Subido por Thiago Roris da Silva

La scuola nel Medioevo di Paolo Rosso Letture.org

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15/12/2018
"La scuola nel Medioevo" di Paolo Rosso | Letture.org
SAGGISTICA
NARRATIVA
EXTRA
CONTATTI

“LA SCUOLA NEL MEDIOEVO” DI PAOLO ROSSO
Home  Saggistica  “La scuola nel Medioevo” di Paolo...
Prof. Paolo Rosso, Lei è autore del libro La scuola nel Medioevo edito da
Carocci: qual era il quadro generale della scuola nell’Alto Medioevo?
È un quadro profondamente trasformato
dalla dissoluzione dell’unità politica che,
per secoli, era stata garantita dall’Impero
romano. In particolare nei primi secoli di
quell’età
che,
convenzionalmente,
chiamiamo “Medioevo”, venne meno un
potere pubblico interessato e dotato della
capacità di intervenire nel mantenimento
di un tessuto scolastico che, nel mondo
romano, aveva ricoperto importanti
compiti anche sul piano politico,
formando il gruppo di intellettuali
chiamati a svolgere compiti di governo e
di amministrazione.
I tempi della trasformazione della cultura
e della scuola romana tra i secoli IV-VI,
quando vennero a costituirsi i cosiddetti
regni romano-barbarici, non seguirono le
stesse scansioni, ma riconosciamo una
cifra comune, cioè l’evidente essione
dell’importanza assegnata alla cultura, soprattutto quella che possiamo iniziare
a de nire “classica”, nei nuovi assetti politici e sociali assunti nei regni barbarici,
la cui aristocrazia era educata principalmente a una cultura di tipo militare. Alla
decadenza della rete delle scuole municipali fecero fronte le istituzioni
ecclesiastiche con il loro impianto scolastico: dal VI secolo iniziano ad essere
documentati interventi legislativi delle Chiese locali in materia di istruzione, volti
a rivitalizzare spazi di istruzione nei monasteri, nelle cattedrali e nelle collegiate,
orientati non solo alla formazione dei chierici, ma anche all’istruzione di giovani
non necessariamente interessati ad entrare nello stato religioso.
Insieme a forme organizzate di trasmissione del sapere, in questi ambiti vennero
messi a punto anche sistemi di produzione e di conservazione libraria del tutto
originali rispetto a quelli praticati nelle of cine librarie e nelle biblioteche
dell’Antichità. L’assenza del potere pubblico dall’organizzazione scolastica
riguardò tuttavia solo i primi secoli del Medioevo: la rinnovata uni cazione
politica seguita all’esperienza carolingia aprì infatti una stagione di interventi nel
campo dell’istruzione dei chierici e dei laici, che venne portata avanti nei secoli
seguenti all’interno dei regni nazionali che sorsero nell’Europa postcarolingia.
Tutte queste iniziative tuttavia si appoggiarono ancora all’indispensabile rete di
strutture ecclesiastiche.
Come era organizzato l’insegnamento?
Per comprendere l’organizzazione della scuola abbaziale e cattedrale nell’alto
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Medioevo è fondamentale tenere a mente il protagonismo assoluto che in quei
secoli ebbe la Chiesa in ambito educativo, realizzato attraverso l’assunzione
pressoché integrale, se escludiamo i limitati e poco noti spazi didattici privati, di
compiti di alfabetizzazione e di trasmissione di cultura a tutti i livelli di scolarità.
Questo “passaggio di competenze” in ambito scolastico si può cogliere a fondo
se ci poniamo all’interno della mentalità e della spiritualità dell’uomo medievale,
profondamente permeata dalla componente religiosa, che rappresentava un
comune e condiviso sistema di valori e di comportamenti. La società medievale
era pienamente una societas christiana e le strutture della Chiesa consideravano
di grandissima importanza, all’interno di in un più ampio controllo dei
comportamenti dei fedeli, vigilare e intervenire nelle pratiche di insegnamento
attraverso uomini di cultura che appartenevano al mondo ecclesiastico. Nelle
scuole ecclesiastiche ebbe luogo l’incontro delicatissimo, particolarmente
complesso in ambito monastico, tra la cultura cristiana e quella classica grecolatina, che rappresentava un immenso deposito di saperi loso ci e retoricogrammaticali indispensabili per comprendere correttamente le Sacre Scritture e
per la formazione religiosa, la quale, ricordiamolo, era lo scopo primario dell’alta
formazione intellettuale del monaco e del chierico cristiano. Dinanzi a questa
letteratura pagana il maestro altomedievale assunse posizioni differenti, che
andavano dal netto ri uto a forme di cauta selezione dei temi, no ad arrivare a
operazioni di vera e propria manipolazione in chiave ascetico-monastica. In linea
generale i saperi dell’antichità classica vennero però conservati.
