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Confessione penitenza e perdono nelle c

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RIVISTA
LITURGICA
TRIMESTRALE PER LA FORMAZIONE LITURGICA
fondata nel 1914 dall’abbazia benedettina di Finalpia
Quinta serie
anno CIV
fascicolo 4
ottobre-dicembre 2017
Il sacramento
della Penitenza.
Esperienze
e prospettive
Monastero
S. Giustina
Comunità
di Camaldoli
RIVISTA LITURGICA
anno CIV
♦
quinta serie
♦
n. 4
♦
ottobre-dicembre 2017
ISSN 0035-6956
Edizioni Camaldoli
Loc. Camaldoli, 14
52014 Camaldoli (AR)
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sommario
Editoriale
pp. 5-9
STUDI
PIER PAOLO CASPANI
La penitenza: sacramento normale o eccezionale?
pp. 11-19
NORBERTO VALLI
Il sacramento della penitenza: la prassi celebrativa a
confronto con il rituale
pp. 23-44
FRANCESCO PIERI
La prassi penitenziale nella chiesa antica:
i presupposti e gli inizi
pp. 45-61
FABIO RUGGIERO
Questioni penitenziali in Tertulliano cattolico.
Il caso dello scritto sulla penitenza
pp. 63-78
CLAUDIA MILANI
«Non v’è cuore piú integro di un cuore spezzato».
Penitenza e perdono dei peccati nella tradizione ebraica
pp. 79-95
PAWEL ANDRZEJ GAJEWSKI
Confessione, penitenza e perdono dei peccati
nelle chiese evangeliche
pp. 97-110
STEFANO PARENTI
Confessione, penitenza e perdono nelle chiese orientali
pp. 111-141
BASILIO PETRÀ
La questione penitenziale dal Sinodo del 2014
all’Amoris Laetitia
pp. 145-159
ANDREA GRILLO
“Tanto da riparare, da disfare, da piangere”.
Significati, modelli e sfide del “fare penitenza”
pp. 161-181
NOTE
ANDREA GRILLO, CHRISTIAN GABRIELI
Il Motu Proprio Magnum principium di papa Francesco.
Aspetti teologico-liturgici e canonici
pp. 183-203
GIANNI CAVAGNOLI
La riforma liturgica è irreversibile
pp. 205-216
studi
CONFESSIONE, PENITENZA E PERDONO
NELLE CHIESE ORIENTALI
Stefano Parenti
Quando mi è arrivato l’invito a partecipare con una relazione
a questa Settimana liturgico-pastorale, appena letto il titolo Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali, mi è venuto in
mente la relazione che mi era stata assegnata l’anno precedente: Tradizioni orientali: da dove si comincia?1. Lì si trattava dell’iniziazione
cristiana e dell’ordine dei sacramenti dopo il battesimo e abbiamo
visto che nell’esperienza liturgica di molte Chiese orientali, almeno fino al VI secolo, la crismazione non seguiva il battesimo ma lo
precedeva. Il pensiero è andato al titolo della relazione dello scorso
anno perché la stessa domanda – “da dove si comincia?” – è sottesa
anche al tema di questa relazione: Confessione, penitenza e perdono
nelle Chiese orientali. Come vedremo, le Chiese d’Oriente hanno
conosciuto nel tempo, e conoscono fino ad oggi, prassi penitenziali
molto diversificate dove l’elemento meno costante è dato proprio
dalla presenza simultanea dei tre momenti “confessione, penitenza
e perdono”. Infatti, come nell’iniziazione cristiana, l’ordine può variare e qualche elemento può non esserci del tutto:
a) la confessione, almeno quella auricolare, spesso è assente
b) il perdono di Dio non necessariamente arrivava attraverso un
ministro ordinato
c) la penitenza invece, variamente intesa, resta l’elemento più stabile.
Però tra tanta varietà, il punto di arrivo è ben definito: la riammissione all’eucaristia. Anche qui, fatte salve tutte le differenze, l’analogia con l’iniziazione cristiana è molto stretta.
Cf. S. PARENTI, «Tradizioni orientali: da dove si comincia?», in Rivista Liturgica 103/4 (2016) 63-80.
1
104/4 (2017)
Rivista Liturgica
111-141
1. PER COMINCIARE: DUE PAROLE SUL DIGIUNO
Se la penitenza è l’elemento più costante lungo la storia delle forme di riconciliazione, il digiuno resta fino ad aggi l’espressione più
concreta della volontà di cambiare vita. È bene dunque prestargli
un po’ di attenzione. Le tradizioni orientali sono ricche di richiami
penitenziali. Ogni settimana dell’anno ha conservato il digiuno del
mercoledì e venerdì attestato dalla Didaché (ca. 50/70), in apparente
polemica con i digiuni ebraici del lunedì e giovedì (VIII.1) e che il
canone XV sulla Pasqua di Pietro d’Alessandria († 311) motiverà
ulteriormente con la memoria del tradimento di Giuda (mercoledì)
e della passione e morte del Signore (venerdì)2. In Oriente digiunare non significa astenersi dal cibo ma soltanto da alcuni cibi, cioè
da tutti i prodotti che hanno origine animale: carne, uova, latticini e pesce, compresi i condimenti come lo strutto. Un tale regime
strettamente vegetariano copre già più di cento giorni in un anno.
Con l’introduzione all’inizio del IV sec. del digiuno pre-pasquale di
quaranta giorni, la Quaresima che tende ad imporsi ovunque dopo
il concilio di Nicea (a. 318), la dieta del mercoledì e venerdì viene
estesa a tutti i giorni quaresimali, e così i giorni vegetariani ormai
venivano a sfiorare quota 150. La forza del digiuno è stata tale e tanta da produrre la varia lectio di Mc 9, 29: «Questa specie di demòni
non si può scacciare in alcun modo se non con [il digiuno e, ndr] la
preghiera»3, riportata già nei “grandi onciali” del IV secolo4.
In seguito ciascuna Chiesa istituì altri periodi di digiuno, propri o comuni ad altre Chiese. Nella Chiesa di Costantinopoli ve ne
sono in preparazione alle feste del Natale, degli apostoli Pietro e Paolo (periodo variabile) e della Dormizione della Madre di Dio il 15
agosto (due settimane)5. Alla fine i giorni vegetariani sono almeno
210 su 365 e il regime ha creato una vera e propria cultura culinaria
Sulle origini del digiuno infrasettimanale si può leggere il capitolo IV, «The
Christian Week: Wednesday anda Friday», nell’agile volumetto di P.F. BRADSHAW
- M.E. JOHNSON, The origins of Feasts, Fasts and Seasons in Early Christianity,
Alcuin Club Collections 86, London 2011, 29-36.
3
Mc 9, 29.
4
Cf. Novum Testamentum Graece, E. NESTLE - E. NESTLE communiter
ediderunt K. ALAND - M. BLACK - C.M. MARTINI - B.M. METZGER - A. WIKGREN
- B. ALAND, Stuttgart 198126, 119, apparatus.
5
Sulla disciplina bizantina del digiuno, l’unica opera di riferimento resta ancora cf. K. HOLL, Die Entstehung der vier Fastenzeiten in der griechischen Kirche,
Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften. Phil.-hist. Klasse
1923, 5, Berlin 1924.
2
112 [496]
Stefano Parenti
del digiuno con un forte richiamo anche in Occidente che si traduce
nella traduzione dal greco e dal russo di un buon numero di libri di
cucina6.
Questi giorni e periodi hanno sulle persone un forte richiamo.
Naturalmente tutto può degenerare in formalismo o abitudine – è il
pericolo di molte espressioni ecclesiali dentro e fuori l’ortodossia –
ma rettamente inteso, il sistema ortodosso del digiuno ha il vantaggio di coinvolgere la materia e la fisicità (cibo /corpo) allontanando
il rischio di una penitenza spiritualizzata. Una sera, stando a cena
con un sacerdote ortodosso e con la sua famiglia, durante la quaresima della Dormizione della Theotokos in agosto, egli mi diceva:
«sappiamo molto bene che il digiuno non è fondamentale e neanche
così importante, ma è un segno reale di disponibilità alla rinuncia, a
modificare una visione della vita in cui ci sembra di aver diritto a tutto
e sempre, ad una visione della vita in fondo molto infantile. Digiunare
significa accordare di nuovo il primato a ciò che non passa».
Riflettiamo anche sul fatto che si tratta di penitenze regolate
dall’anno liturgico, quindi di una realtà oggettiva, che non ha nulla a
che fare con l’emozione di chi si sente di fare privazioni oggi piuttosto che domani o non so quale altro giorno. Eppure oggi nella Chiesa
cattolica l’argomento digiuno è tabù. Mi sorprende sempre constatare che le persone, anche religiosi e religiose pronte a dare addosso
al digiuno (che comunque non fanno), sono le stesse poi disposte ad
affrontare estenuanti diete prescritte dallo specialista consultato...
2. LE FONTI BIZANTINE: COSA (NON) È STATO FATTO
Interessarsi al trinomio “confessione, penitenza e perdono”,
nelle Chiese orientali, significa indagare le dialettiche carisma/istituzione, e chiesa/monachesimo che hanno trovato un equilibrio, e
non senza difficoltà, soltanto nell’avanzato secondo Millennio. Se
c’è un settore del cristianesimo che non si presta ad una ermeneutica della continuità, questo è sicuramente l’Oriente cristiano nelle
sue varie espressioni. Dispiace, però, che una realtà così complessa
e affascinante resti in buona parte da indagare – o da ristudiare –,
compresa l’esperienza religiosa e liturgica di Costantinopoli e del
In italiano per ora è disponibile: cf. Monaco EPIFANIOS DI MYLOPOTAMOS, La
cucina del Monte Athos, Assisi 2016.
6
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [497] 113
Commonwealth bizantino che resta la più diffusa. In un articolo del
2004 sul quale tornerò più avanti, Rosa Maria Parrinello ha scritto
nero su bianco, e con ragione: «Lo studioso del mondo bizantino
che voglia capire quali fossero le modalità e la prassi dell’esercizio
della confessione e del sacramento della penitenza si trova dinanzi
un panorama bibliografico desolante»7.
Gli strumenti a disposizione davvero affidabili sono pochi e datati. Tra le monografie abbiamo quella classica del protestante Karl
Holl del 18988 e i volumi di Angelo Amato e di Heinrich Bernhard
Kraienhorst9, ma anche un opinabile lavoro di Miguel Arranz sui
libri penitenziali10, compensato però dallo studio sullo stesso topic
di Frans Van de Paverd11. Purtroppo negli ultimi mesi si è aggiunto
ancora un lavoro che ha di nuovo fatto regredire lo stato dell’arte12.
