’esperienza apparentemente indipendenti, e persino in conflitto tra
loro, in un tutto più ampio, si deve giudicarla sprovvista dei requisiti
indispensabili del pensiero. Il dualismo, come riferimento metafisico ultimo,
è la confessione del fallimento della filosofia ad assolvere il suo compito, e
questa è la giustificazione di coloro che coerentemente usano la parola come
termine dispregiativo”.
Passiamo ora ad analizzare gli insegnamenti rosacrociani riguardo al modo
in cui l’uno è divenuto i molti, l’unità diversità, l’identico vario, mentre
tuttavia l’uno, l’unità e l’identità dell’Anima del Mondo siano rimasti
immutati e non siano stati minimamente toccati dal suo tuffarsi nella
manifestazione.
Nel perseguire le sue scoperte sull’evoluzione, la scienza moderna ha quasi
interamente ignorato l’attività gemella della manifestazione, nota come
“involuzione”. Non così gli antichi occultisti, che conoscevano bene la verità
così efficacemente condensata nel detto che recita: “ciò che si è evoluto deve
prima essersi involuto”. Allo studioso antico delle dottrine esoteriche
qualsiasi idea di evoluzione che non cominciasse con gli insegnamenti
concernenti l’involuzione era come la tragedia di Amleto senza Amleto.
Il termine “involgere” significa avviluppare, coprire e nascondere. Il
termine “evolvere” significa svolgere, sviluppare e srotolare. Con questi
significati in mente, il lettore vedrà subito che prima che una cosa possa
essere “svolta, sviluppata o srotolata” deve prima essere stata “avvolta,
avviluppata e arrotolata”. Non dobbiamo perdere di vista il significato legato
ai termini semplici, non importa quanti termini più complessi vengano
utilizzati al posto di questi.
Gli insegnamenti esoterici, come è stato detto, affermano chiaramente e
positivamente che prima che cominciasse lo straordinario processo di
evoluzione da semplice a complesso deve prima esserci stata un’involuzione,
o ripiegamento, dell’Anima del Mondo in forme materiali semplici,
grossolane ed elementari. Le vibrazioni hanno dovuto essere ridotte prima di
poter essere aumentate.
Tuffandosi all’improvviso con forza e velocità straordinarie nell’abisso
della manifestazione, l’Anima del Mondo si è fabbricata abiti materiali
composti di materia elementare densa e grossolana. Questa forma estrema di
materia elementare è a noi sconosciuta, essendo stata scartata nel corso
dell’evoluzione su questo specifico pianeta, ma continua a esistere su altri
pianeti del nostro sistema solare. Questa forma di materia elementare sta sotto
il livello della vita minerale, tanto più in basso del minerale più gros- solano
conosciuto dalla scienza, quanto quel minerale sta più in basso del vegetale
più complesso. Per trama, struttura e densità, tale forma risulta infinitamente
più grossolana della forma più bassa di vita minerale da noi conosciuta. È
inutile cercare di descrivere questa forma di materia, poiché la mente
ordinaria non riesce a rappresentarsela in assenza di illustrazioni concrete.
Una volta raggiunto il gradino più basso nella scala dell’involuzione, si
mise in atto la legge del Ritmo, iniziò la salita e cominciò a manifestarsi il
primo movimento dell’evoluzione. Precisamente a questo punto iniziò la
manifestazione di ciò che si può definire “individualizzazione”, ovvero il
formarsi di centri di attività e coscienza. L’Anima del Mondo discese
interamente nell’abisso dell’involuzione, e poi cominciò a emergere da tale
abisso tramite un processo di apparente scissione, in cui i neonati centri di
attività iniziarono ad affermarsi e ad ascendere verso l’espressione di sé. I
centri più semplici, che gli occultisti sanno essere i centri dell’attività negli
elettroni della materia, cominciarono a formare molecole. All’interno di
questa materia grossolana si manifestò naturalmente anche la presenza della
mente, ma solo un tenue bagliore di essa, poiché la grossolanità degli strati di
materia che l’avvolgevano impedivano quasi del tutto l’attività mentale.
Il processo di evoluzione, una volta avviato, procede rapidamente. Le
forme ascesero sempre più nella scala della manifestazione, in uno sviluppo a
spirali, con ogni spirale che saliva sopra quella al di sotto, pur avanzando
tutte apparentemente in cerchio, come fa tutto ciò che procede. A un dato
momento cominciarono a mostrarsi i primi segni del regno minerale,
prendendo come base le forme di materia sub-minerale. Nel regno minerale
iniziarono a manifestarsi forme superiori di vita e di mente, poi comparvero i
primi segnali di vita vegetale, forme appena lievemente superiori a taluni
cristalli.
Quando la temperatura della terra era tale da rendere impossibile le attuali
forme di vita, ne erano comunque presenti altre che potrebbero essere
descritte come a metà strada tra il mondo minerale e quello vegetale. Queste
strane creature sono scomparse come tutte le altre forme intermedie che
hanno svolto una funzione di ponte nel processo evolutivo. Esse hanno
tuttavia lasciato le loro tracce nella struttura materiale di piante e animali. Va
infatti ricordato che anche la struttura materiale delle più alte forme di vita
vegetale o animale è composta da determinati elementi chimici che furono
ricavati dal regno minerale, come, ad esempio, l’ossigeno, l’idrogeno, il
carbonio, l’azoto, lo zolfo o il fosforo.
Le prime forme di vita vegetale autentica vengono descritte dagli antichi
maestri come un’ormai estinta forma inferiore di vita vegetale, a malapena
distinguibile nell’aspetto da un cristallo, e che tuttavia mostrava le
caratteristiche della vita vegetale. Poi apparvero gli antenati di quella che ora
è conosciuta come clomacea, uno strano gruppo di creature inferiori, che
combinavano le caratteristiche della vita vegetale e di quella minerale, e che
ancora oggi sono rinvenibili depositate su rocce umide, sulla corteccia degli
alberi e così via. Da queste e da creature ancora più semplici si svilupparono
gli antenati di quelle che ora sono conosciute come angiosperme, o forme
infime di vita vegetale, e, più tardi, gli antenati delle gimno- sperme, che
sono probabilmente le forme più basse di vita animale conosciute oggi dalla
scienza.
Il processo di evoluzione è provocato dallo sforzo continuo della vita e
della mente all’interno degli strati di materia, lo sforzo di esprimersi sempre
maggiormente, e di modellare e usare gli strati di materia in quest’attività di
espressione di sé. Il protoplasma, la base fisica della vita vegetale e animale,
si è evoluto in questo modo. Poi venne la creatura monocellulare che
dimorava nella melma del letto degli antichi oceani. Successivamente
comparvero forme di vita composte di colonie di cellule e ancora forme più
complesse di combinazione cellulare e così via, fino a che si svilupparono le
più alte forme di vita da noi oggi conosciute.
Infine comparve l’uomo primitivo. Poi l’uomo cominciò ad affinare la
propria mente e la propria sensibilità, e ancora sta facendo progressi lungo
queste linee. L’uomo attuale è però solo uno stadio avanzato del processo
evolutivo e sarà a sua volta seguito dai superuomini del futuro, e questi a loro
volta dalle creature divine e angeliche, simili a quelle che già adesso esistono
su altre sfere più elevate.
Non va mai dimenticato che in tutti i milioni di tipi di forme viventi, e nei
milioni e milioni di individui che animano queste forme, non esiste alcuna
reale separazione. Tutta la vita è una, e tutta la vita non è altro che la vita
dell’Anima del Mondo. Di conseguenza nel simbolo dei Rosacroce, ossia gli
innumerevoli punti contenuti nel cerchio minore a sua volta compreso in un
cerchio più ampio, abbiamo l’immagine del Genitore Eterno e della sua prima
manifestazione, l’Anima del Mondo, quest’ul- tima manifestatasi nelle
innumerevoli forme di vita del mondo della manifestazione. E l’opera
dell’evoluzione prosegue ancora, e forme di espressione sempre più alte
saranno generate dall’essere involuto dell’Anima del Mondo, che da sempre
tende spasmodicamente a manifestare l’espressione di sé.
Parte VI
La fiamma universale della vita
Il quinto aforisma
L’uno è la fiamma della vita. I molti sono le scintille della fiamma. La
fiamma, una volta accesa, incendia tutto ciò che è nella sua sfera. Il fuoco è
in ogni cosa e per ogni dove; non vi è nulla di oscuro o gelido nell’ambito
della sua sfera.
In questo quinto aforisma della creazione il Rosacroce è invitato a
concentrare la sua attenzione sul concetto di vita universale, la vita
dell’Anima del Mondo, che permea ogni cosa per ogni dove nell’ambito della
sua sfera di esistenza.
Quest’idea dell’Anima del Mondo come un fuoco fiammeggiante di vita
diffuso nell’intero universo in tutte le sue parti è rappresentata dai Rosacroce
a mezzo del simbolo di un cerchio pieno di fuoco fiammeggiante.
Il simbolo della vita è sempre stato il fuoco fiammeggiante. Il fuoco
universale eterno, o la fiamma, che incendia sempre tutto ciò che si espone al
suo influsso, e tuttavia rimane sempre immutato e integro nella sua essenza,
rimane il simbolo preferito dagli occultisti per rappresentare la vita universale
nella manifestazione. Quando viene usato il termine “spirito” per indicare la
vi- ta, allora il fuoco o la fiamma si identificano con il simbolo dello spirito.
La fiamma rappresenta davvero il simbolo della vita più appropriato perché
nella sua essenza rimane sempre la stessa e immutata. La sua manifestazione
si combina invece con l’apparizione e la sparizione di innumerevoli
minuscole particelle di sostanza materiale che essa tramuta in scintille mentre
bruciano e poi distrugge attraverso il processo di combustione, sostituendole
con altre di natura simile.
Figura 9. Simbolo della fiamma universale della vita
La stessa cosa accade con la vita universale. Essa si conserva sempre
immutata e inalterata nella sua essenza, pur manifestandosi costantemente
attraverso innumerevoli forme materiali che vengono e vanno, e che sono a
loro volta sostituite da altre forme. La forma appare, viene consumata e
perisce; la fiamma però si conserva e sopravvive a qualsiasi mutamento.
Coloro che hanno studiato in profondità gli insegnamenti esoterici sanno che
esistono molti altri validissimi motivi per cui la fiamma o il fuoco vadano
considerati il miglior simbolo possibile della vita, ma non riteniamo
opportuno addentrarci ora in queste ulteriori ragioni.
Un tempo la scienza insegnava che l’universo era composto di due grandi
classi di cose: quelle viventi e quelle senza vita. Nella prima classe veniva
inserita tutta la vita umana e quella animale, almeno nel corso del loro
periodo di esistenza vitale e più avanti anche la vita vegetale, sebbene con
molti dubbi. Nella seconda classe furono incluse tutte le cose al di sotto del
piano della vita animale o vegetale, insegnando che i minerali, gli elementi
chimici, e così via, erano del tutto privi di vita. Chiunque si azzardasse a
mettere in discussione questa classificazione era considerato insano di mente
e indegno di seria considerazione.
Le scuole di pensiero esoterico invece insistevano sempre sul principio che
non esiste nulla di privo di vita nell’universo, e che tutto è imbevuto di vita in
qualche forma, grado o fase. Ora scienza e occultismo concordano
pienamente e la vecchia idea di un universo per metà privo di vita sta
tramontando rapidamente, mentre gli scienziati più progrediti stanno
cominciando a sussurrarsi l’un l’altro che “l’universo è vivo, nella sua
interezza e in tutte le sue parti”. Sicuramente ciò rappresenta un mutamento
notevole nell’opinione scientifica.
Luther Burbank, il “mago della vita vegetale” esprime in modo pittoresco
questa mutata concezione della scienza: “Tutte le mie ricerche mi hanno
allontanato dall’idea di un universo materiale morto ma agitato da varie forze,
spingendomi verso l’idea di un universo che è tutto forza, vita, anima e
pensiero. Ogni atomo, molecola, pianta, animale o pianeta è soltanto
un’aggregazione di forze organizzate, tenute a freno da forze maggiori che le
mantengono latenti, sebbene dotate di una potenza inconcepibile. Tutta la vita
sul nostro pianeta è, per così dire, soltanto un margine esterno di questo
infinito oceano di forza. L’universo non è mezzo morto, ma tutto vivo”.
Il professor Dolbear torna persino all’etere dello spazio nella sua
concezione di una vita onnipresente, quando dice: “l’etere ha, oltre alla
funzione di energia e di movimento, altre qualità inerenti, dalle quali
potrebbero emergere, in circostanze propizie, altri fenomeni, quali la vita
mentale o qualsiasi altra cosa possa trovarsi in quel sostrato”. Il professor
Cope ha affermato che “la base della vita sta dietro gli atomi e potrebbe
essere trovata nell’etere universale”.
Saleeby, nella sua famosa opera sull’evoluzione, in cui porta alle sue
logiche conseguenze le tesi di Herbert Spencer, aggiunge: “La vita è in
potenza nella materia; l’energia di vita non è una cosa unica creata in un
particolare momento del passato. Se il principio di evoluzione è valido, la
materia vivente si è evoluta per una serie di processi naturali da una materia
solo apparentemente inerte. Tuttavia, se la vita è davvero in potenza nella
materia, è mille volte più evidente che la mente è in potenza nella vita.
L’evoluzionista è dunque costretto a credere a questa tesi. La cellula
microscopica, il minuto granello di materia destinato a diventare un uomo, ha
in sé la promessa e il germe della mente. Non potremmo forse inferirne che le
componenti della mente sono presenti in quegli elementi chimici, il carbone,
l’ossigeno, l’idrogeno, l’azoto, lo zolfo, il fosforo, il sodio, il potassio, il
cloro, che si trovano nella cellula? Ciò equivale ad affermare la sublime
verità intuita per la prima volta da Spinoza, che la mente e la materia sono
l’ordito e la trama di quello che Goethe chiamò ‘l’indumento vivente di Dio’.
Entrambe sono espressioni complementari della realtà inconoscibile che sta
dietro di esse”.
Flammarion ha detto: “L’universo è dinamismo. La vita stessa, dalla
cellula più rudimentale fino all’organismo più complesso, è uno speciale tipo
di movimento, un movimento determinato e organizzato da una forza
direttrice. La materia visibile, che esiste per noi nell’attuale momento
dell’universo, e che determinate dottrine classiche considerano l’origine di
tutte le cose, nonché del movimento, della vita, del pensiero, è solo una
parola vuota di significato. L’universo è un grande organismo, controllato dal
dinamismo dell’ordine psichico. L’energia mentale traspare da ogni suo
atomo. C’è mente in ogni cosa, non solo nella vita umana e animale, ma nei
vegetali, nei minerali e nello spazio”3.
Haeckel nel suo Enigma dell’universo, a volte definito “la Bibbia del
materialismo”, fa la seguente notevole affermazione: “Non posso immaginare
il più semplice processo chimico e fisico senza attribuire i movimenti delle
particelle materiali alla sensazione inconscia”. Ancora, egli dice: “L’idea di
affinità chimica si basa sul fatto che i vari elementi chimici percepiscono le
differenze qualitative in altri elementi, sperimentano il “piacere” o la
“repulsione” a contatto con loro, ed eseguono movimenti specifici su tali
basi”. In un altro punto egli aggiunge: “Le sensazioni e le reazioni nella vita
vegetale e animale sono connesse da una lunga serie di stadi evolutivi con le
più semplici forme di sensazione che troviamo negli elementi inorganici e
che si rivelano nell’affinità chimica”.
La scienza ha praticamente creato i corrispondenti delle diatomee o
“cristalli viventi”, creati artificialmente nei laboratori, creature simili a quegli
anelli di congiunzione tra la forma minerale e quella animale. Le diatomee
sono minuscole forme geometriche, composte da un piccolo guscio di
materiale siliceo che racchiude una gocciolina di plasma, simile a colla.
Queste creature sono visibili con il microscopio, e sono così piccole che
migliaia di loro potrebbero essere raccolte su una capocchia di spillo. Esse
ricordano così da vicino i cristalli che è necessario un esame accurato per
distinguerle dai cristalli veri; tuttavia esse sono vive e svolgono tutte le
funzioni della vita.
I cristalli, come sapete, nascono, crescono, vivono e possono venire uccisi
da agenti chimici o dall’elettricità. Alcuni ricercatori hanno scoperto indizi di
funzioni sessuali elementari in determinati cristalli. Uno scrittore scientifico
ha detto: “La cristallizzazione, come stiamo scoprendo, non è un semplice
raggruppamento meccanico di atomi inanimati, bensì è una nascita”. Il
cristallo si forma nel liquido madre, e il suo corpo viene costruito
sistematicamente, regolarmente e secondo uno schema ben definito, proprio
come la struttura fisica dei vegetali e degli animali. La sua attività vitale
creatrice è indiscutibile. Non solo il cristallo cresce come una pianta o un
animale, ma si riproduce anche per separazione e divisione, come fanno i
rappresentanti delle forme elementari di vita vegetale e animale.
Accurati test scientifici hanno stabilito che nei metalli è presente il
cosiddetto “affaticamento elastico”, alleviato da una fase di riposo o di
“vacanza”. Si è scoperto che ciò era vero anche per i rasoi, il cui filo recupera
le sue caratteristiche originarie se viene lasciato riposare un poco,
avvalorando così l’antica superstizione legata all’uso dei rasoi.
Anche i diapason perdono la loro capacità di vibrazione se usati troppo
intensamente, ma la recuperano dopo un breve periodo di riposo, così come
le macchine di mulini e fattorie traggono beneficio da occasionali giorni di
pausa. Si è inoltre scoperto che i metalli sono soggetti a malattie infettive, e
che in alcuni casi sono stati letteralmente avvelenati e poi guariti tramite
antidoti. Il vetro delle finestre, soprattutto il bel vetro opaco delle finestre
delle cattedrali, è soggetto a una malattia infettiva, che si trasmette di vetrata
in vetrata, e il cui risultato è la disintegrazione della sostanza del vetro.
Persino gli attrezzi degli operai sperimentano la fatica; una pausa occasionale
o una più lunga vacanza è per essi di grande giovamento. Qualsiasi attento
macchinista avrà osservato delle idiosin- crasie in determinate macchine che
hanno bisogno di essere assecondate.
La relazione scientifica più conclusiva su questo interessante argomento,
tra quelle fin adesso a nostra conoscenza, è quella che riporta la famosa serie
di esperimenti condotti svariati anni fa sulla cosiddetta materia inanimata,
documentati nel libro intitolato Reazioni nel vivente e nel non vivente, scritto
dallo scienziato che condusse gli esperimenti, il professor J. Chunder Bose
dell’università di Calcutta. Gli esperimenti del professor Bose hanno
suscitato un vasto interesse in eminenti circoli scientifici, e si sono rivelati
estremamente utili a corroborare le conclusioni di altri scienziati che
ritengono “non esista alcuna forma di materia morta”.
Partendo dal postulato che la prova fondamentale della presenza di vita sia
la reazione della materia allo stimolo esterno, il professor Bose ha dimostrato
che in molti casi la cosiddetta materia inorganica, cioè metalli o minerali,
reagisce agli stimoli in modo simile, se non proprio identico, alla materia che
compone la struttura fisica degli animali, dei vegetali e degli uomini
“viventi”. Egli mise a punto alcuni strumenti assai sofisticati per registrare e
misurare tali reazioni, che tracciano delle curve su un cilindro ruotante. In
questi esperimenti impiegò uno strumento scientifico sofisticato, detto
galvanometro. Il galvanometro è in grado di registrare la minima irritazione
della materia nervosa o del muscolo vivo, e gli esperimenti dimostrarono che
esso registrava anche le reazioni di minerali o metalli soggetti allo stimolo di
forze esterne, le cui curve o tracciati risultavano praticamente identici in
entrambi i casi.
Il professor Bose riferisce che, quando collegò il galvanometro a sbarre di
vari tipi di metalli, diedero una risposta analoga a quello che sarebbe
successo se fossero state colpite o attorcigliate; maggiore il grado di
irritazione provocata nel metallo, maggiore il grado di reazione. Va notato
che il nervo o il muscolo vivo reagiscono precisamente nello stesso modo, e
che, secondo le indicazioni dello strumento, la risposta di muscoli, nervi,
metalli e minerali era identica. Proprio come il nervo o il muscolo davano
segni di affaticamento a seguito di stimoli ripetuti frequentemente, lo stesso
facevano il metallo e il minerale. Da tutti i punti di vista la materia vivente e
quella non vivente reagivano allo stesso modo dando la medesima
dimostrazione di vita. Inoltre, lo strumento registrava nei metalli qualcosa di
simile al tetano provocato da shock ripetuti, seguito dalla guarigione dopo
una fase di riposo. Inoltre, vari metalli davano segni di affaticamento, altri
dimostravano gli effetti di un avvelenamento nonché la guarigione per
somministrazione di antidoti, altri ancora segni di eccitamento o
intossicazione per altre forme di stimolo.
Gli esperimenti dimostrarono anche che i metalli manifestano una
condizione simile al sonno, che possono essere uccisi o dar segni di torpore e
di pigrizia, che essi si svegliano e possono essere spinti all’azione, che
possono essere stimolati, rafforzati, indeboliti, drogati o intossicati. Soffrono
il freddo e il caldo estremi e reagiscono all’azione di determinate droghe
proprio come le piante e gli animali. Il galvanometro rilevò persino che un
pezzo di acciaio sottoposto agli effetti del veleno si agitava e si indeboliva
gradualmente, arrivando infine a morire, proprio come succede all’organo del
corpo di un animale, o a una foglia di una pianta. Se rivitalizzati prima che
fosse troppo tardi, la risposta di muscoli e metalli era graduale. Un fatto
ancora più interessante è l’affermazione dello sperimentatore che anche i
veleni che servivano a “uccidere” i metalli dimostravano una suscettibilità
similare all’azione di altri veleni, e risultavano essi stessi passibili di essere
uccisi da veleni. Nel caso dell’uccisione di metalli, tuttavia, la struttura
molecolare rimaneva apparentemente integra, proprio come nella
corrispondente struttura nel tessuto animale; in entrambi i casi smetteva di
funzionare un “qualcosa interno” alla sostanza, che potrebbe anche essere
chiamato “anima”, così come con qualsiasi altro termine.
Altri esperimenti scientifici di laboratorio hanno rivelato fatti
estremamente interessanti riguardo alla produzione di cose viventi da
“materia non vivente”. Il dottor Charles Bastian di Londra ha preparato ed
esposto più di cinquemila microfotogrammi che dimostrano l’evoluzione di
forme viventi organiche dal (cosiddetto) “non vivente” inorganico. Egli
afferma di aver prodotto alcune microscopiche macchie nere in un liquido
precedentemente perfettamente chiaro, macchie che gradualmente si
allargano e si trasformano in determinate forme di batteri elementari. Il
professor Burke di Cambridge sostiene di aver prodotto da un brodo di
manzo sterilizzato, grazie all’azione del cloruro di radio sterilizzato, alcuni
minuscoli corpi viventi che in seguito sono cresciuti e si sono riprodotti per
suddivisione.
Lo studente di chimica e di fisica conosce bene la cosiddetta vegetazione
metallica, in particolare nel caso dell’albero del piombo, in cui compaiono
forme di pianta all’interno della soluzione acidulata di determinate sostanze
metalliche. Nel caso dell’”albero del piombo” una soluzione acidulata di
acetato di piombo viene versata in una bottiglia dal collo largo; dal tappo di
sughero di questa bottiglia pende un pezzo di filo di rame, alla cui estremità è
collegato un pezzo di zinco che rimane sospeso al centro della soluzione di
piombo. Quando la bottiglia viene tappata il filo di rame viene subito
circondato da uno sviluppo di piombo metallico che ricorda da vicino un
muschio molto fine che gradualmente sviluppa rami e braccia, e infine foglie,
dando luogo a un cespuglio o a un albero in miniatura. Altre soluzioni
metalliche producono fenomeni simili. Il salnitro, sottoposto all’azione della
luce polarizzata, assume forme che ricordano da vicino l’orchidea. I cristalli
di ghiaccio formano sui vetri delle finestre figure di foglie, rami, fogliame,
infiorescenze e fiori. Molti metalli tendono a cristallizzarsi nella forma di una
crescita vegetale, e ciò risulta particolarmente significativo se si ricorda che i
cristalli sono ora considerati come “quasi vivi” dalla scienza moderna.
Pochi anni fa le riviste scientifiche contenevano riferimenti a un
interessante esperimento condotto da uno scienziato tedesco utilizzando
determinati sali metallici. Lo scienziato sottopose i sali all’azione di una
corrente galvanica, e rimase sorpreso dalla scoperta che intorno al polo
negativo o catodico (femminile) della batteria, le particelle di sale metallico
cominciavano a raggrupparsi nella forma di un piccolo fungo, con un gambo
e una sommità a forma di ombrello. Questi funghi metallici all’inizio
apparivano trasparenti, ma gradualmente si colorarono, e infine assunsero un
color paglia sul gambo, un color rosso acceso sulla parte superiore
dell’ombrello e una tinta rosa pallido su quella inferiore. Tuttavia, l’aspetto
più sorprendente del fenomeno era che il fungo metallico aveva vene sottili o
piccoli tubi che correvano nella parte interna del gambo, attraverso cui veniva
trasportato il nutrimento o il materiale addizionale necessario alla crescita; il
fungo veniva alimentato dall’interno, come nel caso dei funghi veri. Pareva
che a tutti gli effetti questi funghi metallici rappresentassero in pratica
l’anello di collegamento tra la vita minerale e quella vegetale.
Come abbiamo affermato altrove in questo capitolo, la scienza moderna si
trova ora sul limitare della scoperta (tramite prove di laboratorio) che non
esiste materia priva di vita, e che tutto è vivo. L’occultista può oggi attendere
con sicurezza il giorno in cui la scienza moderna “dimostrerà per lui la verità
degli antichi insegnamenti delle scuole esoteriche”.
Inoltre, la scienza si sta avvicinando a grandi passi al momento in cui
percepirà la verità dell’antico assioma secondo il quale “tutta la forza è forza
di volontà”, per cui i movimenti degli elettroni, degli atomi, delle molecole e
delle masse di materia sono la risposta a un “sentimento” interiore che risulta
dall’attrazione e dalla repulsione rispetto ad altre forme di materia, con
l’ausilio della “volontà”. L’idea dei materialisti che la vita e la mente siano
solo qualità della materia e vadano ricercate in tutte le forme di oggetti
materiali ha solo bisogno di essere invertita per dimostrare la verità affermata
tanto tempo fa, e cioè che la materia è solo il rivestimento esterno dell’anima,
e che tutte le forme materiali sono animate dalla vita e dalla mente. L’idea dei
materialisti è soltanto la piramide rove- sciata dell’errore, mentre la
concezione degli occultisti è l’autentica piramide della verità stabile e sicura
sulle sue fondamenta, quella roccia dei millenni che non può mai essere
rovesciata poiché riposa sicura e stabile sull’eterno fondamento dell’essere.
Ricorda, o lettore, l’aforisma rosacrociano secondo cui “il fuoco è in ogni
cosa e per ogni dove; non vi è nulla di oscuro o gelido nell’ambito della sua
sfera”.
Parte VII
I piani di coscienza
II sesto aforisma
Come la vita è l’essenza dello spirito, così la coscienza è l’essenza della vita.
Lo spirito è uno, eppure si manifesta in molte forme di vita. La vita è una,
eppure si manifesta in molte forme di coscienza. Anche se le forme della
coscienza manifesta sono innumerevoli, il sapiente sa che la coscienza si
manifesta su sette piani diversi, conosciuti dal sapiente come: (1) il piano
degli elementi, (2) il piano dei minerali, (3) il piano dei vegetali, (4) il piano
degli animali, (5) il piano degli umani, (6) il piano dei semidei, (7) il piano
degli dèi.
In questo sesto aforisma della creazione il Rosacroce è invitato a concentrare
la sua attenzione sull’idea di vita-coscienza manifestantesi su sette piani
diversi. Quest’idea è rappresentata dai Rosacroce tramite il simbolo di una
catena di sette anelli circolari, con ogni anello che fa da collegamento tra altri
due.
Il sesto aforisma saggiamente afferma che “la vita è l’essenza dello
spirito”. Non importa cos’altro possa o non possa essere lo spirito, non si può
però negare che lo spirito debba possedere l’attributo della vita, se tale deve
essere. L’aforisma afferma altresì: “La coscienza è l’essenza della vita, il che
è anche immediatamente evidente, poiché non importa cos’altro possa o non
possa essere la vita, non si può negare che la coscienza debba possedere
l’attributo della vita.
Figura 10. Simbolo dei sette piani di coscienza
Uno scrittore moderno ha molto opportunamente affermato che “la mente è
l’elemento vivente della vita” e naturalmente la mente non è null’altro che un
termine impiegato per indicare “gli stati di coscienza”. Anche l’individuo
medio riconosce implicitamente la necessità della presenza della coscienza
nella vita quando distingue tra varie forme di cose viventi. Più alta la
manifestazione della coscienza in una cosa vivente, più alto il grado di vita
che egli le attribuisce; quando poi non vi è alcun segno di coscienza, egli
definisce la cosa priva di vita. L’indicazione di un’attività cosciente tra le
forme minerali conduce subito a pensare che allora i minerali devono essere
vivi. La coscienza si manifesta essenzialmente come “la capacità di ricevere
impressioni da stimoli esterni e di reagire adeguatamente”.
Proprio come i Rosacroce assumono come loro dottrina fondamentale il
principio che “tutto è vivo” (si veda il capitolo precedente), così essi
ritengono altrettanto fondamentale il principio che “tutto è conscio”, dove il
termine “coscienza” (come nella più avanzata psicologia moderna) non è
ristretto a quegli stadi della coscienza a noi più familiari, ma si riferisce
piuttosto a tutte le forme di consapevolezza superiore o inferiore alla nostra
coscienza ordinaria.
Il termine “coscienza” è tra i più difficili da definire adeguatamente, e
questo è assolutamente naturale, poiché la coscienza può essere definita e
descritta solo nei termini delle sue stesse esperienze; non è dato alcun altro
termine analogo che possa indicare cosa è la coscienza stessa a chi di essa
non abbia la minima esperienza. La parola che probabilmente meglio ne
esprime il significato generale è “consapevolezza”.
La dottrina rosacrociana insegna che la coscienza si manifesta su sette
piani differenti, e che ciascun piano è collegato e si fonde con gli altri due
confinanti (si veda la figura che illustra il simbolo). Ciascun piano, tuttavia, si
compone di sette sottopiani, e ogni sottopiano di sette piani minori, e così via
per sette volte. Nella nostra seguente sommaria esposizione degli
insegnamenti in questione viene nominato ciascuno dei sette piani di
coscienza e ne vengono spiegate le principali caratteristiche.
I. Il piano degli elementi
Su questo piano di coscienza si manifestano le azioni e le reazioni tra gli
elementi sottili di cui sono composte tutte le forme materiali. Qui si svolge il
gioco tra gli atomi, gli elettroni, gli ioni, i corpuscoli e le ancora più piccole
particelle di sostanza che la scienza ancora non conosce. Tornando ancora più
indietro si potrebbe dire che su questo piano si svolge il gioco degli stadi di
una sostanza altrettanto più piccola e sottile degli elettroni di quanto questi
ultimi sono più piccoli degli atomi. Si può dire poco riguardo a queste forme
e a questi stadi di materia praticamente sconosciuti, anche se le dottrine
occultistiche vi fanno riferimento di frequente.
Nelle precedenti citazioni dalle opere di Haeckel e di altri scienziati
moderni abbiamo visto che la scienza riconosce la presenza di qualcosa di
simile alla coscienza negli atomi di materia, e ascrive i loro movimenti a
“simpatie e antipatie”, “amore e odio”, che traggono origine dalla percezione
di determinate rispettive qualità e dalla reazione a esse. Ciò significa,
naturalmente, che gli atomi possiedono e manifestano sentimenti e volontà in
forme e gradi elementari. Esistono tuttavia effetti di queste manifestazioni di
coscienza da parte degli atomi di cui gli scrittori sull’argomento, siano questi
occultisti o scienziati, non tengono sufficientemente conto.
Consideriamoli brevemente.
La scienza afferma che tutte le forme di energia o di forza fisica, che si
manifestano come luce, calore, elettricità, magnetismo, traggono origine dalle
vibrazioni delle particelle di cui è composta la materia. Queste vibrazioni
sono naturalmente provocate dal movimento delle particelle, che a sua volta è
generato da un fenomeno di attrazione e di repulsione tra le particelle. Questi
fenomeni sono a loro volta null’altro che manifestazioni di una coscienza
elementare. Qui dunque vediamo che persino la manifestazione dell’energia e
della forza fisica è il complemento, e il risultato, della presenza e dell’attività
della coscienza elementare.
