foto-libro

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Sopra e sotto, due momenti del discorso di Mussolini in piazza Unità
a Trieste, il 18 settembre del 1938. «L’ebraismo mondiale è stato, durante
questi sedici anni, un nemico inconciliabile del fascismo» disse tra
l’altro il duce. Era l’annuncio delle leggi razziali che sarebbero state
promulgate nelle settimane successive. La scelta di Trieste non fu
casuale: nella città giuliana la comunità ebraica occupava una posizione
di rilievo in campo economico e nelle libere professioni, e aveva una
storia di sostegno all’irredentismo filoitaliano prima e al nazionalismo
alleato del fascismo poi.
Per tutti gli anni Venti e Trenta del ’900, il Lloyd Triestino fu il vettore
marittimo che trasportò dal porto di Trieste in Palestina il maggior
numero di ebrei emigranti dall’Europa centrale e orientale, tanto
da far meritare a Trieste l’appellativo di Porta di Sion. A Trieste
un’organizzazione della Comunità ebraica provvedeva a ospitare gli
emigranti in attesa dell’imbarco. Sopra, emigranti in arrivo alla Stazione
centrale; sotto, l’imbarco sulla Martha Washington del Lloyd in Porto
vecchio. Le fotografie furono scattate da Riccardo Camerini, nella foto in
basso al centro, uno degli organizzatori di questi viaggi della speranza.
Il ministro degli Esteri del Terzo Reich, Joachim von Ribbentrop,
a sinistra, e il ministro italiano Giangaleazzo Ciano durante un
incontro a Roma. Von Ribbentrop criticò duramente la “morbidezza”
italiana nei confronti degli ebrei, e la tendenziale difesa degli israeliti
italiani nei territori occupati dai nazisti.
Sopra, visita di Ciano a Berlino: il ministro italiano viene presentato
da von Ribbentrop a Richard Walther Darré, teorico dell’agricoltura
nazista, poi messo da parte perché in contrasto con la politica di Göring
che privilegiava lo sviluppo industriale ai fini bellici; al fianco di
quest’ultimo, l’ammiraglio Erich Raeder, comandante della Marina
tedesca.
In alto, Mussolini e Hitler durante uno dei loro incontri a Monaco di
Baviera. In basso, Ciano a Berlino mentre passa in rassegna un reparto
del fascio nella capitale tedesca.
Sopra, un’illustrazione apparsa sul Popolo d’Italia, organo del Partito
nazionale fascista, nell’ottobre del 1938, dopo l’introduzione delle leggi
razziali. Una giovane commessa incolla su una vetrina il cartello
“negozio ariano”.
Nella pagina a fianco, ebrei assoggettati al lavoro obbligatorio a Roma
nel 1942. Entrambe le immagini sono tratte da Le leggi antiebraiche
spiegate agli italiani di oggi di Michele Sarfatti, Einaudi, Torino, 2002.
Sopra e sotto, la Sinagoga di Trieste devastata da un attacco fascista il
18 luglio del 1942. Il fascismo triestino comprendeva una robusta fazione
filonazista che considerava troppo morbido l’atteggiamento delle
autorità nei confronti degli ebrei.
Sopra, giovani ebrei rifugiati in un campo organizzato da
Joseph Fisera. Era un ceco attivo in Francia nell’aiuto a
prigionieri in fuga, esponenti della Resistenza e minoranze
perseguitate. Operava nei pressi di Vallon nelle Alpi Marittime,
nella Francia occupata dagli italiani. La relativa sicurezza di cui
godevano gli ebrei nella zona italiana fu criticata non solo da
Berlino ma anche dal regime collaborazionista di Vichy.
Settembre 1943: un gruppo di ebrei in fuga dalla Francia
occupata dagli italiani. Si riposano durante la salita verso un
passo alpino che li porterà in Italia. Molti troveranno rifugio
in Piemonte, altri andranno in Svizzera. Ma molti finiranno
nelle retate nazifasciste e saranno avviati alla deportazione.
Un gruppo di ebrei della Serbia e della Vojvodina nel carcere di
Pristina, nella zona occupata dagli italiani nel 1942. Molti ebrei si
rifugiarono nella zona occupata dagli italiani, dove vivevano in uno
stato di semilibertà. Alcuni furono consegnati dopo pressanti richieste
ai tedeschi; altri poterono allontanarsi alla spicciolata.
