RIVISTA LITURGICA TRIMESTRALE PER LA FORMAZIONE LITURGICA fondata nel 1914 dall’abbazia benedettina di Finalpia Quinta serie anno CIV fascicolo 4 ottobre-dicembre 2017 Il sacramento della Penitenza. Esperienze e prospettive Monastero S. Giustina Comunità di Camaldoli RIVISTA LITURGICA anno CIV ♦ quinta serie ♦ n. 4 ♦ ottobre-dicembre 2017 ISSN 0035-6956 Edizioni Camaldoli Loc. Camaldoli, 14 52014 Camaldoli (AR) Abbazia S. Giustina 35123 Padova Abbazia S. Maria 17024 Finalpia (SV) DIRETTORE: Gianni Cavagnoli Via Fatebenefratelli 2/A – 26100 Cremona (CR) – [email protected] REDATTORE: Matteo Ferrari OSB Cam (Rappresentante delle Edizioni Camaldoli) Loc. Camaldoli, 14 – 52014 Camaldoli (AR) [email protected] CONSIGLIO DI DIREZIONE: Giorgio Bonaccorso (Rappresentante del Monastero di S. 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Il caso dello scritto sulla penitenza pp. 63-78 CLAUDIA MILANI «Non v’è cuore piú integro di un cuore spezzato». Penitenza e perdono dei peccati nella tradizione ebraica pp. 79-95 PAWEL ANDRZEJ GAJEWSKI Confessione, penitenza e perdono dei peccati nelle chiese evangeliche pp. 97-110 STEFANO PARENTI Confessione, penitenza e perdono nelle chiese orientali pp. 111-141 BASILIO PETRÀ La questione penitenziale dal Sinodo del 2014 all’Amoris Laetitia pp. 145-159 ANDREA GRILLO “Tanto da riparare, da disfare, da piangere”. Significati, modelli e sfide del “fare penitenza” pp. 161-181 NOTE ANDREA GRILLO, CHRISTIAN GABRIELI Il Motu Proprio Magnum principium di papa Francesco. Aspetti teologico-liturgici e canonici pp. 183-203 GIANNI CAVAGNOLI La riforma liturgica è irreversibile pp. 205-216 studi CONFESSIONE, PENITENZA E PERDONO NELLE CHIESE ORIENTALI Stefano Parenti Quando mi è arrivato l’invito a partecipare con una relazione a questa Settimana liturgico-pastorale, appena letto il titolo Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali, mi è venuto in mente la relazione che mi era stata assegnata l’anno precedente: Tradizioni orientali: da dove si comincia?1. Lì si trattava dell’iniziazione cristiana e dell’ordine dei sacramenti dopo il battesimo e abbiamo visto che nell’esperienza liturgica di molte Chiese orientali, almeno fino al VI secolo, la crismazione non seguiva il battesimo ma lo precedeva. Il pensiero è andato al titolo della relazione dello scorso anno perché la stessa domanda – “da dove si comincia?” – è sottesa anche al tema di questa relazione: Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali. Come vedremo, le Chiese d’Oriente hanno conosciuto nel tempo, e conoscono fino ad oggi, prassi penitenziali molto diversificate dove l’elemento meno costante è dato proprio dalla presenza simultanea dei tre momenti “confessione, penitenza e perdono”. Infatti, come nell’iniziazione cristiana, l’ordine può variare e qualche elemento può non esserci del tutto: a) la confessione, almeno quella auricolare, spesso è assente b) il perdono di Dio non necessariamente arrivava attraverso un ministro ordinato c) la penitenza invece, variamente intesa, resta l’elemento più stabile. Però tra tanta varietà, il punto di arrivo è ben definito: la riammissione all’eucaristia. Anche qui, fatte salve tutte le differenze, l’analogia con l’iniziazione cristiana è molto stretta. Cf. S. PARENTI, «Tradizioni orientali: da dove si comincia?», in Rivista Liturgica 103/4 (2016) 63-80. 1 104/4 (2017) Rivista Liturgica 111-141 1. PER COMINCIARE: DUE PAROLE SUL DIGIUNO Se la penitenza è l’elemento più costante lungo la storia delle forme di riconciliazione, il digiuno resta fino ad aggi l’espressione più concreta della volontà di cambiare vita. È bene dunque prestargli un po’ di attenzione. Le tradizioni orientali sono ricche di richiami penitenziali. Ogni settimana dell’anno ha conservato il digiuno del mercoledì e venerdì attestato dalla Didaché (ca. 50/70), in apparente polemica con i digiuni ebraici del lunedì e giovedì (VIII.1) e che il canone XV sulla Pasqua di Pietro d’Alessandria († 311) motiverà ulteriormente con la memoria del tradimento di Giuda (mercoledì) e della passione e morte del Signore (venerdì)2. In Oriente digiunare non significa astenersi dal cibo ma soltanto da alcuni cibi, cioè da tutti i prodotti che hanno origine animale: carne, uova, latticini e pesce, compresi i condimenti come lo strutto. Un tale regime strettamente vegetariano copre già più di cento giorni in un anno. Con l’introduzione all’inizio del IV sec. del digiuno pre-pasquale di quaranta giorni, la Quaresima che tende ad imporsi ovunque dopo il concilio di Nicea (a. 318), la dieta del mercoledì e venerdì viene estesa a tutti i giorni quaresimali, e così i giorni vegetariani ormai venivano a sfiorare quota 150. La forza del digiuno è stata tale e tanta da produrre la varia lectio di Mc 9, 29: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo se non con [il digiuno e, ndr] la preghiera»3, riportata già nei “grandi onciali” del IV secolo4. In seguito ciascuna Chiesa istituì altri periodi di digiuno, propri o comuni ad altre Chiese. Nella Chiesa di Costantinopoli ve ne sono in preparazione alle feste del Natale, degli apostoli Pietro e Paolo (periodo variabile) e della Dormizione della Madre di Dio il 15 agosto (due settimane)5. Alla fine i giorni vegetariani sono almeno 210 su 365 e il regime ha creato una vera e propria cultura culinaria Sulle origini del digiuno infrasettimanale si può leggere il capitolo IV, «The Christian Week: Wednesday anda Friday», nell’agile volumetto di P.F. BRADSHAW - M.E. JOHNSON, The origins of Feasts, Fasts and Seasons in Early Christianity, Alcuin Club Collections 86, London 2011, 29-36. 3 Mc 9, 29. 4 Cf. Novum Testamentum Graece, E. NESTLE - E. NESTLE communiter ediderunt K. ALAND - M. BLACK - C.M. MARTINI - B.M. METZGER - A. WIKGREN - B. ALAND, Stuttgart 198126, 119, apparatus. 5 Sulla disciplina bizantina del digiuno, l’unica opera di riferimento resta ancora cf. K. HOLL, Die Entstehung der vier Fastenzeiten in der griechischen Kirche, Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften. Phil.-hist. Klasse 1923, 5, Berlin 1924. 2 112 [496] Stefano Parenti del digiuno con un forte richiamo anche in Occidente che si traduce nella traduzione dal greco e dal russo di un buon numero di libri di cucina6. Questi giorni e periodi hanno sulle persone un forte richiamo. Naturalmente tutto può degenerare in formalismo o abitudine – è il pericolo di molte espressioni ecclesiali dentro e fuori l’ortodossia – ma rettamente inteso, il sistema ortodosso del digiuno ha il vantaggio di coinvolgere la materia e la fisicità (cibo /corpo) allontanando il rischio di una penitenza spiritualizzata. Una sera, stando a cena con un sacerdote ortodosso e con la sua famiglia, durante la quaresima della Dormizione della Theotokos in agosto, egli mi diceva: «sappiamo molto bene che il digiuno non è fondamentale e neanche così importante, ma è un segno reale di disponibilità alla rinuncia, a modificare una visione della vita in cui ci sembra di aver diritto a tutto e sempre, ad una visione della vita in fondo molto infantile. Digiunare significa accordare di nuovo il primato a ciò che non passa». Riflettiamo anche sul fatto che si tratta di penitenze regolate dall’anno liturgico, quindi di una realtà oggettiva, che non ha nulla a che fare con l’emozione di chi si sente di fare privazioni oggi piuttosto che domani o non so quale altro giorno. Eppure oggi nella Chiesa cattolica l’argomento digiuno è tabù. Mi sorprende sempre constatare che le persone, anche religiosi e religiose pronte a dare addosso al digiuno (che comunque non fanno), sono le stesse poi disposte ad affrontare estenuanti diete prescritte dallo specialista consultato... 2. LE FONTI BIZANTINE: COSA (NON) È STATO FATTO Interessarsi al trinomio “confessione, penitenza e perdono”, nelle Chiese orientali, significa indagare le dialettiche carisma/istituzione, e chiesa/monachesimo che hanno trovato un equilibrio, e non senza difficoltà, soltanto nell’avanzato secondo Millennio. Se c’è un settore del cristianesimo che non si presta ad una ermeneutica della continuità, questo è sicuramente l’Oriente cristiano nelle sue varie espressioni. Dispiace, però, che una realtà così complessa e affascinante resti in buona parte da indagare – o da ristudiare –, compresa l’esperienza religiosa e liturgica di Costantinopoli e del In italiano per ora è disponibile: cf. Monaco EPIFANIOS DI MYLOPOTAMOS, La cucina del Monte Athos, Assisi 2016. 6 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [497] 113 Commonwealth bizantino che resta la più diffusa. In un articolo del 2004 sul quale tornerò più avanti, Rosa Maria Parrinello ha scritto nero su bianco, e con ragione: «Lo studioso del mondo bizantino che voglia capire quali fossero le modalità e la prassi dell’esercizio della confessione e del sacramento della penitenza si trova dinanzi un panorama bibliografico desolante»7. Gli strumenti a disposizione davvero affidabili sono pochi e datati. Tra le monografie abbiamo quella classica del protestante Karl Holl del 18988 e i volumi di Angelo Amato e di Heinrich Bernhard Kraienhorst9, ma anche un opinabile lavoro di Miguel Arranz sui libri penitenziali10, compensato però dallo studio sullo stesso topic di Frans Van de Paverd11. Purtroppo negli ultimi mesi si è aggiunto ancora un lavoro che ha di nuovo fatto regredire lo stato dell’arte12. Insomma, se il classico di Karl Holl sta a quanto Cyrille Vogel ha fatto per l’Occidente, ben poco nella scienza liturgica orientale – che in altri settori oggi è una disciplina prospera – può essere paragonato alla fioritura di studi storico-antropologici che in pochi anni ha portato ad una sostanziale rivisitazione dell’opera stessa di Vogel e dei R.M. PARRINELLO, «Dalla confessione carismatica alla confessione istituzionale: per una storia del rito dell’anadochos», in Rivista di Storia del Cristianesimo 1/2 (2004) 333-365: 333. 8 Cf. K. HOLL, Enthusiasmus und Bussgewalt beim griechischen Mönchtum. Eine Studie zu Symeon dem neuen Theologen, Leipzig 1898. 