All’importantissimo passaggio della gestione della scuola dal mondo laico a uno
profondamente cristianizzato, non fece seguito una rilevante trasformazione
dell’impianto didattico assunto dalle scuole ecclesiastiche altomedievali, che, in
linea generale, mantenne quello ereditato dal mondo romano, sebbene i cicli di
studio fossero meno rigidamente strutturati. Era previsto un primo grado di
istruzione, dove il fanciullo era formava nella lettura, nella scrittura, nel
computo e nel canto: a differenza della scuola romana questi insegnamenti non
erano però necessariamente seguiti da tutti gli allievi (alcuni imparavano solo a
leggere), né avevano luogo simultaneamente. Venivano impiegati i tradizionali
trattati grammaticali, ma come testi di lettura non si ricorreva ai poeti e ai
prosatori della letteratura classica (le auctoritates adottate nella scuola romana)
ma a un testo del tutto nuovo per la scuola, il libro dei salmi, detto salterio:
questo non avvenne solo in ambito monastico, ma in qualsiasi tipologia di
scuola: la saldatura tra istruzione e momento educativo, visto in chiave di
edi cazione cristiana, è qui evidentissima e inscindibile. Con il salterio l’allievo si
avvicinava al latino, ormai distante, talvolta distantissimo, dalle lingue
vernacolari. Da questo livello di istruzione, ritenuto suf ciente dalla gran parte
degli studenti per i loro scopi formativi dettati dall’inserimento nelle strutture
ecclesiastiche o nel mondo delle professioni laiche, si poteva passare a un grado
più avanzato, in cui, riprendendo l’impianto didattico della Tarda Romanità,
venivano studiate le arti del discorso, cioè la grammatica, la retorica e la
dialettica (che costituivano il trivium) e le discipline scienti che del quadrivium
(aritmetica, geometria, musica e astronomia). Questo era lo schema
universalmente adottato, ma non tutti i monasteri e le cattedrali avevano al loro
interno centri scolastici in grado di offrire con continuità e completezza una tale
complessità di insegnamenti teorico-pratici: gli interessi culturali e gli scopi
formativi delle scuole locali erano differenti, così come non erano omogenee le
risorse economiche né la qualità dei maestri chiamati a reggere gli
insegnamenti. Nel corso dell’alto Medioevo in Europa iniziano così a formarsi
centri di studio di differente qualità e specializzazione in alcuni ambiti del
sapere, dotati di librerie e centri scrittori.
Chi erano i maestri e gli studenti?
Non è sempre facile identi care nelle fonti altomedievali chi stesse svolgendo la
pratica didattica nelle scuole ecclesiastiche, soprattutto perché colui che era
chiamato a istruire i giovani nelle scuole abbaziali o cattedrali si occupava anche
della loro formazione morale e religiosa, senza chiare distinzioni tra questi piani.
Possiamo dire che il magister era pressoché sempre un chierico, retribuito per la
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sua attività con rendite ecclesiastiche, e, nei centri di studio e di insegnamento
particolarmente prestigiosi (penso, ad esempio, all’importantissimo monastero
di San Gallo), gli insegnanti erano più di uno, talvolta specializzati in speci ci
ambiti disciplinari. Maestri dotati di particolare capacità e di forte personalità –
un bell’esempio è rappresentato dalla biogra a di Gerberto di Aurillac, maestro a
Reims nel X secolo – connotavano la loro scuola verso speci ci indirizzi di studio.
Si costituì in tal modo una rete di centri di insegnamento di differenti
orientamenti disciplinari, che innescò al suo interno una grande mobilità di
studenti che volevano approfondire tali ambiti del sapere. Ma a viaggiare erano
anche gli stessi maestri, che andavano dove c’erano scuole più prestigiose,
dotate di biblioteche fornite, o dove si stavano elaborando aggiornamenti
culturali, come avvenne nei centri di traduzione, pensiamo a Toledo, divenuto
nei secoli XI-XII uno straordinario punto di connessione tra la cultura latina e
quella islamica.