La scuola rabbinica di Rodi. La comunità ebraica dell’isola contava più
di mille abitanti: dopo l’8 settembre e l’occupazione tedesca, furono
deportati in massa e solo pochi fecero ritorno.
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Foto segnaletica di Ernst von Weiszäcker al momento del suo arresto
da parte degli Alleati nel 1947. Ex segretario di Stato al ministero degli
Esteri, von Weiszäcker divenne nel luglio del 1943 l’ambasciatore tedesco
presso la Santa Sede e operò per evitare prese di posizione esplicite del
Vaticano sullo sterminio degli ebrei. Critico verso il nazismo, una volta
rientrato in Germania fu processato (1947) e condannato per complicità
con la deportazione degli ebrei francesi, malgrado il parere contrario
di molti esponenti alleati, incluso Churhill. Fu scarcerato grazie a
un’amnistia nel 1950.
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Da sinistra Heinrich Himmler, capo delle SS, Franz Ziereis,
comandante del campo di Mauthausen, e Ernst Kaltenbrunner,
comandante del RSHA e della Sicherheitspolizei. Dall’ufficio di
Kaltenbrunner partì l’ordine della deportazione degli ebrei romani.
Kappler gli spedì l’oro sottratto alla comunità ebraica romana. Al loro
arrivo a Berlino, gli Alleati trovarono l’oro ancora nel suo ufficio.
Kaltenbrunner durante il processo di Norimberga. Giudicato
colpevole di crimini contro l’umanità, fu impiccato il 16 ottobre 1946.
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Erich Priebke, a sinistra, e Herbert Kappler in abiti civili durante
il loro periodo di permanenza a Roma (1943-44). Dopo la retata degli
ebrei, Priebke si occupò di vendere i beni dei deportati. Kappler chiese
alla comunità ebraica di Roma un “riscatto” in oro e, qualche mese più
tardi, fu responsabile della strage delle Fosse Ardeatine come ritorsione
all’attentato di via Rasella (marzo 1944). Fu condannato all’ergastolo
nel luglio del 1948; nell’agosto del 1977 riuscì a fuggire dall’Ospedale
militare del Celio, dove era detenuto per le sue gravi condizioni di salute
(UK National Archives).
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Sopra, Kappler, il terzo da destra, conversa con alcuni amici in un caffé
della Roma occupata. Sotto, foto segnaletica di Kappler scattata dagli
Alleati subito dopo il suo arresto (1945, UK National Archives).
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Karl Wolff, a sinistra, con Himmler, capo delle SS. Inviato in Italia nel
febbraio del 1943, Wolff era il superiore diretto di Kappler. Nell’aprile
del 1945, negoziò con gli Alleati la resa delle forze tedesche nell’Italia
settentrionale. Ricevette una lieve condanna nel dopoguerra ma fu
riprocessato nel 1962 per la deportazione di 300.000 ebrei a Treblimka.
Condannato a 15 anni, fu rilasciato subito dopo per gravi motivi di
salute. È morto nel luglio del 1964.
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Un’altra foto segnaletica di Kappler, scattata dagli Alleati subito
dopo il suo arresto. Dopo l’interrogatorio, Kappler fu consegnato alle
autorità italiane, che lo processarono per l’eccidio delle Fosse Ardeatine
(UK National Archives).
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Albert Kesselring, in borghese, segue un ufficiale inglese verso l’aula
del processo in cui è imputato a Venezia nel 1947. Comandante delle
truppe tedesche in Italia dopo l’armistizio, riuscì a rallentare l’avanzata
degli Alleati fino al crollo del Reich. Era contrario alla retata degli ebrei di
Roma, ma sotto il suo comando le ritorsioni nei confronti delle popolazioni
civili italiane furono numerose e sanguinose. Al processo fu condannato a
morte per crimini di guerra, pena poi commutata in ergastolo. Nel 1950 fu
liberato e si unì ai circoli neonazisti della Baviera.
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Prigionieri appena giunti al campo di Auschwitz si avviano verso la
“selezione”. Ad Auschwitz furono inviati gli ebrei deportati da Roma
nell’ottobre del 1943: la maggior parte di essi fu uccisa subito dopo l’arrivo.