9 Cf. A. AMATO, Il sacramento della penitenza nella teologia greco-ortodossa. Studi storico-dogmatici (sec. XVI-XX), Ἀνάλεκτα Βλατάδων 38, Tessalonica 1982; H.B. KRAIENHORST, Buss- und Beichtordnungen des griechischen Euchologions und des slawischen Trebniks in ihrer Entwicklung zwischen Osten und Westen, Das östliche Christentum 51, Würzburg 2003. 10 Cf. M. ARRANZ, I penitenziali bizantini. Il Protokanonarion o Kanonarion Primitivo di Giovanni Monaco e Diacono e il Deuterokanonarion o “Secondo Kanonarion” di Basilio Monaco, Kanonika 3, Roma 1993, da consultare avendo sotto mano la recensione pubblicata da chi scrive su Byzantinische Zeitschrift 88 (1995) 474-481. 11 Cf. F. VAN DE PAVERD, The Kanonarion by John, Monk and Deacon and Didascalia Patrum, Kanonika 12, Roma 2006. Alcuni problemi, che non è il caso discutere in questa sede, li pone invece un secondo lavoro dell’autore: ID., Quotiescumque. Greek Origin of a Latin Confessor’s Guide, Utrecht 2012. 12 Cf. G.A. DI DONNA, ed., Canones Pœnitentiales, Kanonika 24, Roma 2017. L’opera è un “rifacimento” della tesi di dottorato discussa dall’autore nel 2004 presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma (relatore M. Arranz). Nonostante le oltre 2000 pagine, gravi manchevolezze bibliografiche, storico-critiche e di metodo la rendono inservibile, se non dannosa, a chi indenda rimettere mano seriamente agli studi sulla penitenza bizantina. 7 114 [498] Stefano Parenti suoi predecessori13. Il corpo dell’eucologia in greco e dei rituali di confessione è stato a lungo oggetto dell’attenzione di Miguel Arranz ma con risultati, come già per il libri penitenziali, molto inferiori alle aspettative14. Arranz ha ripubblicato le preghiere da vecchie edizioni russe del XIX secolo, spesso senza controllarle sui rispettivi manoscritti, anche se conservati a Roma, ma soprattutto ha rinunciato ad una analisi genetica con ricadute negative anche sull’altrui impegno15. In poche parole, se non tutto è sbagliato, per dirla con Gino Bartali, almeno “l’è [quasi] tutto da rifare”. In queste condizioni è molto arduo presentare uno status quaestionis della materia e sono ben cosciente per quello che scriverò di correre il rischio, scontato, del contrappasso per i giudizi che ho appena espresso. Almeno su un aspetto credo però di andare sul sicuro: l’attitudine penitenziale oggi in alcune Chiese d’Oriente ha davvero radici antiche e nonostante tutte le rotture e una continuità che spesso è venuta meno, esiste comunque un tenue filo rosso che Arianna non ha dipanato nel labirinto della teologia ma della spiritualità. Nelle pagine che seguono mi limiterò a toccare qualche aspetto della storia della penitenza che merita di essere illustrato o riconsiderato nelle tradizioni bizantina, assira e copta, nel passato e nel presente. 3. PRASSI E DISCIPLINA PENITENZIALE A COSTANTINOPOLI FINO AL VI SECOLO Con la decisione assunta nel 324 di trasferire sulle rive del Bosforo la città imperiale, Costantino il Grande segna il destino politico e religioso dell’antica Bisanzio. Al tempo la città prescelta era soltanto una sede suffraganea del metropolita di Eraclea di Tracia. Cf. S. HAMILTON, The Practice of Penance, 900-1050, Royal Historical Society Studies in History New Series, 2001; M.C. MANSFIELD, The Humiliation of Sinners: Public Penance in Thirteenth-Century France, Ithaca 2005; M. DE JONG, The Penitential State. Authority and Atonement in the Ages of Louis the Pious (814-840), Cambridge 2009; A. FIREY, ed., A New History of Penance, Leiden 2008. 14 Cf. M. ARRANZ, «Les prières pénitentielles de la tradition byzantine. Les sacrements de la restauration de l’ancien euchologe constantinopolitain II-2 (1ère partie)», in Orientalia Christiana Periodica [in seguito: OCP] 57 (1991) 87-143; «II-2 (2e partie)», in Ibid., 309-329; «II-2 (3e partie)», in OCP 58 (1992) 23-82. 15 Cf. E. MAZZA, «La celebrazione della penitenza nella liturgia bizantina e in Occidente: due concezioni a confronto», in Ephemerides Liturgicae 115 (2001) 385-440; ID., La liturgia della penitenza nella storia. Le grandi tappe, Bologna 2013, 133-150. 13 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [499] 115 Nel 381 vi si tiene il secondo concilio ecumenico che al canone 3 promuove quella che ormai si chiama Costantinopoli, al secondo posto nell’ordine di precedenza delle sedi principali, immediatamente dopo l’Antica Roma, in virtù dell’essere città imperiale. La decisione verrà poi ulteriormente ribadita nel celebre canone 28 di Calcedonia nel 45116. Il background liturgico costantinopolitano è dunque orientale, marcatamente antiocheno. Alcuni dei vescovi della città provenivano da Antiochia come Eudoxio ed Evagrio, e in particolare Giovanni Crisostomo, che prima di ascendere all’episcopato nella città imperiale (398-404) aveva svolto il ministero presbiterale ad Antiochia. Quindi è da lì che dobbiamo iniziare. 3.1. La penitenza pubblica riflessa nella liturgia Il libro VIII delle Costituzioni Apostoliche, databili al 380 e situabili nei dintorni di Antiochia, descrive una celebrazione eucaristica presieduta da un vescovo appena ordinato. Una volta terminata la predicazione, il vescovo saluta l’assemblea e dopo l’allontanamento di audientes e infedeli, iniziano i congedi per categoria di quanti non potevano partecipare alla preghiera comune dei fedeli e accedere alla comunione: catecumeni, posseduti, illuminandi, penitenti17. Per ogni categoria era prevista una distinta unità liturgica che comprendeva: 1. preghiera litanica proposta dal diacono; 2. preghiera presidenziale recitata dal vescovo; 3. congedo. Nelle fonti canoniche contemporanee gli audientes (ἀκροώμενοι) erano i simpatizzanti ammessi all’ascolto delle letture e dell’omelia18. Tuttavia, nella categoria finirono per essere assimilati anche i Cf. R.F. TAFT, «St. John Chrysostom, Preacher Committed to the Seriousness of Worship», in M. ROSS - S. JONES, ed., The Serious Business of Worship. Essays in Honour of Bryan D. Spinks, New York 2010, 13-21; ID., «St. John Chrysostom’s Role in the Formation of the Liturgy of the Great Church», in Studi sull’Oriente Cristiano 15/2 (2011) 17-31. 17 Cf. Libro VIII, 6, 3-9, 11, in M. METZGER, ed., Les Constitutions Apostoliques, III, Sources Chrétiennes 336, Paris 1987, 152-166. 18 Cf. CONCILIO DI NICEA, a. 325, can. 11 (Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque Decreta Editio critica, I: The Oecumenical Councils from Nicaea I to Nicaea II (325-787), curantibus G. ALBERIGO - Alii, Turnhout 2006, 25-26); 16 116 [500] Stefano Parenti battezzati incorsi nella scomunica che, all’inizio del loro cammino penitenziale, venivano di fatto equiparati a quei pagani che mostravano interesse per la fede cristiana. Come avverte Edmund Schwartz, nelle fonti non sempre è agevole discernere di quale categoria si tratti19, una incertezza che non vale per Costantinopoli nella prima metà del VI secolo. Una lettera di alcuni vescovi non calcedonesi residenti nella Capitale poco dopo il 538, ci fa conoscere il testo delle preghiere presidenziali per gli audientes e i penitenti impiegate nelle sinassi della sera e del mattino e alla Divina Liturgia20. Il testo greco della preghiera per i penitenti è stato identificato da Heinrich Bernhard Kraienhorst tra le preghiere per la confessione di alcuni eucologi italo-greci copiati tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII21. 3.2. Vicissitudini della penitenza privata Lo storico Socrate Scolastico (380-440), che scrive attorno all’anno 450, narra della decisione assunta nel 391 del vescovo Nektarios di Costantinopoli di sopprimere il ministero del presbitero che con terminologia occidentale potremmo chiamare “penitenziere”22. Si tratta di una delle pagine più controverse della storia della penitenza can. 4 del CONCILIO DI ANCIRA (a. 314) e can. 5 del CONCILIO DI LAODICEA (IV s. ex.) in Discipline générale antique (IVe-IXe s.), t. I.2, Les canons des Synodes Particuliers, Grottaferrata 1962, 59, 132; can. 75 di s. BASILIO († 379) e il can. 5 di s. GREGORIO DI NISSA († ca. 395), in Discipline générale antique..., t. II, Les canons des Pères Grecs, Grottaferrata 1963, 151-152, 218. 19 Cf. E. SCHWARTZ, «Bußstufen und Katechumenenklassen», in ID., Gesammelte Schriften, V, Zum Neuen Testament und zum frühen Christentum, Berlin 1963, 25-30. 20 Cf. I.E. RAHMANI, «Ritus receptionis episcopi et celebrationis liturgiae catechumenorum», in ID., Studia Syriaca, fasc. III: Vetusta documenta liturgica, Charfeh 1908, 5-23, 23-47: 46 (testo siriaco e traduzione latina); traduzione francese presso F. NAU, «Littérature canonique syriaque inédite», in Revue de l’Orient Chrétien 14 (1909) 39-49: 47. 21 Cf. KRAIENHORST, Buss- und Beichtordnungen, 81-94; A.I. ALMAZOV, Тайная исповедь в Православной восточной Церкви. Опыт внешней истории. Исследование преимущественно по рукописям, III: Приложения, Odessa 1894, 68-69. 22 Cf. Historia ecclesiastica, V, 19: SOCRATE DE CONSTANTINOPLE, Histoire ecclésiastique. Livres IV-VI, Texte grec de l’édition G.C. Hansen (GCS), traduction par P. PÉRICHON - P. MARAVAL, introduction et notes P. Maraval, Sources Chrétiennes 505, Paris 2006, 144-151. Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [501] 117 in Oriente, che ha fatto sudare non poco storici ed apologeti dalla Controriforma in poi23. Secondo Socrate, dopo lo scisma di Novaziano, cioè dopo la persecuzione di Decio (20 gennaio 250), i vescovi avevano istituito dei presbiteri destinati a ricevere la confessione di quanti avevano commesso peccati dopo il battesimo ed erano in stato di conversione e per questo chiamati “presbiteri addetti a quanti si convertono” (τῶν πρεσβυτέρων τῶν ἐπὶ τῆς μετανοίας). Socrate ricorda che ai suoi tempi l’istituzione era in vigore ovunque, tranne tra i Novaziani e a Costantinopoli: i primi non l’avevano mai accettata, e a Costantinopoli il vescovo Nektarios l’aveva soppressa. I Novaziani infatti, che conobbero una vasta diffusione anche in Oriente, irrigiditi nel loro rigorismo morale, negavano la legittimità di una penitenza post-battesimale non solo agli apostati ma anche ai colpevoli di omicidio e di adulterio, al punto che amministravano un secondo battesimo ai propri membri caduti in queste colpe. A Costantinopoli invece l’istituto dei presbiteri penitenzieri venne abrogato. Perché? Una donna di nobile famiglia si era recata dal presbitero incaricato della penitenza per confessare alcuni peccati che aveva commesso dopo il battesimo. Il prete le impose di digiunare e di pregare assiduamente perché con la confessione potesse mostrare anche qualche opera, qualche segno tangibile di conversione. Dopo qualche tempo la donna torna di nuovo dal presbitero per accusarsi di un altro peccato, confessando di aver avuto un incontro troppo ravvicinato con un diacono. A seguito di questa confessione il diacono venne sospeso dal ministero, come del resto prescrivevano i canoni. L’accaduto alzò un grande polverone perché evidentemente era stato il prete a rivelare tutto, gettando discredito sulle istituzioni della Chiesa. I chierici erano terrorizzati e così tale Eudaimon, un prete di origine alessandrina, consigliò al vescovo Nektarios di sopprimere la funzione dei presbiteri penitenzieri e di permettere a ciascuno di partecipare ai sacramenti vedendosela esclusivamente con la propria coscienza. Socrate assicura i suoi lettori di aver appreso i fatti dallo stesso Eudaimon. Dunque, sul finire del IV secolo c’era ancora a Costantinopoli Cf. Latini Latinii Viterbensis Opinio de ea historiae Socratis Sozomenique parte, qua Nectarii episcopi factum de abrogato paenitentiario presbytero continetur, Roma 1587 e la bibliografia citata in Les régestes des actes du Patriarcat de Constantinople, I, Les actes des patriarches, fasc. I: Les régestes de 381 à 715, par V. GRUMEL, Paris 19722, 8-9. Lo stesso Grumel fa propria l’opinione di Tillemont (Mémoires pour servir à l’Histoire écclésiastique des six premiers siècles, X, Venezia 1732, 232-234) secondo la quale Nektarios avrebbe soppresso soltanto il confessore ufficiale ed unico, lasciando liberi i fedeli di ricorrere al ministero di un confessore di loro scelta. 23 118 [502] Stefano Parenti una penitenza pubblica ma ristretta a pochissime categorie di peccatori e la cui partecipazione alla vita ecclesiale e liturgica era limitata. Contemporaneamente vigeva una confessione individuale fatta ad un presbitero “penitenziere” della cattedrale che ascoltava i peccati in privato e suggeriva l’aiuto spirituale necessario (digiuno e preghiera) per uscire dalla situazione. La regola che permetteva una sola riconciliazione dopo il battesimo qui era già saltata e il ministero della penitenza era stato delegato dal vescovo ad un presbitero. I peccati che gli venivano manifestati ormai non erano più sottoposti alla penitenza pubblica. I fatti narrati da Socrate vengono riportati anche dallo storico Sozomeno che scrive attorno al 450, per il quale l’esempio del vescovo di Costantinopoli sarebbe stato seguito dai vescovi di ogni regione. Più importanti, invece, sono le ragioni profonde che Sozomeno adduce e che è bene riportare: «Dal momento che non peccare mai richiederebbe una natura divina che non è quella dell’uomo, Dio ha raccomandato di accordare il perdono a quanti si pentono, anche se peccano spesso […] fin dall’inizio ai vescovi sembrò scioccante che si facciano conoscere i peccati agli occhi di tutti nella Chiesa quasi come in un teatro. Istituirono così per questo ufficio un presbitero di eccellente condotta, discreto e prudente. I peccatori si recavano da lui e gli confessarono quanto commettevano ed egli per il peccato di ciascuno imponeva una penitenza da compiere o da assolvere in modo da autoinfliggersi le punizioni […]. Però, secondo me, un tempo le colpe erano meno gravi a motivo della vergogna che provavano quanti confessavano [in pubblico, ndr] le loro mancanze e della severità dei giudici incaricati»24. Negli stessi anni in cui Nektarios sopprimeva a Costantinopoli l’ufficio del presbitero penitenziere, ad Antiochia il presbitero Giovanni, il Crisostomo futuro successore di Nektarios, illustra nell’omelia De beato Philogonio i requisiti perché il peccatore ottenga il perdono. Non occorrono lunghe penitenze, basta la decisione assunta in un momento di abbandonare il male e poi dedicarsi per qualche giorno alla preghiera, la veglia e il digiuno, poiché quello che conta è il pentimento25. Le preghiere bizantine di derivazione Historia Ecclesiastica, VII, 16: SOZOMÈNE, Histoire ecclésiastique. Livres VII-IX, Texte grec de l’édition G. C. Hansen (GCS), Introduction par G. SABBAH, annotation par L. ANGLIVIE DE LA BEAUMELLE - G. SABBAH, traduction par A.-J. FESTUGIÈRE - B. GRILLET (Sources Chrétiennes 516), Paris 2008, 144-151. 25 Cf. De beato Philogonio, Hom. 4 [CPG 4319], PG 48, 754, citato da G. 24 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [503] 119 antiochena in uso fino ad oggi, di ordinazione all’episcopato e al presbiterato, non fanno parola di un ministero dell’assoluzione conferito al candidato. 3.3. Il problema dell’autoassoluzione L’omiletica di Crisostomo e le preghiere dell’attuale formulario eucaristico bizantino insistono sulla “coscienza pura” con la quale si deve partecipare all’eucarestia26. Il concetto è presente nelle preghiere nella seconda metà del V secolo, ma è sicuramente anteriore e in ogni caso sta a ribadire una esigenza. La realtà è che già nel IV secolo le Chiese stavano combattendo con un problema creato con le proprie mani: rendere l’accesso all’eucaristia difficile con una preparazione sempre più esigente che richiedeva non soltanto digiuno e preghiera, ma anche continenza. Inoltre, sempre nel IV secolo, la categoria del tremendum, che connotava originariamente il giudizio finale, viene applicata ai doni eucaristici, scoraggiando ulteriormente la comunione27. Più di uno studioso si è chiesto se oltre alla penitenza pubblica e alla riconciliazione privata l’Oriente cristiano abbia conosciuto una forma abituale di auto-assoluzione grazie alla quale mettersi in regola per partecipare all’eucaristia28. La testimonianza principale verrebbe dalla Liturgia di Gerusalemme, ma si tratta di un canto che allarga ai presenti la richiesta di perdono pensata originariamente WAGNER, «La discipline pénitentielle dans la tradition orientale», in ID., La Liturgie, expérience de l’Église. Études liturgiques, J. GETCHA - A. LOSSKY, ed., Analecta Sergiana 1, Paris 2003, 74. Crisostomo è stato presbitero ad Antiochia dal 380/381 al 397. 26 Cf. G. WAGNER, Der Ursprung der Chrysostomosliturgie, Liturgiewissenschaftliche Quellen und Forschungen 59, Münster 1973, 123. 27 Cf. R.F. TAFT, A History of the Liturgy of St. John Chrysostom, VI: The Communion, Thanksgiving, and Concluding Rites, Orientalia Christiana Analecta 281, Roma 2008, 382-389. 28 F. VAN DE PAVERD, «Possibilità di autoriconciliazione. Testimonianze dall’Oriente cristiano», in Concilium 210 (1987) 131-140; HIGOUMÈNE ANDRÉ (WADE), «La prière ἄνες, ἄφες, συγχώρησον. La pratique palestinienne de domander l’absolution pour la communion solitaire et quotidienne. Lex orandi pour une orthopraxis perdue?» in J. GETCHA - A. LOSSKY, ed., Θυσία α νέσεως. Mélanges liturgiques offerts à la mémoire de l’archevêque Georges Wagner (19301993), Analecta Sergiana 2, Paris 2005, 431-435. 120 [504] Stefano Parenti per i defunti29. Per i vivi c’era un’altra preghiera. Non è un caso che proprio alla fine del IV secolo (le testimonianze sono: Gerusalemme verso il 380, Antiochia prima del 398 e Costantinopoli tra il 397 e il 404), l’eucaristia accolga il Padre nostro, con la sua richiesta di “rimettere a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, collocandolo prima della comunione come assoluzione per i peccatori ordinari (i peccata quotidiana di Agostino)30. Per i peccati non sottoposti a penitenza canonica ma che richiedevano una correzione (διόρθωσις) di percorso nella vita, le vie di riconciliazione potevano essere: prendersi cura dei malati, mettersi a servizio di un santuario, più tardi diventare monaco/a, elemosina, digiuno (i più frequenti), affidarsi all’intercessione dei santi e infine l’assicurazione del perdono data da una persona in fama di santità. Tra tanti mezzi c’era anche la possibilità di una confessione, ma era uno fra i tanti, certamente non obbligatorio. 4. LA RICONCILIAZIONE E IL PERDONO VISTI DALL’AGIOGRAFIA Tra la lettera dei vescovi siri in visita a Costantinopoli (dopo il 538) e il commento alla Divina Liturgia di Massimo il Confessore (a. 620)31 succede qualcosa: come il catecumenato, anche il sistema penitenziale salta come istituzione e come classe sociale. Il periodo che segue fino alla prima fonte liturgica disponibile dell’ultimo quarto dell’VIII secolo, è poco indagato. La penitenza pubblica ormai era ristretta a casi eccezionali e tutto sommato nuovi (falsa testimonianza in un processo, infrangere un giuramento) enumerati dai alcuni canoni conciliari del VII e IX secolo32. Per concepire un’idea attendibile della prassi penitenziale durante il periodo successivo la carenza di fonti “ufficiali”, come i pronunciamenti del magistero ecclesiastico o i riti liturgici, occorre praticare un’altra strada che in questi ultimi anni sta riscuotendo un Cf. B.-Ch. MERCIER, La Liturgie de saint Jacques. Édition critique du texte grec avec traduction latine, Patrologia Orientalis 26/2, Paris 1946, 222. 30 Cf. R.F. TAFT, A History of the Liturgy of St. John Chrysostom, V: The Precommunion Rites, Orientalia Christiana Analecta 261, Roma 2000, 147-149. 31 Cf. Ch. BOUDIGNON, ed., Maximi Confessoris Mystagogia una cum latina interpretatione Anastasii Bibliothecarii, Corpus Christianorum, Series Graeca 69, Turnhout 2011. 32 Cf. TAFT, A History of the Liturgy of St. John Chrysostom, V, 181. 