Insomma, se il classico di Karl Holl sta a quanto Cyrille Vogel ha
fatto per l’Occidente, ben poco nella scienza liturgica orientale – che
in altri settori oggi è una disciplina prospera – può essere paragonato
alla fioritura di studi storico-antropologici che in pochi anni ha portato ad una sostanziale rivisitazione dell’opera stessa di Vogel e dei
R.M. PARRINELLO, «Dalla confessione carismatica alla confessione istituzionale: per una storia del rito dell’anadochos», in Rivista di Storia del Cristianesimo
1/2 (2004) 333-365: 333.
8
Cf. K. HOLL, Enthusiasmus und Bussgewalt beim griechischen Mönchtum.
Eine Studie zu Symeon dem neuen Theologen, Leipzig 1898.
9
Cf. A. AMATO, Il sacramento della penitenza nella teologia greco-ortodossa. Studi storico-dogmatici (sec. XVI-XX), Ἀνάλεκτα Βλατάδων 38, Tessalonica
1982; H.B. KRAIENHORST, Buss- und Beichtordnungen des griechischen Euchologions und des slawischen Trebniks in ihrer Entwicklung zwischen Osten und
Westen, Das östliche Christentum 51, Würzburg 2003.
10
Cf. M. ARRANZ, I penitenziali bizantini. Il Protokanonarion o Kanonarion
Primitivo di Giovanni Monaco e Diacono e il Deuterokanonarion o “Secondo
Kanonarion” di Basilio Monaco, Kanonika 3, Roma 1993, da consultare avendo
sotto mano la recensione pubblicata da chi scrive su Byzantinische Zeitschrift 88
(1995) 474-481.
11
Cf. F. VAN DE PAVERD, The Kanonarion by John, Monk and Deacon and
Didascalia Patrum, Kanonika 12, Roma 2006. Alcuni problemi, che non è il caso
discutere in questa sede, li pone invece un secondo lavoro dell’autore: ID., Quotiescumque. Greek Origin of a Latin Confessor’s Guide, Utrecht 2012.
12
Cf. G.A. DI DONNA, ed., Canones Pœnitentiales, Kanonika 24, Roma 2017.
L’opera è un “rifacimento” della tesi di dottorato discussa dall’autore nel 2004
presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma (relatore M. Arranz). Nonostante le oltre 2000 pagine, gravi manchevolezze bibliografiche, storico-critiche e di
metodo la rendono inservibile, se non dannosa, a chi indenda rimettere mano
seriamente agli studi sulla penitenza bizantina.
7
114 [498]
Stefano Parenti
suoi predecessori13. Il corpo dell’eucologia in greco e dei rituali di
confessione è stato a lungo oggetto dell’attenzione di Miguel Arranz
ma con risultati, come già per il libri penitenziali, molto inferiori alle
aspettative14. Arranz ha ripubblicato le preghiere da vecchie edizioni russe del XIX secolo, spesso senza controllarle sui rispettivi manoscritti, anche se conservati a Roma, ma soprattutto ha rinunciato
ad una analisi genetica con ricadute negative anche sull’altrui impegno15. In poche parole, se non tutto è sbagliato, per dirla con Gino
Bartali, almeno “l’è [quasi] tutto da rifare”. In queste condizioni è
molto arduo presentare uno status quaestionis della materia e sono
ben cosciente per quello che scriverò di correre il rischio, scontato,
del contrappasso per i giudizi che ho appena espresso. Almeno su un
aspetto credo però di andare sul sicuro: l’attitudine penitenziale oggi
in alcune Chiese d’Oriente ha davvero radici antiche e nonostante
tutte le rotture e una continuità che spesso è venuta meno, esiste
comunque un tenue filo rosso che Arianna non ha dipanato nel labirinto della teologia ma della spiritualità. Nelle pagine che seguono
mi limiterò a toccare qualche aspetto della storia della penitenza che
merita di essere illustrato o riconsiderato nelle tradizioni bizantina,
assira e copta, nel passato e nel presente.
3. PRASSI E DISCIPLINA PENITENZIALE
A COSTANTINOPOLI FINO AL VI SECOLO
Con la decisione assunta nel 324 di trasferire sulle rive del Bosforo la città imperiale, Costantino il Grande segna il destino politico e religioso dell’antica Bisanzio. Al tempo la città prescelta era
soltanto una sede suffraganea del metropolita di Eraclea di Tracia.
Cf. S. HAMILTON, The Practice of Penance, 900-1050, Royal Historical Society Studies in History New Series, 2001; M.C. MANSFIELD, The Humiliation of
Sinners: Public Penance in Thirteenth-Century France, Ithaca 2005; M. DE JONG,
The Penitential State. Authority and Atonement in the Ages of Louis the Pious
(814-840), Cambridge 2009; A. FIREY, ed., A New History of Penance, Leiden 2008.
14
Cf. M. ARRANZ, «Les prières pénitentielles de la tradition byzantine. Les
sacrements de la restauration de l’ancien euchologe constantinopolitain II-2 (1ère
partie)», in Orientalia Christiana Periodica [in seguito: OCP] 57 (1991) 87-143;
«II-2 (2e partie)», in Ibid., 309-329; «II-2 (3e partie)», in OCP 58 (1992) 23-82.
15
Cf. E. MAZZA, «La celebrazione della penitenza nella liturgia bizantina e in
Occidente: due concezioni a confronto», in Ephemerides Liturgicae 115 (2001)
385-440; ID., La liturgia della penitenza nella storia. Le grandi tappe, Bologna
2013, 133-150.
13
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [499] 115
Nel 381 vi si tiene il secondo concilio ecumenico che al canone 3
promuove quella che ormai si chiama Costantinopoli, al secondo
posto nell’ordine di precedenza delle sedi principali, immediatamente dopo l’Antica Roma, in virtù dell’essere città imperiale. La
decisione verrà poi ulteriormente ribadita nel celebre canone 28 di
Calcedonia nel 45116. Il background liturgico costantinopolitano
è dunque orientale, marcatamente antiocheno. Alcuni dei vescovi
della città provenivano da Antiochia come Eudoxio ed Evagrio, e
in particolare Giovanni Crisostomo, che prima di ascendere all’episcopato nella città imperiale (398-404) aveva svolto il ministero
presbiterale ad Antiochia. Quindi è da lì che dobbiamo iniziare.
3.1. La penitenza pubblica riflessa nella liturgia
Il libro VIII delle Costituzioni Apostoliche, databili al 380 e situabili nei dintorni di Antiochia, descrive una celebrazione eucaristica presieduta da un vescovo appena ordinato. Una volta terminata la predicazione, il vescovo saluta l’assemblea e dopo l’allontanamento di audientes e infedeli, iniziano i congedi per categoria di
quanti non potevano partecipare alla preghiera comune dei fedeli e
accedere alla comunione: catecumeni, posseduti, illuminandi, penitenti17. Per ogni categoria era prevista una distinta unità liturgica
che comprendeva:
1. preghiera litanica proposta dal diacono;
2. preghiera presidenziale recitata dal vescovo;
3. congedo.
Nelle fonti canoniche contemporanee gli audientes (ἀκροώμενοι)
erano i simpatizzanti ammessi all’ascolto delle letture e dell’omelia18. Tuttavia, nella categoria finirono per essere assimilati anche i
Cf. R.F. TAFT, «St. John Chrysostom, Preacher Committed to the Seriousness of Worship», in M. ROSS - S. JONES, ed., The Serious Business of Worship.
Essays in Honour of Bryan D. Spinks, New York 2010, 13-21; ID., «St. John
Chrysostom’s Role in the Formation of the Liturgy of the Great Church», in
Studi sull’Oriente Cristiano 15/2 (2011) 17-31.
17
Cf. Libro VIII, 6, 3-9, 11, in M. METZGER, ed., Les Constitutions Apostoliques, III, Sources Chrétiennes 336, Paris 1987, 152-166.
18
Cf. CONCILIO DI NICEA, a. 325, can. 11 (Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque Decreta Editio critica, I: The Oecumenical Councils from Nicaea I
to Nicaea II (325-787), curantibus G. ALBERIGO - Alii, Turnhout 2006, 25-26);
16
116 [500]
Stefano Parenti
battezzati incorsi nella scomunica che, all’inizio del loro cammino
penitenziale, venivano di fatto equiparati a quei pagani che mostravano interesse per la fede cristiana. Come avverte Edmund Schwartz, nelle fonti non sempre è agevole discernere di quale categoria si
tratti19, una incertezza che non vale per Costantinopoli nella prima
metà del VI secolo.
Una lettera di alcuni vescovi non calcedonesi residenti nella
Capitale poco dopo il 538, ci fa conoscere il testo delle preghiere
presidenziali per gli audientes e i penitenti impiegate nelle sinassi
della sera e del mattino e alla Divina Liturgia20. Il testo greco della
preghiera per i penitenti è stato identificato da Heinrich Bernhard
Kraienhorst tra le preghiere per la confessione di alcuni eucologi
italo-greci copiati tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII21.
3.2. Vicissitudini della penitenza privata
Lo storico Socrate Scolastico (380-440), che scrive attorno all’anno 450, narra della decisione assunta nel 391 del vescovo Nektarios
di Costantinopoli di sopprimere il ministero del presbitero che con
terminologia occidentale potremmo chiamare “penitenziere”22. Si
tratta di una delle pagine più controverse della storia della penitenza
can. 4 del CONCILIO DI ANCIRA (a. 314) e can. 5 del CONCILIO DI LAODICEA (IV
s. ex.) in Discipline générale antique (IVe-IXe s.), t. I.2, Les canons des Synodes
Particuliers, Grottaferrata 1962, 59, 132; can. 75 di s. BASILIO († 379) e il can. 5 di
s. GREGORIO DI NISSA († ca. 395), in Discipline générale antique..., t. II, Les canons
des Pères Grecs, Grottaferrata 1963, 151-152, 218.
19
Cf. E. SCHWARTZ, «Bußstufen und Katechumenenklassen», in ID., Gesammelte Schriften, V, Zum Neuen Testament und zum frühen Christentum, Berlin
1963, 25-30.
20
Cf. I.E. RAHMANI, «Ritus receptionis episcopi et celebrationis liturgiae
catechumenorum», in ID., Studia Syriaca, fasc. III: Vetusta documenta liturgica, Charfeh 1908, 5-23, 23-47: 46 (testo siriaco e traduzione latina); traduzione
francese presso F. NAU, «Littérature canonique syriaque inédite», in Revue de
l’Orient Chrétien 14 (1909) 39-49: 47.
21
Cf. KRAIENHORST, Buss- und Beichtordnungen, 81-94; A.I. ALMAZOV,
Тайная исповедь в Православной восточной Церкви. Опыт внешней истории.
Исследование преимущественно по рукописям, III: Приложения, Odessa 1894,
68-69.
22
Cf. Historia ecclesiastica, V, 19: SOCRATE DE CONSTANTINOPLE, Histoire ecclésiastique. Livres IV-VI, Texte grec de l’édition G.C. Hansen (GCS), traduction
par P. PÉRICHON - P. MARAVAL, introduction et notes P. Maraval, Sources Chrétiennes 505, Paris 2006, 144-151.