Ciò ovviamente avveniva nei livelli superiori di insegnamento: gli studenti che,
dopo una prima istruzione realizzata nell’ambito familiare, erano avviati alle
scuole dei monasteri e, in misura minore, delle cattedrali, erano in massima
parte destinati alla vita ecclesiastica. Questi realizzavano nelle scuole locali dei
percorsi di formazione molto differenziate, che prevedevano in linea generale
l’approfondimento delle arti del trivio, soprattutto la grammatica e la retorica,
per arrivare agli studi biblici e religiosi. Dal punto di vista sociale tali studenti
provenivano in massima parte dai ceti eminenti, e trovavano nella stessa scuola
– dove veniva studiato il latino, lingua ormai scolastica – importanti elementi
identitari che li accomunanti a una società di litterati, separata dalla
maggioranza della popolazione che ignorava la lingua latina. Questa comunità
venne sempre più a coincidere con il mondo ecclesiastico, come evidenzia l’uso
del termine clericus per de nire, oltre che un componente del clero, anche il
litteratus, cioè colui che sapeva leggere e scrivere.
Questa componente “divisiva” ebbe come effetto generale l’esclusione
dall’accesso alla scuola delle fasce sociali inferiori e della componente
femminile, circoscritta ai pochi monasteri femminili e ai contesti educativi
privati. Deve tuttavia essere respinta l’immagine di una società altomedievale
composta quasi completamente da illitterati, come hanno dimostrato negli
ultimi decenni gli studi sulla capacità di scrittura di ecclesiastici e di laici, questi
ultimi perlopiù notai e cancellieri, dai quali è emersa una certa gradazione di
alfabetismo, sebbene sempre circoscritto ai ceti medio-alti e molto più evidente
nelle città rispetto ai centri minori e nelle campagne.
Quale rinnovamento culturale si attua nel XII secolo?
Le trasformazioni della scuola che si riscontrano in questo secolo sono una
diretta conseguenza della straordinaria ripresa economica, demogra ca, politica
e culturale dei centri urbani, che, già avviata da tempo, ebbe la sua massima
espressione nei secoli XI-XII, segnando fortemente il generale assetto sociale
delle città, dove le componenti che possiamo de nire “borghesi”, rappresentate
da mercanti e artigiani, chiesero, e ottennero, una affermazione politica. Questa
maggiore articolazione sociale portò con sé un allargamento della base degli
individui alfabetizzati, sempre più aperta al mondo dei laici: il laicus cessò di
essere associato a illitteratus. Le domande di formazione intellettuale arrivarono
da molteplici ambiti, specie quello politico, dove era forte il bisogno di personale
per gli apparati amministrativo-burocratici e diplomatici delle corti imperiale e
ponti cia, oltre che delle maggiori curie episcopali, nei quali divenne
fondamentale la produzione e la conservazione documentaria.
Sorsero bisogni di formazione per professioni che richiedevano conoscenze di
diritto, retorica, logica, medicina, e per questi saperi fu ancora fondamentale il
patrimonio culturale antico, dal quale vennero ripresi il diritto romano, il corpus
aristotelico, le conoscenze mediche, la matematica, l’astronomia euclidea e
tolemaica. Il generale processo di rinnovamento delle conoscenze è
particolarmente evidente se consideriamo il quadro delle discipline scienti che,
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in cui, a seguito all’immissione della scienza araba nel tessuto delle conoscenze
occidentali, il tradizionale schema del quadrivio venne ad arricchirsi di nuove
discipline, come la medicina e altre artes mechanicae. Molti uomini di cultura si
interessarono ad aspetti legati al mondo sico, che assunsero più estesi con ni,
a dimostrazione della ducia riposta ora dall’uomo nella ragione, intesa come
capacità di analisi critica, applicata a tutti i campi del sapere. In tale
straordinaria fase creativa del pensiero occidentale le scuole si specializzarono
progressivamente in diversi ambiti disciplinari, trasformando, sul piano
quantitativo e qualitativo, l’impianto della didattica. Strettamente a contatto con
la scuola, ma riconoscibile anche all’interno della comunità di uomini di sapere
chiamati a ruoli rilevanti nella politica e nella società, si venne a de nire un
nuovo soggetto sociale – a noi noto attraverso la fortunatissima de nizione di
«intellettuale» datagli da Jacques Le Goff – che viveva con i proventi di un
mestiere legato alla parola e al pensiero, elaborando e trasmettendo una cultura
cosmopolita e fondata sulla lingua dei dotti occidentali, il latino.