29 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [505] 121 seguito significativo, ovvero quello della “liturgia dal basso”33. Si tratta dell’approccio che privilegia il vissuto quotidiano, la ricezione della liturgia da parte dell’uomo e della donna di tutti i giorni, laici, religiosi o ministri ordinati come riflesso nella letteratura agiografica. Sul nostro tema si è cimentato, con largo anticipo sui tempi, lo studioso canadese Robert Barringer in una tesi di dottorato discussa ad Oxford nel 1979 dal titolo «La penitenza ecclesiastica nella Chiesa di Costantinopoli: studio dei documenti anteriori al 983»34. Purtroppo la tesi è inedita e l’autore ne ha pubblicato soltanto un paio di estratti35. Per portare qualche esempio possiamo considerare la Vita di s. Basilio († 379) scritta da un autore del VII secolo che si cela dietro il nome di Anfilochio di Iconio († post 394) e che riflette dunque la prassi penitenziale in Cappadocia nel momento in cui la Vita veniva scritta36. Nel cap. 5 si narra di un diacono che durante la Divina Liturgia cercava con vari gesti di attirare l’attenzione di una donna, un comportamento grave che impedì la visibile discesa dello Spirito Santo sui doni eucaristici al momento dell’epiclesi37. Basilio lo sospese dal Alla “liturgia dal basso” è dedicato il § 10 dell’introduzione in cf. R.F. TAFT - S. PARENTI, Storia della Liturgia di S. Giovanni Crisostomo, II: Il Grande Ingresso, edizione italiana rivista, ampliata e aggiornata, Ἀνάλεκτα Κρυπτοφέῤῥης 10, Grottaferrata 2014, 83-86. Porta il titolo Liturgia dal basso una recente pubblicazione del PONTIFICIO ISTITUTO ORIENTALE, Liturgy from below: Popular Liturgical Rites in the Eastern Churches, Roma 2017. Il volume raccoglie le relazioni presentate dagli studenti dell’Istituto nel convegno La saggezza dei quartieri popolari: una liturgia dal basso (Roma, 30 e 31 marzo 2017), al quale ho partecipato ponendo qualche domanda: https://www.youtube.com/watch?v=yDcw_GgLaB0 (h. 8:28:51, ultima visita 11/01/2017). 34 Cf. R. BARRINGER, Ecclesiastical Penance in the Church of Constantinople: A Study of Hagiographical Evidence to 983 A.D., A Thesis submitted fo the Decree of Doctor of Philosophyat the University of Oxford, University College Oxford 1979. 35 Cf. R. BARRINGER, «Penance and Byzantine Hagiography. Le répondent du péché», in Studia Patristica 17/2 (1979) [1982] 552-557. 36 Cf. R. BARRINGER, «The Pseudo-Amphilochian Life of St. Basil: Ecclesiastical Penance and Byzantine Hagiography», in Θεολογία 51/1 (1980) 49-61. La Vita è pubblicata da F. COMBÉFIS, Sanctorum Patruum Amphilochii Iconiensis, Methodii Patarensis et Andreae Cretensis Opera Graeco-Latina, Paris 1643. Per la datazione cf. la letteratura raccolta da R. VAN DAM, Becoming Christian. The Conversion of Roman Cappadocia, Philadelphia, PA 2003, 218-219 nota 8. 37 La narrazione della discesa visibile dello Spirito Santo sui doni eucaristici al momento dell’epiclesi, è un topos frequente nell’agiografia del V e VI secolo: cf. R.F. TAFT, «Eastern Saints’ Lives and Liturgy: Hagiography and New Perspec33 122 [506] Stefano Parenti ministero, gli impose sette giorni di digiuno rigoroso accompagnato da opere buone, mentre Basilio e la comunità pregavano per lui riuniti in chiesa. Trascorsa la settimana, il diacono venne reintegrato nel suo ministero38. Nel cap. 7 abbiamo la storia di un ragazzo che fece un patto con il diavolo: avrebbe rinunciato a Cristo in cambio dell’amore della donna che desiderava. Basilio ne viene a conoscenza e commina al giovane una penitenza di 40 giorni, tre a stretto digiuno e il resto con un regime meno rigoroso, ma sostenuto dalla preghiera di Basilio. Al temine del periodo il giovane viene riammesso alla comunione, ma Basilio gli assegna una penitenza (κανών) non specificata39. Un terzo esempio è riportato nel cap. 12 e racconta di una donna malata che dopo aver trascorso una vita lontana da Dio, si pente, mette per iscritto una confessione di tutte le colpe commesse e la consegna sigillata a Basilio, chiedendogli di intercedere il perdono presso Dio. Basilio prende la lettera e la colloca in chiesa vicino all’altare e prega per lei durante la celebrazione della vigilia serale. Poi, chiamata la donna, le riconsegna il documento. La donna lo apre: tutti i peccati che aveva elencato erano scomparsi tranne l’ultimo della lista, che la Vita chiama “un grande peccato” senza aggiungere altro. Questo peccato sparirà dalla lista soltanto dopo la morte di Basilio che dal cielo aveva assicurato la sua intercessione a testimonianza della perseveranza della donna nel bene40. Gli episodi testimoniano che effettivamente la penitenza pubblica non era più in funzione neanche nel caso del rinnegamento di Cristo. Quello che invece colpisce è il peso attribuito all’intercessione ecclesiale e, particolarmente del vescovo, che potrebbe derivare da un secondo modello di riconciliazione al tempo già operante: quello monastico. 5. FARSI CARICO DELL’ALTRUI PECCATO Venuto meno il sistema della penitenza pubblica, emerge la penitenza privata descritta nel Kanonàrion tradizionalmente attribuito al patriarca Giovanni Digiunatore (12 aprile 582 - 2 settembre 595). tives in Liturgiology», in J.Z. SKIRA - M. S. ATTRIDGE, ed., In God’s Hands. Essays on the Church and Ecumenism in Honour of Michael A. Fahey, S.J., Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium 199, Leuven 2006, 33-53. 38 BARRINGER, «The Pseudo-Amphilochian Life of St. Basil», 57-58. 39 Ibid., 58. 40 Ibid., 58-59. Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [507] 123 Franz van de Paverd lo colloca tra il 546 e il 630 con aggiunte posteriori al 73041 e Basilio Petrà, con finissime osservazioni al lavoro di van de Paverd, rilancia la possibile paternità proprio del Digiunatore42. Il Kanonàrion è un tariffario penitenziale dove l’autore afferma di aver abbreviato le severe pene previste da s. Basilio che, a sua volta, si rifaceva alla tradizione degli apostoli. Nella letteratura ecclesiastica bizantina, quello dell’abbreviazione progressiva è un espediente abbastanza diffuso che riflette molto bene una mentalità che ufficialmente cerca sempre nel passato le soluzioni ai problemi dell’oggi in nome della continuità43. In realtà è un procedimento paternalista che giustifica le riforme volute dal clero con la condiscendenza verso la debolezza dei fedeli che non hanno più la tempra, la virtù e perseveranza dei bei tempi andati44. Il questionario è corredato di un rito di confessione molto essenziale reso ad un padre spirituale che non ha ricevuto l’ordinazione presbiterale, non partecipa del ministero episcopale di legare e di sciogliere ma possiede il carisma del discernimento. L’autore del Kanonàrion si presenta come un diacono che ha dalla sua una grande esperienza nel ruolo di confessore. Del rito di confessione non presbiterale vanno sottolineati quattro aspetti destinati ad influenzare la storia posteriore: 1) L’accoglienza del penitente con parole serene e con disposizione cordiale “quasi invitato ad uno splendido pranzo”; 2) L’attenzione e la cura a risollevare il penitente dallo scoraggiamento; 3) Il questionario al quale il padre spirituale sottopone il penitente; 4) La compartecipazione, mettendogli una mano attorno al collo e la condivisione del peso del peccato. Il padre spirituale dice al penitente: “Che tutto ciò ora venga su di me”. VAN DE PAVERD, The Kanonarion by John, 186-189, 190. Cf. B. PETRÀ in OCP 73 (2007) 507-514. 43 Cf. C. MANGO, Byzantium: The Empire of New Rome, London 1980, 218; Byzantium and its Image. History and Culture of the Byzantine Empire and its Heritage, Variorum Collected Studies 191, London 1984. 44 Emblematica è la storiella elaborata a Costantinopoli verso la fine del X secolo per giustificare l’abbandono dell’anafora, detta di s. Basilio, in favore di quella più breve, detta di s. Giovanni Crisostomo: cf. F.J. LEROY, «Le Pseudo-Proclus “de la tradition de la divine Liturgie”. Encore un faux de Constantin Palaeocappa (XVIe siècle)», in ID., L’homilétique de Proclus de Constantinople. Tradition manuscrite, inédits, études connexes, Studi e Testi 247, Città del Vaticano 1967, 329-354. 41 42 124 [508] Stefano Parenti I primi tre punti sono chiari, fermiamoci sull’ultimo, sul gesto e sulle parole. Il confessore, il padre spirituale confessore, è chiamato “anàdochos”, un termine ben presente nella prassi sacramentale45. Anàdochos è il padrino del battesimo, il credente che accompagna il neofita al fonte e ne diventa il garante. Anàdochos è anche il monaco, il padre spirituale, che accompagna il novizio alla professione monastica, una figura che si avvicina in qualche modo al maestro di formazione occidentale, ma in un rapporto molto più personalizzato. Non si dimentichi che nell’espressione più alta del monachesimo bizantino, non si entra in monastero per seguire una regola – che pure esiste – ma per seguire una persona carismatica, per una sequela e una discepolanza. Anàdochos è anche il monaco confessore e testimone che, come le altre due figure, nell’iniziazione cristiana e nella professione monastica, si fa carico del peccatore e più precisamente si fa carico dei suoi peccati. Il confessore non sacerdote può liberare il fratello o la sorella dal peccato non in virtù di un potere apostolico e trasmissibile di perdono e remissione, ma facendosene carico ed espiandolo con la preghiera e la vita penitente46. Il primo autore che illustra il senso di questa “presa in carico” (ἀναδοχή) dell’altrui peccato, è Marco monaco, del quale non sappiamo nulla di preciso, se non che è anteriore a Giovanni Climaco († 670), che lo cita. Pare, comunque, che Marco sia venuto a mancare dopo il 534, mente ancor meno è dato di sapere delle sue origini (Antiochia? Egitto?). In ogni caso ci troviamo nel VI secolo, proprio quando ha visto la luce il tariffario penitenziale. Per Marco il senso della “presa in carico” «nasce dalla carità, secondo l’insegnamento del Signore che ha curato ogni malattia, debolezza e infermità, portando il peccato del mondo e secondo l’insegnamento di Paolo: “Portate i pesi gli uni degli altri e adempirete alla legge di Cristo” (Gal 6, 2)»47. Giovanni Climaco, il palestinese autore della celebre Scala spirituale, ha lasciato proprio in questa opera la prima testimonianza della “presa in carico” del peccato, di “sostituzione di colpa” in ambito monastico. Nel gradino XXIII della Scala, Climaco affronCf. C. RAPP, «Spiritual Guarantors at Penance, Baptism, and Ordination in the Late Antique East», in A. FIREY, ed., A New History of Penance, Leiden Boston 2008, 121-148. 