Su questo piano di coscienza vengono operate molte forme di “magia”.
L’occultista muove la materia non esercitando su di essa una forza fisica con
la mente e con la volontà, ma agendo invece sulla coscienza degli atomi
materiali con il potere della sua propria coscienza! Non è questo il luogo,
naturalmente, per entrare in dettagli riguardo a questo aspetto
dell’occultismo, ma si è ritenuto opportuno indicare qui la fonte e la natura
del potere che sta dietro fenomeni occulti di questo tipo, e il “perché” e il “da
dove” della sua manifestazione.
II. Il piano dei minerali
Su questo piano di coscienza si manifestano le azioni e le reazioni delle
molecole di cui sono composti i minerali, come pure delle masse di materia
minerale. Proprio come gli atomi di materia manifestano attrazione e
repulsione originate da “simpatia e antipatia” a livello di coscienza, così le
molecole di materia manifestano un’analoga simpatia e antipatia, che risulta
nell’attrazione e nella repulsione tra molecole e masse di materia. Le
molecole o particelle di cui, ad esempio, è composto un pezzo di acciaio,
sono tenute insieme dal potere di attrazione della coesione e non da mezzi
meccanici impiegati dalla natura. La gravitazione manifesta la sua forza
d’attrazione in modo analogo.
Inoltre, in alcuni piani minori superiori di questo piano dei minerali si
manifesta la cristallizzazione delle particelle minerali secondo un ben definito
principio di disegno incorporato nella coscienza delle particelle in gioco. Il
cristallo viene costruito sulla base di un disegno definito, esattamente come
succede alla ghianda e alla quercia, e in tutti questi casi lo schema è solo
un’”idea” nella coscienza delle particelle combinate. Il Costruttore
Universale opera tramite la coscienza delle particelle minerali in un modo
altrettanto vero e meraviglioso di come opera tramite le particelle di umanità
che chiamiamo individui. Lo studio dei cristalli e della loro formazione aprirà
all’individuo un nuovo mondo di pensiero, e gli consentirà di sbirciare nel
laboratorio del Costruttore Universale, dove vedrà cose che mai prima
d’allora aveva sospettato e sognato.
L’opinione comune è che i cristalli si formino per cause meccaniche, quali
ad esempio la pressione esterna, ma l’attento studioso di scienza, come pure
l’occultista, sa che la formazione di un cristallo è una crescita, ed è il risultato
di idee fisiche immagazzinate nelle particelle, così come succede con la
crescita della sostanza vegetale o dei corpi animali. Lo studioso di
cristallografia si convince presto della presenza della vita e della coscienza
nel mondo dei cristalli.
Considerando il piano della coscienza minerale, il lettore deve ricordare
che esistono forme di minerali di gran lunga più grezze di quelle a noi visibili
sulla terra; deve altresì ricordare che esistono forme e stadi di vita minerale di
gran lunga più fini e superiori a quelli che conosciamo.
Sarà opportuno menzionare anche il fatto che gli antichi alchimisti (e
alcuni autentici alchimisti moderni) hanno trovato nella coscienza minerale
l’anello mancante della loro scienza. Avendo l’occultista una comprensione
esaustiva della coscienza di un metallo o di un minerale, egli sarà in grado di
operare trasformazioni su e tramite essi che risulterebbero impossibili con i
semplici mezzi della chimica o con i metodi meccanici di lavorazione dei
metalli. Una volta di più abbiamo dunque accennato di sfuggita a un tema di
enorme importanza.
III. Il piano dei vegetali
Su questo piano di coscienza si manifestano le azioni e le reazioni delle
cellule protoplasmatiche di cui sono composte le piante. Su questo piano
inoltre, come per tutti gli altri piani di coscienza, si trovano sottopiani e
suddivisioni superiori e inferiori.
Al polo inferiore di questo piano troviamo una vita vegetale a malapena
distinguibile dalle forme superiori di vita minerale; in verità, come abbiamo
già visto, è quasi impossibile tracciare una netta linea divisoria tra i due
grandi piani, poiché si fondono e sono collegati tra loro in corrispondenza del
polo inferiore e superiore della loro attività. Abbiamo menzionato le
diatomee, o cristalli viventi, che gli esperti considerano l’anello mancante tra
i due grandi regni della vita e della coscienza, ma che in effetti sono piante
più che minerali. Le diatomee appartengono a un ordine di piante senza fiore,
una specie di alghe. Esse presentano una copertura silicea che conferisce loro
un aspetto di cristalli.
Nel 1886 il professor Van Schrom di Napoli stava compiendo esperimenti
con il bacillo del colera asiatico, e lo stava esaminando con il suo potente
microscopio. Era incuriosito dal formarsi di piramidi doppie di bacilli dalla
forma e dall’aspetto generale di veri e propri cristalli. Tali cristalli viventi
manifestavano crescita e movimento, e parevano vivi e coscienti.
Da questi esperimenti egli arrivò alla conclusione che tutti i batteri
producevano cristalli viventi, e i suoi continui esperimenti parvero dimostrare
la fondatezza della sua supposizione. Questi cristalli viventi sembrano essere
spinti da una forza intrinseca simile a un impulso vitale che li spinge ad
assumere una figura geometrica. Pur lasciando intravedere tali chiari indizi di
un’elementare vita vegetale, essi presentano anche le caratteristiche qualità
dei cristalli, vale a dire la rifrazione, l’inclusione, l’assorbimento e la
polarizzazione. Successive indagini hanno rivelato la presenza di tali cristalli
viventi nelle secrezioni degli organismi viventi.
Che la vita sia presente nel mondo vegetale quasi nessuno si sente di
metterlo in discussione, sebbene sembri esservi un desiderio da parte degli
scienziati ortodossi di negargli coscienza e attività intelligente. Tuttavia, i più
avanzati operatori nel campo della scienza moderna non esitano ad affermare
la presenza di una consapevole attività intelligente nel mondo vegetale, e
sostanziano efficacemente la loro supposizione con argomentazioni logiche
sostenute da risultati ottenuti in laboratorio. Questi scienziati sostengono che
il verificarsi di fenomeni di nutrizione, riproduzione e mutamento fisico e
chimico dovuto all’adattamento rappresenti una prova positiva della presenza
dell’intelligenza vitale all’interno dell’organismo in cui detti fenomeni si
manifestano.
Dice il professor Bieser: “L’adattamento è, dopo tutto, la migliore prova
della presenza dell’intelligenza o della vita in forme o unità di materia.
L’adattamento fisiologico, o meglio considerato di tipo psicologico, è l’arma
con cui gli organismi viventi combattono contro le forze distruttive delle
condizioni di natura. In tutte le sue forme l’adattamento rappresenta una
collaborazione più o meno riuscita degli organismi viventi con le leggi di
natura, e non un’infrazione di tali leggi naturali. Assumendo l’adattamento
come criterio per stabilire la presenza dell’intelligenza, non abbiamo
difficoltà alcuna a risolvere il problema della presenza della vita. Il più
perfetto macchinario automatico non ha vita poiché non sa minimamente
adattarsi alle mutate condizioni ambientali e così salvarsi dalla distruzione,
ove ciò divenga necessario, compiendo una serie di semplici azioni
intelligenti”.
Considerando il problema della presenza della coscienza nel regno
vegetale, gli scrittori dividono le manifestazioni dell’intelligenza in tre classi,
e cioè, quella delle trofosi, o atti pertinenti alla nutrizione, quella delle
neurosi, o atti pertinenti al sistema nervoso, e quella delle psicosi, o atti
pertinenti ai processi di pensiero.
La manifestazione delle trofosi, o atti pertinenti alla nutrizione, è evidente
persino nel caso delle forme più basse di vita vegetale. Anche la più
elementare cellula vegetale assorbe nutrimento e sostituisce gli scarti del suo
sistema assumendo nuovi materiali. Tali attività richiedono un sistema
nervoso talmente semplice da essere qualsi nullo. Tuttavia, in ogni atto di
nutrizione si manifesta non soltanto la presenza della vita, ma anche un certo
grado di attività conscia. Anche le più basse forme di piante sono capaci di
distinguere perfettamente tra particelle di materia nutritive e quelle non
nutritive. La maggior parte delle piante non possiede alcun sistema nervoso, o
almeno la scienza non lo ha ancora scoperto, tuttavia esse manifestano
caratteristiche trofosi di grado corrispondente alle loro necessità, ma
raramente eccedente tali necessità.
Altre piante hanno invece un sistema nervoso relativamente sviluppato, o
qualcosa di analogo a esso, e manifestano neurosi, o atti pertinenti al sistema
nervoso, di grado relativamente avanzato. Questo è vero nelle “piante
sensibili” e in determinate altre piante altamente sviluppate. Ad esempio,
alcune orchidee e qualche altra pianta manifestano neurosi che indicano
chiaramente la presenza della consapevolezza e un certo grado di attività
intelligente.
Ancora più in alto nella scala vegetale troviamo determinate specie di
piante che manifestano autentiche psicosi, ovvero atti pertinenti ai processi
di pensiero, sebbene di ordine relativamente basso in confronto a quelle
manifestate da forme superiori di vita animale. Il professor Bieser, eminente
esperto in materia, ha dichiarato: “Anche se crediamo che l’intelligenza
dell’uomo, degli animali e delle piante sia essenzialmente dello stesso tipo,
sappiamo però che essa differisce enormemente per grado e forma. Anche tra
gli uomini questo grado di intelligenza varia, ma ciò accade perché per natura
alcuni individui vedono un po’ più chiaramente di altri quali sono le loro
necessità e vivono in circostanze più favorevoli; e questo è tutto!”.
Il dottor J. E. Taylor, un’autorità in materia di psicologia delle piante, dice:
“Probabilmente una delle ragioni per cui alle piante vengono di solito negate
la coscienza e l’intelligenza è perché anche nella struttura delle specie più
altamente sviluppate non troviamo alcun specifico binario nervoso attraverso
cui le sensazioni possano viaggiare, e in cui esse possano venire registrate
come avviene nel caso dei gangli e del cervello degli animali superiori. Si
dovrebbe tuttavia ricordare che nessuna creatura appartenente alla sottoclasse
dei protozoi (la più bassa delle grandi suddivisioni del regno animale)
possiede strutture nervose, e che in molti appartenenti alla classe animale
immediatamente più sviluppata, quella dei celenterati, non è presente alcuna
traccia di tali strutture, mentre in altri soltanto una traccia molto esile.
Tuttavia non neghiamo a queste basse forme animali una coscienza opaca e
diffusa, né la possibilità che le loro strutture si modifichino in modo da
mettere a profitto l’esperienza, sviluppando quel deposito di vissuto che
definiamo ‘istinto’”.
Darwin, parlando della straordinaria sensibilità delle estremità delle radici
delle piante, dice: “È tutt’altro che un’esagerazione affermare che l’estremità
della radice, grazie alle sue proprietà e alla capacità di dirigere i movimenti
delle parti contigue, agisce come il cervello di uno degli animali inferiori;
cervello che è situato nella parte anteriore del corpo, dove riceve le
impressioni dagli organi di senso e dirige la generalità dei movimenti”. Il
professor Cope afferma: “Ci è facile comprendere come grazie al
parassitismo o ad altri modi di sopravvivere senza faticare, l’adozione di
nuovi e complessi movimenti diverrebbe superflua, e la coscienza stessa
raramente verrebbe sollecitata. Un riposo continuato darebbe origine a una
forma di sottocoscienza, e, in seguito, alla pura mancanza di coscienza.
Precisamente questa sembra essere la storia dell’intero regno vegetale”.
Il dottor J. C. Arthur, nella sua interessante opera intitolata La sagacia e la
moralità delle piante, afferma: “Mi sono sforzato di dimostrare che tutti gli
organismi, fino ai più semplici in assoluto, siano questi vegetali o animali, a
causa della stessa natura dell’esistenza e della lotta per la sopravvivenza,
devono essere dotati di coscienza e sensibilità, di cui il piacere e il dolore
sono l’espressione più elementare (...). A Java mi hanno detto che quando
uno cammina attraverso un groviglio di piante sensibili, esse, per svariati
metri su ciascuno dei due lati del sentiero, si curvano in segno di fastidio,
come se fossero improvvisamente destate alla vita, soltanto per trasformarsi
di nuovo da una forza invisibile in arbusti privi di vita (...). Il fondamento
fisico della vita, il protoplasma, è lo stesso per le piante e per gli animali. La
prima forma differenziata o modificata di esso che incontriamo è il curioso
microbo chiamato ameba. Osservando i suoi movimenti non si può fare a
meno di attribuirgli una qualche opaca coscienza della vita che conduce. La
struttura ameboide, però, è comune anche tra le forme inferiori di vegetali, e
movimenti ameboidi sono rintracciabili nei loro tessuti. Come testimoniano
anche le abitudini e i movimenti intelligenti delle zoospore delle alghe marine
e di molti altri tipi di alga, e la locomozione dell’anterozoa del muschio, della
felce, e così via. Non molti anni fa tali organismi erano classificati come
animali, e nessuno dubitava che questi cosiddetti animali agissero
coscientemente e intelligentemente (...). Non v’è nulla di più marcato delle
simpatie e delle antipatie delle piante. Difficilmente gli esseri umani riescono
a esprimere gli stessi sentimenti più efficacemente.
Esiste probabilmente persino una forma di ‘cameratismo’ tra le piante che
fa sì che determinate specie preferiscano crescere in compagnia. Un gran
numero di piante comuni compie azioni che se fatte da esseri umani
verrebbero subito classificate secondo il criterio del bene e del male. Quasi
non esiste virtù o vizio che non abbia un corrispettivo nei comportamenti del
regno vegetale”.
Una delle più elementari manifestazioni di coscienza e di attività
consapevole nella sfera della vita vegetale è stato chiamato “il senso di
gravità”, ovvero il senso grazie a cui la pianta riconosce la direzione di
crescita “in su e in giù”. Il seme che germina manda sempre le radici in
basso, non importa come esso sia posizionato nel terreno. Non è possibile
credere che ciò sia semplicemente l’effetto della forza di gravità, poiché i
germogli si sviluppano verso l’alto allontanandosi dal centro di gravità
proprio come le radici si sviluppano invece verso il basso, avvicinandosi a
tale centro. Gli esperimenti hanno dimostrato che questo “senso della
direzione” può essere considerato un senso vero e proprio al pari di qualsiasi
altro senso speciale delle forme più basse di vita animale. Si è tentato
l’esperimento di capovolgere un seme germogliante: il risultato è stato che
nello spazio di un giorno o giù di lì le radici hanno ripreso il loro sviluppo
verso il basso e i germogli verso l’alto. Un botanico francese di nome
Duhamel una volta sistemò dei fagioli in un cilindro pieno di terra umida.
Dopo che essi ebbero cominciato a germogliare, egli inclinò lievemente il
cilindro da un lato. Il giorno dopo lo inclinò un altro poco nella stessa
direzione. Ogni giorno lo inclinava un po’ di più, e alla fine il cilindro aveva
compiuto vari giri completi. A quel punto il botanico tirò fuori la pianta, e
liberandola dalla terra rimastale attaccata verificò che le radici e i germogli
dei fagioli avevano formato dei cerchi: si vedevano infatti due spirali perfette,
formate rispettivamente dalle minuscole radici e dai minuscoli germogli. Le
radici nel loro sforzo costante di svilupparsi verso il basso avevano formato
una spirale perfetta, mentre i germogli nel loro sforzo costante di svilupparsi
verso l’alto ne avevano formato un’altra.
Risulterà sempre vano qualsiasi sforzo per costringere le radici di una
pianta a svilupparsi verso l’alto, o i suoi germogli a crescere verso il basso.
Ciascuno dei due, radice e germoglio, ha un suo proprio “senso della
direzione” a cui risponde puntualmente e invariabilmente. Allo stesso modo e
per cause simili, i viticci delle piante rampicanti si svilupperanno
puntualmente in direzione del vicino supporto e, se sciolti da esso, nel corso
della notte successiva torneranno all’antico supporto, se possibile. Un filmato
mostra che i movimenti di questi viticci sono simili ai movimenti delle
membra di un animale, a quelli dei tentacoli di un polipo, ad esempio.
Non solo le radici delle piante hanno un generale “senso della direzione”
che fa sì che esse si sviluppino verso il basso nonostante qualsiasi tentativo di
impedirglielo, ma hanno anche il “senso dell’umidità”, che fa sì che esse
cerchino l’acqua.
Molte piante girano anche le loro foglie e i loro fiori verso la luce, non
importa quante volte le si ruoti nella direzione opposta. Le patate tenute in
sotterranei oscuri spesso fanno crescere i loro germogli per una lunghezza di
venti o trenta piedi, in direzione della luce che filtra attraverso una piccola
crepa nel muro.
Allo stesso modo, le piante possiedono il “senso del gusto”, in certi casi
molto sviluppato. Grazie a questo senso sono capaci di rilevare le differenze
tra le sostanze, e di scegliere quelle che sono utili alla loro nutrizione. Esse
riescono a distinguere tra un suolo povero e uno ricco, e anche tra differenti
sostanze chimiche di diverso valore nutritivo. Non solo le radici delle piante
si muovono in direzione dell’acqua, ma anche le foglie si curvano durante la
notte per immergersi in un recipiente d’acqua distante svariati centimetri. Le
piante che si nutrono di insetti riconoscono la differenza tra la sostanza
animale viva e pezzi di materia inorganica o di sostanza vegetale, scartando
quasi disgustate questi ultimi.
Si è provato a lasciare un pezzo di formaggio alla portata di queste piante,
e si è visto che, sebbene il formaggio fosse naturalmente loro sconosciuto,
esse parevano riconoscerne la natura azotata e lo divoravano altrettanto
prontamente di quanto facevano con un pezzo di carne o con il corpo di un
insetto.
Molti lettori saranno certo familiari con il fenomeno delle “piante
sensibili” che dimostrano un grado marcato di sensibilità al tatto.
Molte piante che si nutrono di insetti dimostrano un altrettanto elevato
grado di sensibilità, anche se naturalmente in una diversa direzione.
Le foglie della “trappola di Venere” si chiudono e così catturano lo
sfortunato insetto che è caduto in trappola tentato dal dolce succo che
compare sulla foglia come esca squisita. Pezzetti di terra o gocce di pioggia
vengono riconosciuti come “non commestibili” da queste antenne, e se si
posano sulle foglie, queste non si chiudono.
Altre piante sono estremamente sensibili a differenti intensità di luce e si
chiudono a determinate ore, diverse a seconda del tipo di pianta.
Un tempo si pensava che questa sensibilità fosse semplicemente una
reazione chimica alla presenza della luce, ma recenti esperimenti hanno
dimostrato che tali piante, se sistemate in una stanza scura, continueranno a
chiudersi per svariati giorni in grado man mano decrescente, dimostrando
così la presenza di un’abitudine all’interno della loro coscienza, che a sua
volta dimostra la presenza della mente anche più efficacemente di quanto non
faccia lo stesso fenomeno del chiudersi. Determinate felci avvizziscono se le
loro fronde vengono toccate troppo spesso.
Nel caso dei semi la presenza della coscienza e di attività mentali è
immediatamente evidente. Non solo nella germinazione, ma anche in altri
processi il seme dà segni di vita e di attività mentale. Determinati semi
vengono portati alla loro futura dimora da corsi d’acqua in cui essi si
muovono in direzione di un terreno favorevole per mezzo di sottili filamenti
sporgenti che essi muovono come gambe, spingendosi così a riva.
Un botanico ha detto riguardo a una determinata specie di questi semi
nuotatori: “I loro movimenti sono così curiosamente vitali che risulta quasi
impossibile credere che questi oggetti minuti possano muoversi nell’acqua ed
essere semi e non insetti”.
Certe piante sono parassite e si attorcigliano intorno a un’altra pianta o
albero, facendosi strada attraverso la corteccia esterna e succhiando il
nutrimento dalla pianta più grande, che con il tempo soccombe e viene
letteralmente uccisa per nutrire quella parassita.
Altre piante sono parassite di animali, e sono dotate di facoltà mentali
sufficienti a catturare efficacemente la loro preda.
Dunstan, il naturalista, riferì di aver trovato sulle rive del lago Nicaragua
una pianta, che i nativi chiamano “cappio del diavolo” a forma di cespuglio e
dotata di lunghi viticci, o antenne a forma di frusta, flessibili, robuste, nere,
lucide e prive di foglie, che secernono un fluido viscido. Questi viticci
vengono usati dalla pianta per catturare piccoli animali che passano sotto il
cespuglio, e per poi prosciugare il loro sangue e assorbire la loro carne. Il
naturalista, camminando un giorno lungo le rive di quel lago, venne attirato
dai guaiti e dai lamenti del suo cagnolino. Aprendosi una via attraverso la
vegetazione trovò l’animaletto stretto da un gran numero di questi viticci neri,
viscidi e tentacolari che gli stavano tagliando la carne tramite un’azione di
sfregamento, con il sangue che già usciva in svariati punti.
Vide che questi tentacoli erano i viticci o i rami di questa pianta carnivora
che descrisse come una sorta di “polipo vegetale”. A quel che dicono i più
grossi esperti, il regno vegetale ha i suoi Thug e i suoi strangolatori, oltre ai
suoi vampiri.
Il professor Bieser afferma: “Un’altra pianta che mostra irritazione se
toccata e che è in possesso della capacità di trovare e assorbire acqua per
mezzo di un lungo, sottile e piatto stelo o tubo è una varietà dell’orchidea
scoperta da E. A. Suverkrop di Filadelfia. Questa pianta cresce sui tronchi
degli alberi che stanno sospesi sopra le zone paludose lungo le rive del Rio de
la Plata e dei fiumi vicini. Quando quest’orchidea ha bisogno d’acqua, il
sottile stelo si srotola gradualmente fino a immergersi nell’acqua. Poi lo stelo
si avvolge e si attorciglia per scaricare, sulla parte della pianta da cui partono
le radici, l’acqua che ha succhiato nella sua cavità interna o tubo. A volte, se
non c’è acqua nelle vicinanze, lo stelo si muove prima in una direzione poi in
un’altra, alla ricerca dell’acqua, e quando la trova si comporta come abbiamo
descritto. Se questa pianta viene toccata mentre lo stelo è in estensione, si
comporta in tutto e per tutto come una pianta sensibile, e lo stelo si riavvolge
a spirale più rapidamente di quando prende acqua”.
Gli esperimenti condotti da quel mago delle piante che è Luther Burbank ci
forniscono numerosi esempi della maniera in cui la “mente” della pianta
reagisce a un mutato ambiente, per trarre vantaggio da condizioni migliori
adattandovisi nel modo più efficace.
Alcuni scienziati ritengono possibile che, mutando in grado sufficiente
l’ambiente della pianta al fine di sollecitare sue possibilità latenti di attività
mentale, questa si dimostri capace di uno sviluppo dal punto di vista
dell’attività mentale che l’avvicini alle forme inferiori di vita animale, o
addirittura gliele faccia sopravanzare.
IV. Il piano degli animali
Qui, una volta di più, scopriamo che non c’è una linea divisoria definita tra
piani di coscienza contigui. Proprio come la coscienza minerale si fonde con
la coscienza vegetale, così come abbiamo visto, allo stesso modo la coscienza
vegetale si fonde con la coscienza animale. In effetti, nel caso delle forme più
elementari di vita animale risulta a volte quasi impossibile stabilire se la
forma particolare considerata sia un vegetale o un animale. Forme di vita che
in passato la scienza considerava “animale” oggi vengono inserite nella
categoria della vita vegetale, e vice versa.
La coscienza nell’ambito della vita animale presenta una varietà di forme
che va dai primi pallidi barlumi nelle creature unicellulari che vivono nel
limo del letto dell’oceano, fino alla piena alba della coscienza nelle forme
superiori di vita animale come il cavallo, il cane, l’elefante, e così via. In
ciascun caso, tuttavia, si potrà verificare che ogni creatura è dotata di un
grado di intelligenza sufficiente a provvedere ai suoi bisogni e alle sue
necessità, e ad adattarsi al proprio ambiente. Man mano che cresce la
complessità dell’ambiente, la forma di vita animale o adatta la propria
coscienza alle accresciute difficoltà, o perisce nel corso dell’evoluzione.
La forma più conosciuta di vita animale unicellulare è il moneron (plurale
monera), che è composto di un’unica cellula ed è simile a una gocciolina di
colla. Esso appartiene alla classe più infima di vita animale, quella dei
protozoi. Il moneron vive nell’acqua ed è una goccia estremamente minuta,
informe, priva di colore, vischiosa, appiccicosa, di sostanza protoplasmatica.
Non ha alcun tipo di organo e tutte le sue parti sono simili; le mancano parti o
organi specifici con cui espletare le funzioni della creatura vivente nel modo
proprio delle forme superiori di vita. Tuttavia, questa creatura priva di organi
è in grado di espletare quelle funzioni vitali che chiamiamo rispettivamente
nutrizione, riproduzione, sensazione e azione volontaria.
Questa creatura semplice riceve impressioni dall’esterno e reagisce a esse.
Cerca il cibo e fugge i nemici. Ha quel tanto di intelligenza di cui ha bisogno.
Al gradino successivo della vita animale troviamo l’ameba. Anche questa
creatura è un animale unicellulare. Si sposta tramite il continuo allungamento
di un finto piede e il successivo ritiro dello stesso, il che le dà l’aspetto di un
organismo dalle molte dita o piedi. Questa creatura ha un primo abbozzo di
“parti” e “organi” rudimentali.
Fermiamoci qui per un istante, prima di passare a considerare forme
superiori di vita animale. Motivo del nostro indugio è richiamare l’attenzione
del lettore sulla somiglianza dei monera e delle amebe con le cellule di cui è
composto il corpo umano. Le ordinarie cellule dell’animale superiore e
dell’uomo ricordano da vicino e in vari modi i monera, mentre i globuli
bianchi del sangue degli animali e dell’uomo presentano una sorprendente
somiglianza con le amebe per ciò che riguarda le dimensioni, la struttura
generale e il modo di muoversi; non a caso la scienza li definisce “ameboidi”.
I globuli bianchi del nostro sangue, questi “ameboidi”, modificano la loro
forma, assumono cibo in modo intelligente, e conducono un’esistenza
apparentemente autonoma, con movimenti che dimostrano l’indubitabile
presenza di “pensiero” e “volontà”.
Le cellule di cui sono composti i corpi degli animali e dell’uomo sono a
tutti gli effetti creature viventi autonome, e ciascuna di loro è in possesso di
un’intelligenza sufficiente a svolgere i compiti e le funzioni vitali. Per mezzo
di un’operazione che gli occultisti chiamano “mente collettiva”, consistente
nel fatto che più cellule indipendenti coordinano la loro attività, tali cellule
svolgono le funzioni coordinate di un organismo. Ognuna di queste menti
cellulari si dimostra perfettamente adatta alla funzione che è chiamata a
svolgere. Il lavoro che queste cellule fanno, estraendo dal sangue l’esatta
quantità di nutrimento di cui hanno bisogno, è soltanto un’ulteriore prova
della presenza in esse di questo tipo di mente. A tutti gli effetti le cellule del
corpo sono come le singole api nell’alveare, vale a dire creature viventi
intelligenti e indipendenti che cooperano al bene comune.
Ogni creatura vivente, da quella più alta a quella più bassa, è dotata di
quel grado di coscienza e di intelligenza che è adeguato alle necessità della
sua sopravvivenza e delle sue attività. Darwin disse una volta che “il cervello
di una formica, sebbene non molto più grande di una punta di spillo, è uno
dei più meravigliosi atomi di materia nel mondo, forse ancora più
meraviglioso del cervello dell’uomo”.
Nella scala ascendente della vita animale il lettore scoprirà innumerevoli
varietà e specie, sottospecie e variazioni nell’ambito delle specie. In ciascuna
di esse troverà una lieve differenza nel grado e nella qualità dell’intelligenza
manifestata dalla creatura. Anche tra gli individui delle stesse specie si
troverà una grande varietà di simili manifestazioni. Nel quadro di insieme,
tuttavia, egli potrà riconoscere un determinato piano generale di coscienza
che si può definire il “piano animale” in quanto distinto da un lato dal “piano
minerale”, e dall’altro dal “piano umano”.
Parte VIII
I tre piani superiori di coscienza
Siamo adesso arrivati a quello stadio della nostra presentazione del tema della
dottrina segreta dei Rosacroce, e in particolare di quella parte conosciuta
come i sette piani di coscienza, nella quale chiediamo al lettore di considerare
gli stadi della coscienza al di sopra del piano della coscienza animale. Di
conseguenza ci occuperemo adesso di quei tre grandi piani coscienza che
cominciano con il piano della coscienza umana, includono i piani di
coscienza dei semidei e trovano la loro più alta manifestazione sul piano della
coscienza degli dèi.
Se da un lato questi tre piani superiori di coscienza sono inclusi nel
simbolo rosacrociano dei sette piani di coscienza, quello, cioè, dei sette cerchi
collegati, i Rosacroce hanno anche un simbolo speciale con il quale essi
rappresentano questi tre meravigliosi piani superiori di coscienza, vale a dire
il simbolo dei tre cerchi collegati (si veda l’illustrazione). Qui si noterà anche
che ciascun cerchio è collegato con gli altri due, con la circonferenza di
ciascun cerchio che si interseca con quella degli altri; ciò allude al fatto che
ciascun piano di coscienza è fuso con gli altri, una verità che diverrà più
evidente man mano che procederemo, senza che ci sia bisogno di
commentarla ulteriormente in questo capitolo.
V. Il piano della coscienza umana
Il piano della coscienza umana, come il nome indica, è quel piano dell’attività
cosciente che si manifesta negli esseri umani, superiori e inferiori, in una
varietà di gradi. Questo piano di coscienza, al pari di tutti gli altri sette, si
divide in sette sottopiani, e ciascuno di questi in altri sette, e così via, come
spiegato in precedenza. Inoltre, a un estremo questo piano è collegato con i
sottopiani superiori del piano della coscienza animale, mentre all’altro
estremo si fonde con i sottopiani inferiori del piano immediatamente
superiore della coscienza dei semidei. Di nuovo, considerando il simbolo dei
tre cerchi collegati, lo stesso individuo che manifesta la propria appartenenza
al piano della coscienza umana è (in una certa misura) in contatto con i due
piani superiori, conosciuti, rispettivamente, come il piano della coscienza dei
semidei e il piano di coscienza degli dèi.
La ragione per cui i Rosacroce pongono questi tre piani superiori di
coscienza in una trinità di cerchi, apparentemente separati dai quattro piani
inferiori, è che su questi tre piani superiori di coscienza l’anima individuale
manifesta l’autocoscienza, ovvero la coscienza dell’”io sono”, mentre sui
quattro piani inferiori la coscienza dell’”io” è totalmente assente, e l’attività
mentale è più o meno automatica e istintiva.
Nelle forme inferiori di coscienza umana l’attività mentale ed emozionale è
poco più elevata di quella degli animali superiori; anzi, in certi casi gli
animali sembrano in effetti dimostrare un grado maggiore di potenza
intellettuale, sebbene a livello istintivo. Tuttavia, anche nelle forme inferiori
di vita umana appare almeno un fioco barlume di autocoscienza, ovvero la
convinzione che “io sono io”, quella forma di coscienza per mezzo della
quale l’individuo umano diviene consapevole di se stesso come entità
individuale. Questo, più che il grado di sviluppo intellettuale, è il
caratteristico marchio distintivo dell’essere umano.
Figura 11. Simbolo dei tre piani superiori di coscienza
Risulta piuttosto diffìcile descrivere chiaramente con le parole la reale
differenza tra le forme superiori di coscienza animale e le forme inferiori di
autocoscienza dell’essere umano, anche se la differenza tra l’animale superiore e l’uomo superiore è sotto questo riguardo abbastanza marcata.
Premessa la difficoltà della spiegazione, si potrebbe dire che mentre anche
nel caso dell’animale superiore la coscienza è sempre orientata verso
l’esterno, anche nel tipo più basso di uomo è presente almeno una minima
traccia di un orientamento della coscienza verso l’interno. L’animale pensa
sempre alle cose esterne, mentre l’uomo, anche primitivo, pensa
occasionalmente a se stesso, fa di se stesso l’oggetto dei propri pensieri,
almeno nel senso del riflettere sui propri sentimenti o idee, confrontandoli
con quelli passati. Ovvero, una volta di più, non c’è un “mondo interiore”, o
“qualcosa di interno” all’animale, mentre l’uomo è sempre consapevole
(almeno in qualche misura) del “qualcosa di interno” in quanto distinto dal
“qualcosa d’esterno”.