Il rinnovamento culturale del XII secolo, generato da istanze culturali provenienti
da una società in profonda trasformazione, ebbe effetti ben più estesi e duraturi
rispetto alle “rinascite” dei secoli precedenti, soprattutto quella carolingia che ho
ricordato, la quale fu un progetto del potere pubblico che incise sui saperi,
soprattutto linguistici, di una cerchia piuttosto ristretta di chierici. Vorrei però
ricordare che le domande di cultura di questo “secolo di svolta” non provenivano
solo dalla società laica, ma anche dalle istituzioni ecclesiastiche, per le quali il
generale risveglio religioso dei secoli XI-XII rese necessario un clero più istruito,
maggiormente autonomo dal potere laico e aderente ai principi della Chiesa. Se
l’estrazione sociale continuò ad avere una grande importanza nella selezione
dell’alto clero, una buona formazione scolastica iniziò ad essere una condizione
sempre più richiesta nella carriera all’interno della Chiesa riformata.
Come si diffondono le scholae?
Lo sviluppo impetuoso delle realtà urbane che abbiamo richiamato portò la
rinnovata organizzazione scolastica a orientarsi in grandissima parte verso
l’ambito cittadino, polarizzandosi intorno al vescovo e al capitolo della
cattedrale, invitati a istituire scuole da interventi conciliari promossi dai
ponte ci. Se sovrapponessimo una carta delle aree europee di maggiore
urbanizzazione e di più intensa densità demogra ca e produttiva su quella dei
centri in cui sono documentate le prestigiose scuole urbane vedremmo, per i
secoli XI-XII, una coincidenza quasi perfetta. Le scuole monastiche, perlopiù
legate a un ambito rurale, persero il fondamentale ruolo di elaborazione e
trasmissione di cultura ricoperto nei secoli altomedievale e ripiegarono sulla
formazione interna dei membri della comunità, mantenendo tuttavia
l’importantissimo ruolo di centri di conservazione dei saperi, grazie alle loro
raccolte librarie e ai loro centri scrittori.
Nel cuore pulsante dell’Europa urbana, cioè nell’Italia centro-settentrionale, e
nelle altre regioni ricche di dinamiche città, come le Fiandre, la Francia e la
Germania renana, orirono centri scolastici che si specializzarono presto in
alcuni ambiti disciplinari. A Parigi, avviata a diventare la capitale intellettuale
d’Europa, e nelle città episcopali dell’area settentrionale dell’attuale Francia,
specie quelle tra la Loira e il Reno, le scuole si orientarono all’insegnamento dei
classici e alle arti del discorso, aprendosi poi alla teologia. I contatti con il mondo
arabo avvenuti nella Penisola iberica, gradatamente rientrata nell’area cristiana,
spiegano gli interessi per la scienza e la loso a araba e greca, i cui autori
furono resi noti all’intellettuale latino nei centri di traduzione, specie a Toledo.
Nel Regno d’Inghilterra e nel Nord della Francia, così come nelle città tedesche
le scuole cattedrali si specializzarono nel diritto canonico e nella teologia.
L’Italia meridionale normanna fu un’importante spazio di incontro e di
mediazione con il pensiero greco, ma fu soprattutto nelle cattedrali delle vivaci
città centro-settentrionali che dall’XI secolo è attestata la presenza di scuole,
come a Parma e a Reggio. I principali centri di retorica e di ars dictandi sorsero
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dalla seconda metà dell’XI secolo a Bologna: il primo grande giurista Irnerio era
probabilmente uno dei maestri che operavano in questi ambiti, nei quali era
previsto anche l’insegnamento di nozioni di diritto. La “rinascita giuridica”
avviata a Bologna dall’insegnamento di Irnerio e proseguita dai suoi allievi, che
portò alla riemersione del corpus giustinianeo in Occidente, prese avvio da
queste basi, rendendo la città emiliana nei decenni centrali del XII secolo il primo
centro di studio e di insegnamento del diritto. Credo sia importantissimo
sottolineare il potenziamento della specializzazione dei saperi impartiti nelle
diverse scuole urbane, che incrementò ulteriormente la mobilità degli studenti,
rendendola una caratteristica istituzionale del “tipo” di intellettuale legof ano,
comunemente appellato clericus vagans per il suo errare alla ricerca di un
sapere ormai frammentato in tante scuole.