46 PARRINELLO, «Dalla confessione carismatica alla confessione istituzionale», 339-340. 47 Ibid., 340-342. 45 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [509] 125 ta il peccato della superbia madre della bestemmia. Ora un monaco afflitto da questa tentazione non era riuscito a superarla, nonostante un ventennio di veglie e preghiere, e alla fine mise per iscritto questa sua tentazione, la consegnò ad un padre spirituale, restando in ginocchio perché non osava guardarlo in faccia. Ma l’anziano (dunque l’esperto), preso il foglio sorrise, rialzò il confratello e gli disse: “Figlio, poni la tua mano sul mio collo”, e il discepolo lo fece. Quindi continuò: “Fratello, questo peccato sia sul mio collo per tutti gli anni che ha agito e agirà in te, e tu non preoccupartene più”. E uscito dalla cella dell’anziano la tentazione sparì48. La letteratura agiografica, scrigno prezioso che descrive l’esperienza cristiana a partire dalla vita di tutti i giorni delle persone di tutti i giorni, offre altre testimonianze. Preme però sottolineare che in queste altre fonti alla “presa in carico” della colpa è sempre unita l’espiazione che lo spirituale compie in vece del penitente. Ma vorrei comunque riportare ancora due passi di Climaco che, nonostante le ascese alle più alte vette spirituali, mostra quanto avesse i piedi per terra: «Ci sono alcuni che, mossi da amore spirituale, si addossano il carico altrui oltre le loro forze. Ma ce ne sono altri che, benché da Dio particolarmente dotati della capacità di farsi carico degli altri, non si assumono volentieri il peso che comporta la salvezza del fratello»49. Interessante la scelta del collo50, che sorregge la testa e il corpo, un punto estremamente sensibile, dove ancora oggi nel rito bizantino si impone il Vangelo durante l’ordinazione episcopale e alla fine del rito dell’unzione dei malati51. Nella prospettiva della penitenza come “presa in carico” delle colpe altrui, dobbiamo inoltre notare il silenzio sulla funzione medicinale e curativa della penitenza e il ribaltamento della gestualità rispetto alla confessione istituzionale fatta ad un ministro ordinato, dove questi impone la mano sul penitente mentre qui abbiamo il penitente che mette il braccio sul collo del maestro. Cf. PG 88, 980. PG 88, 1189. 50 Cf. PARRINELLO, «Dalla confessione carismatica alla confessione istituzionale», 347. 51 Cf. S. PARENTI, «Gli ordini sacri e i ministeri in Oriente» e «Cura e unzione degli Infermi in Oriente», in A.J. CHUPUNGCO, ed., Scientia Liturgica. Manuale di Liturgia, IV: Sacramenti e Sacramentali, Casale Monferrato 1998, 181-188, 219-229. 48 49 126 [510] Stefano Parenti 6. IL PERDONO ISTITUZIONALE Della confessione e del perdono istituzionale, con l’imposizione della mano da parte del ministro, parla invece un altro grande monaco, s. Teodoro Studita, padre della riforma cenobitica conosciuta dal monachesimo costantinopolitano nel IX secolo52. Nell’eucologio Barberini gr. 336 della fine dell’VIII secolo, troviamo due preghiere – che certamente Teodoro conosceva – una per i penitenti, rivolta al Padre ma destinata ad una singola persona, ed una “per coloro che si confessano”, rivolta al Figlio. Sono le prime e uniche due preghiere della tradizione costantinopolitana: «Preghiera per coloro che si convertono. Dio nostro salvatore, che attraverso il tuo profeta Natan hai accordato la remissione a Davide pentito delle proprie colpe, e che hai accolto la preghiera penitente di Manasse, tu stesso accogli nel tuo consueto amore per gli uomini il tuo servo N. pentito delle sue colpe, ignorandone le trasgressioni, tu infatti, Signore, hai ordinato di perdonare fino a settanta volte sette quanti camminano nei peccati, perché la tua pietà è pari alla tua grandezza, tu sei il Dio di coloro che si convertono e muti parere riguardo ai nostri peccati. Tu sei il nostro Dio e a te spetta gloria»53. «Preghiera per coloro che si confessano. Signore nostro Dio, che per le lacrime hai concesso a Pietro e alla peccatrice la remissione dei peccati, ed hai giustificato il pubblicano che riconosceva le proprie colpe, accogli la confessione del tuo servo N. e, buono come sei, ignora quanto di male ha commesso in parole, opere e pensieri, con avvertenza o per ignoranza, tu solo infatti hai il potere di rimettere i peccati. Tu sei Dio di pietà, misericordia e di amore per gli uomini, e noi (rendiamo) gloria a te»54. Le preghiere sono deprecative e non assolutorie in senso stretto: si chiede a Dio di ignorare, di non tenere conto dei peccati. L’eucologio bizantino medievale, come il contemporaneo sacramentario Cf. PARRINELLO, «Dalla confessione carismatica alla confessione istituzionale», 347, 335-336. Sul sistema penitenziale nel monastero di Stoudios si veda cf. D. ARNESANO, «Gli Epitimia di Teodoro Studita. Due fogli ritrovati del dossier di Casole», in Byzantion 80 (2010) 9-37; «La penitenza dei monaci a S. Maria del Patir e a S. Nicola di Casole», in Revue des Études Byzantines 72 (2014) 249-273. 53 L’eucologio Barberini gr. 336, Seconda edizione riveduta con traduzione in lingua italiana, S. PARENTI - E. VELKOVSKA, ed., Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» Subsidia 80, Roma 2000, 194-195 § 201. 54 Ibid., 195 § 202. 52 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [511] 127 occidentale, è pensato come libro del ministro, quindi riporta soltanto le preghiere e non il quadro celebrativo, dato per conosciuto agli utenti del libro, ma non ai lettori del XXI secolo. Quindi non sappiamo nulla della tempistica. Le preghiere che segnavano all’origine i due momenti della riconciliazione (conversione e confessione), sono un resto ormai atrofizzato di una disciplina non più in vigore, si susseguivano una dopo l’altra in una celebrazione penitenziale, privata, comunitaria? 7. IL PIÙ ANTICO RITO DI CONFESSIONE E DI PERDONO Un rito vero e proprio di confessione appare per la prima volta soltanto nel X secolo, ma in manoscritti copiati in Italia meridionale in una area geografica circoscritta tra la Basilicata e il Lazio meridionale, alcuni dei quali, in particolare i più tardi dell’XI secolo, portano tracce evidenti di influsso della contemporanea tradizione occidentale55. Chi ha studiato questi riti, preoccupato di analizzare i testi – e spesso anche un po’ alla buona – ha tralasciato di porre attenzione al contesto storico, culturale e geografico, senza il quale un testo risulta se non incomprensibile, almeno inutilizzabile56. Il titolo lo descrive Rito per coloro che confessano i propri peccati57. Il sacerdote conduce il penitente in chiesa, chiude le porte e lo fa prostrare dinanzi all’altare. Seguono quattro preghiere. Quindi il ministro lo rialza, confessa (ἐξαγγέλλει) a Dio le sue colpe, gli assegna una penitenza e recita una preghiera, e anche qui seguono ben sei orazioni. Le due preghiere che precedono e seguono la confessione sono le stesse, già viste, dell’eucologio Barberini gr. 336, le restanti nove orazioni, evidentemente da recitare a scelta, sono un Cf. S. PARENTI, «Il rito di confessione dell’eucologio Γ.β. XIII di Grottaferrata», in S. PARENTI - E. VELKOVSKA, Mille anni di “rito greco” alle porte di Roma. Raccolta di saggi sulla tradizione liturgica del Monastero italo-bizantino di Grottaferrata, Ἀνάλεκτα Κρυπτοφέῤῥης 4, Grottaferrata 2004, 43-62: 54-61. 56 Cf. M. ARRANZ, «Les formulaires de confession dans la tradition byzantine. Les sacrements de la restauration de l’ancien euchologe constantinopolitain II-3 (1ère partie)», in OCP 58 (1992) 423-459; «Confession monastique (2e partie)», in OCP 59 (1993) 63-89; «Confession presbytérale avec questionnaire (3e partie)», in OCP 59 (1993) 357-386. 57 Cf. S. PARENTI, L’eucologio manoscritto ... IV (X sec.) della Biblioteca di Grottaferrata, Edizione Excerpta ex Dissertatione ad Doctoratum, Pontificio Istituto Orientale, Roma 1994, 22-24 §§ 98-108. 55 128 [512] Stefano Parenti esempio di duplicazione, anzi di moltiplicazione eucologica58, originata dall’integrazione di preghiere allogene. Dal VII secolo l’Italia meridionale era un crocevia di cristiani di fede calcedonese, allontanati dalla propria terra in Medio Oriente dalle controversie cristologiche oppure dall’avanzata islamica. Erano popolazioni di lingua greca ma non di rito bizantino, che hanno sedimentato le proprie tradizioni liturgiche nei libri bizantini dell’Italia meridionale59. Ecco allora che: la preghiera 1 la ritroviamo nella tradizione armena, nei vespri e nella riconciliazione dei penitenti al giovedì santo60; la preghiera 2 è sicuramente palestinese e probabilmente era destinata all’assoluzione di un ministro ordinato61; la preghiera 4 riprende una formula per la riconciliazione degli eretici62; la preghiera 8 deriva dalla assoluzione “ad Filium” della Liturgia eucaristica etiopica63. La formula 6 invece è propria della confessione monastica del Kanonàrion64. La consegna per il futuro sarebbe di studiare le preghiere su nuove basi tenendo conto della provenienza e dell’utilizzazione primitiva e analizzando il linguaggio con l’ausilio dei mezzi che l’informatica mette a disposizione del ricercatore, come il Thesaurus Linguae Graecae65, e creare un data-base per valutare costanti e Cf. S. PARENTI, «Towards a Regional History of the Byzantine Euchology of the Sacraments», in Ecclesia Orans 27 (2010) [2011] 109-121. 59 Si veda il contributo recente di G. RADLE, «The Liturgical Ties Between Egypt and Southern Italy: A Preliminary Investigation», in Σύναξις καθολική. Beiträge zu Gottesdienst und Geschichte der fünf altkirchlichen Patriarchate fur Einzgerd Brakmann zum 70. Geburtstag, herausgegeben von Diliana Atanassova und Tinatin Chronz, Orientalia - Patristica Oecumenica 6.2, Wien 2014, 616-631. 