Uno degli esempi preferiti dagli psicologi, da essi impiegato per
sottolineare la distinzione tra la coscienza semplice dell’animale superiore e
l’autocoscienza dell’essere umano, è descritto di seguito. Un cavallo lasciato
al freddo nel nevischio e sotto la pioggia indubitabilmente avverte il disagio
della situazione e sente dolore; non è però in grado di analizzare i propri stati
mentali e di chiedersi quando il suo padrone verrà fuori a prenderlo, né tanto
meno di riflettere sulla crudeltà di essere stato lasciato fuori dalla tiepida
stalla.
L’animale è consapevole del disagio, proprio come l’uomo, e correrebbe a
casa se potesse, proprio come farebbe l’uomo. Non è però capace di
compatirsi, né di chiedersi se dopo tutto una simile vita valga la pena di
essere vissuta. Esso “sa”, ma “non sa di sapere”, a differenza dell’uomo.
L’animale non è capace di conoscersi.
Non dobbiamo tuttavia cadere nell’errore di supporre che anche gli uomini
meno sviluppati posseggano in grado elevato questa capacità di
autocoscienza.
Al contrario, in entrambi i casi si può dire che tale forma di coscienza sia
presente in uno stadio appena iniziale e “aurorale”, anche se questa aurora
rappresenta comunque un netto progresso rispetto alle tenebre della notte
mentale.
Uno psicologo moderno dice delle forme relativamente superiori di
autocoscienza: “Tante persone non hanno mai nulla più che un’idea nebulosa
di tale condizione mentale. Esse si fermano ai dati immediati del proprio
essere, e non volgono mai lo sguardo alla loro in-teriorità”.
Lo sviluppo delle forme superiori di autocoscienza può notarsi nel
graduale dispiegamento della mente del bambino, poiché sul piano mentale,
non meno che su quello fisico, il cucciolo dell’uomo ripercorre rapidamente
tutti gli stadi dell’evoluzione dei suoi remoti antenati. A un determinato
stadio dello sviluppo o dell’evoluzione mentale si presenta un momento
particolare in cui il bambino pare risvegliarsi all’aurorale coscienza del fatto
di essere un individuo, e non un semplice agglomerato di sentimenti e
desideri. Fino a un determinato momento il bambino parla di se stesso in
terza persona e dice, ad esempio, “Gianni”, “Maria”, ecc. Poi, tutto
all’improvviso, parlando di se stesso comincia a utilizzare il termine “io” o
“me”; anche se può succedere che commetta errori grammaticali utilizzando
tali pronomi non vi è tuttavia mai alcun dubbio che il bambino sappia a cosa
essi si riferiscano: egli conosce l’”io sono io”.
Alcuni psicologi richiamano l’attenzione sul fatto che molti bambini
sperimentano un sentimento affine al terrore quando arrivano per la prima
volta a questa coscienza dell’”io”, ovvero dell’individualità. Degli scrittori
hanno testimoniato di aver provato uno strano senso di solitudine e di
distacco da tutte le altre cose quando questo senso dell’individualità si è
imposto per la prima volta nell’infanzia. In alcuni casi la più piena alba
dell’autocoscienza si accompagna all’insorgere di una nuova timidezza,
riservatezza o a quello stato più o meno patologico comunemente definito
“imbarazzo”. All’acquisizione di una capacità d’introspezione spesso si
aggiunge la tendenza a impiegare troppo liberamente quest’ultima e divenire
così da un lato morbosi, dall’altro scioccamente egocentrici e vani.
Uno scrittore afferma giustamente: “Anche se questo senso di separazione
e isolamento diviene meno acuto man mano che l’uomo invecchia, tuttavia è
sempre presente in un grado maggiore o minore finché non viene raggiunto
uno stadio ancora più alto, quando esso svanisce. Questo stadio di imbarazzo
è penoso per molti. Tanti si ritrovano invischiati in una matassa di stati
mentali che identificano con il proprio io, e la lotta tra l’ego che si sta
risvegliando e l’involucro che lo avvolge è in certi casi estremamente
dolorosa. Questa lotta diviene sempre più dolorosa man mano che l’individuo
procede attraverso questo stadio di imbarazzo e si avvicina al punto in cui ne
uscirà. L’uomo mangia il frutto dell’albero della conoscenza e comincia a
soffrire, e viene cacciato dal giardino dell’Eden della coscienza infantile in
cui l’individuo è vissuto come gli uccelli, senza preoccuparsi degli affari
della sua natura superiore. L’uomo paga un caro prezzo per il dono
dell’autocoscienza, ma vale la pena di pagarlo, poiché alla fine egli raggiunge
vette di coscienza superiore e viene sgravato del suo fardello”.
Con la nascente consapevolezza dei propri stati mentali l’individuo giunge
a comprendere che anche gli altri esseri umani sono caratterizzati da stati
mentali simili, ed egli comincia a interrogarsi e a ragionare circa il
funzionamento di tali stati in loro. Poi sopraggiunge il desiderio di
comunicare le proprie idee alla mente degli altri, e di appellarsi ai loro
sentimenti o alla loro ragione. Tutto ciò favorisce lo sviluppo dell’intelletto e
del pensiero logico, che è una caratteristica marcata della coscienza umana in
evoluzione. L’uomo comincia a cercare una risposta ai tanti “perché” che gli
si presentano, e si sforza di passare con il ragionamento dal conosciuto allo
sconosciuto. Poi si dedica a inventare strumenti idonei a produrre le cose che
desidera. Attacca il proprio intelletto al carro dei suoi desideri, e lo guida
dirigendolo con la volontà, l’auriga.
Certo, come abbiamo detto, l’uomo deve pagare un prezzo sempre
crescente man mano che avanza nel nuovo territorio dell’esistenza e
dell’esperienza cosciente. Più cose conosce, più ne desidera; e più ne
desidera, più soffre per non possederle. La capacità di soffrire è il prezzo che
l’uomo paga per il suo progresso nella scala dell’autocoscienza, ma ad
accompagnarla egli ha una corrispondente capacità di provare piacere. Egli
non soffre soltanto il dolore dei desideri insoddisfatti di possesso di cose
materiali e quello dei bisogni fisici, ma soffre anche il dolore che nasce dalla
mancanza di risposte intelligenti al volume sempre crescente di problemi che
si presentano al suo intelletto in evoluzione perché questo li risolva. Soffre
an- che il dolore di aspirazioni inappagate, delusioni e ambizioni frustrate.
L’animale vive la sua vita ed è soddisfatto, poiché non conosce di meglio.
Se ha abbastanza da mangiare, un luogo dove dormire, un compagno, è
soddisfatto e non chiede di più: ha pochi bisogni e, anche se il suo grado di
felicità è limitato, gli manca la capacità di avvertire il dolore mentale ed
emozionale posseduto da chi sta più in alto nella scala. Anche molti uomini
sono poco sopra questo stadio: essi si accontentano facilmente, ignorano i
desideri insoddisfatti che rendono altri infelici. Non conoscono domande
senza risposta: non si immaginano nemmeno che tali domande esistano.
Quando l’uomo progredisce, però, i suoi bisogni si moltiplicano, e il suo
dolore aumenta. Nuovi bisogni trovano una soddisfazione solo parziale, e la
parte non soddisfatta gli causa dolore. La civiltà diventa sempre più
complessa, e si manifestano nuovi bisogni e mancanze. L’uomo si attacca alle
“cose” e si crea bisogni artificiali che deve sforzarsi di soddisfare. Il suo
intelletto spesso non riesce a condurlo in alto, e troppo spesso lo rende
meramente capace di inventare nuovi e sottili mezzi e modi per gratificare i
propri sensi, in una misura impossibile agli animali o all’uomo primitivo.
Alcuni uomini fanno una religione del soddisfacimento della loro sensualità e
dei loro appetiti, e sotto questo aspetto sprofondano a un livello inferiore a
quello delle bestie. Altri divengono vani, presuntuosi e saturi di un senso
gonfiato dell’importanza della loro personalità, oppure morbosamente
introspettivi, e passano il tempo analizzando e sezionando i loro stati
d’animo, le loro motivazioni e i loro sentimenti. Alcuni esauriscono la loro
capacità di provare piacere e felicità cercando quest’ultima fuori di loro
anziché in se stessi. Queste, tuttavia, sono le ombre scure proiettate dalla luce
luminosa della coscienza umana, le ombre sempre considerate l’opposto di
qualsiasi vero progresso o evoluzione.
Man mano che l’uomo progredisce nella scala dell’autocoscienza, egli si
trova a distaccare gradualmente il proprio senso del sé dai suoi involucri e
strumenti di lavoro. Egli comincia a rendersi conto che esiste un “io sono”
interno al suo essere, per il quale tutti i sentimenti, le emozioni, i desideri, e
anche i pensieri e le idee sono solo accidenti.
In questo stadio elevato egli si percepisce come un “io sono” circondato
dai propri strumenti e beni mentali ed emozionali: un sole circondato dai suoi
mondi e dalle sue attività vorticanti. Egli si rende conto che l’ego non solo è
superiore al corpo, ma anche alla “mente” e ai sentimenti, e impara a
padroneggiare e a utilizzare intelligentemente il suo corpo, il suo intelletto e
le sue emozioni.
Uno scrittore famoso ha detto a proposito dell’uomo in questo stadio
progredito: “Se siamo disposti a credere in questa padronanza sul corpo,
dobbiamo essere pronti a credere anche in quella sui nostri pensieri e
sentimenti. Che un uomo debba essere preda di ogni pensiero che occupi
casualmente la sua mente viene da noi comunemente considerato inevitabile.
Può causare disappunto che egli debba venir tenuto sveglio tutta la notte dalla
preoccupazione per l’esito di una causa giudiziaria dibattuta in tribunale
l’indomani, ma che egli possa avere la capacità di determinare se lasciarsi
privare del sonno o no sembra una pretesa stravagante. L’immagine di una
calamità im- minente è senza dubbio odiosa, ma la sua stessa odiosità
(diciamo noi) fa sì che essa perseguiti la mente con tanta più insistenza e che
sia impossibile espellerla.
“Tuttavia è assurdo che l’uomo, il prodotto di una lunga evoluzione, venga
tormentato dalle creature incorporee del suo stesso cervello. Se una pietruzza
nella scarpa ci tormenta, ci togliamo la scarpa e la buttiamo fuori. Una volta
compreso questo concetto, diventa altrettanto facile espellere dalla mente un
pensiero intrusivo e spiacevole, e su questo fatto non ci dovrebbero essere
disparità d’opinione. La cosa è ovvia, chiara e inequivocabile. Fino a che un
uomo non sarà capace di espellere i pensieri negativi dalla sua mente non ha
senso parlare del suo potere sulla natura, e di tutto il resto. Egli è un semplice
schiavo, una preda per i fantasmi dalle ali di pipistrello che svolazzano lungo
i corridoi del suo cervello. Tuttavia i volti stanchi e tirati che incontriamo a
migliaia, anche nell’ambito delle classi sociali più benestanti della nostra
società, dimostrano fin troppo chiaramente quanto raramente venga ottenuta
tale padronanza. Quanto raramente, infatti, ci si imbatte in un uomo. Come è
comune invece scoprire una creatura tormentata dalla tirannia dei suoi
pensieri (o delle preoccupazioni e dei desideri), che si fa piccola e si contorce
a ogni frustata, o che magari si vanta di correre felice al comando di un
guidatore che fa schioccare le redini e lo persuade di essere libero, e con il
quale non possiamo mai parlare serenamente a quattr’occhi perché quella
presenza aliena è sempre lì, di guardia.
“Uno degli insegnamenti più carichi di conseguenze di certe scuole di
filosofia occultistica è che si deve raggiungere la capacità di espellere i
pensieri o, se necessario, ucciderli sul nascere. Naturalmente questa è un’arte
che richiede esercizio ma, al pari di altre arti, una volta acquisita, è scevra di
misteri o difficoltà. Vale la pena di esercitarsi poiché la vera vita ha inizio
soltanto quando si diventa padroni dei propri pensieri. Invece di essere
governati dalla loro immensa moltitudine, varietà e potenza, questa capacità
di controllo si mette a nostra disposizione e la vita diviene una cosa così vasta
e grandiosa in confronto a ciò che era prima, che la sua precedente
condizione può ben sembrare quasi prenatale. Chi è in grado di uccidere un
pensiero, è in grado di farci ciò che vuole. Questo potere non solo libera
l’individuo dal tormento mentale (che rappresenta almeno i nove decimi delle
sofferenze della vita), ma gli conferisce una capacità di concentrazione e di
realizzazione dei propri scopi, assolutamente sconosciuta a lui prima di
allora. Uno dei fattori determinanti è il riuscire a passare dalla massima
concentrazione al riposo assoluto, senza alcuna agitazione, in cui l’uomo
deve ritirarsi in quella regione della sua coscienza ove dimora il suo vero io.”
Se il lettore riuscirà a padroneggiare questi concetti, diverrà davvero
padrone della sua mente. Se poi riuscirà a estenderli al campo delle sue
emozioni, riuscirà a dominare anch’esse, un risultato, questo, di inestimabile
valore.
Tuttavia, prima di procedere scoprirà che è necessario giungere alla piena
realizzazione del fatto che il suo sé, il suo “io” reale, è un qualcosa di
superiore al suo pensiero e alle sue emozioni, e di trascendente rispetto a essi.
Egli deve pervenire a una vivida realizzazione dell’”io sono”, prima di poter
sperare di essere legittimato a dire “io opero” in riferimento a queste
importanti acquisizioni.
Gli antichi maestri rosacrociani usavano dire: “Solo quando l’io sa di
essere il sé e il maestro, allora è in grado di sedersi sul suo trono e di imporre
la sua volontà sui sudditi nel mondo dei pensieri, dei desideri, dei sentimenti
e delle emozioni”.
Non solo può l’”io” illuminato manifestare il proprio potere, ma può far
valere la sua volontà in quella regione che la psicologia popolare moderna ha
deciso di chiamare il “subconscio”.
Non si tratta di altro che di quella grande regione della mente che si trova
oltre i limiti del campo dell’attenzione cosciente. È in quella grande regione
che si svolge gran parte dell’attività di pensiero dell’uomo medio, e i suoi
risultati si riflettono in modo più o meno casuale nel campo della sua
attenzione.
Senza entrare troppo profondamente nel tema diremo qui che l’uomo che
ha afferrato la realtà e il potere dell’”io” è in grado di impartire dei veri e
propri ordini a questa parte della sua mente. Diventa cioè in grado di fargli
compiere il lavoro di classificazione del pensiero, induzione e deduzione, ma
anche di fargli presentare alla sua attenzione cosciente, in qualsivoglia
momento e luogo, la relazione sul lavoro svolto. I padroni della mente si
risparmiano così gran parte della fatica degli ordinari processi intellettivi, e
ottengono risultati logicamente perfetti e pronti all’uso, secondo la quantità di
addestramento e la direzione che hanno saputo imporre alle suddette regioni
della mente.
In conclusione, vorremmo richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che
l’individuo ordinario diventa cosciente soltanto su alcuni sottopiani e
sottodivisioni inferiori del piano della coscienza umana; e che esistono
meravigliose regioni all’interno del grande piano che attendono di essere
esplorate da uomini saggi e dalle lontane generazioni future.
I saggi non attendono l’evoluzione del grosso dell’umanità, che richiederà
secoli, ma prendono la scorciatoia che conduce ai sottopiani superiori per
mezzo di un attento addestramento indicato da maestri capaci che hanno
dimostrato la virtù e il valore dei metodi conosciuti e insegnati dagli occultisti
più progrediti per migliaia di anni; gli insegnamenti rosacrociani
rappresentano uno splendido esempio dei risultati raggiunti.
Anche senza arrivare ai due piani di coscienza ancora superiori, gli
illuminati possono raggiungere vertici di conquiste mentali, ben al di sopra di
quelle che l’individuo ordinario può a malapena sognare.
VI. Il piano della coscienza dei semidei
Esiste un piano di coscienza talmente più elevato del piano più alto della
coscienza umana, che i Rosacroce hanno applicato a esso il nome un po’
fantasioso di “piano della coscienza dei semidei”.
Questo perché l’individuo che raggiunge questi vertici è talmente superiore
al semplice uomo che sembra essere “quasi pari agli dèi”. I Rosacroce
insegnano che su questo piano dell’essere dimorano certe anime assai
progredite, un tempo uomini, ma ora quasi dèi se comparati agli uomini, che
collaborano alla grande opera del progresso della razza umana nel corso
generale dell’evoluzione spirituale.
L’insegnamento rosacrociano prevede che la razza umana nella sua
interezza si stia lentamente evolvendo in direzione di questo elevato piano di
coscienza e che sia destinata in un lontano futuro a raggiungerla. Nel
frattempo, tuttavia, determinate anime progredite hanno trasceso il piano
umano e sono passate a un piano superiore, dal quale aiutano e assistono il
resto dell’umanità. Inoltre all’individuo il cui sviluppo è rapido, per una o più
di tante cause ben conosciute, vengono a tratti “lampi di coscienza” dal
summenzionato piano superiore, aprendo un contatto cosciente momentaneo
con esso. Le pagine dei documenti mistici sono piene di attestazioni di
esperienze di questo tipo. In determinate forme di fervore poetico, esaltazione
religiosa ed esperienza mistica sopraggiungono tali lampi, la cui azione viene
puntualmente attestata dagli individui che la sperimentano. Il modo in cui
essi la ricordano di solito riflette la filosofia, la religione o le convinzioni
generali della persona che sperimenta il contatto o l’”illuminazione”, poiché
la persona stessa non si rende conto pienamente di quale sia la sorgente da
cui è venuto il lampo di verità.
In anni recenti, molte di queste esperienze sono state classificate e incluse
da vari autori nelle loro opere sotto il titolo generale di “coscienza cosmica”.
Nella maggior parte dei casi le persone che hanno avuto il beneficio di tali
esperienze e coloro che le hanno documentate sono dell’opinione che tale
lampo di coscienza sia il massimo concesso all’uomo. Tuttavia, per quanto
meravigliose queste esperienze appaiano, esse sono nella maggior parte dei
casi soltanto lampi d’intuizione della luce di alcuni dei sottopiani inferiori del
grande piano dei semidei: esisto- no, infatti, innumerevoli piani superiori che
attendono lo sviluppo dell’essere perché questo possa sperimentare la loro
luce e la loro gloria, e al di là di tutti questi sta il piano più elevato di tutti, il
piano degli dèi, per il quale tutto il resto è soltanto una pallida ombra della
realtà.
Il tratto caratteristico del piano di coscienza dei semidei è quello
dell’unione con la vita universale, la coscienza della vita del manifesto nella
sua interezza. Pur naturalmente variando per grado e forma, è questo il tratto
caratteristico di tutte le esperienze legate a tale grande piano di attività
cosciente. Su questo piano l’individuo si sente in stretto contatto con tutto il
resto della creazione, una parte del Tutto (non separata da esso). Il contatto
anche fugace con questo piano dell’essere rappresenta la comune “esperienza
mistica”, celebrata da saggi, veggenti, poeti e anime illuminate di tutte le
epoche, riguardo alla quale essi hanno cercato di informarci con parole
inadeguate al compito. Lo studio di questi resoconti mistici getta una grande
luce sul tema, ed è ben meritevole del tempo e dell’attenzione di tutti gli
studiosi seri della dottrina dei Rosacroce. Il lettore deve sempre ricordare,
tuttavia, che tali esperienze non esauriscono quanto vi è da scoprire su questo
tema, né rappresentano una parola di verità definitiva. Per quanto pregevole
sia questa parte della dottrina, non deve mai essere scambiata per la vetta più
alta della montagna della verità.
Per coloro che hanno sperimentato i lampi dell’illuminazione, o il barlume
del fuoco della coscienza cosmica (due classi di fenomeni le quali entrambe
appartengono al piano della coscienza dei semidei), è sopraggiunta la
consapevolezza dell’effettiva unità della vita dell’universo, nonché del fatto
che l’universo sia animato da una vita che è diffusa in ogni porzione della sua
estensione e manifestazione, permeandola. Essi hanno ormai raggiunto la
certezza che nell’universo non vi sia nulla di “morto”, e che ogni parte e
porzione di esso, individuale o collettiva, sia imbevuta di vita. Non solo
questo, ma almeno nel momento dell’esperienza fatta essi hanno potuto
avvertire con la massima sicurezza che l’individuo è in contatto con questa
vita una, e rappresenta un centro di attività nel suo ambito.
Va altresì notato che in simili esperienze non è presente soltanto una
convinzione intellettuale circa la verità dei fatti appena ricordati, ma al
contrario si manifesta anche una vera e propria “conoscenza” diretta e
immediata di tali fatti. L’individuo che ha quest’esperienza conosce queste
cose così come sa di essere vivo e presente nell’universo. Risulta impossibile
comunicare l’esatta natura di tale coscienza a chi non abbia intravisto almeno
un fugace lampo di essa. La si può descrivere soltanto nei suoi termini propri.
Nella maggior parte di questi casi, mentre la coscienza vera e propria
svanisce dopo pochi attimi, rimane però un ricordo che non abbandona più
l’individuo, e che gli fornisce una tale certezza della verità di cui è stato
testimone, che nulla potrà mai scuotere le sue convinzioni al riguardo. Va
ricordato che questi lampi di coscienza sono premonizioni di quello stadio di
coscienza che in un imprecisato futuro diverrà lo stato normale dell’umanità.
Non va neanche dimenticato che esiste al mondo un gruppo di anime
progredite per le quali questo stadio è quello normale e abituale, e in cui è
sempre presente una piena e attuale coscienza dell’unità della vita universale.
Tali individui sono davvero semidei in confronto all’essere umano medio.
Alcune delle grandi guide dell’umanità, fondatori di grandi religioni e altre
figure di questo tipo, erano sature di questa consapevolezza e si sforzarono di
renderla manifesta in forma velata ai loro seguaci che non erano abbastanza
forti per sopportare il peso della verità nella sua interezza. Molte di queste
grandi anime sono ancora presenti in carne e ossa sulla terra, essendosi
incarnate in nuove forme, e continuano la loro opera cercando di elevare
l’umanità.
Un poeta moderno, nell’esprimere la propria convinzione circa l’universale
unità della vita, utilizza termini che risulteranno familiari a tutti coloro che
hanno avuto lampi di coscienza cosmica, scrivendo:
“Poiché il Tutto è Uno, e ognuno è parte di ogni parte,
Mai da esse diviso, ad esso sempre unito,
E il sangue della Vita ha un solo cuore che batte,
In Dio, nella zolla di terra e in Me!”.
Walt Whitman, che aveva sperimentato personalmente la coscienza
cosmica, dice di tale esperienza:
“Come in un deliquio, in un attimo
Un altro sole, ineffabile, mi abbaglia completamente
E tutti i pianeti che conoscevo,
e pianeti sconosciuti, più luminosi,
Un attimo della terra futura, la terra del Cielo.
“Non posso essere sveglio,
poiché nulla mi appare come mi appariva prima,
O invece sono sveglio per la prima volta,
e tutto prima è stato un sonno pesante.
“Quando cerco di raccontare il meglio che trovo,
non mi riesce;
La mia lingua è inefficace sui suoi cardini,
Il mio respiro non obbedirà ai suoi organi,
Divengo un uomo muto”.
Tennyson, secondo i suoi amici, godeva di barlumi e lampi di coscienza
cosmica, e in molte sue poesie ha dato espressione ai pensieri e ai sentimenti
legati a quegli istanti. I versi che seguono ne sono un ottimo esempio:
“Poiché la conoscenza è la rondine sul lago
Che vede e ne smuove l’ombra di superficie,
Ma non si è ancora mai tuffata nell’abiisso,
L’Abisso di tutti gli Abissi, al di sotto, compreso
Nell’azzurro del cielo e del mare, nel verde della terra,
E nel milionesimo del granello
Che continua a scindersi all’infinito
E sempre svanendo, non svanisce mai...
E più, figliolo, più di una volta quando io
Sedevo da solo, rivoltando in me stesso
Quella parola che è il simbolo di me stesso,
Il simbolo mortale del Sé si sciolse,
E passò nel Senza Nome, così come una nube
Si scioglie nel cielo. Toccai le mie membra,
le membra Mi erano estranee, non mie;
eppure non un’ombra di dubbio,
Ma totale chiarezza, e attraverso la perdita del Sé
Il guadagno di una vita così ampia
che confrontata alla nostra
Era il Sole accanto alla scintilla,
non adombrabile in parole,
Esse stesse soltanto ombre di un mondo d’ombra”.
Il dottor Maurice Bucke, di Toronto, alcuni anni fa pubblicò un libro
intitolato La coscienza cosmica, in cui raggruppava svariate interessanti
esperienze su questa stessa linea, raccontate da chi ne era stato protagonista.
Lo stesso dottor Bucke, insieme all’amico Walt Whitman e altri, aveva
sperimentato lampi di questo medesimo stadio di coscienza. Egli trasse dalla
considerazione di tali esperienze la seguente idea generale:
“Sovrapposta all’autocoscienza, così come questa lo è alla coscienza
semplice, una terza e più alta forma di coscienza si sta manifestando in questo
momento nell’umanità. Tale forma appare all’epoca della piena maturità
dell’individuo, intorno all’età di trentacinque anni, e comunque quasi sempre
tra i trenta e i quaranta.
Negli ultimi due secoli se ne sono avuti casi sporadici, ma ora essa sta
divenendo sempre più comune. In verità, sotto tutti gli aspetti fin qui
osservati, essa obbedisce alle leggi a cui è soggetta ogni nuova facoltà. Si
hanno oggi nel mondo molti esempi più o meno perfetti di questa nuova
facoltà, ed è stato mio privilegio conoscere personalmente e avere la
possibilità di studiare diversi uomini e donne che la possedevano. Nel corso
di qualche altro millennio dovrebbe nascere dall’attuale razza umana un tipo
superiore di uomo, in possesso di questo tipo superiore di consapevolezza.
Tale nuova razza, come è legittimo defi- nirla, verrebbe ad occupare rispetto
a noi una posizione simile a quella da noi occupata rispetto all’”alulus homo”
dotato di coscienza semplice. L’avvento di questa razza superiore, migliore e
più felice semplicemente giustificherebbe le interminabili doglie della sua
nascita attraverso epoche innumerevoli del nostro passato.
È il primo articolo del mio credo, parte dei cui fondamenti ho cercato di
illustrarvi, che una nuova razza è in corso di evoluzione”.
In un’altra parte del suo libro, il dottor Bucke indica le seguenti
caratteristiche generali del particolare tipo di esperienze da lui documentate:
“Negli ultimi tre anni ho raccolto ventitrè testimonianze di casi della
cosiddetta coscienza cosmica. In ciascun caso il presentarsi o l’insorgere
della nuova facoltà è sempre improvviso, istantaneo. Tra i sentimenti inusuali
che la mente sperimenta vi è un improvviso senso di immersione in una
fiamma o in una luce brillante.
Ciò accade senza alcun motivo esterno di preoccupazione, e può succedere
a mezzogiorno o nel mezzo della notte, facendo ritenere alla persona
interessata di stare impazzendo. A queste sensazioni si accompagna un senso
di immortalità: non un semplice sentimento di certezza circa una vita futura,
il che sarebbe poca cosa, ma una precisa coscienza che la vita che si sta
vivendo è eterna, e che la morte è soltanto un trascurabile incidente che non
ne mina la continuità.
Un elemento ulteriore è dato dall’annichilimento del senso del peccato e da
una straordinaria lucidità intellettuale, impossibile sul piano ordinario e che
rimanda a un piano superiore e interamente nuovo (...). L’umanità cosmicamente conscia non sarà quella che esiste oggi, così come quella attuale
non coincide con l’umanità precedente allo sviluppo dell’autocoscienza. Una
nuova razza sta nascendo dalla nostra, ed essa in un prossimo futuro possiederà la terra”.
Emerson, nel suo straordinario saggio La superanima, lascia chiaramente
trasparire una conoscenza personale dell’esperienza che abbiamo collegato
alla cosiddetta “coscienza cosmica”. Le seguenti citazioni serviranno a
chiarire il suo pensiero su tale argomento:
“Sempre, credo, per necessità della nostra costituzione, un certo
entusiasmo accompagna la consapevolezza che l’individuo ha della presenza
divina. Il carattere e la durata di questo entusiasmo varia con lo stato
dell’individuo, passando dall’estasi, la trance e l’ispirazione profetica, che ne
rappresenta una manifestazione più rara, al più tenue bagliore di emozione
virtuosa, nella cui forma esso riscalda come i nostri focolari domestici tutte le
famiglie e le associazioni degli uomini, rendendo possibile la società. Una
certa tendenza alla follia ha sempre accompagnato negli uomini lo sbocciare
del sentimento religioso, come se questi ‘avvampassero dopo un’esposizione
a una luce troppo violenta’. La trance di Socrate, l’unione di Plotino, la
visione di Porfirio, la conversione di Paolo, l’aurora di Böhme, le convulsioni
di John Fox e dei suoi quaccheri, l’illuminazione di Swedenborg
appartengono a questo tipo di follia.
Ciò che nel caso di questi importanti personaggi era un rapimento, in
innumerevoli esempi della vita comune si è manifestato in forme meno
appariscenti. Dappertutto la storia della religione tradisce una tendenza
all’entusia- smo. L’estasi dei Moravi e dei Quietisti, lo schiudersi del
significato interiore della Parola nel linguaggio della chiesa della Nuova
Gerusalemme, la rinascita delle chiese calviniste, le esperienze dei metodisti
sono tutte variazioni di quel brivido di timore reverenziale e di gioia con cui
l’anima individuale si unisce all’anima universale.
La natura di queste rivelazioni è sempre la stessa: esse sono percezioni
della legge assoluta, risposte alle domande che l’anima stessa si pone.
L’anima non risponde mai con le parole, ma presentando la cosa stessa che
viene cercata (...). Noi viviamo nella successione, nella divisione, nelle parti,
nelle particelle. Allo stesso tempo all’interno dell’uomo è presente l’anima
del tutto, il saggio silenzio; la bellezza universale, a cui ogni parte e particella
è equamente correlata; l’Uno eterno.
Questa potenza profonda in cui esistiamo e la cui beatitudine è tutta
accessibile a noi, non soltanto è autosufficiente e perfetta in ogni momento,
ma l’atto di vedere e la cosa vista, l’osservatore e lo spettacolo osservato, il
soggetto e l’oggetto sono uno.
Noi vediamo il mondo pezzo a pezzo, come il sole e la luna, l’animale,
l’albero; ma l’intero, di cui queste sono le parti luminose, è l’anima. È solo
tramite la visione di quella saggezza che l’oroscopo delle età può essere letto,
ed è solo appoggiandoci ai nostri pensieri migliori, cedendo allo spirito di
profezia che è innato in ogni uomo, che possiamo intendere ciò che dice. Le
parole di ogni uomo che parla da quella vita devono necessariamente suonare
vane a quelli che dal canto loro non dimorano nello stesso pensiero. Io non
oso parlare per essa. Le mie parole non trasmettono il suo senso augusto; esse
suonano inadegua- te e fredde. Solo essa stessa può ispirare chi vorrà, e,
meraviglia, il loro eloquio sarà lirico e dolce, e universale come l’alzarsi del
vento.
Tuttavia desidero, sia pur con parole profane, se non posso usare quelle
sacre, indicare il cielo di questa divinità, e rivelare quali indizi ho raccolto
della semplicità ed energia trascendente della Legge Suprema”.
Così, questi sono i riferimenti generali alla natura e al carattere di questi
barlumi della coscienza universale, che gli uomini qui e lì hanno sperimentato
in tutti i tempi. Consideriamo adesso i poteri suscitati in coloro a cui si sono
manifestati barlumi (o più) di questa coscienza. Poiché un incremento di
“conoscenza” porta sempre con sé un incremento di potere, secondo la legge
di causa ed effetto.
In primo luogo, il possesso da parte di un individuo anche soltanto di una
tenue traccia iniziale di questa coscienza universale, con qualsivoglia nome la
si voglia chiamare, lo dota di una certa “comunanza” con tutto il resto della
vita.