Qual è il quadro generale delle scuole nella società urbana?
Abbiamo
nora visto perlopiù il livello di istruzione superiore, ma la
trasformazione che ha interessato la società e l’economia dell’Europa a partire
dal XII secolo ha certamente avuto uno straordinario impatto sull’intero
complesso dell’organizzazione scolastica. Per rispondere a una domanda di
formazione che proveniva da un corpo sociale sempre più articolato vennero
adottare molteplici soluzioni e il panorama generale della scuola si arricchì di
nuovi soggetti: è importante rimarcare che ormai i con ni tra i centri scolastici si
fanno estremamente uidi, con contatti e transiti di maestri e studenti tra di
essi. Il secolare sistema di scuole ecclesiastiche continua ad esercitare una
funzione fondamentale nella formazione dei giovani chierici cittadini e della
diocesi, con una apertura a studenti, anch’essi in massima parte chierici, che
avrebbero poi intrapresero percorsi professionali nel mondo del laicato.
Nell’ambito delle scuole ecclesiastiche dai primi decenni del Duecento iniziano
ad operare anche le nuove realtà costituite dalle scuole conventuali dei giovani
ordini Mendicanti, saldamente inseriti nel tessuto urbano delle città europee.
Queste scuole offrivano, con forme differenti caso per caso, anche un’istruzione
a giovani esterni alla comunità.
Ma la grande novità furono le strutture scolastiche laiche, sorte per soddisfare le
concrete esigenze di istruzione della società cittadina: la formazione
tradizionalmente offerta dalle scuole ecclesiastiche non era più ritenuta
suf ciente per la preparazione richiesta dalle professioni “borghesi” e, più in
generale, per la domanda di cultura di una società urbana sempre più curiosa.
Le nuove scuole a carattere laico, sorte inizialmente per iniziativa privata,
divennero oggetto di protezione, nanziamento e, inevitabilmente, di controllo,
da parte delle amministrazioni cittadine, interessate ad avere centri di istruzione
costantemente attivi, soprattutto rivolti all’insegnamento primario, che
rifornissero la città di professionisti – notai, uomini di legge, medici – che
facevano ormai pienamente parte della vita comunale. Nel XII secolo e, ancor
più, in quello successivo, il quadro delle scuole laiche si articola moltissimo,
comprendendo scuole integralmente private, scuole pubbliche parzialmente o
integralmente nanziate dai governi cittadini (e talvolta da corporazioni di
maestri), scuole rette da maestri ecclesiastici o laici. Vediamo come la nuova
scuola bassomedievale fu chiamata ad adattarsi alle concrete e mutevoli
esigenze pratiche: l’ampliamento della possibilità di istruzione porterà al
coinvolgimento nei processi di scolarizzazione di porzioni sempre maggiori della
società, sebbene continui a restare minoritaria l’alfabetizzazione femminile,
limitata alle fasce sociali superiori.
Come evolve la gura del maestro nelle realtà cittadine?
Il pro lo dei maestri delle scuole cittadine si fece più complesso, così come
l’offerta dei centri di insegnamento. La tradizionale appartenenza al mondo
ecclesiastico dei maestri divenne minoritaria, soprattutto in Italia, ma con delle
eccezioni, ad esempio a Firenze i maestri chierici sembrano avere svolto un
importante ruolo a integrazione dell’attività delle scuole rette da laici. In altre
realtà europee, come nel regno d’Inghilterra, le scuole ecclesiastiche
mantennero più a lungo la loro rilevanza nell’istruzione di base. In linea generale
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fu il mondo delle campagne quello dove si ricorse più a lungo agli insegnamenti
tenuti dai rettori delle chiese locali, insegnamenti perlopiù limitati a qualche
elementare nozione di lettura e di scrittura.