60 Cf. F.C. CONYBEARE, Rituale Armenorum being the administration of the Sacraments and the Breviary rites of the Armenian Church together with the Greek rites of Baptism and Epiphany edited from the oldest Mass … and the East Syrian Epiphany rites, translated by A.J. MCLEAN, Oxford 1905 (Hildesheim Zürich - New York 2004), 480-481, 219; si veda anche cf. E. CARR, «Penance among the Armenians: Notes on the History of its Practice and its Theology», in Studia Liturgica 11 (1976) 65-100. 61 Cf. S. PARENTI - E. VELKOVSKA, «Un frammento di eucologio (ri)trovato a Grottaferrata», in Σύναξις καθολική (sopra nota 59), 591-602. 62 Cf. M. ARRANZ, «Les Sacrements de l’ancien Euchologe constantinopolitain (2). 1ère partie: Admission dans l’Eglise des convertis des hérésies ou d’autres religions non-chrétiennes», in OCP 49 (1983) 55. 63 Cf. H. DENZINGER, Ritus Orientalium, Coptorum, Syrorum et Armenorum in administrandis Sacramentis..., I, Würzburg 1863-1864 (Graz 1961), 438-439. 64 Cf. ARRANZ, I penitenziali bizantini, 116. 65 http://stephanus.tlg.uci.edu. Cf. P. ALLEN - W. MAYER, «Computer and 58 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [513] 129 discordanze nel linguaggio eucologico. Perché tutto questo è così importante? Perché il formulario misto italo-greco ha lasciato tracce nel rito contemporaneo della confessione in varie Chiese ortodosse. Prima però di illustrare brevemente il rito oggi in vigore, è importante rivolgere l’attenzione a due chiese apostoliche fuori dal Commonweath ortodosso. 8. L’ASSOLUZIONE COMUNITARIA NELLA CHIESA ASSIRA DELL’ORIENTE Se nelle Chiese ortodosse l’assoluzione collettiva è una soluzione pastorale tutto sommato recente66, nella Chiesa assira dell’Est, una antica Chiesa cristiana apostolica, orientale ma non ortodossa bizantina, l’assoluzione generale rappresenta la regola da sempre, ovvero il modo ordinario di celebrare la riconciliazione. Ma andiamo per ordine cercando di mettere insieme i pezzi di un mosaico tanto antico quanto affascinante. Conosciamo tutti la difficile situazione in cui si è venuta a trovare questa Chiesa quasi completamente sfrattata dalla propria terra, l’attuale Iraq, e dispersa in Europa e in America, ma possiamo dire che tutta la sua storia è segnata dalla persecuzione e dal martirio. La Chiesa assira dell’Oriente che aveva in Nisibi il proprio centro, si trovava oltre i confini dell’Impero romano in un contesto socio-politico dove la religione di Stato era un’altra e i cristiani, una minoranza, venivano perseguitati come spie e affiliati di uno Stato straniero. Queste limitazioni in casa avevano impresso alla Chiesa d’Oriente una spinta e un impegno missionario molto forte fino a farle raggiungere l’India e la Cina67. L’impronta semitica nel pensiero teologico, la portò a rifiutare o piuttosto a non comprendere la declinazione del dogma cristologico secondo le categorie filosofiche dell’Occidente, cioè di Bisanzio e dei patriarcati che noi oggi chiamiamo “orientali”. Il doppio isolamento politico e religioso ha congelato lo sviluppo della propria tradizione liturgica, che resta fino ad oggi uno specchio fedele di quella che un tempo era tradiHomily: Accessing the Everyday Life of Early Christians Author(s)», in Vigiliae Christianae 47/3 (1993) 260-280. 66 Cf. nel § più avanti. 67 Per un sintetico sguardo d’insieme, rimando alla voce «Orientali, Liturgie» in D. SARTORE - A.M. TRIACCA - C. CIBIEN, ed., Liturgia, Cinisello Balsamo (MI) 2001, 1385-1403. 130 [514] Stefano Parenti zione comune anche alle altre Chiese. L’iniziazione cristiana assegnava alla crismazione il primo posto nell’ordine dei sacramenti. Si tratta della Chiesa che per l’eucaristia impiega ininterrottamente l’anafora detta di Addai e Mari dove non è presente il racconto dell’istituzione. È una Chiesa che pone domande salutari alle consorelle d’Oriente e d’Occidente teologicamente e liturgicamente, per così dire, più evolute. Questa Chiesa fino ad oggi non conosce un rito privato di confessione e assoluzione dei peccati ma soltanto un rito collettivo di assoluzione durante la Liturgia eucaristica, prima della comunione68. Non così nel ramo cattolico la Chiesa caldea, per altro maggioritaria, dove si pratica la confessione auricolare post-tridentina. Dopo il Vaticano II, la sacramentaria cattolica ha smesso di giudicare prassi ritenute difformi dalla propria – evidentemente l’unica ritenuta giusta – imparando a rispettare le tradizioni e la cultura delle altre Chiese sorelle; ma ancora alla vigilia del concilio dinanzi all’assenza della confessione auricolare nella Chiesa assira, l’unica risposta possibile era: se la confessione auricolare non c’è, vuol dire che l’hanno persa69. Dunque, il rito di riconciliazione precede la comunione70. Secondo un uso in vigore anche presso altre Chiese orientali, il sacerdote tiene a questo punto l’omelia, quindi esorta coloro che desiderano ricevere la comunione ad esaminare la propria coscienza e pentirsi con sincerità dei peccati commessi. Quindi chiede loro di chinare la testa e recita su di loro la preghiera detta di ūssāyā, che ha dato il nome al rito – aksā d-ūssāyā. I fedeli che non hanno commesso peccati particolarmente gravi si profumano le mani con l’incenso e vanno a ricevere la comunione: il pane viene deposto sulla mano destra sovrapposta alla sinistra e il vino lo ricevono separatamente dal diacono71. Chi invece ha commesso un grave peccato e un grave Cf. J. ISAAC, Ṭaksā d-Ḥūssāyā. Le tite du pardon dans l’Èglise syriaque orientale, Orientalia Christiana Analecta 233, Roma 1989, quindi B.D. SPINKS, «The East Syrian Rite of Penance», in M.J. BODA - D.K. FALK - R. WERLINE, Seeking the Favor of God, III: The Impact of Penitential Prayer beyond Second Temple Judaism, Early Judaism and its Literature 23, Atlanta 2008, 213-223. 69 Cf. H.I. DALMAIS, «Le sacrement de la pénitence chez les Orientaux», in La Maison-Dieu 56 (1958) 22. 70 Una efficace descrizione dal vivo in cf. D. GELSI, « Il “mistero della conversione” come avvenimento liturgico nella tradizione orientale», in Ephemerides Liturgicae 97 (1983) 329-346. 71 Anche per la comunione la Chiesa assira ha mantenuto il sistema originario, poi abbandonato da molte Chiese orientali, di dare la comunione con specie se68 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [515] 131 peccato pubblico (apostasia, adulterio, convivenza con una donna non cristiana) non può accedere alla comunione se non riceve l’unzione con l’olio del battesimo. Con l’iniziazione cristiana si entra nella Chiesa e con l’unzione si riceve il dono lo Spirito Santo. Il peccato grave impedendo la comunione “scomunica” il fedele che esce dalla Chiesa dove lo Spirito Santo agisce e santifica. Quindi in questa prospettiva la posta in gioco non è la confessione o la remissione di questo o quel peccato, grave che sia, ma la reintegrazione pubblica in quella che non a caso si chiama “comunione dei santi”. Il penitente viene unto sulla fronte e il ministro lo esorta al pentimento e a non ricadere nel peccato. Dunque abbiamo a che fare con una riconciliazione pubblica in continuità con l’antica disciplina penitenziale di cui il momento liturgico, la Ṭaksā d-Ḥūssāyā, era l’ultimo atto. Nel piano penitenziale dove la confessione, il riconoscersi peccatori, si esprime non a parole ma attraverso la gestualità, manca però la dimensione propriamente penitenziale, l’opera concreta, la riparazione, come espressione di buona volontà, di conversione di vita – non certo di soddisfazione giuridica – oppure come terapia. Nella preghiera di Ḥūssāyā il sacerdote dice: “Noi ti supplichiamo per questa persona, creata a tua immagine, che è scivolata nei peccati, perché le venga dato un nome nuovo perché era morto ed ecco, ora vive”. Qui il ministro supplica e chiede a nome della Chiesa il perdono che viene da Dio. In altre parole il ministro non fa nulla di diverso rispetto all’eucaristia, al matrimonio e agli altri sacramenti. Credo si tratti di un aspetto importante. 9. IL RITO DELL’INCENSO NELLA CHIESA COPTA Passiamo ora ad un’altra Chiesa cristiana perseguitata e sofferente, quella copta, ancora una Chiesa pre-calcedonese, dove la confessione privata è giunta nel XII secolo come influsso monastico. Come la Chiesa assira, anche quella copta possiede un rito comunitario di riconciliazione detto dell’incenso. L’incenso entra nel culto cristiano subito dopo la Pax costantiniana per diffondersi in tutta la cristianità. Sembra che le origini dell’impiego dell’incenso in chiesa siano state piuttosto laiche che religiose. Si bruciava incenso semplicemente per profumare gli ambienti durante i pasti, le manifestazioni pubbliche e, per ovvi motivi, durante i funerali. S. Efrem († 373), forse il primo testimone cristiano per l’impiego liturgico dell’incenparate piuttosto che per intinzione. 132 [516] Stefano Parenti so, al motivo fumigatorio ed onorifico assomma l’idea dell’incenso come offerta di propiziazione (Num 17, 11-13)72. Questo concetto è particolarmente sottolineato nelle tradizioni siriache ma si trova, appunto, anche in quella alessandrina. Così in Oriente l’incenso accompagna sempre la preghiera per i defunti proprio per questa connotazione espiatoria, in quanto la preghiera di suffragio comprende sempre una richiesta di perdono dei peccati. La confessione copta sull’incenso può avvenire la sera ai vespri, all’ufficio del mattino oppure all’inizio della Liturgia73. Colui che presiede compie l’offerta dell’incenso poi percorre la chiesa passando tra i fedeli con il turibolo fumigante. Alcuni fedeli vi depongono grani di incenso dicendo: “Assolvimi, padre, perché ho peccato”. Si noti che il perdono è richiesto al ministro e non a Dio. A questo punto il ministro recita una lunga preghiera di assoluzione su tutti i presenti, assemblea e ministri concelebranti di ogni ordine e grado. A questa riconciliazione pubblica e comunitaria si affianca e si sovrappone oggi la confessione individuale legata piuttosto alla direzione spirituale, e i due sistemi non si escludono74. Come dicevo, le Chiese assira e copta sono una pre-efesina e l’altra pre-calcedonese però, mentre la Chiesa assira si è sempre trovata fuori dall’Impero dei Romani, quella copta ne faceva parte integrante. Quando nel V secolo sono sorte le controversie cristologiche, la popolazione del patriarcato di Alessandria era mista. Sulla costa mediterranea prevaleva la popolazione di lingua greca, formata dal ceto impiegatizio e militare, nell’entroterra vi era la popolazione di lingua copta largamente maggioritaria. Ambedue i gruppi praticavano la stessa liturgia alessandrina, anche quando il patriarcato si scisse in due obbedienze: quella calcedonese di lingua greca e quella pre-calcedonese di lingua copta. Questo significa che il rito di riconciliazione sull’incenso non è una peculiarità copta ma è patrimonio in comune con la Chiesa alessandrina calcedonese, fin quando nel XIII secolo questa non ha optato per il rito bizantino. Anzi, la preghiera non nasce in copto ma in greco, e i manoscritti greci del formulario detto di s. Marco ce ne hanno trasmesso la redazione più antica e più concisa: Cf. TAFT - PARENTI, Storia della Liturgia di S. Giovanni Crisostomo, II, 303-305. 