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [501] 117
in Oriente, che ha fatto sudare non poco storici ed apologeti dalla
Controriforma in poi23. Secondo Socrate, dopo lo scisma di Novaziano, cioè dopo la persecuzione di Decio (20 gennaio 250), i vescovi
avevano istituito dei presbiteri destinati a ricevere la confessione di
quanti avevano commesso peccati dopo il battesimo ed erano in stato
di conversione e per questo chiamati “presbiteri addetti a quanti si
convertono” (τῶν πρεσβυτέρων τῶν ἐπὶ τῆς μετανοίας). Socrate ricorda che ai suoi tempi l’istituzione era in vigore ovunque, tranne tra i
Novaziani e a Costantinopoli: i primi non l’avevano mai accettata, e
a Costantinopoli il vescovo Nektarios l’aveva soppressa. I Novaziani
infatti, che conobbero una vasta diffusione anche in Oriente, irrigiditi nel loro rigorismo morale, negavano la legittimità di una penitenza post-battesimale non solo agli apostati ma anche ai colpevoli
di omicidio e di adulterio, al punto che amministravano un secondo
battesimo ai propri membri caduti in queste colpe. A Costantinopoli
invece l’istituto dei presbiteri penitenzieri venne abrogato. Perché?
Una donna di nobile famiglia si era recata dal presbitero incaricato della penitenza per confessare alcuni peccati che aveva commesso
dopo il battesimo. Il prete le impose di digiunare e di pregare assiduamente perché con la confessione potesse mostrare anche qualche
opera, qualche segno tangibile di conversione. Dopo qualche tempo
la donna torna di nuovo dal presbitero per accusarsi di un altro peccato, confessando di aver avuto un incontro troppo ravvicinato con
un diacono. A seguito di questa confessione il diacono venne sospeso
dal ministero, come del resto prescrivevano i canoni. L’accaduto alzò
un grande polverone perché evidentemente era stato il prete a rivelare
tutto, gettando discredito sulle istituzioni della Chiesa. I chierici erano terrorizzati e così tale Eudaimon, un prete di origine alessandrina,
consigliò al vescovo Nektarios di sopprimere la funzione dei presbiteri penitenzieri e di permettere a ciascuno di partecipare ai sacramenti vedendosela esclusivamente con la propria coscienza. Socrate
assicura i suoi lettori di aver appreso i fatti dallo stesso Eudaimon.
Dunque, sul finire del IV secolo c’era ancora a Costantinopoli
Cf. Latini Latinii Viterbensis Opinio de ea historiae Socratis Sozomenique
parte, qua Nectarii episcopi factum de abrogato paenitentiario presbytero continetur, Roma 1587 e la bibliografia citata in Les régestes des actes du Patriarcat
de Constantinople, I, Les actes des patriarches, fasc. I: Les régestes de 381 à 715,
par V. GRUMEL, Paris 19722, 8-9. Lo stesso Grumel fa propria l’opinione di Tillemont (Mémoires pour servir à l’Histoire écclésiastique des six premiers siècles, X,
Venezia 1732, 232-234) secondo la quale Nektarios avrebbe soppresso soltanto il
confessore ufficiale ed unico, lasciando liberi i fedeli di ricorrere al ministero di
un confessore di loro scelta.
23
118 [502]
Stefano Parenti
una penitenza pubblica ma ristretta a pochissime categorie di peccatori e la cui partecipazione alla vita ecclesiale e liturgica era limitata.
Contemporaneamente vigeva una confessione individuale fatta ad
un presbitero “penitenziere” della cattedrale che ascoltava i peccati
in privato e suggeriva l’aiuto spirituale necessario (digiuno e preghiera) per uscire dalla situazione. La regola che permetteva una
sola riconciliazione dopo il battesimo qui era già saltata e il ministero della penitenza era stato delegato dal vescovo ad un presbitero. I
peccati che gli venivano manifestati ormai non erano più sottoposti
alla penitenza pubblica. I fatti narrati da Socrate vengono riportati
anche dallo storico Sozomeno che scrive attorno al 450, per il quale
l’esempio del vescovo di Costantinopoli sarebbe stato seguito dai
vescovi di ogni regione. Più importanti, invece, sono le ragioni profonde che Sozomeno adduce e che è bene riportare:
«Dal momento che non peccare mai richiederebbe una natura divina
che non è quella dell’uomo, Dio ha raccomandato di accordare il perdono a quanti si pentono, anche se peccano spesso […] fin dall’inizio
ai vescovi sembrò scioccante che si facciano conoscere i peccati agli
occhi di tutti nella Chiesa quasi come in un teatro. Istituirono così per
questo ufficio un presbitero di eccellente condotta, discreto e prudente. I peccatori si recavano da lui e gli confessarono quanto commettevano ed egli per il peccato di ciascuno imponeva una penitenza da
compiere o da assolvere in modo da autoinfliggersi le punizioni […].
Però, secondo me, un tempo le colpe erano meno gravi a motivo della vergogna che provavano quanti confessavano [in pubblico, ndr] le
loro mancanze e della severità dei giudici incaricati»24.
Negli stessi anni in cui Nektarios sopprimeva a Costantinopoli
l’ufficio del presbitero penitenziere, ad Antiochia il presbitero Giovanni, il Crisostomo futuro successore di Nektarios, illustra nell’omelia De beato Philogonio i requisiti perché il peccatore ottenga il
perdono. Non occorrono lunghe penitenze, basta la decisione assunta in un momento di abbandonare il male e poi dedicarsi per
qualche giorno alla preghiera, la veglia e il digiuno, poiché quello
che conta è il pentimento25. Le preghiere bizantine di derivazione
Historia Ecclesiastica, VII, 16: SOZOMÈNE, Histoire ecclésiastique. Livres
VII-IX, Texte grec de l’édition G. C. Hansen (GCS), Introduction par G. SABBAH, annotation par L. ANGLIVIE DE LA BEAUMELLE - G. SABBAH, traduction par
A.-J. FESTUGIÈRE - B. GRILLET (Sources Chrétiennes 516), Paris 2008, 144-151.
25
Cf. De beato Philogonio, Hom. 4 [CPG 4319], PG 48, 754, citato da G.
24
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [503] 119
antiochena in uso fino ad oggi, di ordinazione all’episcopato e al
presbiterato, non fanno parola di un ministero dell’assoluzione conferito al candidato.
3.3. Il problema dell’autoassoluzione
L’omiletica di Crisostomo e le preghiere dell’attuale formulario
eucaristico bizantino insistono sulla “coscienza pura” con la quale
si deve partecipare all’eucarestia26. Il concetto è presente nelle preghiere nella seconda metà del V secolo, ma è sicuramente anteriore
e in ogni caso sta a ribadire una esigenza. La realtà è che già nel IV
secolo le Chiese stavano combattendo con un problema creato con
le proprie mani: rendere l’accesso all’eucaristia difficile con una preparazione sempre più esigente che richiedeva non soltanto digiuno
e preghiera, ma anche continenza. Inoltre, sempre nel IV secolo, la
categoria del tremendum, che connotava originariamente il giudizio
finale, viene applicata ai doni eucaristici, scoraggiando ulteriormente la comunione27.
Più di uno studioso si è chiesto se oltre alla penitenza pubblica
e alla riconciliazione privata l’Oriente cristiano abbia conosciuto
una forma abituale di auto-assoluzione grazie alla quale mettersi in
regola per partecipare all’eucaristia28. La testimonianza principale
verrebbe dalla Liturgia di Gerusalemme, ma si tratta di un canto che
allarga ai presenti la richiesta di perdono pensata originariamente
WAGNER, «La discipline pénitentielle dans la tradition orientale», in ID., La Liturgie, expérience de l’Église. Études liturgiques, J. GETCHA - A. LOSSKY, ed., Analecta Sergiana 1, Paris 2003, 74. Crisostomo è stato presbitero ad Antiochia dal
380/381 al 397.
26
Cf. G. WAGNER, Der Ursprung der Chrysostomosliturgie, Liturgiewissenschaftliche Quellen und Forschungen 59, Münster 1973, 123.
27
Cf. R.F. TAFT, A History of the Liturgy of St. John Chrysostom, VI: The
Communion, Thanksgiving, and Concluding Rites, Orientalia Christiana Analecta 281, Roma 2008, 382-389.
28
F. VAN DE PAVERD, «Possibilità di autoriconciliazione. Testimonianze dall’Oriente cristiano», in Concilium 210 (1987) 131-140; HIGOUMÈNE ANDRÉ (WADE), «La prière ἄνες, ἄφες, συγχώρησον. La pratique palestinienne de
domander l’absolution pour la communion solitaire et quotidienne. Lex orandi
pour une orthopraxis perdue?» in J. GETCHA - A. LOSSKY, ed., Θυσία α νέσεως.
Mélanges liturgiques offerts à la mémoire de l’archevêque Georges Wagner (19301993), Analecta Sergiana 2, Paris 2005, 431-435.
120 [504]
Stefano Parenti
per i defunti29. Per i vivi c’era un’altra preghiera. Non è un caso che
proprio alla fine del IV secolo (le testimonianze sono: Gerusalemme verso il 380, Antiochia prima del 398 e Costantinopoli tra il 397
e il 404), l’eucaristia accolga il Padre nostro, con la sua richiesta di
“rimettere a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, collocandolo prima della comunione come assoluzione per
i peccatori ordinari (i peccata quotidiana di Agostino)30.
Per i peccati non sottoposti a penitenza canonica ma che richiedevano una correzione (διόρθωσις) di percorso nella vita, le vie di
riconciliazione potevano essere: prendersi cura dei malati, mettersi
a servizio di un santuario, più tardi diventare monaco/a, elemosina,
digiuno (i più frequenti), affidarsi all’intercessione dei santi e infine
l’assicurazione del perdono data da una persona in fama di santità.
Tra tanti mezzi c’era anche la possibilità di una confessione, ma era
uno fra i tanti, certamente non obbligatorio.
4. LA RICONCILIAZIONE E IL PERDONO VISTI
DALL’AGIOGRAFIA
Tra la lettera dei vescovi siri in visita a Costantinopoli (dopo il
538) e il commento alla Divina Liturgia di Massimo il Confessore
(a. 620)31 succede qualcosa: come il catecumenato, anche il sistema
penitenziale salta come istituzione e come classe sociale. Il periodo che segue fino alla prima fonte liturgica disponibile dell’ultimo
quarto dell’VIII secolo, è poco indagato. La penitenza pubblica
ormai era ristretta a casi eccezionali e tutto sommato nuovi (falsa
testimonianza in un processo, infrangere un giuramento) enumerati
dai alcuni canoni conciliari del VII e IX secolo32.
Per concepire un’idea attendibile della prassi penitenziale durante il periodo successivo la carenza di fonti “ufficiali”, come i
pronunciamenti del magistero ecclesiastico o i riti liturgici, occorre
praticare un’altra strada che in questi ultimi anni sta riscuotendo un
Cf. B.-Ch. MERCIER, La Liturgie de saint Jacques. Édition critique du texte
grec avec traduction latine, Patrologia Orientalis 26/2, Paris 1946, 222.