Il maestro di condizione laica si affermò nelle maggiori città e nei grossi borghi,
e la sua chiamata e la sua permanenza erano strettamente dipendenti dalle
esigenze di formazione e, non dimentichiamolo, dalla disponibilità economica
della società cittadina. Anche il livello della preparazione dei magistri era molto
vario e oggetto di veri che da parte delle autorità comunali, veri che
indispensabili in assenza di speci ci titoli che garantissero la qualità della
formazione dell’insegnante: i maestri laureati iniziarono a diffondersi solo a
partire dal Trecento, ed erano assunti solo nelle città più ricche. Le
amministrazioni cittadine vigilavano anche sulla capacità degli insegnanti di
fornire ai giovani una formazione religiosa e un’educazione ai valori fondativi
della società comunale, costituiti da un condiviso codice di comportamento
morale e civile. Nella scuola laica bassomedievale, così come in quella
ecclesiastica, il maestro continuò ad essere anche un educatore ai buoni
costumi, e per questo doveva tenere una condotta esemplare.
Le condizioni alla base della “condotta” del maestro erano quindi piuttosto
mutevoli e questo spiega la dif coltà di radicamento nella gerarchia sociale di
questo professionista, che era spesso forestiero, e, nel contempo, la tendenza
fortissima alla mobilità della professione del magister, spinto a spostarsi alla
ricerca di opportunità professionali ed economiche migliori o per sfuggire alla
concorrenza di colleghi più apprezzati dagli studenti. Proprio la necessità di
adattarsi alle contingenti possibilità professionali spiega perché i maestri
alternassero con frequenza incarichi nelle scuole pubbliche all’insegnamento
privato presso le maggiori famiglie della borghesia e, soprattutto, della nobiltà.
Le dinastie principesche più aperte alle novità culturali non si accontentarono di
istitutori ecclesiastici, ma talvolta scelsero come precettori importanti letterali:
fu infatti principalmente intorno alle corti dei maggiori principati del
Quattrocento che operarono circoli di umanisti, sviluppando al loro interno
importanti ri essioni pedagogiche.
Come nascono e si organizzano le università?
La questione della genesi delle università ha appassionato gli studiosi a partire
dalla seconda metà dell’Ottocento, portando a letture contrastanti che hanno
alimentato una forte polemica interna alla storiogra a, divisa tra coloro che
interpretavano l’università come un’istituzioni fortemente laica e innovativa, e
quelli che la consideravano invece il risultato di un processo di trasformazione
delle scuole ecclesiastiche. Ora tale contrapposizione ideologica tra posizioni
clericali e anticlericali è ampiamente superata, ma alcuni aspetti della fase
genetica delle prime università non sono ancora del tutto chiari. Sempli cando
molto questa complessa questione, possiamo vedere in alcune caratteristiche
assunte dalle principali scuole urbane del XII secolo il “terreno di coltura” delle
università: la forte specializzazione della docenza, i nuovi metodi di
insegnamento (che costituiranno la cosiddetta “scolastica”), la concentrazione di
scuole di grande prestigio in dinamiche città, elemento che incrementò
ulteriormente la mobilità di maestri e studenti in tutta Europa. Un aspetto
centrale di questo nuovo modo di intendere le relazioni all’interno dei centri di
insegnamento fu il particolare rapporto associativo che si venne a sviluppare tra
gli studenti nelle principali scuole, attestato in particolare in quelle di Bologna e
di Salerno nei primi decenni del XII secolo. Tali relazioni interessarono
raggruppamenti di studenti sempre più ampi, riuniti inizialmente per nationes,
cioè per aree di provenienza.
La nascita di societates di studenti conferì loro un’inedita capacità di azione,
permettendogli di opporsi, come gruppo coeso, allo stretto controllo delle
autorità comunali, di ottenere maggiori garanzie sulla permanenza in città e
sulla loro sicurezza personale, di pretendere un adeguato livello di docenza
offerto dai maestri. Vorrei sottolineare come la sensibilità associativa tra gli
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scolari che si riunivano attorno a un magister si fondasse sulle stesse istanze
che spinsero tutte le attività sociali e professionali della società bassomedievale
europea ad aggregarsi, cioè il bisogno di ottenere un riconoscimento come
corpo sociale e professionale, con speci ci privilegi e diritti comuni. Come le
corporazioni di mestiere, le prime forme associative di studenti e di maestri si
organizzarono in gerarchie e si diedero quasi subito norme statutarie. Tali
movimenti associativi spontanei, sorti da una libera adesione, divennero
gradatamente oggetto di un controllo ideologico e politico da parte dei centri di
potere – papato, impero, regni nazionali, principati regionali, comuni – che
limitarono fortemente le autonomie conquistate dagli studenti e dai maestri
nella prima fase dell’esperienza universitaria. Se da un lato il consolidamento
degli assetti organizzativi delle università del Tre e del Quattrocento portò a una
stabilità degli insegnamenti offerti nelle “facoltà” universitarie (che erano quelle
di teologia, di diritto, di arti liberali e di medicina), dall’altro limitò la forte
sperimentazione che caratterizzò la fase genetica delle prime università,
riducendone il carattere internazionale a una dimensione regionale, se non
locale.