73 Cf. H. BRAKMANN, «Le déroulement de la messe copte», in A.M. TRIACCA A. PISTOIA, ed., L’Eucharistie: célébrations, rites, piétés. Conférences Saint-Serge, XLIe Semaine d’études liturgiques, Paris, 28 Juin-1 Juillet 1994, Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» Subsidia 79, Roma 1995, 107-132: 113, 126. 74 Cf. GELSI, «Il “mistero della conversione”…», 329-346: 335-338. 72 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [517] 133 «Signore Gesù Cristo nostro Dio, che hai scelto la lucerna a dodici fiamme dei dodici apostoli e li hai inviati in tutto il mondo per predicare e far conoscere il Vangelo del tuo regno e guarire ogni malattia ed ogni debolezza nel popolo. Tu che hai alitato sui loro volti dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo Paraclito: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi li riterrete saranno ritenuti”, allo stesso modo invialo su di noi tuoi servi qui presenti, al momento di entrare [in chiesa all’inizio, ndr] di questa celebrazione, presbiteri, diaconi, suddiaconi, lettori, cantori, laici e tutto il pleroma della santa Chiesa cattolica apostolica ed ortodossa di Dio: liberaci, Signore, dalla maledizione, dai legami e dai vincoli con l’avversario, purifica da ogni impurità i cuori e le labbra, affinché con cuore puro e con una coscienza pura ti offriamo questo incenso come profumo gradito per la remissione dei nostri peccati e di tutto il tuo popolo»75. A questo punto possiamo tirare una prima conclusione: nelle Chiese calcedonesi vigeva la stessa disciplina. 10. IL RITO NEL COMMOWEALTH ORTODOSSO OGGI Le Chiese ortodosse bizantine descrivono sé stesse come una comunione di Chiese locali che condividono la stessa fede formulata nei sette concili della Chiesa indivisa del primo Millennio, naturalmente con un proprio diritto e con un patrimonio spirituale proprio. Ogni Chiesa, indipendentemente dalla propria configurazione giuridica, è indipendente e sovrana. Così vi possono essere differenze notevoli, tra Chiesa e Chiesa anche in campo liturgico e proprio la confessione ne costituisce un esempio lampante. Liturgicamente le Chiese ortodosse seguono due distinti filoni: le Chiese che facevano parte del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli poi diventate autonome dopo la disgregazione dell’Impero Ottomano (Grecia, Romania, Bulgaria, Albania) seguono la tradizione greca; altre, come la Serbia, la Georgia, la Polonia seguono la tradizione della Chiesa ortodossa russa che nel corpo del rito di confessione ha introdotto una formula di assoluzione ispirata al Rituale romano di Paolo V del 1614 dove il ministro agisce in prima persona dichiarando «io ti assolvo e ti libero da tutti i tuoi peccati nel nome del G.J. CUMING, The Liturgy of St Mark edited from the Manuscripts with a Commentary, Orientalia Christiana Analecta 234, Roma 1990, 9-10. 75 134 [518] Stefano Parenti Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»76. Incontriamo per la prima volta la formula nel Trebnyk o rituale pubblicato a Kiev nel 1646 da dove passa nella Moscovia con la riforma liturgica promossa dal patriarca Nikon nel 1665. La preghiera veniva a sostituire la preghiera tradizionale in uso nella Chiesa russa: «Signore Dio, che a motivo delle loro lacrime hai accordato la remissione dei peccati a Pietro e alla donna peccatrice ed hai reso giusto il pubblicano che riconosceva il proprio peccato, accogli la confessione del tuo servo e se ha peccato per malizia o per fragilità (volontariamente o involontariamente), in parole, opere o pensieri, tutto tu ignora, dal momento che sei l’unico che ha il potere di rimettere i peccati. Tu infatti sei il nostro Dio, Dio di misericordia, di compassione e di amore per gli uomini e noi diamo gloria a te, Padre, Figlio e Spirito Santo […]»77. Qui il ministro non assolve in prima persona, non si carica del peccato del fratello, ma chiede, e lo fa come ministro della Chiesa, che il Signore accolga la confessione: quindi non è soltanto un accompagnamento solidale nella preghiera, ma ci troviamo dentro una preghiera liturgica epicletica, di richiesta. Si noti la funzione accordata alle lacrime che evoca un retroterra spirituale di grande spessore e rimanda all’iniziazione cristiana, un tema che vedremo sviluppato più avanti nelle monizioni. È fondamentalmente la stessa preghiera dell’VIII secolo rimaneggiata e ampliata dall’uso lungo il tempo. 10.1. Il luogo della celebrazione Ordinariamente la confessione avviene in chiesa in uno spazio ad essa dedicato nella navata. Il penitente trova il ministro al lato di un “analoghion”, un leggio mobile ricoperto di un drappo su quale M. OLSZEWSKI, «Der Ritus des Sakraments der Buße nach Peter Mogila in seinem historischen Kontext», in Ostkirchliches Studien 31 (1982) 142-159; sul movimento di riforma si veda il cap. 7 di TH. POTT, La réforme liturgique byzantine. Étude du phénomène de l’évolution non-spontanée de la liturgie byzantine, Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» Subsidia 104, Roma 2000, 197-223. 77 J. GETCHA, «Une prière pour ceux qui se confessent d’un Euchologe slave pré-Moghilien: quelques implications théologiques», in A.M. TRIACCA - A. PISTOIA, ed., La prière liturgique. Conférences Saint-Serge, XLVIIe Semaine d’études liturgiques, Paris 27-30 Juin 2000, Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» Subsidia 115, Roma 2001, 137-150. 76 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [519] 135 si trova deposto il libro dei Vangeli oppure un’icona di Cristo. Inutile dire che non esistono mobili appositi come il confessionale: la celebrazione del sacramento non è filtrata da una grata, ma neanche avviene faccia a faccia perché ministro e penitente hanno ambedue lo sguardo sull’icona di Cristo o Vangelo che sia. È Cristo che domina la scena, è lui il protagonista vero del mistero che si compie. Negli ultimi anni in Grecia in quelle metropolie in cui più vivace è il movimento liturgico, come a Volos, sono stati costruiti ambienti per la confessione con un altare in scala ridotta e affreschi inerenti al tema della conversione e del perdono dei peccati tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Normalmente invece la confessione è perfettamente visibile: chi sta in chiesa vede distintamente ministro e penitente, ed in questo modo una celebrazione tutto sommato privata si inscrive in contesto pubblico e comunitario. 10.2. La proposta celebrativa Il rito come stampato nel libro è abbastanza sviluppato ma nella pratica risulta notevolmente abbreviato78. Si inizia con le preghiere introduttorie comuni ad ogni celebrazione, la recita, in genere omessa del Salmo 50 e di qualche inno penitenziale e una preghiera di accoglienza. Poi il ministro continua: «Ecco, figlio, Cristo è qui presente in modo invisibile per accogliere la tua confessione: non vergognarti, non temere e non nascondere nulla, esponi ciò che hai commesso per ricevere il perdono da Dio. Ecco, qui davanti a noi c’è la sua icona, io non sono che un testimone davanti a Dio di ciò che tu avrai detto. Se nascondi qualcosa sappi che il tuo peccato sarà doppio. Ecco, sei venuto dal medico, non andare via senza essere guarito». Segue la confessione che, secondo i casi, è sotto forma di questionario (p.es. quando una persona non si confessa da molto tempo) oppure come libera esposizione da parte del penitente. E la confessione termina con queste parole del celebrante: «Da ora fai attenzione: tu vieni battezzato con un secondo battesimo, secondo il sacramento cristiano: che Dio ti aiuti in questo nuovo inizio, non ricadere negli stessi peccati: questo non conviene ad un Il sussidio Confession et Communion curato da D. GUILLAUME, Roma 1983, tiene conto delle differenze in uso nelle varie Chiese ortodosse locali. 78 136 [520] Stefano Parenti cristiano e la gente ti riderà in faccia. Con la sua grazia Dio ti aiuti a vivere da persona onesta, nella giustizia e nella preghiera». Poi invita il penitente ad inginocchiarsi e recita questa preghiera imponendogli sulla testa la stola: «Signore nostro Dio, salvezza dei tuoi servi, indulgente, longanime e largamente misericordioso, che muti parere riguardo ai nostri peccati e che non vuoi la morte del peccatore ma che si converta e viva, tu stesso abbi ora pietà del tuo servo N., e donagli sentimenti di conversione, il perdono e l’assoluzione dei suoi peccati: perdonagli ogni colpa volontaria e involontaria, riconcilialo e uniscilo alla tua santa Chiesa, in Cristo nostro Signore, con il quale a te spetta il potere e la maestà, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen». Soltanto al termine il penitente riceve dal confessore quella che in Occidente si chiama “penitenza” ma che non ha alcuna pretesa soddisfattoria o riparatrice: l’eventuale preghiera o opera di carità ha una configurazione medicinale e curativa. La confessione è l’operazione chirurgica che asporta il male e la “penitenza” è la cura post-operatoria. 