Con un’intuizione sottile egli può, in circostanze favorevoli, parlare,
scrivere, dipingere, recitare o produrre musica rappresentando fasi di attività
vitale, mentale ed emozionale a prescindere da qualsiasi effettiva esperienza
personale. Un simile individuo si mette in rapporto o in sintonia con la
molteplice varietà delle forme viventi ed è capace di produrne una
rappresentazione tramite espressioni proprie. È questo il segreto del genio dei
grandi artisti, scrittori, musicisti, poeti e altri che esprimono attraverso i
propri rispettivi mezzi o veicoli i messaggi che ricevono da altre forme di vita
con cui sono connessi da sottili filamenti di unione. Un simile individuo può
“pe- netrare” (con l’immaginazione) le esperienze vitali di qualsiasi forma di
vita, nessuna esclusa, e poi rappresentarle in forma visibile o udibile in un
grado che dipende dal loro stesso sviluppo.
Inoltre, simili individui sono “universali” nelle loro simpatie, e sanno
rendersi partecipi delle emozioni di qualsivoglia forma di vita con cui entrano
in contatto. Come conseguenza di ciò, essi tendono a ispirare in altre persone
e creature viventi sentimenti di simpatia, comunanza e comprensione.
Molte delle grandi anime illuminate della razza umana, possedendo almeno
in qualche grado tale coscienza, si sentono a casa propria dappresso a tutti
modi e le condizioni dell’umanità, e in molti casi anche con le forme di vita
inferiore. La simpatia è stata definita “un sentimento di comunanza”, e si può
vedere subito che quando un individuo prova tale sentimento con tutta la vita,
allora si crea una serie di legami di simpatia e unità che servono a unirlo più o
meno saldamente a tutte le cose viventi. Nel caso dei grandi maestri della
razza umana, come i fondatori delle grandi religioni e anime simili, vediamo
agire quella simpatia universale e quella comprensione per la vita tutta che ne
fanno degli uomini speciali, e conferiscono loro quella universalità che li
rende cittadini di tutte le nazioni e abitanti di ogni tempo.
Ancora, riscontriamo che molti individui di questo tipo esercitano su altre
forme di vita e sulle cose un certo potere di attrazione che consente loro di
attrarre a sé quelle condizioni, quegli ambienti e quelle persone più adatte al
loro benessere e alla loro felicità, e che inoltre conferisce loro certi poteri
sulla natura definiti da qualcuno “mira- colosi”. Colui che è consapevolmente
identico alla natura è capace di operare “miracoli” con essa. Non possiamo
approfondire troppo questo tema qui e adesso per svariate ottime ragioni, ma
quanto detto rappresenta una valida indicazione per coloro che sono preparati
ad ascoltare e comprendere la verità riguardo a determinate fasi della vita e
della natura.
Ciò che abbiamo illustrato fin qui riguardo agli individui che dimostrano
lampi o barlumi di questa fase di coscienza, si applica in grado di gran lunga
maggiore a quanti abbiano pienamente penetrato i sottopiani superiori di
questo grande piano di coscienza. Su questo pianeta e su altri dimorano esseri
così pienamente svegli ed evoluti da sembrare soprannaturali per l’ordinario
essere umano. Molti esseri simili svolgono importanti funzioni per il
progresso della razza umana e il miglioramento dell’umanità e sono stati
considerati angeli o semidei dalla gente ordinaria con cui in passato sono
venuti in contatto. Molti di loro sono gli aiutanti invisibili la cui presenza si è
manifestata a innumerevoli individui durante momenti particolarmente
difficili della loro vita.
I maghi bianchi dell’umanità appartengono ai livelli superiori di questo
grande piano di coscienza. Purtroppo, anche coloro che sono noti come
maghi neri sono riusciti a “penetrare nel Regno dei Cieli” su questi piani, e
hanno prostituito il proprio potere. A questo punto è importante sapere che su
di essi si abbatterà inevitabilmente la punizione della natura stessa,
costringendoli a unirsi alle legioni della luce, oppure disintegrandoli per
mezzo di quelle stesse forze della natura che hanno messo in azione per i loro
scopi egoisti e ignobili.
VII. Il piano della coscienza degli dèi
Se, come abbiamo visto, è molto difficile parlare in termini comprensibili
degli stadi di vita e di attività sul piano di coscienza degli semidei, quale
potrà essere la difficoltà nell’anche semplicemente alludere alla vita e alle
attività del piano più alto di tutti, il piano della coscienza degli dèi? Su questo
dimorano esseri così in alto nella scala della conoscenza, della potenza, della
vita e della beatitudine, che persino l’immaginazione del maestro più esperto
riesce a malapena ad afferrare l’idea. Questo, in verità, è il piano di esseri
così progrediti da risultare affini nelle loro caratteristiche alle divinità create
dall’uomo per spiegare l’universo e per servire da oggetto di venerazione.
Nessuno fra tale moltitudine di essere ascesi può però essere identificato
con Dio, nel senso del Genitore Eterno, ovvero della Realtà Infinita. Anche il
più eccelso tra essi ha limiti e restrizioni, e tutti sono soltanto manifestazioni
dell’infinito non manifesto. Ciascuno di questi esseri elevati ha avuto il suo
principio e la sua nascita nella manifestazione, e ciascuno alla fine perirà
scomparendo nell’infinito non manifesto, ove qualsiasi senso di distinzione e
di personalità verrà annullato.
I maggiori esperti ci informano che l’elemento caratteristico di questa
forma somma di coscienza è la consapevolezza dell’individuo di essere
identico all’infinito, e di esserne solo apparentemente separato dal più tenue
sottile velo dell’illusione.
Per quanto possa sembrare strano a chi abbia poca familiarità con
l’argomento, barlumi e lampi di tale coscienza filtrano in rari casi nella
coscienza di individui di questo mondo. Molte anime coraggiose e menti
acute degli illuminati hanno effettivamente perforato il velo di questo piano, e
sono stati quasi accecati dalla luce che li ha investiti.
La considerazione di questo piano di coscienza deve essere interrotta qui,
per ragioni che l’occultista esperto intuirà immediatamente, e che al meno
avveduto lettore dobbiamo assicurare essere assai valide. Molti, non preparati
per la piena luce, devono essere protetti dalla cecità spirituale e mentale
causata da un’eventuale esposizione ai suoi raggi prima di essersi abituati a
una luce di verità meno intensa. Sta sicuro, tuttavia, o lettore, che quando i
tuoi occhi saranno pronti a guardare direttamente la sacra fiamma, essa non ti
verrà più nascosta.
La verità nei simboli
Vi sono determinate verità che non possono essere bene formulate con le
parole, ma che possono essere almeno parzialmente espresse in simboli.
Per coloro che avvertono un desiderio di penetrare più in profondità nel
mistero dei tre piani superiori di coscienza, richiamiamo la loro attenzione sul
simbolo che accompagna questo capitolo del libro. Un mondo di conoscenze
e di importanti informazioni nascoste si cela in questo simbolo, inaccessibile
ai più, ma almeno parzialmente accessibile ai pochi. A essi offriamo i
seguenti suggerimenti riguardo a questo simbolo.
Richiamiamo la vostra attenzione sul fatto che ciascun cerchio del simbolo
si interseca con gli altri due. Di conseguenza nell’estensione circolare di
ciascun cerchio si tro- veranno quattro differenti spazi o settori, nel modo
seguente:
(1) uno spazio o settore individuale e non comune agli altri;
(2) lo spazio o settore di intersezione con uno dei cerchi vicini, spazio a
forma di scudo;
(3) lo spazio o settore di intersezione con l’altro cerchio vicino, spazio a
forma di scudo;
(4) lo spazio o settore al centro stesso del simbolo, determinato
dall’intersezione di ciascun cerchio con entrambi gli altri, e che è quindi uno
spazio uno e trino.
Ancora, questa disposizione ci lascia vedere sette spazi distinti, nel modo
seguente (dando a ciascun cerchio il nome di una lettera, rispettivamente A, B
o C):
I. cerchio A;
II. cerchio B;
III. cerchio C;
IV. spazio A-B;
V. spazio A-C;
VI. spazio B-C, e finalmente settore A-B-C, al centro. Vi sono così tre aree
non comuni, tre aree di intersezione tra due elementi e infine, un’area di
intersezione fra tre elementi. Quest’ultima utilizza al suo interno tutti e tre gli
elementi in proporzioni uguali. Chi aspira alla luce risolva l’enigma del
simbolo!
Parte IX
L’anima settupla dell’uomo
Il settimo aforisma
L’anima dell’uomo è settupla, eppure una in essenza; lo sviluppo spirituale
dell’uomo ha come fine la scoperta di se stesso dietro il settuplo velo.
In questo settimo aforisma della creazione, il Rosacroce è invitato a
concentrare la sua attenzione sul concetto dell’anima settupla dell’uomo, che
nel linguaggio figurativo dei mistici rappresenta i sette veli che nascondono
all’uomo (ma al contempo gli rivelano) il suo vero io. Questo concetto viene
rappresentato dai Rosacroce tramite il simbolo della figura di un uomo
circondato da sette contorni. L’uomo stesso, nella sua essenza, è
rappresentato dallo spazio vuoto circoscritto dal contorno più interno, e
ciascuno dei “veli che nascondono ma al contempo rivelano” è rappresentato
da un contorno, facente parte di una serie di sette. La serie di contorni, va
notato, è inclusa nel cerchio che rappresenta l’infinito non manifesto.
Il simbolo va interpretato nella maniera seguente: (1) l’infinito non
manifesto si manifesta nell’anima elementare; (2) l’anima elementare assume
la forma esteriore della sostanza minerale; (3) dall’anima minerale si sviluppa
l’anima vegetale; (4) dall’anima vegetale si sviluppa l’anima animale; (5)
dall’anima animale si sviluppa l’anima umana; (6) l’anima umana evolve
nell’anima dei semidei; (7) l’anima dei semidei si sviluppa nell’anima degli
dèi; e, finalmente, l’anima degli dèi si risolve un’altra volta in puro spirito,
rappresentato dallo spazio vuoto al centro del simbolo. Questi concetti
verranno meglio compresi da quanti abbiano studiato attentamente i capitoli
precedenti sui sette piani di coscienza.
Figura 12. Simbola dell’anima settupla
Si noterà che mentre questi sette veli servono a nascondere il vero io, nel
senso che gli impongono limiti e forma, la presenza dello spirito è rivelata
dai contorni. Gli antichi maestri erano soliti illustrare questo occultamentorivelazione tramite un pezzo di tenda sottile e trasparente appesa a coprire lo
spazio vuoto di una porta o di una finestra aperta, attraverso cui soffia il
vento. La tenda copre (e così nasconde) il vento che soffia, pur lasciando
intravedere una forma che rappresenta il soffio e la presenza del vento, in
questo modo rivelandolo.
Un altro esempio usato era quello di una mano invisibile e non percepibile,
su cui venivano infilati sette guanti, l’uno sopra l’altro. I guanti erano pieni,
la presenza della mano svelata, ma ciascun guanto era destinato a essere
scambiato per la mano stessa. La mano riesce a provare soltanto sensazioni
attutite ed è impedita nei movimenti quando i guanti la coprono. Tuttavia,
man mano che i guanti vengono sfilati, la sensibilità della mano aumenta e
diviene capace di svolgere operazioni più complesse; senza nemmeno un
guanto essa è, però, invisibile persino al suo possessore.
Consideriamo adesso brevemente ciascuno dei veli con cui lo spirito viene
nascosto e al contempo rivelato.
I. L’anima elementare
Esiste solo una VERA anima, naturalmente. Quando i Rosacroce parlano
dell’”anima elementare” intendono semplicemente l’anima rivestita degli
indumenti della sostanza elementare, che se da un lato nasconde la sua vera
natura, dall’altro serve a rivelarla nella manifestazione.
Rifacendoci agli elementi del simbolo potremmo dire che l’infinito non
manifesto si riveste prima dell’indumento della sostanza universale, o si
avvolge nel suo velo. La sostanza elementare, nel senso in cui il termine è qui
impiegato dai Rosacroce, è una forma di sostanza estremamente sottile e
tenue, che può essere considerata l’antenata della più sottile forma di materia
oggi nota alla scienza. Essa sta molto dietro il piano degli elettroni, degli ioni
o dei corpuscoli di cui la materia è composta.
L’anima elementare rappresenta il modello su cui viene costruito
l’ordinario corpo fisico. È il “fantasma” del corpo fisico e sopravvive dopo la
disintegrazione di quest’ultimo. L’intelligenza o coscienza che si manifesta in
questo ambito di sostanza è abbastanza semplice ed elementare, e svolge
semplicemente la funzione di fornire e alimentare un modello o una forma su
cui il corpo fisico ordinario viene costruito.
Tale anima incorporatasi, come detto, nella sostanza elementare, è quel
qualcosa che gli uomini hanno sempre chiamato fantasma, corpo eterico,
corpo fluidifico, doppio, spettro, o apparizione. A volte è stato chiamato
corpo astrale, ma erroneamente, poiché come gli occultisti sanno bene, il vero
corpo astrale è qualcosa di molto diverso.
Quest’anima elementare sopravvive alla dissoluzione del corpo fisico
dell’individuo a cui apparteneva, e in determinate condizioni e circostanze
può diventare visibile ai viventi, apparendo come il fantasma della persona
defunta. Quando dopo la morte fisica l’anima elementare si è ridotta a un
involucro di cui i più elevati veicoli dell’anima si sono sbarazzati (ed è stata
inoltre liberata dalla parziale o completa dissoluzione del corpo fisico)
diventa soltanto un guscio che mantiene la forma e l’aspetto del corpo stesso,
ed è quasi privo di vita, sebbene rimanga tenuto insieme dalla forza di
coesione delle sempre più deboli vibrazioni. Così ridotta, l’anima elementare
non possiede né intelligenza, né coscienza al di là di quelle necessarie a
tenere insieme la sua sostanza. Può essere considerata in tutto e per tutto
come nulla più che una massa di vapore denso che assume la forma di un
essere umano, ed è destinata a essere presto disintegrata al livello del suo
piano di appartenenza.
II. L’anima minerale
Con il termine “anima minerale”, i Rosacroce intendono indicare l’anima
incorporata nella sostanza minerale o chimica di cui è composto il corpo
fisico.
Per minerale intendiamo parlare di sostanze inorganiche aventi una precisa
composizione chimica e non di sostanze animale o vegetali. Non è necessario
richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che la sostanza di cui è composto
il corpo fisico è a sua volta composta di determinate sostanze chimiche o
minerali, quali l’ossigeno, il carbonio, l’idrogeno, l’azoto, lo zolfo, il fosforo,
il ferro e altri elementi chimici. Cremate un corpo e la maggior parte della sua
materia svanirà sotto forma di vapore acqueo (composto di ossigeno e di
idrogeno) e di altri gas, il rimanente essendo composto di altri elementi
chimici o minerali. Il corpo fisico è costruito con elementi minerali e chimici
trasformati dall’azione della chimica vegetale in protoplasma, e quindi
assorbiti dall’uomo come cibo sotto forma di vegetali o di carne animale. La
base di tutta la materia organica è la sostanza chimica o minerale. I
protoplasma, la base della sostanza organica, vegetale o animale, si è
sviluppato dal carbonio, quello stesso elemento che si presenta come carbone,
diamante o grafite. La base fisica dei corpi degli animali e delle piante è
unicamente minerale o chimica, e tutti questi corpi sono costruiti con il
materiale chimico originariamente fornito dalla terra, dall’aria e dall’acqua.
L’intelligenza e la coscienza proprie dell’anima minerale sono
semplicemente quelle richieste dai processi puramente chimici del corpo, e
dalla coordinazione e regolazione delle particelle chimiche e minerali di cui il
corpo è composto.
La vita del corpo fisico presuppone importanti processi chimici, molti dei
quali estremamente complicati; così complicati, in verità, che essi non
possono essere riprodotti e duplicati in laboratorio. Tali importanti processi
sono sotto il controllo e la direzione dell’anima minerale, dell’anima presente
nella sostanza chimica e minerale di cui è composto il corpo. Questi processi
non sono meramente meccanici: essi sono il prodotto dell’intelligenza e della
coscienza, e risultano impossibili senza l’apporto di tali forze mentali.
Quando il corpo fisico viene gettato via dall’anima al momento della
morte, inizia a decomporsi a partire dalle sostanze organiche di cui è
composto, vale a dire il materiale organico vegetale e animale che si riduce ai
suoi elementi minerali e chimici. Successivamente, anche questi si risolvono
nelle loro forme e condizioni più semplici, e vengono utilizzati come
materiali di costruzione dei corpi di altri tipi di creature viventi.
III. L’anima vegetale
Con il termine “anima vegetale” i Rosacroce intendono indicare l’anima
presente nella sostanza cellulare vegetale di cui una porzione assai estesa del
corpo umano fisico è composta. A parte gli scienziati e gli occultisti, pochi si
rendono conto di quanta parte dei processi del corpo umano e animale sia in
realtà di natura vegetale. La crescita del tessuto corporeo, di parti e di organi,
ha un carattere marcatamente vegetale.
Recenti scoperte fatte nei laboratori biologici e nel settore della chirurgia ci
hanno dimostrato che non solo porzioni di pelle e di ossa possono essere
trapiantate da un corpo all’altro e fatti crescere nel nuovo corpo altrettanto
bene che nel vecchio, ma che anche parti del corpo umano e i suoi organi
possono essere asportati dal corpo originario, fatti crescere e messi in
condizione di svolgere le loro funzioni indipendentemente dall’organismo
fisico a cui appartenevano. Questi processi non sono meramente chimici; essi
presentano tutte le caratteristiche di processi puramente vegetali.
La principale differenza tra l’intelligenza e la coscienza delle piante e degli
animali è che le prime si manifestano pressoché interamente secondo un
lavoro mentale istintivo o inconscio, mentre le seconde si manifestano in
un’attività conscia intenzionale e finalizzata. Buona parte dei processi del
corpo umano vengono chiaramente svolti lungo le linee inconsce e istintive
del regno e dell’anima vegetale. Essi vengono svolti sul piano della coscienza
vegetale proprio come i processi dei tipi ordinari di vita vegetale. Alcuni di
questi processi sono estremamente complessi, ma quelli afferenti alla vita di
un’ordinaria pianta non lo sono di meno.
La differenza tra il piano dell’anima vegetale e quello dell’anima animale
diverrà più evidente e più chiara se solo analizziamo i fenomeni legati a
quest’ultima.
IV. L’anima animale
Con il termine “anima animale”, i Rosacroce intendono indicare l’anima
incorporata nella sostanza animale organica, sia negli animali inferiori sia
nell’uomo. L’anima animale è lo spirito animatore o vitale che si manifesta
nelle tante attività della vita animale, superiore e inferiore. La sua intelligenza
e la sua coscienza sono estremamente sviluppate in confronto a quelle
dell’anima vegetale, ma sono limitate alle necessità e ai bisogni della vita
puramente animale. Nelle sue manifestazioni inferiori essa è di poco
superiore alle manifestazioni più elevate della vita vegetale, e nelle sue
manifestazioni più alte è di poco inferiore alle più basse manifestazioni
dell’anima umana. In verità, come abbiamo ripetutamente ricordato in questo
libro, i vari piani di coscienza (e dunque i poteri e i limiti delle svariate
anime) si fondono nelle zone di confine tra un piano e l’altro.
L’anima animale è la sede di desideri puramente animali e, nell’opera di
sviluppo e di soddisfazione di tali desideri, essa ha prodotto, con la sostanza
di cui è composta e che ha assorbito dalle sostanze del piano vegetale e
minerale al di sotto di sé, una serie di complessi organi e gruppi di organi. La
sua intelligenza e la sua coscienza sono funzionali semplicemente al
benessere fisico del soggetto animale a cui appartiene. I noltre, determinati
processi puramente vegetali quali la nutrizione o la riproduzione, sono in
parte rilevati dall’anima animale che li rende più efficaci e complessi. I
desideri dell’uomo che di solito definiamo “puramente fisici” appartengono
all’anima animale. I principali desideri dell’anima animale si riferiscono alle
funzioni della nutrizione e della riproduzione, e si manifestano
rispettivamente come autoconservazione, desiderio sessuale (sul piano fisico,
naturalmente) e amore della prole.
Nei suoi stadi più elevati l’anima animale sviluppa e manifesta determinate
qualità superiori, come il desiderio di amicizia, comunanza, mutua simpatia,
o affetto, che ricorda da vicino sentimenti ed emozioni simili negli animali
inferiori; ciò avviene perché i due piani di coscienza sono strettamente
collegati e si fondono tra loro. L’anima animale, tuttavia, non ha mai la
coscienza dell’”io sono”: al massimo può essere consapevole del “sono”, ma
la coscienza dell’”io” non è mai presente nella sua forma autentica.
V. L’anima umana
L’anima umana si distingue dall’anima animale non solo per la sua speciale
attitudine al ragionamento intellettuale e alla scelta e all’azione volontaria,
ma anche per la sua autocoscienza. Tale distinzione è stata ampiamente
analizzata nei precedenti capitoli di questo libro, e non ha bisogno di essere
qui ripresa dettagliatamente. Il paragrafo seguente, tuttavia, preso a prestito
da un altro autore, può risultare di qualche interesse in relazione al punto a
cui siamo arrivati nella nostra esposizione. L’autore in questione scrive:
“Tra gli animali inferiori è presente ben poco di ciò che si suole chiamare
‘autocoscienza’. In verità, la coscienza delle forme più basse di vita animale
sta poco al di sopra della semplice sensazione. Nei primi stadi della vita
animale la vita è quasi automatica. Il lavoro mentale vi si svolge quasi
interamente su un livello inconscio, e le sole operazioni mentali sono quelle
collegate alla vita fisica dell’animale, alla soddisfazione dei suoi bisogni
elementari. Dopo un certo tempo questa coscienza primitiva conobbe
un’evoluzione il cui risultato fu ciò che gli psicologi chiamano ‘coscienza
semplice’, che è la consapevolezza delle cose esterne e la percezione di esse
in quanto tali. Tuttavia, in questo stadio non si manifesta alcuna
autocoscienza. L’animale non pensa alle sue speranze e alle sue paure, alle
sue aspirazioni, ai suoi progetti, alle sue riflessioni, né compara questi suoi
pensieri a quelli analoghi di altri esponenti della sua specie. Non è capace di
indugiare nel pensiero astratto, o di usare simboli del pensiero. Si limita ad
accettare le cose per come gli si presentano e non pone domanda alcuna. Non
si sforza di trovare risposte a inquietanti interrogativi di carattere universale,
poiché ignora l’esistenza di simili interrogativi. Con l’avvento
dell’autocoscienza l’uomo comincia a formarsi un concetto dell’’io’. Egli
inizia a compararsi agli altri e a ragionare sui risultati di tale confronto. Fa un
inventario mentale di se stesso e trae delle conclusioni. Comincia a pensare
autonomamente, ad analizzare, a classificare, a separare, a dedurre, a formare
giudizi. Inizia a creare spontaneamente e non è più un semplice automa
mentale”.
Uno scrittore che si è occupato del tema dell’evoluzione dell’anima ci ha
fatto dono delle seguenti parole di ammonimento: “Il risveglio dell’intelletto
nell’uomo non ne fa necessariamente un essere migliore. Se è vero che lo
sviluppo di una facoltà superiore conferisce all’uomo una tendenza
all’elevazione, è anche vero che alcuni individui sono così strettamente
avviluppati nel loro rivestimento animale, così sprofondati nel lato materiale
delle cose, che il risveglio dell’intelletto tende soltanto a dar loro una
maggiore capacità di gratificare i loro desideri e le loro inclinazioni di basso
livello. L’uomo, se decide di farlo, è capace di superare qualsiasi animale in
bestialità ed è in grado di sprofondare in abissi di avvilimento di cui
l’animale nemmeno si sogna. La bestia è governata unicamente dall’istinto e
le sue azioni sono perfettamente naturali e adeguate; di certo non può essere
biasimata per il fatto di seguire gli impulsi della sua natura. L’uomo nel quale
l’intelletto si è sviluppato, sa invece che è contrario alla sua più eccelsa
natura abbassarsi al livello delle bestie. Ciononostante aggiunge agli istinti
bruti l’astuzia e l’intelligenza che ha sviluppato, e deliberatamente
prostituisce la sua natura superiore al compito di dare pieno sfogo alle sue
ingigantite propensioni animalesche. Pochissimi animali abusano dei loro
appetiti, mentre l’uomo lo fa spesso. Più è sviluppato il suo intelletto,
maggiore sarà l’indegnità delle passioni, degli appetiti e dei desideri a cui gli
è possibile abbandonarsi. Egli saprà inventarsi nuovi desideri ignobili o
costruire i propri edifici sulle fondamenta del più bruto istinto. Non c’è
bisogno di dire che tutti gli occultisti sanno che una simile condotta ha uno
strascico di conseguenze, legate al fatto che l’anima dovrà impiegare molti
faticosi anni a ripercorrere all’indietro i suoi passi lungo il cammino
regressivo che aveva intrapreso. I suo sviluppo è stato ritardato, ed essa sarà
costretta a ripercorrere dall’inizio la strada verso la libertà, a fianco di
creature primitive dalla natura bestiale, che giustamente devono intraprendere
il viaggio da quel punto, ma avendo essa in più l’ulteriore sofferenza di
essere cosciente dell’orrore che la circonda, laddove i suoi bestiali compagni
non hanno tale consapevolezza e non ne soffrono. Se riuscite a immaginare
come si sentirebbe un uomo colto e civilizzato che venisse costretto a
dimorare per svariati anni in mezzo ai suoi progenitori selvaggi, conservando
un vivido ricordo della sua precedente vita in un contesto civile, potete
formarvi una vaga idea del destino riservato a chi deliberatamente mette le
sue superiori potenzialità al servizio di scopi e desideri dei più bassi.
Tuttavia, anche per un’anima come questa esiste una possibilità di salvezza,
ma essa è legata al lento scorrere del tempo”.
L’anima umana occupa un luogo che è il campo di battaglia tra due forze
opposte. Da un lato c’è la forza della natura animale inferiore, che cerca di
trascinare giù l’anima umana, portandola al piano dell’anima animale, e che
la spinge a impiegare su questo piano più basso le sue capacità intellettuali
recentemente acquisite. Dall’altro vi sono le forze appena destatesi della
natura spirituale superiore, che cercano di elevare l’anima fino alla coscienza
delle sue relazioni con il Tutto, e che la stimolano ad aprire il suo intelletto
all’influsso delle vibrazioni positive della coscienza spirituale e a volgere le
proprie capacità al fine del compimento dei dettati che le vengono dalla sua
parte più nobile.
VI. L’anima dei semidei
Come abbiamo detto nei precedenti capitoli di questo libro, l’anima dei
semidei ha come dato distintivo la piena consapevolezza della propria
relazione con la vita universale. Il suo orizzonte mentale e spirituale si è
espanso, nei suoi stadi più progrediti, fino ad accogliere in sé tutta la vita e a
identificarvisi. Tutto ciò che l’uomo ha acquisito in termini di umanità,
giustizia, gentilezza, simpatia, nobiltà e fratellanza umana gli è venuto
attraverso la mediazione di questa sua parte superiore. L’uomo è capace di
sentimenti simpatetici nei confronti degli altri grazie al suo nascente senso di
relazione o unità con tutto il resto. Con il manifestarsi di lampi della
coscienza cosmica, tutti gli angusti sentimenti di distinzione e di casta
svaniscono, e l’uomo avverte la spinta verso l’unità. Non solo egli gioisce
dell’esaltante fremito della vita universale, ma è anche capace di soffrire tutto
il dolore del mondo, almeno finché non perviene alla piena comprensione di
esso.
Un autore ha scritto giustamente a proposito di questo stadio della
coscienza: “Man mano che l’uomo si sviluppa spiritualmente, egli avverte la
propria relazione con l’umanità intera, e comincia ad amare sempre più i suoi
simili. Gli causa dolore vedere altri soffrire, e quando tale dolore diviene
troppo forte egli cerca di fare qualcosa per porre rimedio alle sofferenze
altrui. Con il passare del tempo e l’ulteriore progresso dell’umanità, le
terribili sofferenze che tanti esseri umani oggi devono patire diverranno
impossibili, per la ragione che lo sviluppo della coscienza spirituale della
razza umana farà sì che il dolore venga avvertito da tutti tanto acutamente che
nessuno vorrà più sopportarlo, e tutti si ribelleranno e insisteranno perché vi
si trovi rimedio. Dai recessi interiori dell’anima scaturisce una protesta contro
il residuo impero della natura animale inferiore, e, anche se per un certo
tempo riusciamo a ignorarla, essa diverrà sempre più persistente e alla fine
saremo costretti ad ascoltarla. La lotta tra la natura superiore e quella
inferiore è stata riconosciuta da tutti gli attenti osservatori dell’anima umana,
e molte teorie sono state proposte per spiegarla. In passato veniva insegnato
che da un lato l’uomo veniva tentato dal diavolo, e dall’altro veniva aiutato
da un angelo custode. Tuttavia, come tutti gli occultisti sanno, la lotta è tra
due elementi della natura umana, non esattamente in guerra, ma ciascuno
impegnato nella realizzazione della propria linea di sviluppo, e l’ego, nel suo
tentativo di trovare un equilibrio, si procura continuamente strappi e
contusioni. L’ego è in uno stadio di coscienza transitorio e la lotta diviene a
tratti dolorosa, ma con il tempo l’anima in evoluzione si eleva al di sopra
dell’attrazione della natura inferiore, e la sua nascente coscienza spirituale le
permette di comprendere la sua vera natura e il posto che le spetta
nell’universo”.
Lo stesso autore ha scritto: “I piani superiori dell’anima sono anche la
fonte dell’ispirazione che certi poeti, pittori, scultori, scrittori, predicatori e
oratori hanno ricevuto in tutti i tempi e tutti i luoghi. È questa la fonte da cui
il veggente ottiene la sua visione, e il profeta la propria preveggenza. Molti si
sono concentrati nella loro opera su alti ideali e hanno ricevuto da tale fonte
conoscenze preziose, che hanno attribuito a rivelazioni ottenute da esseri di
un altro mondo; l’ispirazione, invece, veniva dal loro interno: era la voce
dell’io superiore che si rivolgeva all’ego”.
Il succitato autore ci fornisce le seguenti indicazioni a proposito delle
esperienze di ispirazione e illuminazione legate all’influsso che sull’ego
esercitano le regioni dell’io superiore:
“Naturalmente, queste esperienze variano materialmente a seconda del
grado di sviluppo dell’individuo, della sua preparazione o del suo
temperamento, ma vi sono caratteristiche comuni a tutte.
I tratti comuni sono i seguenti:
(1) un convinto sentimento di realtà del proprio essere, ovvero di
immortalità; esso prescinde completamente dalla fede o dalle convinzioni
religiose, e apparentemente proviene da una fonte più profonda di queste:
essa è stata definita ‘la fede che sa’.
(2) Un completo dissolversi di tutte le paure e l’acquisizione di un
sentimento di fede, sicurezza e fiducia che va al di là delle capacità di
comprensione di quanti non lo hanno mai sperimentato.
(3) Un sentimento di amore universale che si impossessa dell’individuo, un
amore che abbraccia la totalità dei viventi, da quelli più vicini e tangibili, a
quelli che dimorano all’estremità opposta dell’universo; da quelli che
consideriamo puri e santi a quelli che prima ritenevamo spregevoli, malvagi e
assolutamente indegni. Pare svanire qualsiasi senso della propria superiorità
morale e qualsiasi propensione a giudicare severamente gli altri, e il proprio
amore, al pari della luce del sole, si irradia su tutti indistintamente,
indipendentemente dal loro grado di sviluppo e di “bontà”.
(4) Una sensazione di assoluta beatitudine e gioia, il cui ricordo sopravvive
all’esperienza stessa anche per molto tempo.
(5) Un sentimento di superiore conoscenza e saggezza, in cui tutti i dubbi
svaniscono ed emerge un senso di comprensione dei significati più profondi
del tutto, almeno finché dura l’esperienza stessa.
Per taluni queste esperienze si sono accompagnate a uno stato d’animo o a
un sentimento di profonda riverenza, che li ha posseduti per un certo tempo,
mentre ad altri è sembrato di stare sognando, e sono divenuti consci di
un’elevazione spirituale unita alla sensazione di essere immersi in una luce o
in un bagliore splendenti e onnipervasivi.
Per alcuni determinate verità si sono manifestate sotto forma di simboli, e
in certi casi il loro vero e completo significato non è divenuto evidente se non
molto dopo aver vissuto queste esperienze.