Qual era l’incidenza sociale del sistema universitario?
L’estensione del numero di università in attività nel Tre nel Quattrocento, ormai
presenti, con diversa concentrazione, nell’intera Europa occidentale, ebbe una
grande incidenza nella crescita complessiva del numero di studenti. Riuscire a
quanti care questo incremento è dif cile per lo storico delle università a causa
della limitatezza delle fonti a disposizione. Per godere dei privilegi legati alla
condizione di studente era necessario, allora come oggi, espletare un
importantissimo atto formale di adesione all’università, cioè iscriversi nel
registro delle matricole. Questi registri matricolari sono purtroppo andati perduti
per quasi tutte le università italiane nel Medioevo, mentre sono conservati per
quelle delle città dell’impero, sulle quali è stato possibile condurre accuratissimi
studi, studiandone la popolazione studentesca e la sua mobilità: in queste
analisi sono stati conteggiati circa un quarto di milione di studenti presenti nelle
università tedesche tra la ne del Trecento e l’inizio del Cinquecento.
Si tratta di cifre inimmaginabili rispetto al numero di coloro che affrontavano gli
studi superiori nei secoli precedenti. Questo usso di uomini che attraversava
l’Europa fu un potentissimo canale di circolazione di novità culturale, penso alla
straordinaria in uenza che ebbero le università italiane sugli studenti transalpini,
che cercavano negli atenei italiani una formazione nel diritto e nella medicina
più solida di quella che avrebbero potuto raggiungere nelle università d’origine,
no al pieno Trecento ancora numericamente limitate, ma incontrarono anche
un’atmosfera ormai permeata di umanesimo: questi soggiorni di studi incisero
sullo sviluppo oltralpe di una nuova sensibilità in diversi campi del sapere e
dell’arte, diffusa dai doctores – spesso uomini di Chiesa, giuristi o medici – che
nel Quattrocento avevano frequentato gli atenei della Penisola.
Naturalmente l’impatto sociale delle università si riscontra anche nelle realtà
urbane che le accolsero, in cui i docenti vennero spesso chiamati a partecipare
alla vita politica locale o a far parte degli apparati di governo principeschi,
radicandosi talvolta in città e lasciando un’in uenza sulla cultura cittadina,
specie in quei settori della società urbana, in prevalenza costituiti da mercanti e
artigiani, più curiosi e aperti alle novità. Le città ospitavano con favore una
università, che procurava un grande prestigio internazionale e una serie di
effetti sull’economia urbana derivati dal soggiorno di molti giovani benestanti.
Insieme a questi aspetti positivi, l’amministrazione cittadina doveva però far
fronte a molte questioni legate all’accoglienza, sia logistiche, sia legate alla
sicurezza, e questo spiega gli atteggiamenti altalenanti delle città nei confronti
delle scuole universitarie. La soluzione al problema di tutti i problemi, cioè la
presenza in città di strutture ricettive adeguate e offerte a canoni sostenibili per
gli studenti, venne cercata nei collegi, che sorsero a inizio Duecento nell’Europa
del Nord, diffondendosi poi, con meno incisività, nelle regioni meridionali, con lo
scopo principalmente di accogliere studenti pauperes. Queste strutture crearono
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ulteriori dif coltà all’integrazione degli universitari nelle città, costituendo spazi
sociali distinti non solo tra studenti e cittadini, ma anche tra le stesse
consorterie studentesche di differenti aree di provenienza geogra ca e status
sociale.
Pur con tutte queste dif coltà e adattamenti a situazioni politiche ed
economiche contingenti, l’università rappresentò certamente una delle più
originali “creazioni” che il Medioevo ci ha lasciato, forse la più longeva, la quale
ha cambiato a fondo il quadro delle discipline insegnate e dei metodi didattici,
favorendo la nascita di una comunità di intellettuali dedicata allo studio e alla
trasmissione di saperi, ma aperta anche ai negotia richiesti dalle istituzioni
politiche e dalla società.
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"La scuola nel Medioevo" di Paolo Rosso | Letture.org
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