30
Cf. R.F. TAFT, A History of the Liturgy of St. John Chrysostom, V: The
Precommunion Rites, Orientalia Christiana Analecta 261, Roma 2000, 147-149.
31
Cf. Ch. BOUDIGNON, ed., Maximi Confessoris Mystagogia una cum latina
interpretatione Anastasii Bibliothecarii, Corpus Christianorum, Series Graeca 69,
Turnhout 2011.
32
Cf. TAFT, A History of the Liturgy of St. John Chrysostom, V, 181.
29
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [505] 121
seguito significativo, ovvero quello della “liturgia dal basso”33. Si
tratta dell’approccio che privilegia il vissuto quotidiano, la ricezione
della liturgia da parte dell’uomo e della donna di tutti i giorni, laici,
religiosi o ministri ordinati come riflesso nella letteratura agiografica. Sul nostro tema si è cimentato, con largo anticipo sui tempi, lo
studioso canadese Robert Barringer in una tesi di dottorato discussa ad Oxford nel 1979 dal titolo «La penitenza ecclesiastica nella
Chiesa di Costantinopoli: studio dei documenti anteriori al 983»34.
Purtroppo la tesi è inedita e l’autore ne ha pubblicato soltanto un
paio di estratti35. Per portare qualche esempio possiamo considerare
la Vita di s. Basilio († 379) scritta da un autore del VII secolo che si
cela dietro il nome di Anfilochio di Iconio († post 394) e che riflette
dunque la prassi penitenziale in Cappadocia nel momento in cui la
Vita veniva scritta36.
Nel cap. 5 si narra di un diacono che durante la Divina Liturgia
cercava con vari gesti di attirare l’attenzione di una donna, un comportamento grave che impedì la visibile discesa dello Spirito Santo
sui doni eucaristici al momento dell’epiclesi37. Basilio lo sospese dal
Alla “liturgia dal basso” è dedicato il § 10 dell’introduzione in cf. R.F. TAFT
- S. PARENTI, Storia della Liturgia di S. Giovanni Crisostomo, II: Il Grande Ingresso, edizione italiana rivista, ampliata e aggiornata, Ἀνάλεκτα Κρυπτοφέῤῥης
10, Grottaferrata 2014, 83-86. Porta il titolo Liturgia dal basso una recente
pubblicazione del PONTIFICIO ISTITUTO ORIENTALE, Liturgy from below: Popular Liturgical Rites in the Eastern Churches, Roma 2017. Il volume raccoglie
le relazioni presentate dagli studenti dell’Istituto nel convegno La saggezza dei
quartieri popolari: una liturgia dal basso (Roma, 30 e 31 marzo 2017), al quale ho
partecipato ponendo qualche domanda: https://www.youtube.com/watch?v=yDcw_GgLaB0 (h. 8:28:51, ultima visita 11/01/2017).
34
Cf. R. BARRINGER, Ecclesiastical Penance in the Church of Constantinople: A
Study of Hagiographical Evidence to 983 A.D., A Thesis submitted fo the Decree
of Doctor of Philosophyat the University of Oxford, University College Oxford
1979.
35
Cf. R. BARRINGER, «Penance and Byzantine Hagiography. Le répondent du
péché», in Studia Patristica 17/2 (1979) [1982] 552-557.
36
Cf. R. BARRINGER, «The Pseudo-Amphilochian Life of St. Basil: Ecclesiastical Penance and Byzantine Hagiography», in Θεολογία 51/1 (1980) 49-61. La
Vita è pubblicata da F. COMBÉFIS, Sanctorum Patruum Amphilochii Iconiensis,
Methodii Patarensis et Andreae Cretensis Opera Graeco-Latina, Paris 1643. Per
la datazione cf. la letteratura raccolta da R. VAN DAM, Becoming Christian. The
Conversion of Roman Cappadocia, Philadelphia, PA 2003, 218-219 nota 8.
37
La narrazione della discesa visibile dello Spirito Santo sui doni eucaristici al
momento dell’epiclesi, è un topos frequente nell’agiografia del V e VI secolo: cf.
R.F. TAFT, «Eastern Saints’ Lives and Liturgy: Hagiography and New Perspec33
122 [506]
Stefano Parenti
ministero, gli impose sette giorni di digiuno rigoroso accompagnato da opere buone, mentre Basilio e la comunità pregavano per lui
riuniti in chiesa. Trascorsa la settimana, il diacono venne reintegrato
nel suo ministero38.
Nel cap. 7 abbiamo la storia di un ragazzo che fece un patto con
il diavolo: avrebbe rinunciato a Cristo in cambio dell’amore della
donna che desiderava. Basilio ne viene a conoscenza e commina al
giovane una penitenza di 40 giorni, tre a stretto digiuno e il resto
con un regime meno rigoroso, ma sostenuto dalla preghiera di Basilio. Al temine del periodo il giovane viene riammesso alla comunione, ma Basilio gli assegna una penitenza (κανών) non specificata39.
Un terzo esempio è riportato nel cap. 12 e racconta di una donna
malata che dopo aver trascorso una vita lontana da Dio, si pente,
mette per iscritto una confessione di tutte le colpe commesse e la
consegna sigillata a Basilio, chiedendogli di intercedere il perdono
presso Dio. Basilio prende la lettera e la colloca in chiesa vicino
all’altare e prega per lei durante la celebrazione della vigilia serale. Poi, chiamata la donna, le riconsegna il documento. La donna
lo apre: tutti i peccati che aveva elencato erano scomparsi tranne
l’ultimo della lista, che la Vita chiama “un grande peccato” senza
aggiungere altro. Questo peccato sparirà dalla lista soltanto dopo la
morte di Basilio che dal cielo aveva assicurato la sua intercessione a
testimonianza della perseveranza della donna nel bene40. Gli episodi
testimoniano che effettivamente la penitenza pubblica non era più
in funzione neanche nel caso del rinnegamento di Cristo. Quello
che invece colpisce è il peso attribuito all’intercessione ecclesiale e,
particolarmente del vescovo, che potrebbe derivare da un secondo
modello di riconciliazione al tempo già operante: quello monastico.
5. FARSI CARICO DELL’ALTRUI PECCATO
Venuto meno il sistema della penitenza pubblica, emerge la penitenza privata descritta nel Kanonàrion tradizionalmente attribuito
al patriarca Giovanni Digiunatore (12 aprile 582 - 2 settembre 595).
tives in Liturgiology», in J.Z. SKIRA - M. S. ATTRIDGE, ed., In God’s Hands. Essays
on the Church and Ecumenism in Honour of Michael A. Fahey, S.J., Bibliotheca
Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium 199, Leuven 2006, 33-53.
38
BARRINGER, «The Pseudo-Amphilochian Life of St. Basil», 57-58.
39
Ibid., 58.
40
Ibid., 58-59.
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [507] 123
Franz van de Paverd lo colloca tra il 546 e il 630 con aggiunte posteriori al 73041 e Basilio Petrà, con finissime osservazioni al lavoro
di van de Paverd, rilancia la possibile paternità proprio del Digiunatore42. Il Kanonàrion è un tariffario penitenziale dove l’autore afferma di aver abbreviato le severe pene previste da s. Basilio che, a
sua volta, si rifaceva alla tradizione degli apostoli. Nella letteratura
ecclesiastica bizantina, quello dell’abbreviazione progressiva è un
espediente abbastanza diffuso che riflette molto bene una mentalità
che ufficialmente cerca sempre nel passato le soluzioni ai problemi
dell’oggi in nome della continuità43. In realtà è un procedimento paternalista che giustifica le riforme volute dal clero con la condiscendenza verso la debolezza dei fedeli che non hanno più la tempra, la
virtù e perseveranza dei bei tempi andati44.
Il questionario è corredato di un rito di confessione molto essenziale reso ad un padre spirituale che non ha ricevuto l’ordinazione presbiterale, non partecipa del ministero episcopale di legare
e di sciogliere ma possiede il carisma del discernimento. L’autore
del Kanonàrion si presenta come un diacono che ha dalla sua una
grande esperienza nel ruolo di confessore. Del rito di confessione
non presbiterale vanno sottolineati quattro aspetti destinati ad influenzare la storia posteriore:
1) L’accoglienza del penitente con parole serene e con disposizione cordiale “quasi invitato ad uno splendido pranzo”;
2) L’attenzione e la cura a risollevare il penitente dallo scoraggiamento;
3) Il questionario al quale il padre spirituale sottopone il penitente;
4) La compartecipazione, mettendogli una mano attorno al collo
e la condivisione del peso del peccato. Il padre spirituale dice al penitente: “Che tutto ciò ora venga su di me”.
VAN DE PAVERD, The Kanonarion by John, 186-189, 190.
Cf. B. PETRÀ in OCP 73 (2007) 507-514.
43
Cf. C. MANGO, Byzantium: The Empire of New Rome, London 1980, 218;
Byzantium and its Image. History and Culture of the Byzantine Empire and its
Heritage, Variorum Collected Studies 191, London 1984.
44
Emblematica è la storiella elaborata a Costantinopoli verso la fine del X
secolo per giustificare l’abbandono dell’anafora, detta di s. Basilio, in favore
di quella più breve, detta di s. Giovanni Crisostomo: cf. F.J. LEROY, «Le Pseudo-Proclus “de la tradition de la divine Liturgie”. Encore un faux de Constantin
Palaeocappa (XVIe siècle)», in ID., L’homilétique de Proclus de Constantinople.
Tradition manuscrite, inédits, études connexes, Studi e Testi 247, Città del Vaticano 1967, 329-354.
41
42
124 [508]
Stefano Parenti
I primi tre punti sono chiari, fermiamoci sull’ultimo, sul gesto e
sulle parole. Il confessore, il padre spirituale confessore, è chiamato
“anàdochos”, un termine ben presente nella prassi sacramentale45.
Anàdochos è il padrino del battesimo, il credente che accompagna
il neofita al fonte e ne diventa il garante. Anàdochos è anche il monaco, il padre spirituale, che accompagna il novizio alla professione
monastica, una figura che si avvicina in qualche modo al maestro di
formazione occidentale, ma in un rapporto molto più personalizzato. Non si dimentichi che nell’espressione più alta del monachesimo
bizantino, non si entra in monastero per seguire una regola – che
pure esiste – ma per seguire una persona carismatica, per una sequela e una discepolanza. Anàdochos è anche il monaco confessore
e testimone che, come le altre due figure, nell’iniziazione cristiana e
nella professione monastica, si fa carico del peccatore e più precisamente si fa carico dei suoi peccati. Il confessore non sacerdote può
liberare il fratello o la sorella dal peccato non in virtù di un potere
apostolico e trasmissibile di perdono e remissione, ma facendosene
carico ed espiandolo con la preghiera e la vita penitente46.