“Tali episodi lasciano chi li ha vissuti in una condizione mentale nuova,
che non gli consente di essere più lo stesso. Anche se il ricordo diviene meno
vivido, comunque non svanisce completamente, e nel tempo si dimostra
essere una sorgente di conforto e di energia, soprattutto nei momenti in cui la
fede perde forza e vacilla, come una canna agitata dai venti delle contrastanti
opinioni e riflessioni. Il ricordo di un simile avvenimento è una sorgente
inesauribile di energia, un porto sicuro in cui l’anima si rifugia fuggendo da
un mondo esterno che non la comprende. Negli scritti degli antichi filosofi di
tutte le nazioni, nei canti dei grandi poeti di tutti popoli, nella predicazione
dei profeti di tutte le religioni e di tutti i tempi possiamo trovare traccia di
questa illuminazione che li ha ispirati, questo dispiegarsi della coscienza
spirituale. Uno racconta la storia in un modo, un altro in un modo diverso, ma
tutti narrano praticamente la stessa storia. Tutti coloro che hanno avvertito
questa illuminazione, sia pur in grado limitato, sono in grado di riconoscere
un’esperienza simile alla loro nel racconto, nel canto o nella predicazione di
un’altra persona, anche se a dividerli è una distanza temporale di secoli. È il
canto dell’anima, che una volta sentito non si dimentica mai. Il canto
proviene indifferentemente dall’antico Egitto, dall’India, dalla Grecia e da
Roma, dai primi santi cristiani, dall’amico quacchero, dai monasteri cattolici,
dalle moschee musulmane, dal filosofo cinese, dalle leggende dell’eroeprofeta pellerossa. Ed è sempre la stessa melodia, che si fa più intensa man
mano che altri si uniscono con le loro voci o il suono dei loro strumenti al
gran coro”.
Il lettore deve ricordare che in queste esperienze egli accede al massimo a
qualche lampo di coscienza superiore e non deve pensare di essere
pienamente penetrato nelle sue manifestazioni, né tanto meno di essersi
evoluto fino a raggiungere lo stato in cui ci si muove normalmente su questo
piano superiore. Esistono esseri, un tempo uomini, che si sono effettivamente
evoluti fino a raggiungere tale stato, ma questi individui sono più che
semplici uomini, e si sono guadagnati il diritto di essere considerati
“semidei”. Tuttavia, dal momento che anche loro un tempo furono uomini,
tutti possono tendere a raggiungere questa eccelsa condizione grazie allo
sviluppo della parte superiore dell’io. Questi lampi di coscienza da un piano
superiore sono segni e messaggi profetici che annunciano il risveglio delle
facoltà superiori e testimoniano la certezza di ulteriori evoluzioni e sviluppi.
In conclusione della nostra analisi di questo piano superiore, vorremmo
riprendere le parole di Sir Oliver Lodge, il grande scienziato inglese, che ha
fornito al mondo sorprendenti conferme di importanti e antiche verità note
agli occultisti e ai maestri di dottrine esoteriche:
“Immaginiamo, come ipotesi di lavoro, che il nostro io subliminale, l’altra
e maggiore parte di noi stessi, sia in contatto con un differente ordine di
esistenza, e che sia occasionalmente in grado di comunicare, o di trasmettere
in qualche modo, magari inconsciamente, all’altra parte del corpo parte delle
informazioni a cui ha accesso. In questo caso saremmo come iceberg che
galleggiano nell’oceano, solo parzialmente esposti al sole, all’aria e
all’osservazione; il resto, la parte di gran lunga maggiore, gli undici
dodicesimi, immersi in un elemento di collegamento, sommersi e
occasionalmente in contatto subliminale o subacqueo con altri, mentre le
vette, le parti visibili delle montagne di ghiaccio, sono ancora ben lontane.
Un simile iceberg, gloriandosi della sua ghiaccia solidità e delle sue vette
risplendenti, potrebbe risentirsi dell’attenzione prestata alla sua sezione di
sostegno, sommersa e subliminale, o al liquido salino da cui si è formato e a
cui un giorno farà ritorno.”
Ovvero, ribaltando la metafora, potremmo paragonare il nostro stato
presente a quello dello scafo di una nave, sommerso in un oceano cupo, in
mezzo a strane creature, lanciato ciecamente attraverso lo spazio; orgoglioso,
forse, di tutte le conchiglie che gli si sono attaccate, quasi fossero
decorazioni; in grado di riconoscere la sua destinazione solo nel momento in
cui urta contro la banchina; del tutto ignaro del ponte, delle cabine, degli
alberi, delle vele; privo di pensieri sul sestante, il compasso e il capitano;
incapace di percepire la visuale dall’albero maestro, l’orizzonte distante;
impossibilitato a vedere oggetti davanti a sé, pericoli da evitare, destinazioni
da raggiungere, altre navi con cui comunicare con mezzi diversi dal contatto
fisico. Alle parti sommerse viene negato l’accesso a tutta una regione di sole
e nuvole, di spazio, di percezione e d’intelligenza.
VII. L’anima degli dèi
Risulterà evidente a ogni lettore attento come sia praticamente impossibile
discorrere in termini ordinari dell’espressione e della manifestazione dell’io
che i Rosacroce definiscono “anima degli dèi”. È sufficiente al nostro scopo
limitarci a indicarla come una fase dell’ego, presente solo a livello latente nei
più, ma manifestantesi a pochi con lampi occasionali, e destinata a divenire
nel corso dell’evoluzione spirituale della razza umana il normale piano di
coscienza dell’uomo. Inoltre, su certi piani della vita e dell’essere, già oggi
esistono esseri per i quali questa fase di coscienza è abituale e normale,
proprio come il piano della coscienza umana è normale e abituale per la
maggioranza degli uomini del nostro tempo.
A simili esseri, separati dall’infinito non manifesto soltanto dalla più tenue
e sottile sostanza che fa da velo, lo sviluppo dell’universo intero deve
sembrare semplicemente una grande proiezione di forme d’ombre, una
straordinaria fantasmagoria dotata di un’apparenza di sostanza e di forma, ma
priva di una effettiva realtà se considerata dal punto di vista dell’eterno. Tali
esseri sono, in verità, dèi se confrontati con il resto dell’umanità. Vicini al
cuore stesso dell’eterno, questi esseri elevati sono nella condizione di
percepire il ritmo del battito cardiaco del Genitore Eterno.
Per quanto possa sembrare incredibile, tuttavia, tra di noi oggi sulla terra ci
sono alcune anime progredite in cui tale coscienza ha già cominciato a
manifestarsi, e il loro numero sta crescendo. Queste anime sono arrivate a una
piena ed effettiva consapevolezza della verità che l’Uno è il Tutto e che al di
fuori dell’Uno non c’è nulla, l’intero corteo delle fantasmagorie cosmiche
venendo da esse percepito come illusione, miraggio, velo di Maya,
incantesimo, irrealtà. In queste anime sta cominciando a manifestarsi l’anima
degli dèi.
Qui non possiamo aggiungere altro su questo tema.
Sommario
Il lettore non deve cadere nell’errore di pensare che l’uomo abbia veramente
sette anime separate e distinte, legate insieme come un fascio di rami, o
indossate l’una sopra l’altra come si farebbe con sette soprabiti. Il simbolo è
solo figurativo e non deve essere interpretato letteralmente.
Non ci sono sette io nell’uomo, ma un unico io nascosto da sette veli,
ciascuno dei quali serve sia a nascondere la vera natura dell’io, sia a svelarne
in un certo grado la presenza e il potere.
È come se sette lastre di vetro di vari colori, che vanno dai toni molto scuri
alla quasi perfetta trasparenza e assenza di colore, venissero poste davanti a
una fonte di luce molto viva.
Il vetro più scuro nasconderebbe quasi interamente la luce, pur rivelandone
la presenza, permettendo a qualcuno dei suoi raggi di manifestarsi; quello un
po’ più chiaro lascerebbe vedere di più e nasconderebbe di meno, e così via
fino all’ultimo in cui l’oscuramento sarebbe minimo e lo svelamento quasi
totale.
Tutte queste illustrazioni riguardo all’ineffabile realtà dell’eterno sono, per
la stessa natura delle cose, imperfette, difettose e fuorvianti se prese troppo
letteralmente.
La lezione che il lettore deve ricavare è che in ogni uomo è nascosta una
potenzialità divina, accanto a stadi di coscienza intermedi tra il divino e
l’umano; e che in ogni uomo sono presenti anche gli stadi inferiori
dell’esistenza manifesta, compreso il più basso di tutti. Il saggio usa ciò che è
inferiore, senza che ciò che è inferiore usi lui; egli mantiene un atteggiamento
mentale positivo e di dominio nei confronti dei piani più bassi dell’essere,
aprendosi al contempo all’influsso dei piani superiori del proprio io.
In conclusione, chiediamo al lettore di considerare di nuovo il settimo
aforisma: “L’anima dell’uomo è settupla, eppure una in essenza; lo sviluppo
spirituale dell’uomo ha come fine la scoperta di se stesso dietro il settuplo
velo”.
Parte X
Metempsicosi
I Rosacroce considerano parte fondamentale del loro insegnamento la
dottrina esoterica della metempsicosi, reincarnazione o trasmigrazione delle
anime, che afferma essenzialmente la sopravvivenza dell’anima individuale
dopo la morte e la sua rinascita e reincarnazione in un nuovo corpo fisico,
dopo un soggiorno nel luogo di riposo delle anime.
La dottrina della metempsicosi è tra le più antiche del mondo. Se ne
trovano tracce in praticamente tutte le civiltà antiche di ogni parte del globo.
In una forma o nell’altra è stata presente all’interno dei circoli esoterici che si
trovavano al cuore delle grandi religioni del mondo, compreso il
cristianesimo. Ha sempre rappresentato un principio cardine delle religioni
d’Oriente, e nel corso degli ultimi venticinque anni ha goduto di uno
straordinario ritorno di popolarità tra i pensatori dell’Occidente.
La dottrina rosacrociana afferma che l’evoluzione umana si è compiuta non
soltanto grazie alla generale tendenza della razza all’evoluzione, ma anche
grazie al progresso e all’ascesa connessi al miglioramento dell’anima
individuale nel corso delle sue reincarnazioni, ogni nuova rinascita
coincidendo con un passo in avanti e con il raggiungimento di uno stadio
superiore. Come ha detto uno scrittore: “La dottrina ci insegna che è l’anima
a produrre l’evoluzione per mezzo degli sforzi che compie, della lotta che
ingaggia e della spinta verso una propria realizzazione sempre più piena e
completa, utilizzando la materia come materiale di costruzione e, tuttavia,
sempre cercando di liberarsi dal suo influsso limitante e ritardante. L’anima si
libera di una guaina materiale dopo l’altra e lo spirito modella la materia per
servirsene ai suoi alti scopi. L’evoluzione non è altro che il processo di
nascita dello spirito prigioniero, che si districa e si libera dalla ragnatela di
materia in cui era rimasto impigliato, e il dolore e la lotta non sono altro che
gli accidenti del parto spirituale”.
I Rosacroce non hanno teorie particolari riguardo alla metempsicosi, ma
accettano i principi generali sulla reincarnazione dell’anima che sono comuni
a tutti gli antichi occultisti. Essi considerano la rinascita altrettanto naturale
della nascita, e ritengono che la razza umana abbia a sua disposizione un
ampio volume di esperienze individuali dirette che dimostrano la veridicità di
questa dottrina. In realtà, i maestri rosacrociani non compiono alcun tentativo
di discutere la questione con il discepolo, ma si limitano a presentare questo
insegnamento così come a loro arriva, sostenuto dall’autorità delle antiche
scuole e supportato dalle innumerevoli testimonianze personali. In molti casi
il discepolo stesso intuisce anzitutto la veridicità della dottrina, e spesso ha un
ricordo più o meno vivido delle sue precedenti vite sulla terra.
Quello della metempsicosi è sempre stato un principio accettato dai più
intelligenti esponenti dell’umanità. Esso faceva parte delle dottrine segrete
degli antichi Egizi, ed era tenuto nella massima considerazione dai grandi
pensa- tori dell’Occidente antico, quali Pitagora, Empedocle, Platone,
Virgilio e Ovidio. Continui riferimenti a tale principio si trovano
nell’insegnamento di Platone. Le filosofie induiste si basano su di esso. I
Magi persiani vi si richiamavano implicitamente. Gli antichi druidi e i
sacerdoti galli lo insegnavano. Tracce sono rinvenibili tra gli Aztechi, gli
abitanti del Perù e altri antichi popoli del Nuovo Mondo. I misteri eleusini
dell’antica Grecia, i misteri romani del tempio, le dottrine cabalistiche segrete
degli Ebrei si basavano tutti sulla dottrina della metempsicosi. I primi padri
cristiani, gli gnostici, i manichei e altre antiche sette cristiane credevano in
essa. I grandi filosofi antichi e moderni l’hanno sempre trattata con rispetto e
in molti casi l’hanno pienamente accettata.
Le seguenti citazioni da autori moderni danno un’idea dell’importanza che
collegano a questa dottrina.
Hedge dice: “Di tutte le teorie riguardo all’origine dell’anima, la
metempsicosi mi pare la più plausibile e dunque la più atta a far luce sul
problema della vita a venire”.
James Freeman Clarke afferma: “Sarebbe curioso se vedessimo la scienza
e la filosofia riprendere l’antica teoria della metempsicosi, rimodellarla sulla
base dei nostri attuali modelli di pensiero religioso e scientifico, e lanciarla di
nuovo sul grande oceano delle credenze umane. Tuttavia, sono successe
anche cose più strane nella storia delle idee umane”.
Il professor Knight aggiunge: “Se potessimo legittimamente decidere
qualsivoglia questione di fede sulla base del numero dei credenti in un
determinato principio, la metempsicosi vincerebbe tutti i confronti. Quella del
pe- riodico rinascere e rivivere mi sembra una teoria altrettanto probabile di
qualsiasi altra”.
Il professor Bowen dice: “A mio parere, una fede ferma e ben fondata nella
dottrina della metempsicosi cristiana potrebbe contribuire a rigenerare il
mondo. Si tratta infatti di una dottrina che non presenta le difficoltà e non va
incontro alle obiezioni che affliggono gli altri principi dottrinari, e che
stimola a cercare di condurre una vita più cristiana, e ad amare e ad aiutare i
nostri fratelli. La dottrina della metempsicosi potrebbe addirittura pretendere
di essere considerata un’idea naturale e innata nella mente umana, almeno a
giudicare dalla sua ampia diffusione tra le nazioni della terra e dalla sua
presenza in tutte le epoche”.
E. D. Walzer dice: “Quando il cristianesimo si diffuse per la prima volta in
Europa, il pensiero segreto delle sue figure di spicco era imbevuto di questa
verità. La chiesa cercò vanamente di sradicarla, ma essa continuò a riaffiorare
in svariate sette, anche dopo i tempi di Eriugena e di Bonaventura, i suoi
difensori medievali.
Tutte le grandi anime capaci di intuizione, come ad esempio Paracelso,
Böhme e Swedenborg, vi aderirono. I grandi sapienti italiani, Giordano
Bruno e Campanella, l’abbracciarono. La parte migliore della filosofia
tedesca vi si richiama; in Schopenhauer, Lessing e Fichte figlio, essa trova
degli accaniti sostenitori.
I sistemi antropologici di Kant e Schelling presentano con essa punti di
contatto. Helmont figlio elenca in duecento problemi tutti gli argomenti che
possono essere addotti in favore del ritorno dell’anima a un corpo umano
secondo le idee ebraiche.
Tra i pensatori inglesi, i platonici di Cambridge la difesero con grande
erudizione e intelligenza, particolarmente Henry More; Cudsworth e Hume la
presentarono come la più razionale teoria sull’immortalità. Glanvil le dedicò
un singolare trattato. Essa affascinò la mente di Fourier e Leroux. Il libro di
André Pezzani sulle molte vite dell’anima riconduce la metempsicosi all’idea
cattolica di espiazione”.
Tuttavia, ancora più importante delle opinioni e della varietà di sfumature
con cui questo importante principio viene accolto nel pensiero di grandi
autori e maestri è la fondamentale convinzione interiore di tutte le anime che
hanno raggiunto un determinato stadio di sviluppo spirituale, che fa loro dire:
“ho già vissuto precedentemente”. Tale convinzione e credenza intuitiva,
basata sul ridestarsi di vaghi ricordi, vale per l’individuo più di tonnellate di
pagine sul tema.
Un autore ha scritto a questo riguardo: “Chi non ha sperimentato la
sensazione di aver già avvertito quella stesa cosa prima, di averci pensato in
un determinato momento di un imprecisato passato? Chi non è stato
testimone di scene nuove che gli sono apparse antiche, molto antiche? Chi
non ha incontrato per la prima volta persone, la cui presenza ha risvegliato in
lui ricordi di un passato perso nella nebbiosa dimensione del tanto tempo fa?
Chi non è stato assalito qualche volta dalla consapevolezza di una poderosa
‘antichità’ dell’anima? Chi non ha ascoltato musica, spesso composizioni del
tutto inedite, che in qualche modo risvegliava ricordi di note, scene, luoghi,
volti, paesi, associazioni ed eventi simili, che suonavano debolmente sulle
corde della memoria mentre le brezze dell’armonia soffiavano tutt’intorno?
Chi non ha osservato un quadro antico o una statua con la sensazione di
averli già visti prima? Chi non ha vissuto eventi che portavano con sé la
certezza di essere una mera ripetizione di ombrosi accadimenti di vite
lontane? Chi non ha avvertito l’influsso della montagna, del mare, del
deserto, che gli si presentava quando era lontano da quei paesaggi, ma così
vividamente da far sembrare quasi irreale ciò che in realtà aveva intorno in
quel momento? Chi non ha avuto di queste esperienze?”.
Sir Walter Scott annotò quanto segue sul suo diario: “Non posso dire con
sicurezza se valga la pena di scrivere che ieri, all’ora di cena, sono stato
improvvisamente assalito da quello che definirei il senso della preesistenza,
vale a dire, una confusa idea che nulla di quanto stava succedendo accadesse
per la prima volta; che gli stessi argomenti erano già stati discussi e che le
stesse persone avevano espresso le stesse opinioni al riguardo. La sensazione
era così forte da ricordare ciò che definirei un miraggio nel deserto e un colpo
di calore a bordo di una nave (...).
Come può essere che certe scene risveglino pensieri che appartengono per
così dire a sogni di lontani e ombrosi ricordi, quali gli antichi bramini
avrebbero ascritto a un’esistenza precedente? Quante volte ci ritroviamo in
compagnie che non abbiamo mai incontrato prima, e tuttavia ci sentiamo
preda di una consapevolezza misteriosa e mal definita che né la scena, né i
parlanti, né le cose dette siano interamente nuove; anzi, ci pare quasi di poter
anticipare quella parte della conversazione che non ha ancora avuto luogo”.
Bulwer dice: “Esiste uno strano tipo di memoria interiore e spirituale che
così spesso ci rimanda a luoghi e persone che non abbiamo mai visto prima, e
che i platonici spiegherebbero nei termini di una forma di coscienza residua
di una precedente esistenza. Com’è strano che a volte si impossessi di noi,
quando osserviamo determinati luoghi, una sensazione che associa la scena o
con qualche immagine onirica di un passato vagamente ricordato, o con uno
spaventoso presagio del futuro. Tutti abbiamo sperimentato in certi momenti
e luoghi una simile sensazione strana e indistinta”.
Poe dice: “Vaghiamo in mezzo ai destini della nostra esistenza terrena,
accompagnati da indistinti ma sempre presenti ricordi di un destino più vasto,
assai distante per il tempo trascorso e infinitamente spaventoso. Trascorriamo
una giovinezza perseguitata da simili sogni, non scambiandoli però mai per
sogni. Li riconosciamo come ricordi. Durante la nostra giovinezza la
percezione che ne abbiamo è troppo chiara per ingannarci anche per un solo
istante, ma il dubbio della maturità li fa svanire come illusioni”.
Charles Dickens scrisse una volta: “In primo piano si stagliava un gruppo
di silenziose ragazze di campagna che si sporgevano dal parapetto del
ponticello, guardando ora il cielo, ora l’acqua sottostante; all’orizzonte una
profonda vallata; su tutto, l’ombra di una notte incombente. Se in una vita
precedente fossi stato assassinato in quel luogo, non avrei potuto ricordarlo
con maggior precisione, né con una sensazione più violenta di gelo nel
sangue; e il ricordo stesso sopravvenuto in quell’istante è stato talmente
rafforzato da queste immaginazioni che penso non riuscirò mai più a
liberarmene”.
Se si avvertisse la necessità di prove della verità della metempsicosi
differenti dall’intuizione personale e dai lampeggianti ricordi di esistenze
precedenti, troveremmo tali prove nei fenomeni dei bambini prodigio, di cui
non è difficile trovare esempi. Spesso accade che bambini molto piccoli
dimostrino una profonda conoscenza della matematica, della musica o
dell’arte, anche in casi non spiegabili con il principio dell’ereditarietà. Il caso
di Mozart ci offre un esempio tipico in tal senso. All’età di quattro anni
Mozart non solo era capace di eseguire al pianoforte difficili brani musicali,
ma anche di comporre opere notevoli. Egli dimostrava non soltanto una
spiccata sensibilità per le note e per i suoni, ma anche un’abilità istintiva nel
comporre e nell’arrangiare la musica di gran lunga superiore a quella di molti
adulti che avevano dedicato anni della loro vita allo studio e all’esercizio. Le
leggi dell’armonia, la scienza dell’accostamento delle note per questo
straordinario fanciullo non erano il frutto di anni di fatiche, ma di un’abilità
innata.
Un altro esempio notevole è quello di Zerah Colburn, il matematico
prodigio le cui imprese attrassero l’attenzione del mondo scientifico nel corso
del secolo scorso. In questo caso, un bambino di meno di otto anni, senza
alcuna precedente conoscenza delle regole fondamentali dell’aritmetica, e
nemmeno dell’uso e delle proprietà dei numeri arabi, risolveva una gran
varietà di problemi aritmetici con una semplice operazione della mente, e
senza usare simboli o artifici visibili.
Era in grado di rispondere prontamente a una domanda che implicasse il
calcolo esatto dei minuti e dei secondi in un dato periodo di tempo. Era anche
in grado di stabi- lire con altrettanta facilità il prodotto esatto della
moltiplicazione di qualsiasi numero contenente due, tre, o quattro cifre per un
altro numero analogo. Sapeva determinare quasi istantaneamente tutti i fattori
che componevano un numero di sei o sette cifre. Allo stesso modo sapeva
rispondere a domande sull’estrazione di radici quadre e cubiche di qualsiasi
numero gli venisse proposto, e sapeva altresì determinare se un numero era
primo, se non era cioè passibile di divisione per qualsiasi altro numero, per la
qual cosa non esistono regole generali tra i matematici. Quando gli venivano
poste queste domande mentre era impegnato nei suoi normali giochi di
bambino, rispondeva loro quasi immediatamente per poi continuare a giocare.
Questo bambino una volta si impegnò e riuscì pienamente a elevare
progressivamente il numero 8 fino alla sedicesima potenza. Il bambino, se
interrogato circa la sua capacità di fornire tali risposte e di risolvere problemi
così difficili, non era capace di rispondere. Affermava di non sapere come la
risposta gli venisse in mente, ma osservandolo risultava evidente che un
qualche procedimento era in corso nella sua mente, e che nelle sue imprese
non vi era alcun trucco semplicemente mnemonico. Inoltre, è importante
ricordare che egli ignorava totalmente anche le regole più fondamentali
dell’aritmetica, e che non era in grado di rappresentare sulla lavagna o sulla
carta nemmeno la più semplice operazione di addizione o moltiplicazione.
Anche gli sviluppi di tale caso furono interessanti. Quando alcuni anni
dopo il bambino venne mandato alle scuole normali, dove fu istruito nell’arte
dell’aritmetica scritta, il suo potere cominciò a svanire e alla fine lo
abbandonò del tutto, ed egli divenne uguale a qualsiasi suo coetaneo. Fu
come se una porta della sua anima fosse stata chiusa, mentre prima era aperta.
I Rosacroce insegnano che l’anima umana è sul sentiero del progresso, e
che impara le lezioni della vita e dell’esperienza, esistenza dopo esistenza,
immagazzinando l’essenza di queste impressioni che vanno a formare la base
del carattere dell’individuo quando rinasce. Secondo la dottrina rosacrociana,
la rinascita e le sue condizioni non sono imposte, ma, al contrario, l’anima
individuale è attratta verso la rinascita a causa di determinati desideri nel suo
carattere o, piuttosto, a causa dell’essenza di tali desideri. L’anima rinasce in
determinati ambienti soltanto perché ha in sé dei desideri insoddisfatti che
possono essere realizzati soltanto in quegli ambienti. Qui agisce la legge di
attrazione proprio come negli atomi di materia.
Ogni anima ha in sé la forza attraente di alcuni gruppi di desideri che
richiamano da e verso l’anima determinate condizioni ed esperienze.
Non vi è alcun elemento di punizione o ingiustizia in questa legge, poiché
essa dà a ciascuna anima esattamente ciò che l’anima richiede per soddisfare i
propri desideri insoddisfatti o, viceversa, le condizioni e le esperienze
necessarie a purificare l’anima da determinati desideri che ostacolano il suo
progresso, e la cui distruzione renderà possibile un futuro avanzamento.
I Rosacroce insegnano che gli individui di ogni sottorazza che hanno
superato i loro simili dal punto di vista dello sviluppo spirituale restano
ancora legati da vincoli razziali ai loro fratelli che si sono lasciati dietro. In
molti casi tali individui sono vincolati fino a che la loro intera sottorazza non
raggiunge le loro posizioni. Essi non sono però costretti a sottoporsi a
un’inutile sequenza di nascite e rinascite nel corso di questo periodo di attesa
ma, al contrario, trascorrono questo periodo su un piano elevato, ove vengono
in contatto con anime progredite ed esseri superiori che fanno loro da maestri.
In alcuni casi, questi individui progrediti accettano di tornare alla vita terrena
come grandi maestri per contribuire al progresso complessivo della
sottorazza. Secondo la dottrina rosacro- ciana, oggi in mezzo a noi dimorano
molte di queste anime progredite e generose, che danno il loro contributo al
progresso generale.
Gli insegnamenti rosacrociani circa il valore delle esperienze fatte in ogni
esperienza terrena sono ben illustrate da un importante autore, il quale
afferma: “Molti obiettano riguardo alla dottrina della rinascita che le
esperienze di ciascuna vita sono inutili e prive di valore poiché nessuno le
ricorda. Questo è un punto di vista erroneo se si considera che esse non vanno
completamente perse per noi, ma formano una parte del materiale di cui la
nostra mente è composta. Esse sopravvivono in essenza in forma di
sentimenti, caratteristiche, inclinazioni, simpatie e antipatie, affinità,
attrazioni o repulsioni, e in questa forma sono altrettanto presenti nella nostra
vita di quanto lo sono le esperienze di ieri che ricordiamo bene.
Prendete in considerazione gli anni della vostra vita attuale, e cercate di
ricordare le esperienze di un anno fa, di cinque, dieci, venti, trenta anni fa, o
di tanto tempo addietro quanto vi aggradi di andare. Scoprirete che riuscite a
ricordare soltanto pochi fatti della vostra vita. Le espe- rienze della maggior
parte dei giorni che avete vissuto sono state completamente dimenticate.
Sebbene esse siano state al momento assai vivide e reali, ora sono svanite nel
nulla, e a tutti gli effetti sono andate perdute per voi. In realtà, ciò non è
assolutamente vero.
Ricordate, voi siete ciò che oggi siete in virtù di queste stesse esperienze
che adesso non riuscite a ricordare; esse esistono nel vostro carattere e hanno
contribuito a formarlo e modellarlo. I dolori, i piaceri, le tristezze e la felicità
apparentemente dimenticati sono fattori attivi della formazione e della
conservazione del vostro carattere di oggi.
Queste prove vi hanno rafforzato per certi versi, mentre per altri hanno
mutato il vostro punto di vista, facendovi vedere le cose in una prospettiva
più ampia. Un certo cruccio vi ha permesso di avvertire il dolore degli altri;
un’altra delusione vi ha spronato a nuovi sforzi. Ognuna di queste esperienze
ha lasciato un marchio permanente sulla vostra personalità, sul vostro
carattere.
Tutti gli uomini e le donne sono quello che sono in virtù di quanto hanno
attraversato o compiuto e di ciò a cui sono sopravvissuti. Sebbene tali
avvenimenti, scene, circostanze, fatti, esperienze siano svaniti dalla loro
memoria, i loro effetti sono indelebilmente impressi nel tessuto del carattere,
modificando le persone da come avrebbero potuto essere se quegli
avvenimenti e quelle esperienze non fossero entrati nella loro vita.
“Questa stessa regola si applica alle caratteristiche che sono un’eredità di
precedenti incarnazioni. Non avete il ricordo delle esperienze fatte, ma ne
avete il frutto in forma di tratti caratteriali, gusti o inclinazioni. Avete un’in-
clinazione per determinate cose e un disgusto per altre. Alcune cose vi
attraggono, mentre altre vi repellono. Tutto ciò è il risultato delle esperienze
fatte in precedenti incarnazioni. Il vostro stesso gusto e l’inclinazione per lo
studio dell’occulto che vi fa adesso leggere queste righe rappresentano
l’eredità di una vita precedente in cui alcuni pensieri seminali di
insegnamenti esoterici sono stati impiantati nel vostro pensiero da un maestro
o da un amico, e poi hanno destato il vostro interesse e attirato la vostra
attenzione. Allora avete imparato qualcosa sull’argomento, o forse molto, e
avete sviluppato un desiderio di ulteriori conoscenze in quest’ambito, il quale
desiderio, manifestandosi nella vostra vita presente, vi ha nuovamente messo
in contatto con insegnamenti simili. Quella stessa inclinazione condurrà in
questa vita a ulteriori progressi su questa linea, e a opportunità ancora
maggiori in incarnazioni future.
Quasi tutti coloro che stanno leggendo queste righe avvertiranno che gran
parte degli insegnamenti occulti che stanno ricevendo non rappresentano altro
che un “ripasso” di qualcosa di già conosciuto, anche se molte delle cose ora
insegnate non le hanno mai udite prima in questa vita. Prendete un libro e
leggete qualcosa, e capite subito che è così, perché in modo vago avete la
consapevolezza di aver studiato e risolto il problema in un’esistenza
precedente. Tutto ciò è in accordo con la legge di attrazione, che ha fatto sì
che attraeste a voi stessi ciò con cui avvertite un’affinità, e che fa anche sì che
altri siano attratti da voi. Allo stesso modo e per la stessa ragione si
verificano in questa vita molte riunioni di persone che erano state in relazione
tra loro in vite precedenti. Gli an- tichi amori e gli antichi odi si riproducono
nella nuova vita. Siamo legati a coloro che abbiamo amato, e anche a coloro
che abbiamo ferito. La storia va portata avanti fino all’ultimo capitolo, anche
se un’accresciuta conoscenza del perché e per come di tali cose può liberare
l’individuo da tanti intricati legami e relazioni di questo tipo”.
La vita oltre la morte
Il corpo degli insegnamenti rosacrociani comprende notizie molto minuziose
e dettagliate riguardo alla vita dell’anima tra un’incarnazione e l’altra, i
fenomeni del mondo astrale, e argomenti simili, che potrebbero riempire
svariati ponderosi volumi. In questo capitolo cercheremo di presentare al
lettore un’idea generale di come la dottrina dei Rosacroce tratta questi temi,
senza entrare in dettagli che non possono essere presentati ora, nello spazio
che abbiamo a disposizione4.
Quando arriva per l’individuo il momento della morte, l’anima si disfa del
corpo fisico e, vestita degli indumenti dell’anima elementare, lo abbandona.
All’inizio la separazione non è completa, poiché l’anima elementare è ancora
attaccata al corpo fisico da un filo o da una cordicella sottile, che alla fine si
spezza e consente all’anima di procedere sul suo cammino. Gli indumenti
dell’anima elementare sono naturalmente, in un certo senso, altrettanto
“fisici” di quelli del corpo visibile che sono stati appena gettati via
dall’anima. In questi nuovi indumenti, tuttavia, la persona risulta invisibile
alla vista ordinaria degli uomini tranne nel caso di veggenti e la sua presenza
non può essere rilevata.