Ufficiali nazisti in un momento di relax nella zona di Solahuette, nei
dintorni di Auschwitz. Da sinistra Josef Mengele, soprannominato
“dottor morte”, Richard Baer, comandante del campo, il suo aiutante
Karl Hoecker e Walter Schmidetzki, responsabile amministrativo
del sottocampo di Monowitz.
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Sopra, foto aerea del campo di Auschwitz-Birkenau scattata da un
ricognitore alleato nell’agosto del 1944. Sotto, donne deportate nel campo.
19
Friedrich “Friedl” Rainer ai tempi in cui era Gauleiter della
Carinzia. Nato a St. Veit nel 1903, il 10 settembre 1945 fu nominato
Commissario (la massima autorità) della zona di operazioni
Adriatisches Küstenland che comprendeva le province di Udine,
Gorizia, Trieste, Lubiana, Fiume e Pola. Alla fine dell’aprile 1945,
fuggito da Trieste, tentò vanamente di organizzare un’ultima resistenza
delle forze naziste in Carinzia. Arrestato dagli Alleati, fu consegnato
alla Jugoslavia. Processato a Lubiana e condannato a morte, venne
giustiziato il 19 luglio 1947.
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Sopra, una sfilata di soldati tedeschi sulle Rive a Trieste. Il governo di
Salò non aveva alcuna parte nella gestione dell’Adriatisches Küstenland.
Anche le festività furono allineate a quelle del Reich.
Sotto, riunione di soldati tedeschi in un teatro in occasione del genetliaco
di Hitler. L’attività militare fu centrata sulla lotta antipartigiana, che
non riuscì tuttavia a ottenere effetti rilevanti. Solo le città erano sotto il
controllo nazista, mentre le strade principali (come la Trieste-Fiume) erano
sottoposte ad attacchi da parte della Resistenza.
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Odilo Globočnik nel periodo in cui era Gauleiter di Vienna. Nato a
Trieste nel 1904 da famiglia austriaca di origini slovene, fu tra i primi
attivisti nazisti in Austria. Nominato Gauleiter della capitale austriaca,
fu allontanato dopo un anno per irregolarità amministrative. Entrato
nelle SS, organizzò i primi campi di sterminio in Polonia: Belzec nel
1941, Sobibor e Treblinka nel 1943. Fu a capo dell’Operation Reinhard,
che aveva l’incarico di sterminare gli ebrei dell’Europa centro-orientale.
Al termine della guerra si uccise dopo essere stato catturato dagli inglesi
in Carinzia.
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Odilo Globočnik, primo a destra, al campo di sterminio di Sobibor.
All’Operation Reinhard viene attribuita la deportazione e la morte di
un milione e mezzo di ebrei. Nel settembre 1943 Globočnik fu inviato a
Trieste con il compito di organizzare la deportazione di ebrei e la lotta
antipartigiana nella zona del Litorale Adriatico. A Trieste trasformò la
Risiera in un lager, con l’aiuto dei suoi più stretti collaboratori.
Christian Wirth, al centro, uno dei collaboratori di Globočnik. Fu
ucciso in uno scontro con i partigiani a Erpelle, nel maggio del 1944.
23
Sopra, un reparto di SS schierato nel cortile della Risiera di San
Sabba. Il lager triestino venne allestito da Globočnik come luogo
di detenzione e di tortura e centro di smistamento per quanti erano
avviati ai campi di concentramento tedeschi. Molti prigionieri furono
assassinati direttamente nel campo, che era dotato di un forno
crematorio.
Sotto, due dei miliziani ucraini che avevano seguito i tedeschi
dall’Europa centrale. Numerosi ucraini furono eliminati alla fine
dell’aprile 1945, quando Globočnik e i suoi abbandonarono Trieste
portando via un ricco bottino.
24
Paul Bredow, collaboratore di Globočnik, durante una retata
antipartigiana in Istria. Responsabile di un reparto del campo
di sterminio di Sobibor, era temuto per la sua brutalità: uccideva
personalmente con la pistola un gruppo di ebrei al giorno. Dopo la
guerra tornò in Germania e morì nel dicembre 1945.
Kurt Hubert Franz, un altro degli aguzzini dell’Operation Reinhard
che seguirono Globočnik a Trieste. A Treblinka era temuto per la sua
crudeltà. Nel 1945 fu arrestato dalle truppe americane ma riuscì a
fuggire e a trovare lavoro come cuoco. Arrestato dalle autorità tedesche
nel 1959, fu condannato all’ergastolo.