Il primo autore che illustra il senso di questa “presa in carico”
(ἀναδοχή) dell’altrui peccato, è Marco monaco, del quale non sappiamo nulla di preciso, se non che è anteriore a Giovanni Climaco
(† 670), che lo cita. Pare, comunque, che Marco sia venuto a mancare dopo il 534, mente ancor meno è dato di sapere delle sue origini
(Antiochia? Egitto?). In ogni caso ci troviamo nel VI secolo, proprio quando ha visto la luce il tariffario penitenziale. Per Marco il
senso della “presa in carico”
«nasce dalla carità, secondo l’insegnamento del Signore che ha curato
ogni malattia, debolezza e infermità, portando il peccato del mondo
e secondo l’insegnamento di Paolo: “Portate i pesi gli uni degli altri e
adempirete alla legge di Cristo” (Gal 6, 2)»47.
Giovanni Climaco, il palestinese autore della celebre Scala spirituale, ha lasciato proprio in questa opera la prima testimonianza
della “presa in carico” del peccato, di “sostituzione di colpa” in
ambito monastico. Nel gradino XXIII della Scala, Climaco affronCf. C. RAPP, «Spiritual Guarantors at Penance, Baptism, and Ordination
in the Late Antique East», in A. FIREY, ed., A New History of Penance, Leiden Boston 2008, 121-148.
46
PARRINELLO, «Dalla confessione carismatica alla confessione istituzionale»,
339-340.
47
Ibid., 340-342.
45
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [509] 125
ta il peccato della superbia madre della bestemmia. Ora un monaco
afflitto da questa tentazione non era riuscito a superarla, nonostante un ventennio di veglie e preghiere, e alla fine mise per iscritto
questa sua tentazione, la consegnò ad un padre spirituale, restando
in ginocchio perché non osava guardarlo in faccia. Ma l’anziano
(dunque l’esperto), preso il foglio sorrise, rialzò il confratello e gli
disse: “Figlio, poni la tua mano sul mio collo”, e il discepolo lo
fece. Quindi continuò: “Fratello, questo peccato sia sul mio collo
per tutti gli anni che ha agito e agirà in te, e tu non preoccupartene più”. E uscito dalla cella dell’anziano la tentazione sparì48. La
letteratura agiografica, scrigno prezioso che descrive l’esperienza
cristiana a partire dalla vita di tutti i giorni delle persone di tutti
i giorni, offre altre testimonianze. Preme però sottolineare che in
queste altre fonti alla “presa in carico” della colpa è sempre unita l’espiazione che lo spirituale compie in vece del penitente. Ma
vorrei comunque riportare ancora due passi di Climaco che, nonostante le ascese alle più alte vette spirituali, mostra quanto avesse i
piedi per terra:
«Ci sono alcuni che, mossi da amore spirituale, si addossano il carico altrui oltre le loro forze. Ma ce ne sono altri che, benché da Dio
particolarmente dotati della capacità di farsi carico degli altri, non si
assumono volentieri il peso che comporta la salvezza del fratello»49.
Interessante la scelta del collo50, che sorregge la testa e il corpo,
un punto estremamente sensibile, dove ancora oggi nel rito bizantino si impone il Vangelo durante l’ordinazione episcopale e alla fine
del rito dell’unzione dei malati51. Nella prospettiva della penitenza
come “presa in carico” delle colpe altrui, dobbiamo inoltre notare
il silenzio sulla funzione medicinale e curativa della penitenza e il
ribaltamento della gestualità rispetto alla confessione istituzionale fatta ad un ministro ordinato, dove questi impone la mano sul
penitente mentre qui abbiamo il penitente che mette il braccio sul
collo del maestro.
Cf. PG 88, 980.
PG 88, 1189.
50
Cf. PARRINELLO, «Dalla confessione carismatica alla confessione istituzionale», 347.
51
Cf. S. PARENTI, «Gli ordini sacri e i ministeri in Oriente» e «Cura e unzione
degli Infermi in Oriente», in A.J. CHUPUNGCO, ed., Scientia Liturgica. Manuale
di Liturgia, IV: Sacramenti e Sacramentali, Casale Monferrato 1998, 181-188,
219-229.
48
49
126 [510]
Stefano Parenti
6. IL PERDONO ISTITUZIONALE
Della confessione e del perdono istituzionale, con l’imposizione
della mano da parte del ministro, parla invece un altro grande monaco, s. Teodoro Studita, padre della riforma cenobitica conosciuta
dal monachesimo costantinopolitano nel IX secolo52. Nell’eucologio Barberini gr. 336 della fine dell’VIII secolo, troviamo due preghiere – che certamente Teodoro conosceva – una per i penitenti,
rivolta al Padre ma destinata ad una singola persona, ed una “per
coloro che si confessano”, rivolta al Figlio. Sono le prime e uniche
due preghiere della tradizione costantinopolitana:
«Preghiera per coloro che si convertono. Dio nostro salvatore, che attraverso il tuo profeta Natan hai accordato la remissione a Davide
pentito delle proprie colpe, e che hai accolto la preghiera penitente di
Manasse, tu stesso accogli nel tuo consueto amore per gli uomini il
tuo servo N. pentito delle sue colpe, ignorandone le trasgressioni, tu
infatti, Signore, hai ordinato di perdonare fino a settanta volte sette
quanti camminano nei peccati, perché la tua pietà è pari alla tua grandezza, tu sei il Dio di coloro che si convertono e muti parere riguardo
ai nostri peccati. Tu sei il nostro Dio e a te spetta gloria»53.
«Preghiera per coloro che si confessano. Signore nostro Dio, che per le
lacrime hai concesso a Pietro e alla peccatrice la remissione dei peccati, ed hai giustificato il pubblicano che riconosceva le proprie colpe, accogli la confessione del tuo servo N. e, buono come sei, ignora
quanto di male ha commesso in parole, opere e pensieri, con avvertenza o per ignoranza, tu solo infatti hai il potere di rimettere i peccati. Tu sei Dio di pietà, misericordia e di amore per gli uomini, e noi
(rendiamo) gloria a te»54.
Le preghiere sono deprecative e non assolutorie in senso stretto:
si chiede a Dio di ignorare, di non tenere conto dei peccati. L’eucologio bizantino medievale, come il contemporaneo sacramentario
Cf. PARRINELLO, «Dalla confessione carismatica alla confessione istituzionale», 347, 335-336. Sul sistema penitenziale nel monastero di Stoudios si veda cf.
D. ARNESANO, «Gli Epitimia di Teodoro Studita. Due fogli ritrovati del dossier
di Casole», in Byzantion 80 (2010) 9-37; «La penitenza dei monaci a S. Maria del
Patir e a S. Nicola di Casole», in Revue des Études Byzantines 72 (2014) 249-273.
53
L’eucologio Barberini gr. 336, Seconda edizione riveduta con traduzione in
lingua italiana, S. PARENTI - E. VELKOVSKA, ed., Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» Subsidia 80, Roma 2000, 194-195 § 201.
54
Ibid., 195 § 202.
52
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [511] 127
occidentale, è pensato come libro del ministro, quindi riporta soltanto le preghiere e non il quadro celebrativo, dato per conosciuto
agli utenti del libro, ma non ai lettori del XXI secolo. Quindi non
sappiamo nulla della tempistica. Le preghiere che segnavano all’origine i due momenti della riconciliazione (conversione e confessione), sono un resto ormai atrofizzato di una disciplina non più in
vigore, si susseguivano una dopo l’altra in una celebrazione penitenziale, privata, comunitaria?
7. IL PIÙ ANTICO RITO DI CONFESSIONE E DI
PERDONO
Un rito vero e proprio di confessione appare per la prima volta
soltanto nel X secolo, ma in manoscritti copiati in Italia meridionale
in una area geografica circoscritta tra la Basilicata e il Lazio meridionale, alcuni dei quali, in particolare i più tardi dell’XI secolo,
portano tracce evidenti di influsso della contemporanea tradizione
occidentale55. Chi ha studiato questi riti, preoccupato di analizzare
i testi – e spesso anche un po’ alla buona – ha tralasciato di porre
attenzione al contesto storico, culturale e geografico, senza il quale
un testo risulta se non incomprensibile, almeno inutilizzabile56.
Il titolo lo descrive Rito per coloro che confessano i propri peccati57. Il sacerdote conduce il penitente in chiesa, chiude le porte e lo
fa prostrare dinanzi all’altare. Seguono quattro preghiere. Quindi
il ministro lo rialza, confessa (ἐξαγγέλλει) a Dio le sue colpe, gli
assegna una penitenza e recita una preghiera, e anche qui seguono
ben sei orazioni. Le due preghiere che precedono e seguono la confessione sono le stesse, già viste, dell’eucologio Barberini gr. 336, le
restanti nove orazioni, evidentemente da recitare a scelta, sono un
Cf. S. PARENTI, «Il rito di confessione dell’eucologio Γ.β. XIII di Grottaferrata», in S. PARENTI - E. VELKOVSKA, Mille anni di “rito greco” alle porte di Roma.
Raccolta di saggi sulla tradizione liturgica del Monastero italo-bizantino di Grottaferrata, Ἀνάλεκτα Κρυπτοφέῤῥης 4, Grottaferrata 2004, 43-62: 54-61.
56
Cf. M. ARRANZ, «Les formulaires de confession dans la tradition byzantine.
Les sacrements de la restauration de l’ancien euchologe constantinopolitain II-3
(1ère partie)», in OCP 58 (1992) 423-459; «Confession monastique (2e partie)», in
OCP 59 (1993) 63-89; «Confession presbytérale avec questionnaire (3e partie)»,
in OCP 59 (1993) 357-386.
57
Cf. S. PARENTI, L’eucologio manoscritto ... IV (X sec.) della Biblioteca di
Grottaferrata, Edizione Excerpta ex Dissertatione ad Doctoratum, Pontificio Istituto Orientale, Roma 1994, 22-24 §§ 98-108.
55
128 [512]
Stefano Parenti
esempio di duplicazione, anzi di moltiplicazione eucologica58, originata dall’integrazione di preghiere allogene.
Dal VII secolo l’Italia meridionale era un crocevia di cristiani di
fede calcedonese, allontanati dalla propria terra in Medio Oriente
dalle controversie cristologiche oppure dall’avanzata islamica. Erano popolazioni di lingua greca ma non di rito bizantino, che hanno sedimentato le proprie tradizioni liturgiche nei libri bizantini
dell’Italia meridionale59. Ecco allora che: la preghiera 1 la ritroviamo nella tradizione armena, nei vespri e nella riconciliazione dei
penitenti al giovedì santo60; la preghiera 2 è sicuramente palestinese
e probabilmente era destinata all’assoluzione di un ministro ordinato61; la preghiera 4 riprende una formula per la riconciliazione degli
eretici62; la preghiera 8 deriva dalla assoluzione “ad Filium” della
Liturgia eucaristica etiopica63. La formula 6 invece è propria della
confessione monastica del Kanonàrion64.