L’anima disincarnata passa poi a quello che gli occultisti chiamano il piano
astrale, che tuttavia non è un luogo nel senso proprio della parola, ma è
piuttosto “uno stato o una condizione dell’essere” che non ha nulla a che fare
con le limitazioni spaziali. Il piano astrale manifesta i suoi fenomeni per
mezzo di una frequenza di vibrazioni superiore a quella che caratterizza i
fenomeni del piano terrestre. Differenti piani dell’essere possono occupare lo
stesso spazio nello stesso tempo senza interferire tra loro.
Raggiungendo la frequenza di vibrazioni del piano astrale, l’anima appena
disincarnata cade in un sonno profondo, o stato di coma, che ricorda la
condizione del bambino non ancora nato per vari mesi prima della sua
nascita. Questa condizione è necessaria a preparare l’anima alla sua vita sul
nuovo piano.
L’anima che ha lasciato la scena terrena in uno stato di quiete e con un
atteggiamento mentale sereno subito precipita in un sonno senza sogni;
coloro la cui mente era invece satura di desideri violenti riferiti alla vita
terrena spesso sperimentano i cosiddetti “sogni astrali” in cui tornano a
visitare scene di vita terrena e, se è loro possibile, indulgono in
comunicazioni più o meno distorte e sognanti per il tramite di “medium” e
simili. I violenti desideri e il cordoglio di coloro che l’anima si è lasciata
dietro sulla scena terrena contribuiscono a volte anch’essi a instaurare una
condizione di “rapporto”, che disturba l’anima addormentata e interferisce
con il suo indispensabile riposo preparatorio. In questo stato di sonno,
l’anima di- sincarnata è pienamente protetta dall’influsso o dalla presenza di
altri esseri, ed è sicura come il bambino nel ventre della madre.
Alcune anime hanno bisogno di un lungo periodo di sonno sul piano
astrale prima di destarsi per intraprendere nuove attività, mentre altre hanno
bisogno soltanto di un tempo relativamente breve. La regola generale è che
maggiore è lo sviluppo spirituale dell’anima, più lungo è il suo periodo di
sonno. Il periodo di sonno dell’anima è strettamente connesso alla durata del
soggiorno dell’anima sul piano astrale: le anime meno evolute spiritualmente
si precipitano verso una nuova rinascita, mentre quelle più evolute
trascorrono un periodo molto più lungo sul piano astrale tra una rinascita e
l’altra.
Nel sonno dell’anima si compie un singolare processo, vale a dire la
preparazione alla svestizione degli involucri inferiori dell’anima, in modo che
essa risulti libera di entrare nella vita del piano astrale, con addosso soltanto
gli indumenti relativi allo stadio più alto di sviluppo spirituale raggiunto.
Ogni anima si sveglia sul piano astrale preparata a dimorare sul piano della
sua parte più alta e migliore, lasciandosi dietro il resto. Essa si risveglia su un
piano in cui alla sua parte superiore e migliore viene data una possibilità di
svilupparsi e di espandersi e di fare progressi, poiché l’anima può compiere, e
di fatto compie, grandi progressi nel corso di questi soggiorni sul piano
astrale tra due nascite.
Sul piano astrale vi sono innumerevoli sottopiani e suddivisioni, tutti più o
meno indipendenti tra loro. Le distinzioni tra i piani sono complessivamente
il risultato di differenze di frequenza di vibrazioni e non rappresentano
distanze spaziali. Ogni sottopiano, o suddivisione, è abitato da anime
perfettamente adatte a dimorarvi, sulla base del loro rispettivo grado di
sviluppo spirituale. A operare per il conseguimento di tale risultato è la
grande legge di Attrazione, e ogni anima “si sente perfettamente a proprio
agio” sul piano in cui si trova. La legge opera con infallibile precisione e non
compie mai errori.
Una serie di rigide leggi naturali confina l’anima nell’ambito del proprio
sottopiano o suddivisione del piano astrale, consentendole, se lo desidera, di
visitare i piani inferiori al suo, ma non quelli superiori. La legge delle
vibrazioni opera qui come un poliziotto astrale. Le anime disincarnate
possono dunque comunicare e conversare tra loro e incontrarsi, ma solo se
l’anima superiore viene a far visita a quella inferiore, mai il contrario.
Lo scenario e l’ambiente dei vari sottopiani del piano astrale
corrispondono alle idee e alle convinzioni delle anime che li occupano. Il
pellerossa può trovarvi la propria “riserva di caccia” più facilmente di quanto
certa gente potrebbe pensare. I pensieri e gli ideali dell’anima si riflettono
sulla sostanza recettiva del piano astrale, e ogni anima, in un certo senso, è la
creatrice del proprio ambiente e del proprio mondo: con le sue forme di
pensiero si costruisce un mondo a sé congeniale.
L’anima compie progressi nel corso del suo soggiorno sul piano astrale e si
prepara per un ambiente migliore e più felice dopo la rinascita. Durante tale
soggiorno essa assimila e digerisce le esperienze della sua ultima vita terrena
e impara la lezione di queste esperienze, che plasmerà il nuovo carattere che
si sta formando nell’anima. Questa ha modo di rivedere errori passati e di
comprendere il significato autentico di tante esperienze sconcertanti. Così
l’anima “fa l’inventario” di se stessa ed è meglio preparata ad affrontare la
situazione della sua prossima esistenza terrena.
Sul piano astrale l’anima riceve anche l’ausilio e l’assistenza di alcuni
grandi maestri spirituali dell’umanità, la cui missione è quella di provvedere
alle necessità delle anime addolorate e sofferenti che si sforzano di trovare
una strada di uscita dai guai e dagli errori.
Non solo questi maestri provvedono ai bisogni strettamente spirituali delle
anime che cercano il loro aiuto, ma in molti casi l’anima ha il vantaggio di
poter contare su una valida assistenza nella scelta delle occupazioni a cui
dedicarsi, fornita loro da amabili anime progredite pronte e disponibili ad
aiutare chi si incammina faticosamente sul sentiero. Tanti artisti, musicisti,
scrittori e inventori, rinascendo, hanno tratto grande beneficio e profitto dal
contatto con questi assistenti del piano astrale.
Infine, al termine del più o meno lungo periodo di soggiorno dell’anima sul
piano astrale, la cui durata dipende dal grado di sviluppo spirituale
dell’anima, sopraggiunge il primo albeggiare di un nuovo stato o condizione,
conosciuti dagli occultisti con il nome di “secondo sonno dell’anima”, ovvero
il sonno durante il quale l’anima viene preparata alla sua nuova imminente
nascita sulla terra.
Uno scrittore ha ben descritto questo stato nei termini seguenti: “Il secondo
sonno dell’anima è preceduto da uno stadio di transizione caratterizzato da un
graduale declino di attività e di coscienza, e dall’insorgere nell’anima di un
corrispondente desiderio di riposo. Avvicinandosi alla loro conclusione i
processi naturali del piano astrale, l’anima comincia ad avvertire una
sensazione di sfinimento e di stanchezza, e istintivamente aspira alla quiete e
al riposo. Essa si rende conto di aver realizzato la maggior parte dei suoi
desideri, delle sue ambizioni e dei suoi ideali, e in molti casi di esserseli
anche lasciati alle spalle. Sopravviene in lei il nostalgico sentimento che
accompagna la consapevolezza di aver compiuto pienamente il proprio
destino, a cui si aggiunge una premonizione dell’inizio di una nuova fase di
esistenza. L’anima non avverte alcun dolore all’avvicinarsi del suo secondo
sonno, anzi, al contrario, prova soddisfazione e felicità per l’arrivo di un
qualcosa che promette riposo e recupero delle energie. Come lo stanco
viaggiatore che si è arrampicato per sentieri di montagna e ha apprezzato le
esperienze fatte nel corso del viaggio, l’anima è cosciente di essersi meritata
un sereno riposo, e, come quel viaggiatore, lo desidera e anela a esso”.
Lo stesso scrittore dice: “Può darsi che l’anima abbia trascorso sul piano
astrale pochi anni, o magari un secolo o un millennio di tempo terrestre, a
seconda del suo grado di sviluppo e di evoluzione. Tuttavia, breve o lunga
che sia stata tale permanenza, la sensazione di stanchezza alla fine si
impossessa dell’anima e, come succede nell’ambito dell’esistenza terrena a
tante persone anziane, essa sembra dire ‘ho terminato il mio compito,
lasciatemi andare’. Così, prima o poi, l’anima avverte il desiderio di acquisire
ulteriore esperienza, e di manifestare in una nuova vita i progressi compiuti
nel corso del suo sviluppo sul piano astrale. Per queste ragioni, e anche sotto
la spinta di desideri che hanno continuato a covare sotto le ceneri, non
soddisfatti né superati, o ancora, forse influenzata dal fatto che un’anima
amata, appartenente a un piano inferiore, è pronta a reincarnarsi, e
desiderando essere a fianco di quell’anima (il che rappresenta un’altra forma
di desiderio), l’anima viene trascinata verso la rinascita e la scelta di genitori
adeguati e di un ambiente vantaggioso. In conseguenza di ciò, essa cade di
nuovo in uno stato di sonno, con gradualità e così, quando viene il suo tempo,
essa muore sul piano astrale, come aveva fatto prima sul piano materiale, e si
proietta verso una nuova rinascita sulla terra”.
Vi è tuttavia un altro fatto che riguarda il risveglio dell’anima alla
rinascita, che viene menzionato raramente negli scritti dedicati a questo
argomento, e che di conseguenza è ignorato da molte persone che conoscono
invece gli altri fatti che riguardano la rinascita. Rigorosamente parlando,
l’anima si mantiene in uno stato di sonno parziale persino dopo che è rinata a
un’esistenza terrena. Essa non si risveglia subito nel corpo del neonato in cui
si è reincarnata, ma soltanto poco a poco nel corso dell’infanzia e
dell’adolescenza.
Uno scrittore esperto della materia aggiunge: “Il graduale risveglio
dell’anima viene evidenziato dalla crescente intelligenza del bambino. In
alcuni casi, tuttavia, il risveglio è prematuro, e abbiamo il caso di bambini
prodigio, ma tali casi sono più o meno anormali e patologici.
Occasionalmente, l’anima sognante del bambino si sveglia a metà, e
sorprende i genitori con qualche osservazione molto profonda, oppure con un
commento o comportamento maturo. D’altra parte, si conoscono casi in cui
l’anima non si risveglia quando sarebbe normale e il risultato è che la persona
non mostra segni di attività intellettuale completa fino a quasi la mezza età.
Alcuni individui paiono svegliarsi a quarant’anni, o anche dopo, e da quel
momento danno mostra di un’attività e di una energia del tutto nuove,
sorprendendo quanti li conoscevano da prima”.
Qui chiediamo al lettore di considerare attentamente un altro punto
riguardo alla necessità e alle conseguenze del secondo sonno dell’anima.
Come nel primo sonno l’anima era passata attraverso un periodo di digestione
e assimilazione spirituale delle esperienze fatte nel corso della vita terrena,
così nel secondo sonno essa attraversa un periodo di digestione e
assimilazione delle esperienze avute sul piano astrale. In entrambi questi
periodi, l’anima trasforma la sostanza dell’esperienza nella solida carne, nelle
ossa e nel sangue del suo “carattere”. Essa ha superato molte cose nel corso
del suo soggiorno sul piano astrale e si è lasciata alle spalle tanti aspetti
indesiderabili.
Nel suo procedere verso la rinascita durante il secondo sonno ogni anima si
dirige al luogo a cui appartiene, a causa di ciò che è.
Non si verificano favoritismi né ingiustizie nei suoi confronti. L’anima non
è costretta a reincarnarsi contro i propri desideri, anzi, essa si reincarna
proprio a causa dei propri desideri insoddisfatti. Viene trascinata nella
corrente della rinascita perché le sue inclinazioni e i suoi desideri hanno
creato vincoli di attrazione tra l’anima stessa e le cose terrene.
Tali desideri possono essere soddisfatti solo attraverso un’altra esperienza
di vita terrena, in mezzo a un ambiente e a condizioni più adatte alla loro
estrinsecazione. L’anima sente la spinta a soddisfare i propri desideri e le
proprie aspirazioni, e si muove nella direzione in cui tale soddisfazione
diviene possibile. Il desiderio è sempre il grande movente dell’anima nel
determinare le condizioni della rinascita, e il fatto della rinascita stessa.
Un autore ha scritto giustamente a questo proposito: “L’anima, che ha
mantenuto viva una voglia non superata di cose terrene, cadrà naturalmente
nella corrente della rinascita che la condurrà verso le condizioni in cui queste
aspirazioni fioriranno e si manifesteranno.
Solo quando l’anima, attraverso molte vite terrene, comincia a rendersi
conto dell’illusorietà e della vacuità dei desideri materiali, comincia a essere
attratta dalle cose della sua natura più alta, e sfuggendo il flusso della
corrente della rinascita, riesce a sollevarsi sopra di essi ascendendo alle sfere
superiori. Dopo molti anni di esperienza terrena l’individuo medio può
arrivare ad affermare di non avere più desiderio di vita sulla terra e di essere
pronto a lasciarla per sempre.
Queste persone sono perfettamente sincere nelle loro affermazioni e
sentimenti, ma uno sguardo alla loro anima interiore rivelerebbe uno stato di
cose ben diverso.
Esse non sono realmente stanche della vita terrena ma di quel particolare
genere di vita che hanno conosciuto durante l’attuale incarnazione. Hanno
scoperto la natura illusoria di alcune esperienze terrene e ne sono rimasti
disgustati.
Sentono però sempre viva la presenza di tutt’un altro tipo di desideri e
percepiscono l’ansia di poterli vivere sulla terra. Non hanno trovato felicità o
soddisfazione nelle loro esperienze, ma analizzando la loro vita con onestà
dovrebbero ammettere che se le cose fossero andate in un altro modo,
l’avrebbero potuta trovare.
Quel “se” avrebbe potuto soddisfare amore, ricchezza, fama, ambizione, e
costituisce il seme dei desideri che restano: l’ansia per quel “se” è il vero
motivo della rinascita. Pochissime persone sarebbero disposte a rivivere la
loro vita terrena e sono oneste nelle loro dichiarazioni. In realtà, sarebbero
più che disposte a riplasmare il mondo secondo i desideri del loro cuore e
vivere nuovamente la vita terrena.
Comprendete?
Non è la vita terrena in sé che non amano più ma solo alcune esperienze
particolari che hanno vissuto. Date all’individuo medio giovinezza, salute,
ricchezza, talento e amore, ed egli sarà subito pronto a ricominciare il
carosello della vita terrena. È solo la mancanza o un’insufficienza di queste
cose che gli fa percepire la vita come un fallimento, qualcosa che può
volentieri lasciarsi dietro.
Durante il suo soggiorno sull’astrale, l’anima si è riposata, ristorata e
rinvigorita. Si è dimenticata della stanchezza della vita conosciuta durante la
precedente incarnazione; è di nuovo giovane, vigorosa, ambiziosa e piena di
speranze. Sente in sé il richiamo all’azione, la spinta dei desideri inappagati e
cade prontamente nella corrente che la porta sulla scena nella quale si
potranno manifestare tali desideri”.
Lo stesso scrittore dice anche: “Un altro punto da chiarire riguarda il tipo
di desideri che costituiscono il motore determinante della rinascita. Questi
non sono necessariamente bassi o malsani; al contrario possono essere della
natura più elevata e possono rappresentare le aspira- zioni e ambizioni più
belle e gli ideali più alti. Comunque sia, in essi vi è sempre il principio del
desiderio. Elevati o bassi, i desideri sono il seme dell’azione, e l’impulso
verso l’azione è la caratteristica stessa del desiderio.
Il desiderio vuole sempre avere, fare o essere. L’amore, anche il più
altruistico, è sempre una forma di desiderio, così anche l’aspirazione più
nobile; la voglia di far del bene al prossimo è desiderio quanto il suo opposto.
In realtà, molte anime altruistiche sono ricondotte alla rinascita
semplicemente dall’insistente aspirazione a compiere qualche grande opera
per l’umanità, per servire gli altri, o per adempiere qualche dovere ispirato
dall’amore. Di qualsiasi tipo siano, se questi desideri sono collegati in
qualche modo alle cose terrene, sono motivi e gradini della rinascita. In
conclusione, non rinascerà mai alcun’ani- ma che nel suo intimo davvero non
desideri la rinascita sulla terra.
Una simile anima è attirata verso altre sfere, dove l’attrazione della terra
non esiste. In questo caso, la legge d’attrazione porta l’anima lontano dalla
terra, non verso di essa.
Ci sono molte anime che sono adesso sul piano astrale, e che stanno
passando attraverso gli stadi finali della liberazione dai vincoli terreni, come
ci sono altresì molte anime che ora conducono un’esistenza terrena, le quali
non torneranno mai sulla terra, ma che dopo il loro prossimo soggiorno sul
piano astrale si solleveranno ai piani superiori dell’esistenza, lasciandosi
definitivamente alle spalle la terra e le cose terrene.
Oggi ci stiamo avvicinando alla fine di un ciclo in cui moltissime anime si
stanno preparando per il loro volo verso l’alto. Molti di coloro che stanno
leggendo queste righe potrebbero essere assai avanti in quel movimento
ciclico”.
Parte XI
Il viaggio dell’anima
Un punto di fondamentale importanza della dottrina rosacrociana è quello che
stabilisce che l’evoluzione dell’uomo non è confinata a questo pianeta, la
Terra, ma è invece estesa a una catena di sette pianeti. I Rosacroce insegnano
che la vita e i processi evolutivi di questo pianeta sono collegati e mischiati ai
processi evolutivi di altri sei pianeti.
Questi sette pianeti della nostra catena planetaria sono strettamente
collegati e connessi da sottili forze eteriche ed è presente una costante
corrente eterica che passa dall’uno agli altri, e che fluisce attraverso l’intero
circuito. I pianeti collegati rappresentano la catena dei mondi che è la serie
delle dimore dell’anima individuale, il cui circuito è percorso da tutte le
anime individuali. Non solo ogni anima attualmente sulla Terra si reincarna
svariate volte su questo pianeta, ma nel corso del tempo passa al pianeta
immediatamente superiore, proprio come in passato era arrivata qui
provenendo dal pianeta immediatamente inferiore. Tale giro della catena dei
pianeti è stato compiuto svariate volte dalla razza umana in una sua qualche
forma di esistenza e verrà compiuto ancora.
I pianeti di questa catena di mondi non sono identici alla Terra per
composizione e natura; al contrario vi è una grossa differenza sotto questo
aspetto. La Terra non è il pianeta più evoluto, ma occupa invece una
posizione infima nella scala dell’evoluzione planetaria, anche se ci sono
pianeti ancora più in basso. Il viaggio delle anime attraverso questa catena di
mondi, tuttavia, non è un semplice cerchio in cui l’anima si muove da un
punto inferiore a quello più alto, ma segue piuttosto lo schema della spirale,
per cui il viaggio approda sempre al punto di partenza, ma su un piano più
alto di attività.
Il viaggio delle forme di vita di pianeta in pianeta avviene dal principio
dell’attuale epoca del mondo, ed è stato compiuto dalle forme di vita che
salivano la scala a chiocciola dell’evoluzione. Un autore che si è occupato di
questo tema ha detto al riguardo: “Questa è la struttura a spirale del
movimento evolutivo degli impulsi vitali che danno origine ai vari regni della
natura e che spiega le discontinuità osservate nelle forme animate che
popolano la Terra. L’impanatura di una vite, che in realtà è un piano inclinato
uniforme, appare come una successione di gradini se esaminata solo lungo
una linea parallela al suo asse. Le monadi spirituali, che compaiono nel
sistema al livello animale, passano ad altri mondi quando hanno esaurito la
loro fase di incarnazione animale qui sulla terra. Quando ritornano sono
pronte per l’incarnazione umana, e ora non vi è alcuna necessità di uno
sviluppo di forme animali in forme umane, poiché queste stanno già
attendendo i loro affittuari spirituali. Tuttavia, se torniamo abbastanza
indietro nel tempo, arriviamo a un periodo in cui non vi erano forme umane
già sviluppate sulla Terra. Quando le monadi spirituali, muovendosi sul
livello umano iniziale o più basso, stavano così cominciando ad apparire, la
loro spinta in avanti in un mondo che allora ospitava solo forme animali
causò l’evolvere delle più alte di esse verso la forma richiesta, il tanto
dibattuto anello mancante (...). L’impulso alla nuova evoluzione di forme
superiori è dato in verità da afflussi di monadi spirituali che compaiono nel
ciclo in uno stato consono all’abitazione di nuove forme. Questi impulsi di
vita superiore infrangono la crisalide della forma più vecchia sul pianeta che
invadono ed emettono l’efflorescenza di qualcosa di superiore. Le forme che
hanno continuato semplicemente a ripetersi per millenni improvvisamente
riprendono il loro sviluppo e con relativa rapidità si evolvono in forme
superiori, passando per quelle intermedie. Poi, quando queste forme superiori
a loro volta si sono moltiplicate con il vigore e la rapidità di tutte le crescite
recenti, esse forniscono abitazioni di carne per le entità spirituali che
compaiono in quello stadio o su quel piano di esistenza. Per le forme
intermedie non ci sono più possibili affittuari e inevitabilmente esse si
estinguono”.
Lo scrittore sottolinea anche un punto molto importante del viaggio delle
forme di vita da un pianeta all’altro dicendo: “L’onda della vita, l’ondata
dell’esistenza, l’impulso spirituale, chiamatelo come volete, passa di pianeta
in pianeta in getti o fiotti, non con un flusso continuo. Per illustrare questa
idea, potremmo paragonare il processo al riempimento di una serie di buche o
di vasche scavate nel terreno, quali se ne possono a volte vedere alla foce di
piccole sorgenti, collegate tra loro da minuscoli canali in superficie. L’acqua
della sorgente, man mano che fluisce, all’inizio è raccolta interamente dalla
prima buca o vasca A, ed è soltanto quando questa è completamente piena
che il continuo afflusso d’acqua dalla sorgente fa sì che il liquido trasbordi
dalla vasca A alla vasca B. Questa a sua volta si riempie e trabocca lungo il
canale che porta alla vasca C, e così via (...). Risulta evidente da quanto
abbiamo già detto, e al fine di spiegare lo sviluppo degli organismi sul
pianeta A, che il regno minerale del pianeta A non si evolverà in regno
vegetale fino a quando non riceverà un impulso dall’esterno, così come sulla
terra l’uomo si è sviluppato dalla scimmia soltanto quando ha ricevuto tale
impulso dall’esterno (...). Il pieno sviluppo dell’epoca minerale sul pianeta A
prepara la strada per lo sviluppo vegetale e, non appena questo comincia,
l’impulso della vita minerale passa al pianeta B. Poi, quando lo sviluppo
vegetale sul pianeta A si è completato, e comincia lo sviluppo animale,
l’impulso della vita vegetale passa al pianeta B, e l’impulso della vita
minerale passa al pianeta C. Poi finalmente si manifesta sul pianeta A
l’impulso umano. È necessario a questo punto sgomberare il campo da un
equivoco che potrebbe sorgere. Va sottolineato un fatto il cui influsso sul
corso degli eventi è tale che, quando sarà compreso, consentirà altresì di
vedere come l’impulso vitale abbia percorso svariate volte l’intera catena dei
pianeti prima che l’impulso umano sul pianeta A abbia cominciato a
manifestarsi. Il fatto è il seguente: ciascun regno dell’evoluzione, vegetale,
animale, e così via, è diviso in vari strati a spirale. Le monadi spirituali, gli
atomi individuali di quell’immenso impulso vitale di cui così tanto è stato
detto, non completano interamente la loro esistenza minerale sul pianeta A,
esse lo completano sul pianeta B, e così via. Esse percorrono varie volte
l’intero cerchio come minerali, e poi di nuovo svariate volte come vegetali, e
varie volte come animali”.
Consideriamo ora i dettagli del progresso della razza umana. Si è visto che
la grande corrente delle forme di vita umana fluisce attraverso la catena
planetaria in grandi ondate di progresso, chiamate dagli occultisti “giri”.
Secondo la regola “come nel grande, così nel piccolo”, nello sviluppo della
razza umana troviamo delle serie di spirali corrispondenti a ciascuno dei
soggiorni sulla Terra. Vale a dire, un’anima individuale che arriva sulla Terra
in uno dei suoi giri non si limita a vivere qui una vita per poi passare al
prossimo pianeta. Al contrario, essa vive diverse vite su questo pianeta, e in
mezzo a svariate razze. Esiste infatti una spirale di razze attraverso cui
l’anima individuale deve vivere e aprirsi la sua strada. Il numero di tali razze
è naturalmente sette, poiché sette è il numero che si manifesta in tutti i grandi
processi occulti del cosmo. Ci sono sette grandi giri di progresso umano
lungo la catena dei pianeti, e in ciascun giro ci sono sette razze in cui l’anima
individuale deve manifestarsi. L’attuale giro della razza umana è il quarto.
Ciascuna delle sette razze dell’attuale (quarto) giro occupa la Terra per un
lungo periodo di tempo. La maggior parte della razza umana oggi presente
sulla Terra appartiene alla quinta razza, anche se alcuni ritardatari della
quarta razza ancora dimorano nel nostro mondo. Ognuna di queste sette
grandi razze dell’umanità è suddivisa in sette sottorazze, e ogni sottorazza si
divide in sette rami diversi.
Il periodo durante il quale ogni grande razza fondamentale dell’umanità
fiorisce sulla Terra è nettamente distinto da quello successivo da grandi
convulsioni della natura, che praticamente distruggono ogni traccia della
precedente civiltà, lasciandone soltanto pochi sopravvissuti. Uno scrittore ha
detto riguardo a questo: “I periodi delle grandi razze fondamentali sono divisi
l’uno dall’altro da grandi cataclismi e da grandi mutamenti geologici.
L’Europa non esisteva come continente al tempo in cui fiorì la quarta razza. Il
continente su cui visse la quarta razza non esisteva al tempo in cui fiorì la
terza razza, e nessuno dei continenti che ospitavano i grandi centri
d’irradiazione della civiltà di quelle due razze esistono oggi. Sette grandi
cataclismi continentali si verificano durante l’occupazione della Terra da
parte dell’ondata vitale umana corrispondente al periodo di un giro. Ogni
razza viene in questo modo spazzata via al momento stabilito e alcuni
sopravvissuti si disperdono in varie parti del mondo, che non coincidono con
la patria originaria della loro razza; essi, tuttavia, dimostrano invariabilmente
una tendenza a degenerare e a ricadere nella barbarie più o meno
rapidamente”.
Gli appartenenti alla prima razza dell’attuale (quarto) giro dell’umanità
sulla Terra variavano da tipi primitivi a malapena al di sopra dei bruti a
individui estremamente barbari. I tipi superiori si reincarnarono più tardi
negli individui superiori della seconda razza, i tipi inferiori della prima razza
costituendo la suddivisione inferiore della seconda razza; la regola è che le
anime meno progredite di ogni razza si reincarnano nei tipi più bassi della
razza successiva e superiore.
Gli insegnamenti rosacrociani hanno relativamente poco da dire riguardo
alla storia dei popoli della prima e della seconda razza, ma da ciò che viene
insegnato si può comprendere che appartenevano a un ordine di umanità
estremamente basso: i cavernicoli o gli uomini dell’età della pietra ci danno
un’idea approssimativa della prima e seconda razza. Presso questi individui
esisteva apparentemente poco o nulla di ciò che noi chiamiamo “civiltà”, e il
loro livello era simile a quello dei tipi umani più bassi che conosciamo oggi. I
Rosacroce, tuttavia, affermano che nell’ultimo periodo della seconda razza
comparve qualche anima relativamente evoluta, che agì da lievito per il
grande progresso che arrivò con la terza razza.
L’era della seconda razza terminò puntualmente con un cataclisma che
distrusse la maggior parte dell’umanità e che disperse i sopravvissuti in terre
lontane. Poi cominciò l’epoca della terza razza, il centro della cui civiltà si
trovava nel continente di Lemuria, che era situato su quella porzione del
pianeta che adesso giace sul fondo dell’Oceano Pacifico e di parte
dell’Oceano Indiano. Il continente di Lemuria includeva anche l’Australia, le
isole Australi e altre isole del Pacifico. Queste terre sopravvissute
coincidevano con la parte più elevata del continente di Lemuria, le cui parti
più basse sprofondarono sotto le onde tanto tempo fa.
Uno scrittore narra a proposito del carattere della civiltà di Lemuria: “La
vita a Lemuria era incentrata principalmente sui sensi fisici e i godimenti
materiali; soltanto poche anime evolute avevano spezzato le catene della
materialità e raggiunto i confini dei piani mentali e spirituali della vita.
Invero, alcuni rari individui fecero grandi progressi e furono salvati dal
disastro generale per diventare il lievito che avrebbe sollevato la massa
dell’umanità nel corso del grande ciclo successivo. Queste anime evolute
divennero i maestri delle nuove razze e vennero considerate da queste dèi ed
esseri soprannaturali; leggende e tradizioni incentrate sulle loro figure sono
ancora rinvenibili fra i più antichi dei popoli del nostro mondo. Tanti miti dei
popoli antichi nacquero in questo modo. Le tradizioni vogliono che, prima
del grande cataclisma che distrusse gli uomini della terza razza, un gruppo di
eletti emigrasse da Lemuria a certe isole che fanno ora parte del
subcontinente indiano. Questi individui formarono il nucleo dei maestri
occultisti di Lemuria, e mantennero accesa la fiamma della verità con cui
vennero accese le torce della quarta razza, la razza degli Atlantidi”.
Con la scomparsa di Lemuria, patria della terza razza, sorse dalle
profondità dell’Oceano Atlantico la futura patria della quarta razza, il
continente di Atlantide. Atlantide era situata nello spazio ora occupato da una
porzione dell’Oceano Atlantico, cominciando dal Mar dei Caraibi, e
arrivando all’Africa. Ciò che oggi conosciamo come Cuba e le Indie
Occidentali rappresentava la vetta del continente di Atlantide, le parti più
basse essendo oggi sepolte sotto le onde dell’Oceano Atlantico.
Lo scrittore prima citato dice a proposito della civiltà di Atlantide: “La
civiltà di Atlantide era ammirevole, e la sua gente raggiunse vertici che
paiono quasi incredibili anche a coloro che sono familiari con le più alte
conquiste dell’uomo dei nostri tempi. Gli eletti salvatisi dal cataclisma che
distrusse Lemuria, e che vissero fino a un’età ragguardevole, avevano
immagazzinato nelle loro menti la saggezza e il sapere della civiltà che era
stata distrutta, e così all’inizio essi diedero agli Atlantidi un enorme
vantaggio. Questi mossero dei passi decisivi in direzione del progresso
umano. Perfezionarono invenzioni e strumenti meccanici, spingendosi ben
oltre le nostre attuali conquiste. Soprattutto nel campo dell’elettricità
raggiunsero uno stadio che l’umanità presente non raggiungerà che tra due o
tre secoli. Quanto alle loro conoscenze nel campo dell’occulto, i loro
progressi furono tali da superare di molto i sogni più audaci dell’uomo medio
del nostro tempo. In verità fu proprio questa una delle cause della loro rovina,
poiché essi prostituirono il loro potere asservendolo a scopi bassi ed egoistici
e praticarono la magia nera. Così cominciò il declino di Atlantide. La fine,
tuttavia, non arrivò all’improvviso e inaspettatamente, bensì fu graduale. Il
continente e le isole prospicienti furono gradualmente sommersi dalle onde
dell’Oceano Atlantico e Atlantide scomparve nell’arco di 10.000 anni. I Greci
e i Romani, che appartengono al nostro stesso ciclo, avevano una serie di
tradizioni riguardo allo sprofondamento del continente, ma le loro
conoscenze si riferivano unicamente alla scomparsa di piccoli resti, di
determinate isole, mentre il continente stesso era scomparso migliaia di anni
prima della loro epoca. Pare che i sacerdoti egizi custodissero una tradizione
secondo cui il continente stesso fosse scomparso novemila anni prima del
loro tempo”.
Come nel caso degli eletti di Lemuria, anche Atlantide ebbe i suoi eletti
che lasciarono le terre condannate qualche tempo prima della loro
distruzione. Questi individui progrediti lasciarono le dimore atlantidee e,
“guidati dallo spirito”, migrarono verso parti di quelle terre oggi note come
Sud America e America centrale, allora soltanto isole. Essi vi lasciarono
tracce della loro civiltà, che stupiscono ancora per il livello di conoscenza e
di cultura. Quando apparve la quinta razza, questi individui coraggiosi e
progrediti divennero i suoi maestri, e vennero in seguito ricordati come dèi ed
eroi della mitologia. La quinta razza si sviluppò rapidamente, grazie alla
spinta delle anime degli Atlantidi che premevano per reincarnarsi, e vennero
generate molte forme umane per soddisfare la richiesta, essendo la nuova
razza molto fertile.