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Da sinistra, Josef Oberhauser, Fritz Jirmann e Kurt Franz davanti
a una garritta del campo di sterminio di Belzec, dove Oberhauser era il
vice del comandante, Christian Wirth. Jirmann rimase ucciso al campo
per mano di una sentinella che lo aveva scambiato per un deportato in
fuga; Oberhauser e Franz furono inviati nel 1943 in Italia al seguito di
Globočnik. Oberhauser fu tra i comandanti della Risiera di San Sabba.
Rientrato in Germania, venne condannato per crimini di guerra a 15
anni di detenzione nel 1948. Imputato al processo per la Risiera di San
Sabba che si tenne a Trieste nel 1976, venne condannato in contumacia
assieme a Otto Stadie.
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Sopra, il vertice nazista di Trieste assiste a una sfilata sulle rive. Da
destra, il generale Ludwig Kübler, comandante in capo delle truppe
dell’Adriatisches Küstenland; il Gauleiter Rainer e Odilo Globočnik.
Kübler condusse una feroce guerra antipartigiana; negli ultimi giorni
di aprile portò il grosso delle sue truppe alle spalle di Fiume per
fronteggiare l’avanzata dell’esercito jugoslavo guidato dal generale
Drapšin. Finì circondato nella conca di Clana e si arrese con le sue
truppe. Fu processato nel dopoguerra per crimini di guerra a Lubiana.
La sua condanna a morte venne eseguita nell’agosto del 1947.
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Odilo Globočnik stringe la mano a un alpino mentre passa in
rassegna un reparto del Reggimento Tagliamento, a Udine.
Globočnik saluta un reparto davanti alla sede del comando tedesco
di Trieste, con sede nel palazzo del Tribunale. Nelle vicinanze,
sotto la collina di Scorcola, i nazisti avevano allestito una serie di
gallerie sotterranee che fungevano da rifugio e da comando militare,
soprannominate “Piccola Berlino”.
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Globočnik appunta una decorazione sul petto del suo collaboratore
Lorenz Hackenholt. Malgrado la pressione della guerra partigiana, le
SS non smisero mai la caccia agli ebrei, effettuando retate persino negli
ospedali e nella casa di riposo Gentilomo. L’ultimo “trasferimento” di
ebrei dall’Italia per i campi di sterminio partì da Trieste il 24 febbraio
1945. La destinazione era Ravensbrück, ma il convoglio venne deviato
verso Bergen Belsen.
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Gotlieb Hering arrivò al reparto R-1 comandato da
Globočnik dopo la morte di Christian Wirth, prendendone
il posto. Prima di arrivare a Trieste era stato incaricato dello
smantellamento dei campi di Poniatowa, dove tutti gli ebrei
detenuti furono fucilati, e di Sobibor. Al termine della guerra
riuscì a rientrare in Germania e morì in cirostanze mai
chiarite nella sala d’attesa di un ospedale del Wüttemberg.
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Il comando delle SS a Trieste in piazza Oberdan nel palazzo confiscato
alla RAS. Ospitava anche stanze per gli interrogatori e aree di
detenzione per i prigionieri.
Franz Stangl, al centro, a Trieste nel reparto R–1. Comandante del
campo di Sobibor prima e di Treblinka poi, Stangl fu arrestato dagli
americani al termine del conflitto. Riuscì a fuggire dalla prigione
di Linz e a raggiungere la Siria con l’aiuto del vescovo Hudal e della
sua rete di collaboratori. Dopo tre anni in Siria si trasferì in Brasile,
dove lavorò alla Volkswagen usando il suo vero nome. Rintracciato da
Simon Wiesenthal, fu arrestato nel 1967. Estradato in Germania, venne
condannato all’ergastolo.
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Lorenz Hackenholt era un semplice meccanico, ma
fece carriera nelle SS per aver messo a punto un sistema
che consentiva di realizzare camere a gas usando motori
di camion. Guidò la fabbricazione della prima camera
a gas a Belzec, poi ne costruì di più sofisticate a Sobibor
e a Treblinka. Trasferito con Globočnik a Trieste,
realizzò anche alla Risiera un camion della morte.
Probabilmente sopravvisse alla guerra ma le sue tracce
si persero nella zona di Kempten, al confine tra Austria
e Germania. Da allora non si è saputo nulla di lui.
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