La consegna per il futuro sarebbe di studiare le preghiere su
nuove basi tenendo conto della provenienza e dell’utilizzazione
primitiva e analizzando il linguaggio con l’ausilio dei mezzi che
l’informatica mette a disposizione del ricercatore, come il Thesaurus Linguae Graecae65, e creare un data-base per valutare costanti e
Cf. S. PARENTI, «Towards a Regional History of the Byzantine Euchology
of the Sacraments», in Ecclesia Orans 27 (2010) [2011] 109-121.
59
Si veda il contributo recente di G. RADLE, «The Liturgical Ties Between
Egypt and Southern Italy: A Preliminary Investigation», in Σύναξις καθολική.
Beiträge zu Gottesdienst und Geschichte der fünf altkirchlichen Patriarchate fur
Einzgerd Brakmann zum 70. Geburtstag, herausgegeben von Diliana Atanassova
und Tinatin Chronz, Orientalia - Patristica Oecumenica 6.2, Wien 2014, 616-631.
60
Cf. F.C. CONYBEARE, Rituale Armenorum being the administration of the
Sacraments and the Breviary rites of the Armenian Church together with the
Greek rites of Baptism and Epiphany edited from the oldest Mass … and the East
Syrian Epiphany rites, translated by A.J. MCLEAN, Oxford 1905 (Hildesheim Zürich - New York 2004), 480-481, 219; si veda anche cf. E. CARR, «Penance
among the Armenians: Notes on the History of its Practice and its Theology», in
Studia Liturgica 11 (1976) 65-100.
61
Cf. S. PARENTI - E. VELKOVSKA, «Un frammento di eucologio (ri)trovato a
Grottaferrata», in Σύναξις καθολική (sopra nota 59), 591-602.
62
Cf. M. ARRANZ, «Les Sacrements de l’ancien Euchologe constantinopolitain (2). 1ère partie: Admission dans l’Eglise des convertis des hérésies ou d’autres
religions non-chrétiennes», in OCP 49 (1983) 55.
63
Cf. H. DENZINGER, Ritus Orientalium, Coptorum, Syrorum et Armenorum
in administrandis Sacramentis..., I, Würzburg 1863-1864 (Graz 1961), 438-439.
64
Cf. ARRANZ, I penitenziali bizantini, 116.
65
http://stephanus.tlg.uci.edu. Cf. P. ALLEN - W. MAYER, «Computer and
58
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [513] 129
discordanze nel linguaggio eucologico. Perché tutto questo è così
importante? Perché il formulario misto italo-greco ha lasciato tracce nel rito contemporaneo della confessione in varie Chiese ortodosse. Prima però di illustrare brevemente il rito oggi in vigore, è
importante rivolgere l’attenzione a due chiese apostoliche fuori dal
Commonweath ortodosso.
8. L’ASSOLUZIONE COMUNITARIA
NELLA CHIESA ASSIRA DELL’ORIENTE
Se nelle Chiese ortodosse l’assoluzione collettiva è una soluzione
pastorale tutto sommato recente66, nella Chiesa assira dell’Est, una
antica Chiesa cristiana apostolica, orientale ma non ortodossa bizantina, l’assoluzione generale rappresenta la regola da sempre, ovvero il modo ordinario di celebrare la riconciliazione. Ma andiamo
per ordine cercando di mettere insieme i pezzi di un mosaico tanto
antico quanto affascinante.
Conosciamo tutti la difficile situazione in cui si è venuta a trovare questa Chiesa quasi completamente sfrattata dalla propria terra,
l’attuale Iraq, e dispersa in Europa e in America, ma possiamo dire
che tutta la sua storia è segnata dalla persecuzione e dal martirio.
La Chiesa assira dell’Oriente che aveva in Nisibi il proprio centro, si trovava oltre i confini dell’Impero romano in un contesto
socio-politico dove la religione di Stato era un’altra e i cristiani, una
minoranza, venivano perseguitati come spie e affiliati di uno Stato
straniero. Queste limitazioni in casa avevano impresso alla Chiesa
d’Oriente una spinta e un impegno missionario molto forte fino a
farle raggiungere l’India e la Cina67. L’impronta semitica nel pensiero teologico, la portò a rifiutare o piuttosto a non comprendere
la declinazione del dogma cristologico secondo le categorie filosofiche dell’Occidente, cioè di Bisanzio e dei patriarcati che noi oggi
chiamiamo “orientali”. Il doppio isolamento politico e religioso ha
congelato lo sviluppo della propria tradizione liturgica, che resta
fino ad oggi uno specchio fedele di quella che un tempo era tradiHomily: Accessing the Everyday Life of Early Christians Author(s)», in Vigiliae
Christianae 47/3 (1993) 260-280.
66
Cf. nel § più avanti.
67
Per un sintetico sguardo d’insieme, rimando alla voce «Orientali, Liturgie»
in D. SARTORE - A.M. TRIACCA - C. CIBIEN, ed., Liturgia, Cinisello Balsamo (MI)
2001, 1385-1403.
130 [514]
Stefano Parenti
zione comune anche alle altre Chiese. L’iniziazione cristiana assegnava alla crismazione il primo posto nell’ordine dei sacramenti.
Si tratta della Chiesa che per l’eucaristia impiega ininterrottamente l’anafora detta di Addai e Mari dove non è presente il racconto
dell’istituzione. È una Chiesa che pone domande salutari alle consorelle d’Oriente e d’Occidente teologicamente e liturgicamente,
per così dire, più evolute.
Questa Chiesa fino ad oggi non conosce un rito privato di confessione e assoluzione dei peccati ma soltanto un rito collettivo di
assoluzione durante la Liturgia eucaristica, prima della comunione68. Non così nel ramo cattolico la Chiesa caldea, per altro maggioritaria, dove si pratica la confessione auricolare post-tridentina.
Dopo il Vaticano II, la sacramentaria cattolica ha smesso di giudicare prassi ritenute difformi dalla propria – evidentemente l’unica
ritenuta giusta – imparando a rispettare le tradizioni e la cultura
delle altre Chiese sorelle; ma ancora alla vigilia del concilio dinanzi
all’assenza della confessione auricolare nella Chiesa assira, l’unica
risposta possibile era: se la confessione auricolare non c’è, vuol dire
che l’hanno persa69.
Dunque, il rito di riconciliazione precede la comunione70. Secondo un uso in vigore anche presso altre Chiese orientali, il sacerdote
tiene a questo punto l’omelia, quindi esorta coloro che desiderano
ricevere la comunione ad esaminare la propria coscienza e pentirsi
con sincerità dei peccati commessi. Quindi chiede loro di chinare
la testa e recita su di loro la preghiera detta di ūssāyā, che ha dato
il nome al rito – aksā d-ūssāyā. I fedeli che non hanno commesso
peccati particolarmente gravi si profumano le mani con l’incenso
e vanno a ricevere la comunione: il pane viene deposto sulla mano
destra sovrapposta alla sinistra e il vino lo ricevono separatamente
dal diacono71. Chi invece ha commesso un grave peccato e un grave
Cf. J. ISAAC, Ṭaksā d-Ḥūssāyā. Le tite du pardon dans l’Èglise syriaque orientale, Orientalia Christiana Analecta 233, Roma 1989, quindi B.D. SPINKS, «The
East Syrian Rite of Penance», in M.J. BODA - D.K. FALK - R. WERLINE, Seeking
the Favor of God, III: The Impact of Penitential Prayer beyond Second Temple
Judaism, Early Judaism and its Literature 23, Atlanta 2008, 213-223.
69
Cf. H.I. DALMAIS, «Le sacrement de la pénitence chez les Orientaux», in La
Maison-Dieu 56 (1958) 22.
70
Una efficace descrizione dal vivo in cf. D. GELSI, « Il “mistero della conversione” come avvenimento liturgico nella tradizione orientale», in Ephemerides
Liturgicae 97 (1983) 329-346.
71
Anche per la comunione la Chiesa assira ha mantenuto il sistema originario,
poi abbandonato da molte Chiese orientali, di dare la comunione con specie se68
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [515] 131
peccato pubblico (apostasia, adulterio, convivenza con una donna
non cristiana) non può accedere alla comunione se non riceve l’unzione con l’olio del battesimo. Con l’iniziazione cristiana si entra
nella Chiesa e con l’unzione si riceve il dono lo Spirito Santo. Il
peccato grave impedendo la comunione “scomunica” il fedele che
esce dalla Chiesa dove lo Spirito Santo agisce e santifica. Quindi in
questa prospettiva la posta in gioco non è la confessione o la remissione di questo o quel peccato, grave che sia, ma la reintegrazione
pubblica in quella che non a caso si chiama “comunione dei santi”.
Il penitente viene unto sulla fronte e il ministro lo esorta al pentimento e a non ricadere nel peccato. Dunque abbiamo a che fare con
una riconciliazione pubblica in continuità con l’antica disciplina penitenziale di cui il momento liturgico, la Ṭaksā d-Ḥūssāyā, era l’ultimo atto. Nel piano penitenziale dove la confessione, il riconoscersi
peccatori, si esprime non a parole ma attraverso la gestualità, manca
però la dimensione propriamente penitenziale, l’opera concreta, la
riparazione, come espressione di buona volontà, di conversione di
vita – non certo di soddisfazione giuridica – oppure come terapia.
Nella preghiera di Ḥūssāyā il sacerdote dice: “Noi ti supplichiamo per questa persona, creata a tua immagine, che è scivolata nei
peccati, perché le venga dato un nome nuovo perché era morto ed
ecco, ora vive”. Qui il ministro supplica e chiede a nome della Chiesa il perdono che viene da Dio. In altre parole il ministro non fa
nulla di diverso rispetto all’eucaristia, al matrimonio e agli altri sacramenti. Credo si tratti di un aspetto importante.
9. IL RITO DELL’INCENSO NELLA CHIESA COPTA
Passiamo ora ad un’altra Chiesa cristiana perseguitata e sofferente, quella copta, ancora una Chiesa pre-calcedonese, dove la confessione privata è giunta nel XII secolo come influsso monastico.
Come la Chiesa assira, anche quella copta possiede un rito comunitario di riconciliazione detto dell’incenso. L’incenso entra nel culto
cristiano subito dopo la Pax costantiniana per diffondersi in tutta la
cristianità. Sembra che le origini dell’impiego dell’incenso in chiesa
siano state piuttosto laiche che religiose. Si bruciava incenso semplicemente per profumare gli ambienti durante i pasti, le manifestazioni pubbliche e, per ovvi motivi, durante i funerali. S. Efrem († 373),
forse il primo testimone cristiano per l’impiego liturgico dell’incenparate piuttosto che per intinzione.
132 [516]
Stefano Parenti
so, al motivo fumigatorio ed onorifico assomma l’idea dell’incenso
come offerta di propiziazione (Num 17, 11-13)72. Questo concetto
è particolarmente sottolineato nelle tradizioni siriache ma si trova,
appunto, anche in quella alessandrina. Così in Oriente l’incenso accompagna sempre la preghiera per i defunti proprio per questa connotazione espiatoria, in quanto la preghiera di suffragio comprende
sempre una richiesta di perdono dei peccati.