Lo scrittore prima citato dice, a proposito della sopravvivenza di membri di
una razza in estinzione e del loro influsso sulla vita della nuova razza: “Per
mezzo dei cataclismi le razze di ciascun ciclo vennero cancellate a tempo
debito, ma i pochi eletti o scelti, vale a dire coloro che avevano acquisito il
diritto di diventare portatori di fiaccola, furono portati via in un ambiente
favorevole, ove divennero come lievito per la massa, come dèi per le nuove
razze che presto apparvero. Va notato, tuttavia, che gli eletti non furono i soli
a salvarsi dalla distruzione che sopraffece la maggioranza dell’umanità in
occasione di tali cataclismi.
Al contrario, pochi sopravvissuti si salvarono, anche se furono allontanati
dalle loro precedenti case, e ridotti a una sopravvivenza grama affinché
potessero diventare i genitori della nuova razza. Le nuove razze nate dai più
adatti a sopravvivere diedero presto vita a sottorazze, formate dalle più adatte
tra le anime che desideravano reincarnarsi, mentre i meno adatti precipitarono
nella barbarie e diedero segni di degenerazione. Un residuo di questi esseri
umani degradati, tuttavia, continua a incarnarsi per migliaia di anni, essendo
formato da quelle anime non sufficientemente progredite per prendere parte
alla vita delle nuove razze. Al fine di comprendere i progressi di ciascuna
razza bisogna ricordare che le anime più progredite, dopo aver abbandonato il
corpo, vanno incontro a un periodo di riposo molto più lungo sui piani
superiori, e conseguentemente non si presentano per una successiva
reincarnazione se non dopo un tempo molto più lungo, specie se paragonato
alla frettolosa reincarnazione delle anime meno evolute che si precipitano
verso la rinascita trascinate dai loro forti legami e violenti desideri terreni.
Così succede che le prime razze di ciascun ciclo siano più primitive di
quelle che le seguono più avanti nel tempo. L’anima di una persona legata
alla Terra si reincarna dopo pochi anni, e a volte dopo pochi giorni, mentre
l’anima di un uomo spiritualmente progredito può riposare e fermarsi nei
piani superiori per secoli, anzi, anche per millenni, fino a che, cioè, il mondo
non abbia raggiunto uno stadio in grado di offrirle un ambiente più
adeguato”.
Al principio dell’epoca della quinta razza (quella attuale) non solo si sono
delineate le nuove sottorazze, che compaiono sempre all’inizio di un nuovo
ciclo, ma sono nati anche i discendenti degli eletti, salvatisi dalla distruzione
di Atlantide per essere stati portati via dalla scena del disastro. Le nuove
razze discendono dai sopravvissuti dispersi degli Atlantidi o, meglio, dal
volgo comune di quel popolo. I pochi eletti invece erano i suoi esponenti
superiori e trasmisero ai discendenti le loro conoscenze e saggezza.
Tenendo presente questa distinzione possiamo spiegarci perché nella stessa
epoca coesistettero nel mondo in certi luoghi popoli più o meno rozzi e
primitivi, insieme ad altre civiltà avanzate come quelle degli antichi Egizi,
Persiani, Caldei e Indù. In mezzo a questi popoli progrediti figuravano le
anime evolute, le anime antiche dei più progrediti rappresentanti delle civiltà
Lemuriana e Atlantidea. I discendenti di alcuni di questi individui superiori
furono in seguito conosciuti come Assiri e Babilonesi. In seguito comparvero
le grandi civiltà dei Romani, dei Greci e dei Cartaginesi. Poi ci fu la caduta
dei popoli antichi e la nascita di nuove sottodivisioni razziali. Nella storia
dell’umanità si manifesta e agisce la legge dell’ascesa e della caduta delle
nazioni.
In riferimento a tale fenomeno, il dottor Draper, nella sua Storia dello
sviluppo intellettuale in Europa, afferma molto giustamente:
“Noi siamo, come spesso si dice, figli delle circostanze. In questa
espressione è racchiusa una saggezza molto più profonda di quanto a prima
vista potrebbe apparire. Dovremmo dunque considerare il corso degli eventi
da questo più attento punto di vista, riconoscendo il principio secondo cui le
vicende umane si svolgono in un modo rigidamente determinato,
sviluppandosi e dispiegandosi da premesse ben precise. Di conseguenza
vediamo che le cose di cui abbiamo parlato come se fossero il prodotto di
scelte, sono state in realtà imposte ai loro presunti autori dalle necessità dei
tempi. In verità le si dovrebbe considerare il presentarsi di una determinata
fase di vita a cui le nazioni devono prima o poi necessariamente giungere nel
corso del loro sviluppo. Per quanto riguarda l’individuo sappiamo fin troppo
bene che la sobrietà e la moderazione nei comportamenti e un’adeguata
serietà nel contegno, presentandosi nella maturità della vita, subentrano alla
sfrenatezza e all’ostinazione della gioventù, a volte propiziate e
accompagnate nel loro primo manifestarsi da svariati incidenti: lutti familiari,
perdite economiche, malattie. Facciamo bene ad attribuire a prove di questo
tipo i mutamenti caratteriali, e non ci inganneremmo se pensassimo che essi
non sarebbero intervenuti se non si fossero verificati quegli incidenti. Dietro
simili vicissitudini agisce un destino inesorabile. Ci sono analogie tra la vita
delle nazioni e quella degli individui, i quali, sebbene possano per certi versi
essere gli artefici delle proprie fortune o disgrazie e agiscano a seconda delle
loro inclinazioni, sono tuttavia stretti nelle spire di un fato inesorabile. Quello
stesso fato che li ha portati al mondo senza che essi lo chiedessero, che li
precipita in un corso di vita definito, i cui stadi sono immutabili (infanzia,
adolescenza, giovinezza, maturità, vecchiaia, con tutte le loro caratteristiche
tendenze e passioni), e che li fa uscire di scena a tempo debito, nella maggior
parte dei casi contro la loro volontà. È così anche con le nazioni: l’elemento
volontario è solo apparenza, che copre ma a malapena nasconde l’elemento
necessario e predeterminato. Possiamo esercitare una forma di controllo sugli
eventi della vita, ma non sul suo complessivo procedere, regolato da una
legge ferrea. È all’opera una geometria che applica alle nazioni un’equazione
della curva del loro progresso. Nessun mortale ha il potere di interferire al
riguardo”.
In questo modo sono ascese e sono cadute le grandi nazioni del passato e
in questo modo ascenderanno e cadranno le grandi nazioni del futuro; tale
legge vale anche per le grandi nazioni del presente. Nel momento stesso in
cui stiamo scrivendo, grandi eventi si preparano a modificare la storia delle
nazioni attuali. Forze cosmiche sono all’opera dietro il velo sottile delle
ambizioni e dei proponimenti meschini di governanti e uomini di stato.
Riconsiderando un qualsiasi periodo della storia passata, lo storico attento è
capace di vedere chiaramente il sorgere e il progredire di potenti tendenze che
hanno condizionato nel loro procedere i destini di grandi nazioni. Gli storici
del futuro, poi, sapranno discernere esattamente simili grandi forze nella
nostra storia presente, nell’epoca che stiamo vivendo. In ogni caso diverrà
chiaro che la maggioranza dei popoli coinvolti nelle lotte non hanno avuto
alcuna chiara percezione delle grandi energie che erano all’opera, né del vero
fine a cui i grandi sommovimenti tendevano.
Così sono sorti e sono caduti i grandi imperi del passato, gli Egizi, i
Persiani, i Caldei, i Greci, i Romani, e tutti gli altri. Cesare, Alessandro, Carlo
Magno e Napoleone sono stati soltanto i burattini del fato per mezzo dei quali
sono stati posti in atto i dettami del destino. Le razze e i popoli oggi ritenuti a
malapena sulla strada della civilizzazione succederanno alle orgogliose
nazioni di oggi, proprio come i semibarbari Galli, Angli e Germani
succedettero alle orgogliose civiltà dell’antica Grecia e di Roma.
Quando una nazione comincia a declinare ciò avviene perché le sue anime
più evolute l’hanno abbandonata, lasciandole soltanto le anime meno
progredite per portare avanti l’opera della sottorazza. Le anime evolute
passano a nuovi scenari d’azione, e anche a quelle più arretrate non viene
permesso di restare troppo indietro poiché il continuo mutamento e la
creazione di nuovi contesti ambientali tendono a risvegliare energie assopite e
a stimolare i ritardatari a nuovi sforzi e iniziative.
I seguenti scritti di un celebre occultista potranno interessare il lettore
proprio in riferimento agli argomenti trattati in questo capitolo:
“A metà strada del quarto giro il punto polare dell’intero periodo di sette
mondi è stato superato. Da questo punto in poi l’ego spirituale comincia la
sua vera lotta con il corpo e con la mente per manifestare i propri poteri
trascendenti. Nel quinto giro la lotta continua, ma le facoltà trascendentali si
sono ampiamente sviluppate, sebbene la lotta tra queste da un lato, e
l’intelletto fisico e le inclinazioni materiali dall’altro è più violenta che mai,
poiché l’intelletto del quinto giro è, al pari della spiritualità, più potente di
quello del quarto. Nel sesto giro l’umanità ottiene un grado di perfezione nel
corpo e nell’anima, nell’intelletto e nella spiritualità, tale che i semplici
individui mortali del nostro tempo non saprebbero neanche immaginarsi.
La più grande combinazione di saggezza, bontà e illuminazione
trascendentale che il mondo abbia mai visto o immaginato rappresenterà il
tipo ordinario di umanità. Quelle stesse facoltà che ora, nella rara
efflorescenza di una generazione, permettono ad alcuni individui
straordinariamente dotati di esplorare i misteri della natura e di attingere
pienamente a quella conoscenza di cui adesso vengono offerte al resto del
mondo soltanto le briciole, sarà allora appannaggio di tutti indistintamente.
Quanto al come si presenterà il settimo giro, anche i più comunicativi tra i
maestri dell’occulto serbano un silenzio assoluto. L’umanità nel settimo giro
sarà qualcosa di troppo divino perché gli uomini del quarto giro possano
immaginarsi i suoi attributi.
“La Terra, attualmente abitata dall’umanità del quarto giro, cioè
dall’ondata di vita umana al suo quarto viaggio attraverso il cerchio dei
mondi, ospita tuttavia alcuni rari individui, pochi in relazione al numero
totale, che propriamente parlando appartengono al quinto giro. Ora, nel senso
del termine qui impiegato, non si deve credere che per un qualsiasi processo
miracoloso un’unità individuale abbia veramente percorso la catena dei
mondi nella sua interezza più volte di quanto hanno fatto le sue parti. Sotto
l’impero della legge che regola le ondate grazie a cui l’umanità progredisce,
come si può ben vedere, ciò sarebbe impossibile. L’umanità non ha ancora
fatto visita per la quinta volta neppure al pianeta immediatamente superiore al
nostro. Le monadi individuali, però, possono superare le loro compagne per
ciò che riguarda lo sviluppo individuale, e divenire così esattamente quali
l’umanità sarà quando il quinto giro sarà stato compiuto. Un individuo nato
come semplice uomo del quarto giro può, attraverso procedure di
addestramento occultistico, trasformarsi in un uomo in possesso di tutti gli
attributi di un individuo del quinto giro, e divenire così quello che potremmo
definire un abitante del quinto giro”.
Parte XII
L’aura e i colori aurici
Uno dei punti fondamentali dell’insegnamento rosacrociano, importantissimo
per il lettore, riguarda l’aura, o l’atmosfera psichica dell’individuo umano,
nonché i colori astrali che si manifestano al suo interno.
Per aura s’intende “la tenue e invisibile emanazione, o effluvio, che crea
un’atmosfera attorno alla persona o alla cosa che la irradia”, o almeno questa
è la definizione in base al senso comune del termine. Tuttavia, negli scritti e
negli insegnamenti occulti, il termine ha un significato più specifico ed esso
viene impiegato per designare l’atmosfera psichica che circonda ogni
individuo umano e che, impercettibile alla comune facoltà visiva, può essere
colta a livello di chiaroveggenza.
L’aura umana è un’emanazione dell’anima della persona che da essa è
circondata, affine ai raggi del sole o al profumo dei fiori.
Si tratta, più che di materia, di una forma d’energia, sebbene sia
caratterizzata da una certa concretezza, il che giustificherebbe il fatto che
alcuni scrittori l’abbiano trattata come una forma estremamente tenue di
materia. L’aura umana ha la forma di un uovo ed essa, partendo dal corpo
della persona che la emana, si dilata fino a raggiungere una distanza media di
circa un metro.
L’aura umana si compone di numerosi elementi, alcuni di livello superiore,
altri di livello inferiore, che corrispondono a ciò che si manifesta nell’anima
della persona. Proprio come le manifestazioni delle anime appartenenti a
persone diverse variano in fortissima misura le une dalle altre, allo stesso
modo accade che le relative aure varino nella stessa proporzione. Un
occultista di livello superiore, addestrato alla chiaroveggenza, è in grado di
leggere come in un libro aperto il carattere mentale ed emotivo di una
persona, grazie all’aspetto e alla colorazione della sua aura.
L’elemento di livello inferiore presente nell’aura umana è quello che gli
occultisti chiamano “emanazione fisica”, la quale, oltre a essere quasi
completamente incolore, è contrassegnata da minuscole e sottili strisce o
linee simili a setole che stanno ritte sul corpo proprio come su di una
spazzola. Se la persona è in buona salute, le setole si trovano in posizione
eretta; se invece le condizioni di salute sono cagionevoli o se la persona
deperisce, si abbassano come i soffici peli degli animali. Quando la persona è
in movimento, le setole si disgiungono in minuscole particelle dall’aura
stessa, rendendo plausibile l’ipotesi che siano proprio queste particelle a
rendere i cani e altri animali in grado di seguire le tracce delle persone, e che
sia questa l’essenza del loro fiuto.
Altro elemento di livello inferiore, presente tra i vari che compongono
l’aura umana, è quello che può essere chiamato l’elemento aurico
dell’energia vitale. Quest’elemento viene percepito a livello di
chiaroveggenza in quanto dotato di una luminescenza rosea di intensità molto
debole che contiene minuscole scintille di magnetismo vitale se la persona è
particolarmente magnetica. Può capitare che venga percepito anche da
persone sprovviste del dono della chiaroveggenza: a queste si manifesta nella
forma di una brezza carica di vibrazioni, simile all’aria tiepida che si leva dai
campi in una giornata molto calda, oppure al calore irradiato da una stufa.
Sorvolando sugli elementi aurici di livello inferiore, andremo ad analizzare
l’interessante fenomeno dei “colori aurici”, i quali sono rappresentativi degli
elementi mentali ed emotivi nell’anima di uomini e donne. Questi elementi
formano i tratti caratteristici dell’aura allorché essa viene percepita a livello
di chiaroveggenza. Se percepita in questo modo, l’aura ha l’aspetto di una
nube luminosa dai colori vari e cangianti, di forma ovoidale che si dilata fino
ad arrivare a circa un metro dal corpo, divenendo sempre più fievole man
mano che raggiunge il limite più esterno, fino a scomparire.
Ognuno dei colori dell’aura è rappresentativo di un particolare pensiero,
mentale, emozione o sentimento presente nell’anima di un individuo. Ne
consegue che la varietà e la gradazione dei colori aurici siano pressoché
infinite a causa della complessità degli stati emotivi delle persone.
La seguente tavola dei colori aurici fornirà la chiave per comprendere
mescolanza e sfumature della nube luminosa che compone l’aura umana.
Tavola dei colori aurici
Il NERO denota astio, malanimo, desiderio di vendetta, e simili sentimenti
bassi.
Il GRIGIO (chiaro) segnala egoismo; (pallido) paura e terrore; (scuro)
malinconia.
Il VERDE (brillante) indica diplomazia, accortezza e saggezza, amabilità,
tatto, garbo e affettazione in genere; (marcio) bassezza, astuta doppiezza,
raggiro di basso rango; (cupo) gelosia, invidia, cupidigia.
Il ROSSO è il colore della passione in generale, ma esiste un’ampia varietà
di modi in cui esso si manifesta. Ad esempio, un rosso cupo e fumoso denota
sensualità e passionalità triviale e animalesca; se il rosso è fiammeggiante e
talora simile al bagliore dei fulmini, esso denota rabbia. In questo caso il
rosso appare su di uno sfondo nero, se la rabbia nasce dall’astio o dal
malanimo, e su di uno sfondo verdastro, se la rabbia è prodotta dalla gelosia o
dall’invidia. Esso appare senza alcuno sfondo quando la rabbia nasce da una
“giusta indignazione”, o dalla difesa di ciò che si ritiene essere una giusta
causa. Un rosso cremisi denota amore e varia di sfumature in base al carattere
della passione in questione. Ad esempio, un tono cremisi cupo e pesante è
indice di un amore passionale e lussurioso; una tonalità più tenue e meno
ammaliante denota amore mescolato a sentimenti più nobili, accompagnato
da ideali più alti; infine, la più sublime forma di amore umano tra i due sessi
si manifesta in un delicato color rosa.
Il MARRONE (rossastro) denota avarizia e ingordigia.
L’ARANCIO (brillante) indica orgoglio e ambizione.
Il GIALLO, in tutte le sue gradazioni, indica forza d’intelletto nelle sue
diverse forme. Un bel giallo dorato è segno di grande cultura, logicità nel
ragionamento, lucidità di giudizio e acume, mentre un giallo cupo di una
capacità intellettiva che si accontenta di considerazioni e argomenti di livello
basso ed egoistico. I tono di colore intermedio tra i due summenzionati
denota la presenza di capacità di raziocinio di minore (scuro) o maggiore
(chiaro) elevatezza.
Il BLU (scuro) rappresenta il fervore, il sentimento e, in generale, le
tendenze che afferiscono alla sfera religiosa. Tuttavia, i toni cupi denotano il
fervore religioso di livello basso, mentre le tonalità più chiare indicano una
spiritualità più profonda. Queste tonalità variano da un cupo indaco a un bel
viola luminoso.
Il CELESTE (di una peculiare tinta e sfumatura) denota spiritualità. Questo
blu spirituale ha un aspetto particolarmente brillante, trasparente e luminoso,
difficile da descrivere a parole. Nelle aure delle persone che posseggono un
alto livello di spiritualità appaiono minuscoli puntini luminosi simili a
scintille, i quali spesso sfavillano come le stelle del firmamento in una notte
limpida.
Oltre ai normali colori citati esistono molte altre tonalità alle quali non è
possibile dare un nome, poiché esse corrispondono a quei colori che si
collocano al di là della facoltà visiva umana, come ad esempio l’infrarosso e
l’ultravioletto. Senza doversi necessariamente addentrare in quest’aspetto
dell’argomento, si può dire che i colori aurici ultravioletti indicano una
grande profondità spirituale, che diviene percepibile se impiegata per
raggiungere i fini più alti e degni. I colori aurici infrarossi denotano invece
facoltà psichiche impiegate in modo indegno per il raggiungimento di bassi
fini, come ad esempio la magia nera.
Esistono altri due colori aurici per i quali è difficile dare una descrizione a
parole, dal momento che non esistono termini adeguati per definirli. Essi
sono:
(1) il giallo primario, indice della somma luce spirituale dell’intelletto;
(2) il bianco immacolato, ovvero quella speciale brillantezza e trasparenza,
indice della presenza dello spirito ridestato.
Uno studioso ha scritto sull’argomento: “Persino quando la mente è in
stato di quiete si librano nell’aura quelle tinte che indicano le tendenze
predominanti nell’uomo, al punto tale che è possibile discernere prontamente
il suo livello di progresso e di sviluppo, così come i suoi gusti e altri tratti
della sua personalità. Se la mente è turbata da una forte passione, sentimento
o emozione, tutta l’aura appare nelle sfumature del colore che quella passione
rappresenta.
Ad esempio, un violento attacco d’ira fa sì che tutta l’aura mostri lampi
splendenti di rosso su di uno sfondo nero, lampi che arrivano quasi a
offuscare gli altri colori. Questo stato può durare per un tempo più o meno
lungo, a seconda dell’intensità della passione.
Se le persone comuni potessero rivolgere anche solo un rapido sguardo
all’aura in questa veste, la terribile visione le farebbe inorridire al punto tale
che non si abbandonerebbero mai più alla collera, tanto l’immagine somiglia
alle fiamme e al fumo di quell’abisso a cui i credo ortodossi fanno
riferimento.
La mente umana che versa in tali condizioni diviene per un attimo un vero
e proprio inferno. La mente travolta da un amore impetuoso fa sì che l’aura si
tinga di cremisi, la cui sfumatura dipende dall’intensità della passione.
Analogamente, un’esplosione di fervore religioso conferirà a tutta l’aura
una coloritura blu. In breve, una forte emozione, un sentimento o una
passione fanno sì che l’aura assuma e mantenga il colore corrispondente per
tutta la durata del sentimento. Da quanto finora detto si comprenderà che
sono due gli aspetti che determinano la fisionomia cromatica dell’aura, il
primo dei quali dipende dai pensieri abitualmente predominanti nella mente
della persona, mentre il secondo dipende da un’emozione o da una passione
manifestate in un particolare momento. Il colore transitorio svanisce al
dileguarsi del sentimento, sebbene con l’andare del tempo può accadere che
un’emozione che si manifesta di frequente lasci un’impronta sul colore
aurico. Il colore abituale assunto dall’aura varia gradualmente, com’è ovvio,
a seconda che il carattere della persona migliori o comunque muti. I colori
abituali sono indicativi del carattere generale della persona; quelli transitori
denotano se nella persona ci siano o meno un sentimento o una passione
dominanti in un momento particolare.”
Un altro scrittore ha così descritto l’aspetto dell’aura di una persona: “Le
tonalità e i colori dell’aura offrono uno spettacolo caleidoscopico sempre
mutevole. L’occultista esperto è in grado di leggere il carattere di ogni
persona, così come la natura dei suoi pensieri e dei sentimenti transitori,
semplicemente grazie allo studio dei colori cangianti della sua aura: la mente
e il carattere delle persone diventano un libro aperto, da studiarsi con
attenzione e intelligenza. Persino il lettore di testi sull’occultismo che non ha
una capacità di chiaroveggenza di livello così elevato, è tuttavia in grado di
sviluppare in breve tempo quel senso di percezione psichica per mezzo del
quale potrà alla fine sentire le vibrazioni dell’aura, sebbene non possa
vederne i colori, ed essere così in grado di interpretare gli stati mentali che le
hanno prodotte. Il principio è ovviamente lo stesso, poiché i colori non sono
che l’aspetto esteriore delle vibrazioni stesse, proprio come i colori ordinari
sul piano fisico altro non sono che le manifestazioni esterne delle vibrazioni
della materia. Tuttavia, non si deve supporre che l’aura umana venga sempre
percepita nella veste di una nube luminosa di colore mutevole. Quando
diciamo che tale è il suo aspetto caratteristico, diamo all’espressione lo stesso
senso che le daremmo in riferimento a una descrizione dell’oceano come una
calma e profonda massa di acque verdastre. Noi sappiamo che non sempre
l’oceano ha un simile aspetto, ma che in realtà a volte lo si vede montare in
onde grandi come montagne, dalla cima bianca, e minacciare con la sua
violenza le minuscole barchette degli uomini.
Oppure, per fare un altro esempio, potremmo definire la parola ‘fiamma’
nel senso di un flusso brillante e fisso di gas ardente, ma purtroppo sappiamo
benissimo che la parola designa quelle enormi e terribili lingue di fuoco che
erompono dalle finestre di un edificio in fiamme e riducono in cenere tutto
ciò con cui vengono in contatto. Così è per l’aura umana: a tratti essa è
visibile come una dolce atmosfera, calma e luminosa, dall’aspetto di un
grande opale sotto i raggi del sole; altre volte, invece, arde come le fiamme di
un’immensa fornace, proiettando mostruose lingue di fuoco in tutte le
direzioni, ergendosi e ricadendo in ampie onde di eccitazione emotiva, o
passione, e talvolta turbinando come un enorme gorgo in direzione del
proprio centro, oppure dipanandosi in un movimento esterno e allontanandosi
dal centro. Altrimenti la si può vedere scagliare, traendoli dalle sue
profondità, piccoli corpi o centri di vibrazione mentale, che al pari di scintille
si disgiungono dalla fiamma madre e si allontanano viaggiando in altre
direzioni. Queste sono le proiezioni delle forme mentali di cui ama discutere
ogni occultista e che chiariscono le stranezze di molte manifestazioni
psichiche.”
I tre colori aurici primari
Al pari delle loro controparti fisiche, i colori aurici derivano dai tre colori
primari, a partire dai quali si formano tutte le altre combinazioni. I tre colori
primari, insieme al bianco e al nero, ci consentono di accedere all’intero
spettro aurico.
I tre colori primari sono: (1) rosso, (2) blu e (3) giallo. Da questi tre colori
si ottengono tutti gli altri mediante combinazioni e mescolanze, oppure
mediante l’aggiunta del bianco o del nero.
I colori secondari si formano nel seguente modo:
(1) il verde deriva da una combinazione di giallo e di blu;
(2) l’arancio deriva da una combinazione di giallo e di rosso;
(3) il viola deriva da una combinazione di rosso e blu. Ulteriori
combinazioni producono altri colori: ad esempio, il verde e il viola danno
luogo al verde oliva; l’arancio e il viola formano il ruggine; il verde e
l’arancio formano il giallo limone.
Il nero è in realtà l’assenza di colore, mentre il bianco è l’armoniosa
miscela di tutti i colori. La mescolanza in varia misura dei colori primari
produce le cosiddette “tonalità” dei colori; aggiungendo del bianco otteniamo
dei “chiari”, mentre mescolando del nero si producono gli “scuri”.
Le chiavi dei colori aurici
Una comprensione del carattere fondamentale dei tre colori aurici primari,
come pure del nero e del bianco aurici, offrirà al lettore la chiave di accesso
all’intera gamma della coloritura aurica.
GRUPPO DEL ROSSO. Il rosso rappresenta la natura fisica. La sua presenza è
sempre indice dell’esistenza e dell’attività di questo aspetto della natura
umana.
GRUPPO DEL BLU. Il blu rappresenta la natura religiosa o spirituale. La sua
presenza è sempre indice dell’esistenza e dell’attività di questo aspetto della
natura umana.
GRUPPO DEL GIALLO. Il giallo rappresenta la natura intellettuale. La sua
presenza è sempre indice dell’esistenza e dell’attività di questo aspetto della
natura umana.
BIANCO. Il bianco rappresenta il puro spirito. La sua presenza è sempre
indice dell’esistenza e dell’attività di questa realtà nella natura umana.
NERO. Il nero rappresenta la negazione del puro spirito, cui si oppone in
ogni modo. La sua presenza è sempre indice dell’esistenza e dell’attività di
questo principio negativo nella natura umana.
Le varie combinazioni dei tre colori aurici primari si formano con
l’aggiunta del bianco e del nero, così come pure per mezzo della miscela dei
tre colori primari stessi. È chiaro che queste combinazioni sono la risultanza
delle sfumature dell’attività mentale ed emotiva manifestata dall’individuo.
Tuttavia, non solo la miscela è ottenuta mediante la combinazione degli
stessi colori, alla quale partecipano il bianco e il nero, ma in taluni casi si
scopre che l’essenza di un colore può risultare screziata, punteggiata, oppure
offuscata dalla presenza di altri. A volte si può notare come due flussi di
colore antagonisti combattano tra loro prima di fondersi, oppure l’effetto che
provoca un colore che ne annulla un altro. In alcuni casi ampie nubi nere
offuscano i colori chiari sottostanti, scurendone così la vivida brillantezza,
proprio come nei casi di conflagrazione fisica. Può inoltre accadere di
scorgere forti lampi di giallo luminoso o di rosso scintillare nello spazio
dell’aura, i quali lampi manifestano agitazione oppure conflitto tra intelletto e
passione.
È importante notare come il gruppo del verde possa sembrare di primo
acchito un’eccezione alla regola generale concernente la miscela dei colori
aurici primari e come manifesti contraddittorietà di carattere.
Ad esempio, è difficile per il lettore di livello medio comprendere il
motivo per cui, da una miscela tra il blu spirituale e il giallo intellettuale,
debba originarsi un verde che indica inganno.
Tuttavia, una sottile analisi del concetto di inganno può rivelare il segreto
di questa combinazione, specialmente se si nota come in alcune delle più
indesiderabili combinazioni di verde sia presente una lieve mescolanza di
nero e di rosso. Esiste d’altra parte una certa tonalità di verde, ovvero quella
prevalente nel colore delle foglie delle piante, la quale, quando è presente
nella coloritura aurica, indica amore per la natura e così via. La spiegazione
ci viene offerta da un celebre occultista che afferma che: “La chiave di volta
sta nel fatto che il verde è al centro dello spettro, operando da bilancia tra i
due estremi, e venendone da essi influenzato in modo sorprendente”.
Suggerimenti importanti
I maestri rosacrociani non si accontentano semplicemente di fornire
insegnamenti al lettore circa i colori particolari dell’aura, che indicano la
presenza e l’attività di taluni stati mentali o emotivi della persona. Essi
istruiscono il discepolo anche sulla base del celebre principio dell’azione e
della reazione, il quale rappresenta un carattere fondamentale di talune
branche della dottrina rosacrociana. Vale a dire, insegnano al discepolo che,
se egli terrà bene impressa nella mente l’immagine di un dato colore, da ciò
scaturirà una reazione, la quale condurrà alla produzione nella sua psiche, o
natura emotiva, del sentimento o dell’emozione che gli corrispondono.
Ad esempio, se il discepolo concentrerà la sua mente e la sua attenzione
sul gruppo del rosso, in lui si risveglierà un forte sentimento di passione, cui
seguirà una manifestazione di animalesca vitalità e vigore, virilità e coraggio.
Se poi, allo stesso modo, il lettore si concentrerà sul gruppo del blu, egli
sperimenterà l’insorgere di sentimenti religiosi o spirituali, e la sua natura si
rinvigorirà lungo quelle coordinate. Se invece egli vorrà stimolare le sue
facoltà intellettuali, o vivificare una mente affaticata, egli non dovrà far altro
che concentrarsi sul gruppo del giallo per ottenere il risultato sperato.
In tal modo è possibile notare che non solo gli stati mentali ed emotivi si
manifestano con colori specifici, ma che anche i colori stessi possono
produrre i corrispondenti stati mentali ed emotivi. L’effetto del rosso sul toro
e su altri animali si spiega in questo modo; allo stesso modo ci viene
suggerita la risposta al perché un uomo “vede rosso” in momenti di grande
eccitazione, tali da spingerlo all’azione fisica del castigo.
Fa inoltre parte dell’insegnamento rosacrociano il fatto che i tre colori
primari abbiano un evidente effetto terapeutico e che si possa applicare
questo principio all’esercizio della taumaturgia.
In questo tipo di impiego dei colori il guaritore può alternativamente
utilizzare i colori fisici che si trovano nei pressi della persona da curare,
oppure quelli che ha in mente. Qui di seguito è elencata la scala terapeutica
dei colori.
Scala terapeutica dei colori
I toni del blu, viola, lavanda hanno un effetto calmante e lenitivo sul sistema
nervoso, nonché sulla circolazione sanguigna e sull’organismo in genere.
I toni del verde erba hanno un effetto riposante e rinvigorente su tutto il
corpo.
I toni del giallo e dell’arancio conferiscono ispirazione e illuminazione
alle facoltà mentali.
I toni del rosso hanno un effetto eccitante e stimolante su mente e corpo
(ciò è particolarmente vero per i toni dello scarlatto e del rosso brillante).
L’aura protettiva
I maestri rosacrociani forniscono ai propri discepoli istruzioni anche riguardo
la creazione e il mantenimento dell’aura protettiva, la quale è il riparo
dell’anima, della mente e del corpo dagli influssi negativi da cui sono
minacciati consciamente o inconsciamente. Quest’aura protettiva è una vera e
propria armatura contro ogni forma di attacco e di invasione psichica, non
importa da dove sferrati. Essa offre un mezzo di protezione semplice ma
molto efficace contro influenze psichiche avverse, “magnetismo mentale
negativo” o magia nera; protegge inoltre dal vampirismo psichico, ovvero dal
prosciugamento della energia magnetica.