10.3. L’assoluzione comunitaria senza confessione in Russia e nei Balcani Una forma tutta particolare di riconciliazione è la celebrazione comunitaria senza confessione auricolare e con assoluzione collettiva, diffusa prevalentemente nelle Chiese dei Balcani: Bulgaria, Romania e Serbia. Le origini del rito, per quanto ne sappia, non sono state studiate ma è certo che uno dei suoi promotori è stato s. Giovanni di Kronštadt (1829-1908), celebre confessore e padre spirituale della Russia pre-sovietica. Durante il concilio della Chiesa ortodossa russa del 1917-1918 si sviluppò a proposito della celebrazione comunitaria un dibattito molto acceso tra chi ne sottolineava l’efficacia pastorale e chi la trovava spiritualmente non idonea. L’assemblea conciliare non prese alcuna decisione79, ma gli eventi successivi alla Rivoluzione di Ottobre assicurarono all’assoluzione collettiva una larga diffusione. La più totale mancanza di libertà individuale rendeva infatti la confessione auricolare estremamente Sul dibattito conciliare cf. M. MOJZEŠ, Il movimento liturgico nelle Chiese bizantine. Analisi di alcune tendenze di riforma nel XX secolo, Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» Subsidia 132, Roma 2005, 131-136. 79 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [521] 137 pericolosa. Pericolosa per chi si confessava perché poneva domande sull’affidabilità del ministro che poteva benissimo essere un infiltrato dei servizi segreti. Pericolosa anche per il ministro in quanto depositario dei segreti delle coscienze ed esposto a pressioni o ricatti a motivo del segreto che era tenuto a custodire. Quindi l’assoluzione collettiva è la risposta pastorale ad una situazione di emergenza, che trova ispirazione nel carisma di un padre spirituale, in grado di conservare alla Chiesa l’essenziale del proprio ministero riguardo alla remissione dei peccati e all’essere icona della misericordia di Dio. Abbiamo qui un buon esempio di sviluppo organico della liturgia, organico perché governato dai fatti e non dalle ideologie; uno sviluppo che accetta modificazioni, anche di rilievo, nella propria prassi consolidata per garantire la permanenza nel ministero e la sua efficacia. Una volta passata l’emergenza, dopo mezzo secolo di consuetudine, il rito collettivo è rimasto ed è diventato parte della tradizione delle Chiese che lo hanno introdotto. Normalmente il rito si svolge di domenica durante la Divina Liturgia. Terminata la processione di trasferimento all’altare del pane e del vino, uno dei presbiteri invita coloro che desiderano “confessarsi” a seguirlo in un locale comunicante con la chiesa dove domina una crocifissione. Il presbitero recita delle preghiere introduttorie quindi invita tutti al pentimento, alla conversione e al perdono e recita una preghiera presidenziale di accoglienza. Tutti si inginocchiano a terra tenendo la testa abbassata, mentre il celebrante, in piedi, tiene sollevato su di loro l’epitrachilion (stola) e recita una preghiera di assoluzione che interrompe nel passaggio in cui occorre menzionare i nomi dei presenti. Il presbitero dice “nella sua grazia e nel suo amore perdoni te” e a questo punto ciascuno in ordine pronuncia il proprio nome, quindi il presbitero continua la preghiera e poi congeda i penitenti che tornano in chiesa al loro posto. È innegabile che questo tipo di celebrazione non soltanto esprime plasticamente la dimensione comunitaria del sacramento – sarebbe molto ma non tutto – ma riesce anche a comunicarne il senso, facendola diventare tangibile esperienza ecclesiale e personale. Vi è poi una forma istituzionalizzata di assoluzione collettiva presieduta dal vescovo nelle cattedrali al tramonto della domenica detta “dei latticini”, quando inizia la grande quaresima pasquale80. Su questa particolare terminologia cf. S. PARENTI, «Il formaggio nella liturgia e nelle consuetudini monastiche bizantine», in G. ARCHETTI - A. BARONIO, ed., “De lacte et caseo. Il bianco colore delle terre di Lombardia”, Atti dell’incontro nazionale di studio (Brescia 29-30 maggio 2008), Brescia 2010, 119-134. 80 138 [522] Stefano Parenti 11. PROBLEMI APERTI I libri liturgici descrivono i riti e celebrazioni ma non l’uso che ne viene fatto dai fruitori, così pensare di conoscere una tradizione liturgica soltanto attraverso messali, lezionari, eucologi e rituali è soltanto una illusione, e neanche troppo pia. Questa osservazione vale anche per le Chiese orientali e vista la mancanza di studi davvero affidabili in grado di consentire una sintesi oggettiva sulla lunga vicenda della confessione in Oriente, chiuderò il mio intervento con una serie di domande. Le riprendo da un articolo di Job Getcha, arcivescovo titolare di Telmissos (Patriarcato ecumenico), co-presidente della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa romano-cattolica e le Chiese ortodosse, anche per mostrare che se la teologia diverge, molti problemi pastorali, irrisolti, sono comuni all’Occidente cristiano. Cedo dunque la parola all’arcivescovo Job: «1. Dove si svolge la confessione? In chiesa o in una stanza? Dinanzi ad una icona, ad una croce, al libro dei Vangeli? Il penitente deve stare in piedi, inginocchiato o seduto? Oggi in molte chiese la confessione avviene in chiesa e il penitente spesso è inginocchiato. In Grecia normalmente ci si confessa nell’ufficio del sacerdote e ambedue stanno seduti. 2. Quale formula di assoluzione impiegare? Nei libri liturgici abbiamo una certa possibilità di scelta. Sono in genere formule deprecative (Dio ti perdoni...), ma nei libri della Chiesa russa abbiamo anche una formula indicativa (Io ti perdono e ti assolvo). 3. La confessione è discrezionale oppure necessaria? Occorre confessarsi ogni volta che si riceve la comunione oppure ci si deve confessare soltanto quando si sente la necessità? La confessione è una pratica abituale e regolare oppure è riservata ai soli momenti di crisi? È necessaria come una doccia fredda oppure è una opportunità, un momento in cui fare esperienza della grazia? Una volta, in una parrocchia dell’Europa occidentale il parroco cercava in tutti i modi di far confessare un anziano fedele greco. Questi, infastidito da tanta insistenza, rispose: “Padre, sono sposato da oltre 50 anni e non ho mai commesso adulterio, quindi non ho niente da confessare”. 4. Quanto spesso confessarsi. Ogni volta che si riceve la comunione? Una volta al mese, tre quattro volte l’anno? Quante volte confessare lo stesso peccato? A riguardo c’è una famosa storiella che un professore Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [523] 139 di teologia pastorale amava raccontare agli studenti. Una signora di ottanta anni e passa confessa un peccato “de sexto” commesso in gioventù. Il prete le dice: “Signora, questo peccato lei lo ha già confessato la volta scorsa e ha ricevuto l’assoluzione”. E l’anziana signora: “Lo so, ma è così bello ricordarlo” (!). 5. La confessione quanto deve durare? Pochi minuti, un quarto d’ora, mezz’ora? E quando va fatta: prima della Divina Liturgia, la sera prima, in un altro momento? È chiaro che se 30 persone stanno in fila 20 minuti prima della Liturgia la confessione diventa una formalità. 6. A che età i bambini devono accedere alla confessione, come vanno preparati e come avvertono questo sacramento, come un obbligo o come qualcosa da fare volentieri? 7. Come confessare i peccati? È meglio rispondere alle domande poste dal ministro oppure parlargli direttamente? Il confessore è uno che inquisisce oppure uno che ascolta? Una volta un vescovo condivise con alcuni amici un’esperienza fatta quando era giovane prete. Un sabato sera dopo la lunga celebrazione della Vigilia, stanco ed affamato, stava andando nel refettorio quando una signora gli dice che desidera confessarsi. La signora, nota al sacerdote, cominciò a ripetere la solita confessione che il prete aveva sentito già altre volte. Stanco e desideroso di tagliare corto, le disse: “Questo me lo ha già detto in precedenza, c’è altro di cui si deve confessare?”. La signora, molto irritata, rispose: “Per favore, non mi interrompa! Il suo compito non è parlare ma ascoltare!”. 8. Quale è il posto della “penitenza”, come regolarsi, cosa il penitente si aspetta, e come la comprende? 9. La confessione deve essere individuale oppure collettiva? S. Giovanni di Kronstadt (XIX/XX secolo) impartiva l’assoluzione a centinaia di penitenti nel quadro di una celebrazione collettiva. La confessione va fatta in privato o in pubblico? Richiede un contatto personale oppure ci si può confessare per lettera o per e-mail? Oggi molti sacerdoti evitano di confessare in ufficio o in una chiesa vuota temendo false accuse di abuso sessuale. 10. Fino a che punto il segreto della confessione è vincolante? Se un prete è venuto a sapere in confessione di un assassino, di violentatore “seriale”, oppure di un candidato indegno all’episcopato, come si deve comportare? 140 [524] Stefano Parenti 11. Chi può confessare? Ogni prete, anche quelli giovani appena ordinati, oppure soltanto quelli autorizzati dal proprio vescovo? Nella Chiesa di Grecia fino ad oggi i preti abilitati a confessare sono una minoranza. L’economo della confessione è il vescovo che delega e abilita il presbitero a questo ministero. Allora, quale formazione è richiesta? Come vigilare sui preti-confessori? 12. Come scegliere un padre spirituale? Deve essere un prete della propria parrocchia, un monaco? Ci si deve confessare sempre allo stesso sacerdote oppure si può cambiare a piacimento, tipo “Oggi vado da quel prete perché è più sbrigativo?”»81. S.P. [email protected] J. GETCHA, «Confession and Spiritual Direction in the Orthodox Church: Some Modern Questions to a Very Ancient Pratice», in St Vladimir’s Theological Quarterly 51/2-3 (2007) 203-220. 81 Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [525] 141 Finito di stampare nel mese di Marzo 2018 a Verucchio (fraz. Villa Verucchio) presso Pazzini Stampatore Editore