La confessione copta sull’incenso può avvenire la sera ai vespri,
all’ufficio del mattino oppure all’inizio della Liturgia73. Colui che
presiede compie l’offerta dell’incenso poi percorre la chiesa passando tra i fedeli con il turibolo fumigante. Alcuni fedeli vi depongono
grani di incenso dicendo: “Assolvimi, padre, perché ho peccato”.
Si noti che il perdono è richiesto al ministro e non a Dio. A questo
punto il ministro recita una lunga preghiera di assoluzione su tutti
i presenti, assemblea e ministri concelebranti di ogni ordine e grado. A questa riconciliazione pubblica e comunitaria si affianca e
si sovrappone oggi la confessione individuale legata piuttosto alla
direzione spirituale, e i due sistemi non si escludono74.
Come dicevo, le Chiese assira e copta sono una pre-efesina e
l’altra pre-calcedonese però, mentre la Chiesa assira si è sempre
trovata fuori dall’Impero dei Romani, quella copta ne faceva parte integrante. Quando nel V secolo sono sorte le controversie cristologiche, la popolazione del patriarcato di Alessandria era mista.
Sulla costa mediterranea prevaleva la popolazione di lingua greca,
formata dal ceto impiegatizio e militare, nell’entroterra vi era la
popolazione di lingua copta largamente maggioritaria. Ambedue i
gruppi praticavano la stessa liturgia alessandrina, anche quando il
patriarcato si scisse in due obbedienze: quella calcedonese di lingua
greca e quella pre-calcedonese di lingua copta. Questo significa che
il rito di riconciliazione sull’incenso non è una peculiarità copta ma
è patrimonio in comune con la Chiesa alessandrina calcedonese, fin
quando nel XIII secolo questa non ha optato per il rito bizantino.
Anzi, la preghiera non nasce in copto ma in greco, e i manoscritti
greci del formulario detto di s. Marco ce ne hanno trasmesso la redazione più antica e più concisa:
Cf. TAFT - PARENTI, Storia della Liturgia di S. Giovanni Crisostomo, II,
303-305.
73
Cf. H. BRAKMANN, «Le déroulement de la messe copte», in A.M. TRIACCA A. PISTOIA, ed., L’Eucharistie: célébrations, rites, piétés. Conférences Saint-Serge,
XLIe Semaine d’études liturgiques, Paris, 28 Juin-1 Juillet 1994, Bibliotheca
«Ephemerides Liturgicae» Subsidia 79, Roma 1995, 107-132: 113, 126.
74
Cf. GELSI, «Il “mistero della conversione”…», 329-346: 335-338.
72
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [517] 133
«Signore Gesù Cristo nostro Dio, che hai scelto la lucerna a dodici
fiamme dei dodici apostoli e li hai inviati in tutto il mondo per predicare e far conoscere il Vangelo del tuo regno e guarire ogni malattia ed
ogni debolezza nel popolo. Tu che hai alitato sui loro volti dicendo:
“Ricevete lo Spirito Santo Paraclito: a chi rimetterete i peccati saranno
rimessi e a chi li riterrete saranno ritenuti”, allo stesso modo invialo su di noi tuoi servi qui presenti, al momento di entrare [in chiesa
all’inizio, ndr] di questa celebrazione, presbiteri, diaconi, suddiaconi,
lettori, cantori, laici e tutto il pleroma della santa Chiesa cattolica apostolica ed ortodossa di Dio: liberaci, Signore, dalla maledizione, dai
legami e dai vincoli con l’avversario, purifica da ogni impurità i cuori
e le labbra, affinché con cuore puro e con una coscienza pura ti offriamo questo incenso come profumo gradito per la remissione dei nostri
peccati e di tutto il tuo popolo»75.
A questo punto possiamo tirare una prima conclusione: nelle
Chiese calcedonesi vigeva la stessa disciplina.
10. IL RITO NEL COMMOWEALTH ORTODOSSO OGGI
Le Chiese ortodosse bizantine descrivono sé stesse come una
comunione di Chiese locali che condividono la stessa fede formulata nei sette concili della Chiesa indivisa del primo Millennio, naturalmente con un proprio diritto e con un patrimonio spirituale
proprio. Ogni Chiesa, indipendentemente dalla propria configurazione giuridica, è indipendente e sovrana. Così vi possono essere
differenze notevoli, tra Chiesa e Chiesa anche in campo liturgico e
proprio la confessione ne costituisce un esempio lampante. Liturgicamente le Chiese ortodosse seguono due distinti filoni: le Chiese
che facevano parte del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli poi
diventate autonome dopo la disgregazione dell’Impero Ottomano
(Grecia, Romania, Bulgaria, Albania) seguono la tradizione greca;
altre, come la Serbia, la Georgia, la Polonia seguono la tradizione
della Chiesa ortodossa russa che nel corpo del rito di confessione
ha introdotto una formula di assoluzione ispirata al Rituale romano
di Paolo V del 1614 dove il ministro agisce in prima persona dichiarando «io ti assolvo e ti libero da tutti i tuoi peccati nel nome del
G.J. CUMING, The Liturgy of St Mark edited from the Manuscripts with a
Commentary, Orientalia Christiana Analecta 234, Roma 1990, 9-10.
75
134 [518]
Stefano Parenti
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»76. Incontriamo per la prima
volta la formula nel Trebnyk o rituale pubblicato a Kiev nel 1646 da
dove passa nella Moscovia con la riforma liturgica promossa dal patriarca Nikon nel 1665. La preghiera veniva a sostituire la preghiera
tradizionale in uso nella Chiesa russa:
«Signore Dio, che a motivo delle loro lacrime hai accordato la remissione dei peccati a Pietro e alla donna peccatrice ed hai reso giusto il
pubblicano che riconosceva il proprio peccato, accogli la confessione
del tuo servo e se ha peccato per malizia o per fragilità (volontariamente o involontariamente), in parole, opere o pensieri, tutto tu ignora, dal momento che sei l’unico che ha il potere di rimettere i peccati.
Tu infatti sei il nostro Dio, Dio di misericordia, di compassione e di
amore per gli uomini e noi diamo gloria a te, Padre, Figlio e Spirito
Santo […]»77.
Qui il ministro non assolve in prima persona, non si carica del
peccato del fratello, ma chiede, e lo fa come ministro della Chiesa,
che il Signore accolga la confessione: quindi non è soltanto un accompagnamento solidale nella preghiera, ma ci troviamo dentro una
preghiera liturgica epicletica, di richiesta. Si noti la funzione accordata alle lacrime che evoca un retroterra spirituale di grande spessore
e rimanda all’iniziazione cristiana, un tema che vedremo sviluppato
più avanti nelle monizioni. È fondamentalmente la stessa preghiera
dell’VIII secolo rimaneggiata e ampliata dall’uso lungo il tempo.
10.1. Il luogo della celebrazione
Ordinariamente la confessione avviene in chiesa in uno spazio
ad essa dedicato nella navata. Il penitente trova il ministro al lato di
un “analoghion”, un leggio mobile ricoperto di un drappo su quale
M. OLSZEWSKI, «Der Ritus des Sakraments der Buße nach Peter Mogila in
seinem historischen Kontext», in Ostkirchliches Studien 31 (1982) 142-159; sul
movimento di riforma si veda il cap. 7 di TH. POTT, La réforme liturgique byzantine. Étude du phénomène de l’évolution non-spontanée de la liturgie byzantine, Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» Subsidia 104, Roma 2000, 197-223.
77
J. GETCHA, «Une prière pour ceux qui se confessent d’un Euchologe slave
pré-Moghilien: quelques implications théologiques», in A.M. TRIACCA - A. PISTOIA, ed., La prière liturgique. Conférences Saint-Serge, XLVIIe Semaine d’études
liturgiques, Paris 27-30 Juin 2000, Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» Subsidia 115, Roma 2001, 137-150.
76
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [519] 135
si trova deposto il libro dei Vangeli oppure un’icona di Cristo. Inutile dire che non esistono mobili appositi come il confessionale: la
celebrazione del sacramento non è filtrata da una grata, ma neanche
avviene faccia a faccia perché ministro e penitente hanno ambedue
lo sguardo sull’icona di Cristo o Vangelo che sia. È Cristo che domina la scena, è lui il protagonista vero del mistero che si compie.
Negli ultimi anni in Grecia in quelle metropolie in cui più vivace è
il movimento liturgico, come a Volos, sono stati costruiti ambienti
per la confessione con un altare in scala ridotta e affreschi inerenti
al tema della conversione e del perdono dei peccati tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Normalmente invece la confessione è
perfettamente visibile: chi sta in chiesa vede distintamente ministro
e penitente, ed in questo modo una celebrazione tutto sommato
privata si inscrive in contesto pubblico e comunitario.
10.2. La proposta celebrativa
Il rito come stampato nel libro è abbastanza sviluppato ma nella
pratica risulta notevolmente abbreviato78. Si inizia con le preghiere introduttorie comuni ad ogni celebrazione, la recita, in genere
omessa del Salmo 50 e di qualche inno penitenziale e una preghiera
di accoglienza. Poi il ministro continua:
«Ecco, figlio, Cristo è qui presente in modo invisibile per accogliere la
tua confessione: non vergognarti, non temere e non nascondere nulla,
esponi ciò che hai commesso per ricevere il perdono da Dio. Ecco, qui
davanti a noi c’è la sua icona, io non sono che un testimone davanti
a Dio di ciò che tu avrai detto. Se nascondi qualcosa sappi che il tuo
peccato sarà doppio. Ecco, sei venuto dal medico, non andare via senza essere guarito».
Segue la confessione che, secondo i casi, è sotto forma di questionario (p.es. quando una persona non si confessa da molto tempo)
oppure come libera esposizione da parte del penitente. E la confessione termina con queste parole del celebrante:
«Da ora fai attenzione: tu vieni battezzato con un secondo battesimo, secondo il sacramento cristiano: che Dio ti aiuti in questo nuovo
inizio, non ricadere negli stessi peccati: questo non conviene ad un
Il sussidio Confession et Communion curato da D. GUILLAUME, Roma 1983,
tiene conto delle differenze in uso nelle varie Chiese ortodosse locali.
78
136 [520]
Stefano Parenti
cristiano e la gente ti riderà in faccia. Con la sua grazia Dio ti aiuti a
vivere da persona onesta, nella giustizia e nella preghiera».
Poi invita il penitente ad inginocchiarsi e recita questa preghiera
imponendogli sulla testa la stola:
«Signore nostro Dio, salvezza dei tuoi servi, indulgente, longanime e
largamente misericordioso, che muti parere riguardo ai nostri peccati
e che non vuoi la morte del peccatore ma che si converta e viva, tu stesso abbi ora pietà del tuo servo N., e donagli sentimenti di conversione,
il perdono e l’assoluzione dei suoi peccati: perdonagli ogni colpa volontaria e involontaria, riconcilialo e uniscilo alla tua santa Chiesa, in
Cristo nostro Signore, con il quale a te spetta il potere e la maestà, ora
e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen».