I metodi di formazione dell’aura protettiva sono molto semplici e
consistono unicamente nella creazione (facendo leva sulla forza di volontà) di
un’immagine mentale di se stessi quali esseri avvolti da un’aura di luce pura,
limpida e candida, che è il simbolo e il segno dello spirito. Un breve periodo
di esercizio dovrebbe rendere il lettore capace di avvertire effettivamente la
presenza e la forza dell’aura protettiva.
La luce bianca è l’irradiazione dello spirito, e lo spirito è il signore di tutte
le cose. Così si è espresso al riguardo uno dei maestri: “Il più alto e profondo
degli insegnamenti occulti è che la luce bianca non deve mai essere impiegata
a scopi di attacco o vantaggio personale. Essa può essere opportunamente
impiegata, da ognuno e in ogni momento, per proteggersi contro le influenze
psichiche avverse provenienti dall’esterno, non importa da chi esercitate.”
Analizzando ulteriormente l’aura, si potrà rintracciare una chiave
d’accesso alla comprensione di fenomeni molto interessanti quali il
magnetismo personale, l’influenza magnetica e l’atmosfera personale.
Parte XIII
I sette principi cosmici
I Rosacroce insegnano che ci sono sette principi cosmici, presenti e operanti
nel cosmo, che abbracciano persino le sue attività più minute.
I.Il principio della Corrispondenza.
II.Il principio di Causa ed effetto.
III.Il principio della Vibrazione.
IV.Il principio del Ritmo.
V.Il principio dei Cicli.
VI.Il principio della Polarità.
VII.Il principio del Genere.
I. Il principio della Corrispondenza
II principio della Corrispondenza si manifesta nell’analogia, o accordo, tra le
manifestazioni dei vari piani di attività del cosmo. A tale principi allude
l’antico aforisma ermetico: “Come è in alto, così è in basso; come è sotto,
così è sopra” e si richiama l’assioma arcano: “Ex uno disce omnes”, ovvero
“da uno conosci tutti”. I Rosacroce partono dal concetto che le leggi che
governano un’ameba governano gli esseri a essa superiori; inoltre, quanto è
vero della materia è altrettanto vero dell’energia e della mente. Così, come il
sistema solare può essere studiato tramite l’osservazione di atomi e molecole,
allo stesso modo i piani superiori dell’essere possono essere studiati tramite
un esame dei piani inferiori che si manifestano davanti ai nostri occhi.
Ragionando per analogia, possiamo determinare la natura dell’incognita X
non conosciuta su un piano superiore, studiando l’ignoto per mezzo del noto.
Su ogni piano dell’essere si manifesta ognuno dei sette principi cosmici. Più
la ricerca umana si addentra nell’ignoto, più evidente diviene l’esistenza di
questi principi enucleati sulla base del principio della Corrispondenza.
Studiando la monade, l’occultista comprende l’arcangelo”5. In ogni cosa si
può trovare (1) sostanza o corpo; (2) movimento o energia attiva; (3)
coscienza o consapevolezza.
Sostanza. L’antico insegnamento occultistico secondo cui “ogni cosa ha
corpo” sembra essere stato pienamente confermato da tutte le successive
ricerche. Va notato, tuttavia, che per sostanza non si intende necessariamente
ciò che la scienza moderna definisce “materia”, poiché quest’ultima è
semplicemente una forma o fase del corpo. La materia, per come la
conosciamo, ha un’ampia gamma di manifestazioni, dal granito, ai gas più
fini. La scoperta scientifica della cosiddetta materia radiante apre alla scienza
un campo prima riservato al lavoro degli occultisti e dei metafisici. Una
simile materia in realtà non è affatto materia, ma supermateria, una forma
superiore di sostanza o corpo. Tuttavia, esistono forme di sostanza tanto più
fini e rare della materia radiante quanto questa lo è del granito, dell’acciaio e
del diamante, note agli occultisti. Le loro dottrine ci informano del fatto che
su altri piani vi sono esseri viventi i cui corpi sono composti di sostanza
talmente fine e sottile che il termine “eterea” usato per definirla è quello che
più si avvicina a rendere il concetto. Ricordate, l’insegnamento è che “Ogni
cosa ha sostanza o corpo”, e ogni cosa significa “tutto ciò che è manifesto”.
Movimento o energia attiva. Là dove c’è sostanza, c’è movimento. Come è
vero che ogni cosa ha un corpo, è vero anche che “ogni cosa si muove”. Il
movimento è il risultato della presenza e della potenza dell’energia attiva.
Tale energia attiva è ovunque presente e manifesta. Sia le dottrine
occultistiche sia la scienza moderna insegnano che tutto è sottoposto a un
costante mutamento, e qualsiasi mutamento è impossibile senza l’energia
attiva e il movimento. Nulla è in quiete assoluta. Dal più piccolo elettrone o
atomo, fino al più grande sole, tutto è in costante movimento. Ricordate
l’insegnamento che “ogni cosa si muove”, dove per ogni cosa si intende
“tutto ciò che è manifesto”.
Coscienza. Là dove c’è sostanza c’è anche movimento e coscienza e l’uno
non può esistere senza l’altro: “ogni cosa è cosciente”. Come abbiamo visto
nello studio dei capitoli sui piani di coscienza, si ha qualche forma, fase o
grado di coscienza manifesta in tutti i piani della vita e dell’essere.
II. Il principio di Causa ed effetto
Il principio di Causa ed effetto si manifesta nella presenza e nella
manifestazione di una sequenza regolare, di un’ordinata progressione di
fenomeni nell’universo delle cose. A ciò si richiama il famoso assioma
(formulato da uno scienziato di spicco) secondo cui “l’universo è governato
da leggi”. Lo spirito di questo principio di verità è pienamente espresso dal
termine “cosmo”, derivato dalla parola greca kósmos, che significa “il mondo
o l’universo in quanto dominato dall’ordine e dall’armonia, in contrasto al
caos”.
Nulla accade per caso, ma conformemente alla legge, all’ordine e alla
causalità. Negli insegnamenti dei Rosacroce si insiste sul fatto che “il caso
non esiste”, almeno se per caso si intende un “avvenimento privo di cause”.
La parola “caso” viene meglio impiegata nel senso di “causa sconosciuta o
imprevista di un evento”.
Nel cosmo le stesse cause, se si manifestano nelle stesse circostanze,
producono sempre gli stessi effetti. Tutta la nostra scienza e il nostro pensiero
si basano su questo fatto universale, e qualsiasi ragionamento intelligente
sarebbe impossibile senza il tacito presupposto della verità di questo
principio. L’universo non ha spazio per il caso o per gli avvenimenti casuali e
arbitrari. Ogni cosa, ogni avvenimento e ogni evento deve avere le sue
“cause” e i suoi “perché”. Ogni cosa succede “a causa” di questo e questo.
Date certe cause, devono necessariamente seguire determinati risultati ed
effetti. “Non succede mai nulla”, dice il vecchio proverbio, e niente mai
“succede” se non per cause ben definite e nell’osservanza di leggi universali.
Un autore ha scritto a questo proposito: “Quel che noi chiamiamo caso non
è altro che un modo per designare delle cause e delle regole così complesse
da non poter essere afferrate dalla nostra mente. In senso etimologico la
parola ‘caso’ deriva dal termine ‘caduta’ e si riferisce, quindi, a un
accadimento che non dipende da alcuna causa specifica. Si parla di caso nel
gioco dei dadi, per indicare l’apparente accidentalità del loro cadere in un
certo modo. Ma la caduta dei dadi non è dovuta al caso, bensì obbedisce a
una regola ben precisa, la stessa che determina la rivoluzione dei pianeti
intorno al sole: il dado, in determinate circostanze, non può che mostrare una
certa faccia”.
Non si può parlare, tuttavia, di fato nel senso ordinario del termine. Il
fatalismo nega che eventi precedenti abbiano una relazione causale con eventi
successivi, e sostiene che l’evento fatale si sarebbe verificato comunque, a
prescindere da qualsiasi evento precedente. Il fatalismo sottrae l’evento fatale
all’azione del principio di Causa ed effetto, e sottintende che l’evento è stato
determinato da qualche arbitrario decreto o volere. La seguente citazione da
una fonte autorevole servirà a sottolineare la distinzione fondamentale tra
fatalismo e determinismo della legge cosmica: “In effetti, il determinismo e il
fatalismo sono dottrine antagoniste. Il fatalismo è una dottrina secondo cui il
corso degli eventi è determinato in modo tale che la volontà dell’individuo è
priva di effetti su di esso. Il determinismo invece restituisce alla volontà la
sua dignità di causa efficiente, inserita in una catena causale. Il determinismo
asserisce che gli eventi sono determinati da alcuni degli eventi che
immediatamente li precedono; che se questi fossero stati diversi, anche quelli
lo sarebbero stati, il che implica che il fine è predeterminato ma non così il
mezzo. La concezione del determinista prevede che gli eventi che si
verificano nel presente conducano, secondo la legge di causalità, ad altri
eventi predeterminati perché le loro cause sono già esistenti. Per il fatalista
ciò che determina l’evento non è un altro evento immediatamente precedente,
ma un misterioso decreto emesso, nella notte dei tempi, da un misterioso
agente”.
III. Il principio della Vibrazione
Il principio della Vibrazione si manifesta in una condizione di vibrazione
diffusa permanentemente in tutto il cosmo manifesto: “Tutto vibra”.
La scienza moderna ci dice che non solo ogni particella od ogni massa di
materia sono in uno stato di continua vibrazione, ma anche la luce, il calore,
il magnetismo, l’elettricità e ogni altra forma di forza naturale è il risultato di
tale stato di vibrazione.
Gli occultisti si spingono oltre e affermano che anche sui piani mentali e
spirituali si manifesta una perenne condizione di vibrazione. La distinzione
tra i diversi piani dell’essere e le condizioni delle sostanze materiali sono
quasi interamente dovute alla differenza di frequenza e di carattere delle
vibrazioni. Tutte le manifestazioni di pensiero, emozione, volontà, desiderio
o sentimento, o di qualsiasi altro stato mentale sono accompagnate e
provocate da vibrazioni di una determinata elevata frequenza, e tali vibrazioni
tendono a influenzare altri nel loro campo di “induzione” e a provocare in
essi vibrazioni simili. Su questo fatto riposa il segreto dell’influsso mentale,
del contagio emozionale o del magnetismo personale. La conoscenza e la
padronanza della scienza delle vibrazioni mentali consente di mutarne a
proprio piacimento la frequenza, e di conservare così uno stato di calma e di
potenza mentale, immune a influssi esterni.
Il moderno assioma scientifico: “La differenza tra le cose consiste
esclusivamente in una differenza di vibrazioni” è affine all’antico aforisma
secondo cui “le cose manifestano diversità in accordo alla loro frequenza di
vibrazioni”.
IV. Il principio del Ritmo
Il principio del Ritmo si manifesta in quell’universale e regolare oscillazione,
o battito temporale, osservabile in tutto il mondo manifesto, dalle sue
manifestazioni più basse a quelle più alte. L’antico assioma “ogni cosa segue
un ritmo” esprime questo fondamentale carattere del cosmo.
Ritmo significa: “movimento, mutamento o impulso riproponentesi
regolarmente, e sviluppantesi in una sequenza alternante e temporalmente
misurabile”6.
Il ritmo si manifesta in un ricorrere regolare, in una successione di fasi in
un periodico riproporsi a intervalli stabiliti. Dare il ritmo significa battere il
tempo con regolarità.
In ogni ritmo vi sono movimento, mutamento e attività ricorrenti, azione o
movimento in direzioni opposte; alternanza tra i poli opposti dell’azione e un
regolare intervallo di tempo tra le azioni o i movimenti alternanti. Ogni
mutamento fenomenico oscilla sempre tra due estremi opposti tra cui avviene
il movimento ritmico. Il periodo di “tempo” tra i due impulsi alternanti
costituisce la frequenza, il grado o il battito ritmici, ovvero la misura di
periodicità ritmica.
Il termine “periodicità”, impiegato così spesso in riferimento al ritmo,
indica il verificarsi e riproporsi di un fenomeno a intervalli fissi di tempo.
Ogni elemento del mondo fenomenico manifesta periodicità e un proprio
battito ritmico. Gli atomi nelle loro vibrazioni, così come il moto dei pianeti e
la rotazione della terra, oppure l’alzarsi e l’abbassarsi delle onde manifestano
un ritmo. L’oscillazione del pendolo è ritmo interrotto. Il ritmo completo è
rappresentato soltanto da una rivoluzione o da un movimento circolare
completi lungo un’orbita.
Tuttavia, dal momento che il punto mediano tra due estremi si muove, esso
stesso, in risposta a un ordine superiore di ritmo, vediamo che in definitiva
qualsiasi ritmo completo si manifesta in un movimento a spirale, ovvero in un
movimento circolare che al tempo stesso è un movimento in avanti. Persino
le nostre emozioni conoscono un movimento simile a quello delle maree.
Uno scrittore ha detto a proposito di un importante fatto che riguarda il
ritmo nei nostri stati emozionali: “Nulla oscilla spingendosi al di là dei suoi
estremi, nulla può superare i propri limiti ritmici. Di conseguenza, se una
cosa oscilla in una direzione, poi ripercorre la stessa distanza nella direzione
opposta. La sua reazione ha la stessa misura della sua azione, anche se va in
senso opposto. (...) Coloro che soffrono molto, gioiscono anche molto,
mentre coloro la cui natura è meno sensibile alla sofferenza, hanno anche una
limitata capacità di gioire. Il pendolo percorre la stessa distanza in una
direzione e nell’altra”.
Nei livelli superiori dell’insegnamento rosacrociano, il discepolo viene
addestrato ad applicare il principio del Ritmo al controllo dei propri
sentimenti e stati emotivi. L’essenza di tale insegnamento segreto è che il
saggio, consapevole dell’inevitabile reazione che segue all’azione, della bassa
marea che segue all’alta marea, si solleva fino ai regni o ai piani superiori di
coscienza, subito prima dell’oscillazione di ritorno del pendolo emozionale,
facendo così in modo che il movimento di reazione si manifesti soltanto sui
piani inferiori della coscienza, mentre l’ego dimora nelle serene regioni dei
piani superiori.
Questa è “la legge di neutralizzazione, che consiste nell’innalzare l’ego
sopra il piano conscio ordinario, fino ai piani superiori. Il che è analogo a
quando ci si alza in piedi per lasciar passare una cosa sotto di noi. I maestri
occultisti e i loro discepoli di livello più avanzato si assestavano sul polo
positivo di un particolare stato emozionale e, tramite un procedimento simile
a una negazione, riuscivano a sottrarsi agli effetti dell’oscillazione del
pendolo in direzione del polo negativo dell’emozione. Impedendo ai loro stati
mentali ed emozionali negativi di manifestarsi in loro, essi li neutralizzavano
facendoli passare sotto di sé su un piano inferiore di coscienza. Chi opera
consapevolmente e deliberatamente a questo fine acquisisce un grado di
equilibrio, serenità mentale e potere quasi incredibile”.
V. Il principio dei Cicli
Il principio dei Cicli si manifesta in quell’universale direzione circolare del
movimento e dello sviluppo che è evidente in tutto il mondo manifesto, dalla
sua manifestazione più alta a quella più bassa. Lo spirito di questo principio è
stato espresso nell’antico assioma secondo cui “tutto si muove
circolarmente”.
Risulta evidente a tutti i pensatori e i ricercatori attenti che qualsiasi
sviluppo o movimento delle cose fisiche, mentali e spirituali e degli eventi è
caratterizzato dal ciclo, ovvero dalla tendenza alla circolarità. Il principio
diviene più chiaro se comprendiamo che una manifestazione completa e
ininterrotta del ritmo si risolve nel compimento di un movimento circolare; di
conseguenza, la tendenza circolare o ciclica delle cose è davvero strettamente
collegata al principio del Ritmo, e sia il ritmo sia la ciclicità sono strettamente
collegati al principio della Vibrazione.
Un autore che si è occupato di questo argomento ha messo in luce alcuni
dei punti principali da considerare in relazione a questo principio:
“La ciclicità è affine al ritmo e sorge a causa di esso. La primigenia
manifestazione del ritmo è il movimento in avanti e indietro lungo una linea
retta o un tragitto rettilineo, un movimento di andata e ritorno tra due estremi
o poli di azione.
Quando però il pendolo oscillante (libero di muoversi in ogni direzione) è
soggetto alle attrazioni e repulsioni antagoniste di altre manifestazioni di
forza e di energia, lì si manifesta la tendenza universale alla traiettoria
circolare, la tendenza, cioè, a convertire il tragitto rettilineo dell’oscillazione
in un tragitto circolare o ciclo. L’azione e la reazione, l’attrazione e la
repulsione, nascendo dal conflitto tra, da un lato, la forza dell’oscillazione
ritmica lungo una linea retta, e, dall’altro, le forze di attrazione e repulsione
provenienti dall’esterno, tendono a far oscillare la cosa in movimento in un
cerchio perfetto attorno a un punto centrale, a un asse o a un fulcro. Queste
forze antagoniste agiscono in tutto il cosmo, e la manifestazione della
ciclicità può essere notata su tutti i piani. Dagli elettroni fino ai pianeti, vi è
sempre un movimento circolare intorno a un dato punto e, al contempo, il
movimento di punto, o centro del movimento, intorno a qualche altro centro,
e così via, all’infinito”.
Dato questo movimento circolare intorno a un punto, asse o centro di
attrazione, e dato anche una progressione di quel centro, punto o asse, ne
segue che il movimento circolare primario sarà secondariamente anche un
movimento a spirale. Se il punto centrale avanza, allora il movimento
circolare si converte in un movimento a spirale. L’andare in circolo si
compie su un piano lievemente superiore e su una posizione più avanzata di
quella del giro precedente. È questo che avviene nel cosmo, un movimento
cosmico a spirale, in avanti e verso l’alto, in circoli avanzanti e ascendenti.
Un aforisma di antica scuola afferma: “La sola fuga possibile dalla ciclicità
è il movimento a spirale, vale a dire lo spostamento in avanti del punto
centrale del moto. La trasformazione del cerchio in spirale è una delle più alte
forme di alchimia”. In questo aforisma sta uno dei segreti dei Rosacroce. La
regola agisce su ogni piano dell’essere, fisico, mentale e spirituale.
Un autore ha scritto a questo proposito: “L’ego può trasformare il circolo
del proprio movimento vitale in una spirale avanzante e ascendente, che, pur
continuando a farlo girare in circolo, lo porterà nel contempo a uno stadio
superiore. La “montagna della realizzazione”, intorno a cui si avvolge il
sentiero a spirale, si sale solo in questo modo. I pellegrini si muovono sempre
in circolo, apparentemente ripercorrendo i propri passi, ma in realtà
continuando a salire. Portando in avanti il punto centrale per mezzo della
volontà, il saggio e il forte convertono i cerchi in spirali, e in tal modo
avanzano e si realizzano. Questa, in verità, è una delle forme più alte di
alchimia mentale”.
VI. Il principio della Polarità
Il principio della Polarità si manifesta in quella realtà universale che sono le
“coppie di opposti” o “antinomie”, evidenti in tutto il mondo manifesto, in
cui “ogni cosa ha il suo opposto, che rappresenta l’altro polo della sua
manifestazione”.
Il principio della Polarità può essere formulato nel modo seguente: “Tutti i
fenomeni manifestano polarità, ovvero una serie di qualità, proprietà o poteri
opposti e antagonisti, che operano in direzioni opposte e contrastanti”.
Gli antichi filosofi ritenevano che gli opposti polarizzati costituivano una
coppia, che, se riunita, veniva a rappresentare una sintesi superiore, e così via
all’infinito, fino a che gli opposti non trovavano una riconciliazione e
un’armonizzazione finale in una realtà infinita.
Un esempio che illustra perfettamente il principio generale è dato dal
magnete e dai suoi poli positivo e negativo. Il magnete è esattamente un’unità
in cui agiscono l’equilibrio e la riconciliazione dei due poli opposti, delle
rispettive attività e poteri.
Ogniqualvolta vediamo una qualità, una proprietà o una caratteristica
fenomenica, siamo pienamente legittimati a supporre l’esistenza di un suo
opposto, che agisce in direzione opposta e contrastante. La regola è la
seguente: “Qualsiasi caratteristica si attribuisca a uno degli opposti di una
coppia deve essere negata all’altro; e qualsiasi cosa sia negata all’uno, deve
essere attribuita all’altro”.
Una delle caratteristiche più sorprendenti di questa scoperta è che ci
possiamo finalmente rendere conto di come le due opposte serie di qualità
non siano in realtà altro che due aspetti o fasi, non disgiunte tra di loro, che
insieme formano un’unità correlata e un intero equilibrato: parlando di
“caldo” o di “freddo” ci si riferisce quindi ai due poli di un unico concetto, la
“temperatura”. Il caldo diviene freddo quando le vibrazioni mutano. Il sopra
diventa sotto, man mano che la terra gira.
La scoperta che “gli opposti sono identici”, nel senso che non sono altro
che i due poli opposti della stessa cosa, apre un meraviglioso campo d’azione
nel senso della trasmutazione e del bilanciamento.
La comprensione del principio della Polarità mette in grado l’occultista di
trasmutare uno stato mentale nell’altro. Cose che appartengono a classi
differenti non possono essere trasmutate l’una nell’altra; l’odio non potrà mai
diventare l’est o l’ovest, o il rosso o il viola, ma può diventare amore
spostando il centro della forza polare verso l’altro estremo della scala.
Uno scrittore esperto dell’argomento afferma su questo punto: “Oltre a
modificare i propri stati mentali, l’applicazione del principio della Polarità
può servire a esercitare la propria influenza mentale su un’altra mente,
argomento sul quale molto si è scritto e discusso negli ultimi tempi. Appena
ci si rende conto che è possibile operare induzioni mentali, cioè modificare
gli stati mentali di altri individui, si comprende anche che uno stato mentale
può essere trasmesso a un altro soggetto, modificando la polarità del suo stato
mentale originale. Con l’applicazione di questo principio, è possibile ottenere
ottimi risultati durante i “trattamenti mentali”.
Prendiamo il caso di una persona malinconica e timorosa: un terapeuta
mentale è in grado di modificarne lo stato mentale con opportune vibrazioni
di volontà, fino a portare la sua mente al grado di polarizzazione voluto. Egli
riuscirà ad aumentare le sue vibrazioni, finché la persona trattata si
polarizzerà sull’estremità positiva della scala, anziché su quella negativa,
trasformando le proprie paure in coraggio e positività.
Riflettendo su queste considerazioni, vi renderete conto che quasi tutti i
mutamenti avvengono lungo le linee della Polarizzazione, poiché il
cambiamento è di grado e non di sostanza. La conoscenza di questo grande
principio occulto permetterà allo studioso di comprendere a fondo i propri
stati mentali e quelli degli altri. Egli realizzerà che questi dipendono dal
grado e che, di conseguenza, potrà modificarli alzando o abbassando le
vibrazioni, diventandone così padrone e non più schiavo. Grazie a questa
facoltà sarà in grado di aiutare le altre persone cambiando la polarità quando
necessario”.
Concludendo la nostra analisi del principio di Polarità, chiediamo al lettore
di leggere attentamente il passo che segue, scritto da un profondo conoscitore
dell’importante argomento dell’equilibrio, la cui arte consiste nel trovare il
punto mediano tra due estremi, mantenendo così una stabilità che nessuna
tempesta mentale o emozionale possa disturbare.
“La stabilità è potere che deriva dall’equilibrio. L’equilibrio si ottiene
spostandosi e rimanendo nel punto mediano tra i due poli opposti. Con la
stabilità e l’equilibrio, il maestro neutralizza la polarità e il ritmo,
risolvendoli in unità. Nel cuore della tempesta c’è pace; al centro della vita
c’è stabilità e potere. Cercali sempre, o neofita, poiché in essi troverai te
stesso.
“Queste frasi sono l’essenza di un antico aforisma arcano che contiene il
pensiero seminale prodotto nei secoli dal pensiero e l’esperienza dei maestri.
Non lo sottovalutate a causa della sua semplicità. L’equilibrio stabile è il fine
e lo scopo degli iniziati alla sapienza arcana. È il segreto del potere. Vi è
sempre un centro di tutto, ma questo centro esiste soltanto perché esiste la
circonferenza. Vi è sempre un punto di equilibrio tra i poli di ogni coppia di
opposti. Quel punto, però, esiste soltanto perché esistono gli estremi, e
racchiude la potenza dell’intero evento o dell’intera cosa. Nel centro di
gravità della terra si potrebbe rimanere in una posizione di perfetto equilibrio,
senza altro sostegno che la gravità concentrata della Terra intera. Si sarebbe
talmente stabili che un semplice atto di volontà basterebbe a sprigionare
energia sufficiente a proiettarci in qualsiasi direzione desiderata. La potenza
degli opposti si concentra nel punto centrale: lì e soltanto lì si trova tutto il
potere. L’assioma “azione e reazione sono uguali” indica un punto centrale
dove si trova la leva che muoverà il tutto. Al centro è possibile usare azione e
reazione senza essere soggetto a nessuna delle due. L’iniziato si sforza di
raggiungere uno stato di equilibrio e di perfetta stabilità; egli aspira a
padroneggiare l’arte di camminare sulla lama di rasoio della vita, rimanendo
perfettamente in equilibrio, da allenato atleta mentale quale è, grazie all’asta
da funambolo rappresentata dagli opposti che egli ha saldamente afferrato.
Opponendo gli opposti l’uno all’altro, bilanciando legge con legge, il
maestro cammina sul sottile filo che separa il mondo del desiderio da quello
della volontà. Al centro della vita il neofita troverà stabilità e potere, nel
cuore della tempesta troverà pace, al centro del cosmo troverà SE STESSO.
Colui che trova il centro di se stesso, trova il centro del cosmo; poiché, in
definitiva, essi sono TUTT’UNO!”.
Quando il lettore si trova dinanzi a interrogativi e problemi in cui la scelta
è difficile a causa del forte influsso di entrambi gli estremi della
polarizzazione, di entrambi gli opposti della coppia, sarà bene che cerchi il
punto mediano tra i due poli opposti, e che vi rimanga saldo, sentendosi
sicuro che lì, e lì soltanto si trova pace, stabilità e potere. Nella semplice
parola “EQUILIBRIO” si può trovare il segreto di molti o della maggior parte
degli enigmatici interrogativi della vita. Cercate sempre stabilità ed
equilibrio, e avrete potenza e pace!
VII. Il principio del genere
Il principio del Genere è stato espresso nell’assioma secondo cui “il sesso è
onnipresente e onnipervasivo nell’universo. Ogni creazione è generazione, e
ogni generazione pro-cede dal sesso”.
Il principio maschile e quello femminile sono sempre all’opera
nell’universo, non solo sul piano fisico dell’essere, ma anche su quello
mentale e spirituale. Sul piano fisico, il sesso si manifesta nella generazione
fisica, sul piano mentale nella generazione mentale, mentre sul piano
spirituale in quella spirituale.
Abbiamo già richiamato la vostra attenzione sul fatto che l’attività degli
elettroni, degli atomi e dei corpuscoli di cui la materia si compone è
un’attività puramente sessuale; che qualsiasi forma di attrazione è attrazione
sessuale, e che, dal momento che tutta l’attività cosmica è un risultato
dell’attrazione, il sesso è il movente di tutta l’attività del cosmo.
Passando al piano della mente, vediamo che molte scoperte della
psicologia moderna tendono anch’esse a provare la validità della teoria
rosacrociana. Gli psicologi moderni stanno dedicando molto tempo alla
presentazione delle varie teorie e discussioni sull’aspetto che essi variamente
definiscono “mente soggettiva”, “mente subconscia”, o”mente subliminale”.
In tutte le loro teorie, tuttavia, emerge prepotentemente un punto, e cioè che
questa altra mente è soggetta agli influssi stimolanti della mente conscia o
oggettiva, e che grazie a tali influssi essa diviene fertile e produce una gran
quantità di idee, pensieri e azioni. Fin adesso, però, nessun psicologo ha mai
cercato di spiegare la natura dell’influsso o stimolo di una mente sull’altra. Il
Rosacroce riconosce e comprende immediatamente il fatto che l’altra mente è
femminile, mentre la mente stimolante è maschile, e che il processo che
avviene è quello di fertilizzazione, seguita da concepimento e generazione
mentale.
L’analogia è così chiara che basta rivolgerle per un attimo la nostra
attenzione per apprezzarne la verità, e riconoscere l’opportunità di applicarla
al caso che abbiamo davanti. Thompson J. Hudson, nel suo libro La legge dei
fenomeni psichici, nel quale, nel 1893, enunciava la sua famosa teoria della
“mente duale”, fu a un passo dall’indovinare il segreto nascosto negli
insegnamenti degli antichi occultisti, ma i suoi pregiudizi fecero sì che egli
tralasciasse di soffermarcisi. All’inizio del secondo capitolo del suo libro egli
afferma: “Il gergo mistico dei filosofi ermetici lascia trasparire la stessa idea
generale”, vale a dire, l’idea generale del dualismo della mente; tuttavia, egli
non riuscì a dare un seguito alla promettente premessa, e perse così
l’opportunità di completare la sua scoperta.
L’altra mente dell’individuo umano potrebbe essere considerata un grembo
mentale (così, del resto, la definirono gli antichi) in cui viene generata
un’abbondanza di progenie mentale. I suoi poteri di energia generativa
mentale sono enormi, tuttavia essa non genera se non è stimolata dalla mente
conscia del suo possessore o di qualche altra persona. I fenomeni della
suggestione e dell’ipnotismo sono spiegabili alla luce della teoria
rosacrociana del sesso mentale. Un autore ha scritto su questo argomento:
“Lo stesso meccanismo viene usato per l’ipnotismo e la suggestione: chi
suggestiona indirizza, tramite un flusso di un’energia vibratoria, il potere
volitivo maschile della propria volontà verso il principio femminile dell’altra
persona che lo fa suo.
“Normalmente, nella mente di ogni individuo, i due principi del genere
agiscono di comune accordo. Spesso, purtroppo, nell’uomo medio si ha uno
scarso sviluppo del potere volitivo e, di conseguenza, un dominio quasi totale
da parte della mente e della volontà di altre persone che si sostituiscono alla
sua, determinandone azioni e anche pensieri. Quanto pochi sono i pensieri e
le azioni originali di un uomo medio! Individui di questo tipo non si rendono
conto di possedere, oltre al Me, quel qualcosa chiamato Io che, se lasciato
inattivo, si atrofizza e perde di forza.”
Il principio del Genere si manifesta e opera anche sul piano spirituale
dell’essere, secondo i suoi caratteristici principi, e i suoi risultati sono la
generazione e la rigenerazione spirituale. Siamo spiacenti che non ci sia qui
consentito di addentrarci in questo aspetto dell’argomento, poiché una
dettagliata analisi dell’azione del sesso su questo piano superiore
provocherebbe un uso illegittimo del potere da parte di persone senza
principi. Lo studioso serio, tuttavia, usando il suo potere di ragionamento per
analogia, sarà sicuramente in grado di risolvere alcuni dei problemi connessi
a questa fase dell’indagine.
Un tale studioso scoprirà il segreto che si cela nell’antico assioma:
“Come è in alto,
così è in basso;
come è sotto,
così è sopra”.
Finito di stampare nel
mese di novembre
dell’anno 2007 dalla
tipografia Città Nuova Via
S. Romano in Garfagnana,
23 00148 Roma
Notes
1
2
3
4
5
6
Tutti pubblicati da Venexia Editrice.
Non si deve tuttavia pensare che la variante della croce fallica dei
Rosacroce indichi una qualche relazione dei Rosacroce stessi con le più
grossolane forme di culto fallico. Queste ultime rappresentano solamente
un’ombra distorta della verità, e non devono essere scambiate con essa
(nda).
Il lettore deve sempre ricordare che dove c’è “mente” deve esserci “vita”;
e dove c’è “vita” deve esserci “mente”. Di qui l’importanza di queste
ammissioni della scienza moderna (nda).
Vedere “La Vita oltre la morte” di Yogi Ramacharaka, Venexia Editrice
2000.
Vedere “Il Kybalion” , I Tre Iniziati, Venexia Editrice 2000.
Il termine “alternante” significa “consistente nella ripetizione di due fasi
successive e contrapposte”; mentre “ripropo- nentesi” significa “che
ritorna ripetutamente, verificandosi a intervalli stabiliti, o secondo una
regola fissa” (nda).
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