Soltanto al termine il penitente riceve dal confessore quella che
in Occidente si chiama “penitenza” ma che non ha alcuna pretesa
soddisfattoria o riparatrice: l’eventuale preghiera o opera di carità
ha una configurazione medicinale e curativa. La confessione è l’operazione chirurgica che asporta il male e la “penitenza” è la cura
post-operatoria.
10.3. L’assoluzione comunitaria senza confessione in
Russia e nei Balcani
Una forma tutta particolare di riconciliazione è la celebrazione
comunitaria senza confessione auricolare e con assoluzione collettiva, diffusa prevalentemente nelle Chiese dei Balcani: Bulgaria,
Romania e Serbia. Le origini del rito, per quanto ne sappia, non
sono state studiate ma è certo che uno dei suoi promotori è stato s.
Giovanni di Kronštadt (1829-1908), celebre confessore e padre spirituale della Russia pre-sovietica. Durante il concilio della Chiesa
ortodossa russa del 1917-1918 si sviluppò a proposito della celebrazione comunitaria un dibattito molto acceso tra chi ne sottolineava l’efficacia pastorale e chi la trovava spiritualmente non idonea.
L’assemblea conciliare non prese alcuna decisione79, ma gli eventi
successivi alla Rivoluzione di Ottobre assicurarono all’assoluzione collettiva una larga diffusione. La più totale mancanza di libertà
individuale rendeva infatti la confessione auricolare estremamente
Sul dibattito conciliare cf. M. MOJZEŠ, Il movimento liturgico nelle Chiese
bizantine. Analisi di alcune tendenze di riforma nel XX secolo, Bibliotheca «Ephemerides Liturgicae» Subsidia 132, Roma 2005, 131-136.
79
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [521] 137
pericolosa. Pericolosa per chi si confessava perché poneva domande
sull’affidabilità del ministro che poteva benissimo essere un infiltrato dei servizi segreti. Pericolosa anche per il ministro in quanto depositario dei segreti delle coscienze ed esposto a pressioni o ricatti a
motivo del segreto che era tenuto a custodire. Quindi l’assoluzione
collettiva è la risposta pastorale ad una situazione di emergenza,
che trova ispirazione nel carisma di un padre spirituale, in grado
di conservare alla Chiesa l’essenziale del proprio ministero riguardo alla remissione dei peccati e all’essere icona della misericordia
di Dio. Abbiamo qui un buon esempio di sviluppo organico della
liturgia, organico perché governato dai fatti e non dalle ideologie;
uno sviluppo che accetta modificazioni, anche di rilievo, nella propria prassi consolidata per garantire la permanenza nel ministero e
la sua efficacia. Una volta passata l’emergenza, dopo mezzo secolo
di consuetudine, il rito collettivo è rimasto ed è diventato parte della
tradizione delle Chiese che lo hanno introdotto.
Normalmente il rito si svolge di domenica durante la Divina Liturgia. Terminata la processione di trasferimento all’altare del pane
e del vino, uno dei presbiteri invita coloro che desiderano “confessarsi” a seguirlo in un locale comunicante con la chiesa dove domina
una crocifissione. Il presbitero recita delle preghiere introduttorie
quindi invita tutti al pentimento, alla conversione e al perdono e recita una preghiera presidenziale di accoglienza. Tutti si inginocchiano a terra tenendo la testa abbassata, mentre il celebrante, in piedi,
tiene sollevato su di loro l’epitrachilion (stola) e recita una preghiera
di assoluzione che interrompe nel passaggio in cui occorre menzionare i nomi dei presenti. Il presbitero dice “nella sua grazia e nel suo
amore perdoni te” e a questo punto ciascuno in ordine pronuncia
il proprio nome, quindi il presbitero continua la preghiera e poi
congeda i penitenti che tornano in chiesa al loro posto. È innegabile
che questo tipo di celebrazione non soltanto esprime plasticamente
la dimensione comunitaria del sacramento – sarebbe molto ma non
tutto – ma riesce anche a comunicarne il senso, facendola diventare
tangibile esperienza ecclesiale e personale. Vi è poi una forma istituzionalizzata di assoluzione collettiva presieduta dal vescovo nelle
cattedrali al tramonto della domenica detta “dei latticini”, quando
inizia la grande quaresima pasquale80.
Su questa particolare terminologia cf. S. PARENTI, «Il formaggio nella liturgia e nelle consuetudini monastiche bizantine», in G. ARCHETTI - A. BARONIO,
ed., “De lacte et caseo. Il bianco colore delle terre di Lombardia”, Atti dell’incontro nazionale di studio (Brescia 29-30 maggio 2008), Brescia 2010, 119-134.
80
138 [522]
Stefano Parenti
11. PROBLEMI APERTI
I libri liturgici descrivono i riti e celebrazioni ma non l’uso che
ne viene fatto dai fruitori, così pensare di conoscere una tradizione
liturgica soltanto attraverso messali, lezionari, eucologi e rituali è
soltanto una illusione, e neanche troppo pia. Questa osservazione
vale anche per le Chiese orientali e vista la mancanza di studi davvero affidabili in grado di consentire una sintesi oggettiva sulla lunga
vicenda della confessione in Oriente, chiuderò il mio intervento con
una serie di domande. Le riprendo da un articolo di Job Getcha,
arcivescovo titolare di Telmissos (Patriarcato ecumenico), co-presidente della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa
romano-cattolica e le Chiese ortodosse, anche per mostrare che se
la teologia diverge, molti problemi pastorali, irrisolti, sono comuni
all’Occidente cristiano. Cedo dunque la parola all’arcivescovo Job:
«1. Dove si svolge la confessione? In chiesa o in una stanza? Dinanzi
ad una icona, ad una croce, al libro dei Vangeli? Il penitente deve stare
in piedi, inginocchiato o seduto? Oggi in molte chiese la confessione
avviene in chiesa e il penitente spesso è inginocchiato. In Grecia normalmente ci si confessa nell’ufficio del sacerdote e ambedue stanno
seduti.
2. Quale formula di assoluzione impiegare? Nei libri liturgici abbiamo una certa possibilità di scelta. Sono in genere formule deprecative
(Dio ti perdoni...), ma nei libri della Chiesa russa abbiamo anche una
formula indicativa (Io ti perdono e ti assolvo).
3. La confessione è discrezionale oppure necessaria? Occorre confessarsi ogni volta che si riceve la comunione oppure ci si deve confessare
soltanto quando si sente la necessità? La confessione è una pratica abituale e regolare oppure è riservata ai soli momenti di crisi? È necessaria come una doccia fredda oppure è una opportunità, un momento in
cui fare esperienza della grazia? Una volta, in una parrocchia dell’Europa occidentale il parroco cercava in tutti i modi di far confessare un
anziano fedele greco. Questi, infastidito da tanta insistenza, rispose:
“Padre, sono sposato da oltre 50 anni e non ho mai commesso adulterio, quindi non ho niente da confessare”.
4. Quanto spesso confessarsi. Ogni volta che si riceve la comunione?
Una volta al mese, tre quattro volte l’anno? Quante volte confessare lo
stesso peccato? A riguardo c’è una famosa storiella che un professore
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [523] 139
di teologia pastorale amava raccontare agli studenti. Una signora di
ottanta anni e passa confessa un peccato “de sexto” commesso in gioventù. Il prete le dice: “Signora, questo peccato lei lo ha già confessato
la volta scorsa e ha ricevuto l’assoluzione”. E l’anziana signora: “Lo
so, ma è così bello ricordarlo” (!).
5. La confessione quanto deve durare? Pochi minuti, un quarto d’ora,
mezz’ora? E quando va fatta: prima della Divina Liturgia, la sera prima, in un altro momento? È chiaro che se 30 persone stanno in fila 20
minuti prima della Liturgia la confessione diventa una formalità.
6. A che età i bambini devono accedere alla confessione, come vanno
preparati e come avvertono questo sacramento, come un obbligo o
come qualcosa da fare volentieri?
7. Come confessare i peccati? È meglio rispondere alle domande poste
dal ministro oppure parlargli direttamente? Il confessore è uno che
inquisisce oppure uno che ascolta? Una volta un vescovo condivise
con alcuni amici un’esperienza fatta quando era giovane prete. Un sabato sera dopo la lunga celebrazione della Vigilia, stanco ed affamato,
stava andando nel refettorio quando una signora gli dice che desidera
confessarsi. La signora, nota al sacerdote, cominciò a ripetere la solita
confessione che il prete aveva sentito già altre volte. Stanco e desideroso di tagliare corto, le disse: “Questo me lo ha già detto in precedenza, c’è altro di cui si deve confessare?”. La signora, molto irritata,
rispose: “Per favore, non mi interrompa! Il suo compito non è parlare
ma ascoltare!”.
8. Quale è il posto della “penitenza”, come regolarsi, cosa il penitente
si aspetta, e come la comprende?
9. La confessione deve essere individuale oppure collettiva? S. Giovanni di Kronstadt (XIX/XX secolo) impartiva l’assoluzione a centinaia
di penitenti nel quadro di una celebrazione collettiva. La confessione
va fatta in privato o in pubblico? Richiede un contatto personale oppure ci si può confessare per lettera o per e-mail? Oggi molti sacerdoti
evitano di confessare in ufficio o in una chiesa vuota temendo false
accuse di abuso sessuale.
10. Fino a che punto il segreto della confessione è vincolante? Se un
prete è venuto a sapere in confessione di un assassino, di violentatore
“seriale”, oppure di un candidato indegno all’episcopato, come si deve
comportare?
140 [524]
Stefano Parenti
11. Chi può confessare? Ogni prete, anche quelli giovani appena ordinati, oppure soltanto quelli autorizzati dal proprio vescovo? Nella
Chiesa di Grecia fino ad oggi i preti abilitati a confessare sono una minoranza. L’economo della confessione è il vescovo che delega e abilita
il presbitero a questo ministero. Allora, quale formazione è richiesta?
Come vigilare sui preti-confessori?
12. Come scegliere un padre spirituale? Deve essere un prete della propria parrocchia, un monaco? Ci si deve confessare sempre allo stesso
sacerdote oppure si può cambiare a piacimento, tipo “Oggi vado da
quel prete perché è più sbrigativo?”»81.
S.P.
[email protected]
J. GETCHA, «Confession and Spiritual Direction in the Orthodox Church:
Some Modern Questions to a Very Ancient Pratice», in St Vladimir’s Theological
Quarterly 51/2-3 (2007) 203-220.
81
Confessione, penitenza e perdono nelle Chiese orientali [525] 141
Finito di stampare
nel mese di Marzo 2018
a Verucchio (fraz. Villa Verucchio)
presso Pazzini Stampatore Editore
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