Fabrizio Marignetti (a cura di) LA TRAZIONE FERROVIARIA I sistemi a guida vincolata Questo volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di Ingegneria Astronautica Elettrica ed Energetica dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” ISBN 978-88-7488-859-7 Prima edizione: Giugno 2018 Responsabile produzione: Alessandro Parenti Redazione: Carlotta Lenzi e Laura Tondelli Le fotocopie per uso personale (cioè privato e individuale, con esclusione quindi di strumenti di uso collettivo) possono essere effettuate, nei limiti del 15 % di ciascun volume, dietro pagamento alla S.I.A.E del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Tali fotocopie possono essere effettuate negli esercizi commerciali convenzionati S.I.A.E. o con altre modalità indicate da S.I.A.E. Per le riproduzioni ad uso non personale (ad esempio: professionale, economico o commerciale, strumenti di studio collettivi, come dispense e simili) l’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre un numero di pagine non superiore al 15 % delle pagine del volume. CLEARedi - Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali Corso di Porta Romana, n. 108 - 20122 Milano e-mail: [email protected] - sito: http://www.clearedi.org. 40131 Bologna - Via U. Terracini 30 - Tel. 051-63.40.113 - Fax 051-63.41.136 www.editrice-esculapio.it Ringrazio in particolare i Professori Regina Lamedica ed Enrico Pagano per aver lanciato l'idea del testo e averne iniziato la stesura. Senza i loro preziosi consigli e il loro supporto, il mio lavoro non sarebbe mai nemmeno decollato. AUTORI Cap. 1 Gabriele Malavasi Sapienza - Università di Roma Cap. 2 Richard Bartoni♠, Alfonso Capasso♣, Fabio Garzia♣, Massimo Guarascio♣, Mara Lombardi♣, Giuliano Rossi♣ ♣Sapienza Cap. 3 - Universita di Roma; ♠Salini Impregilo S.p.A. Regina Lamedica♣, Stefano Quaia♠, Dario Zaninelli♦ - Università di Roma; ♠Università degli Studi di Trieste; ♦Politecnico di Milano ♣Sapienza Cap. 4 Luca Esposito, Eugenio Fedeli RFI - Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. Cap. 5 Diego Iannuzzi Università di Napoli ‘Federico II’ Cap. 6 Damiano D’Aguanno♣, Fabrizio Marignetti♣, Paolo Masini♠, Enrico Pagano♦ ♣Università S.p.A, Cap. 7 degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, di Napoli ‘Federico II’ ♦Università Massimo Ceraolo Università di Pisa Cap. 8 Alessandro Ruvio Sapienza - Università di Roma ♠Trenitalia VI Cap. 9 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Regina Lamedica♠, Paolo Masini♣, Enrico Mingozzi♦ ♠Sapienza Cap. 10 - Università di Roma; ♣Trenitalia S.p.A.; ♦Ferrovie dello Stato Paolo Masini, Salvatore Rizzo Trenitalia S.p.A. Cap. 11 Giovanni Molinari Sapienza - Università di Roma Cap. 12 Enrico Pagano♣, Luigi Piegari♠ ♣Università di Napoli ‘Federico II’, ♠Politecnico di Milano PREFAZIONE La rete ferroviaria europea, considerata nella sua totalità, con i suoi quasi 250’000 km di lunghezza, è una delle più estese al mondo, essendo seconda solo a quella degli Stati Uniti, seppure per poche migliaia di chilometri. Sicuramente, tuttavia, l’Europa detiene il primato della lunghezza delle linee ferroviarie elettrificate. La transnazionalità della rete ferroviaria europea, che ne costituisce l’intrinseca ricchezza, pone diversi problemi che si traducono in altrettante sfide tecnologiche. I diversi standard presenti nei Paesi europei, in termini sia infrastrutturali che di sistema elettrico, sono il risultato di evoluzioni locali e, quindi, la stessa composizione della rete ferroviaria europea pone serie problematiche di interoperabilità, con particolare riferimento al segnalamento, ai livelli di tensione, alle sagome, all’armamento. Mentre i sistemi di alimentazione e i relativi livelli di tensione sono stati normati a partire dal 2008 mediante lo standard EN50388, solo recentemente è stato intrapreso, e successivamente portato a compimento, lo sviluppo delle Technical specifications for interoperability (TSIs) ad opera della European Union Agency for Railways (ERA). Uno dei compiti dell’ERA è quello di normalizzare i sistemi di segnalamento e di controllo dei treni, che si sono sviluppati solo a livello nazionale, specialmente a beneficio delle linee ad alta velocità, a partire dagli anni ’90. Uno dei risultati più importanti di questa normazione è oggi il sistema europeo di controllo dei treni (ETCS). L’ECTS è la componente di segnalazione e controllo del sistema europeo di gestione del traffico ferroviario (ERTMS). Essa sostituisce i vecchi sistemi di protezione dei treni ed è progettata per sostituire i numerosi sistemi di sicurezza incompatibili attualmente utilizzati dalle ferrovie europee. Nel panorama tecnico-normativo, a queste problematiche si aggiunge la ricerca di velocità sempre più elevate, finalizzate a realizzare collegamenti più veloci tra i principali centri urbani, il che richiede lo studio e la messa in atto di soluzioni tecnologiche di avanguardia. Tutti questi fattori hanno stimolato la fioritura di tecniche e di specifiche molto variegate, delineando un contesto in costante e rapida evoluzione. In questo scenario, l’Italia è attualmente uno degli attori più significativi, sia per l’estensione che per la modernità della sua rete ferroviaria e del materiale rotabile. VIII La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata L’Italia ha raccolto la sfida tecnologica derivante dal contesto altamente dinamico che si è venuto a creare e sta partecipando attivamente alla gestione del quadro tecnologico e normativo. La costruzione della dorsale Torino-Lione, la galleria di base del Brennero o Brenner Basistunnel (BBT) e il progetto Grandi Stazioni Rail sono solo alcuni esempi di investimenti su grandi infrastrutture ferroviarie italiane, che contribuiscono all’ampliamento delle reti di trasporto trans-europee (TEN-T). Questo testo intende fare il punto della situazione sui sistemi a guida vincolata in generale, affrontando, nei diversi capitoli, gli aspetti salienti della gestione, della progettazione meccanica ed elettrica e della modellistica delle linee e dei sistemi di alimentazione, di trazione e di controllo. La descrizione delle problematiche tecniche, affrontate ad ampio spettro, includendo anche elementi storici di rilievo, intende contribuire alla diffusione di una cultura nel settore dei sistemi a guida vincolata. Gli argomenti trattati, che riguardano sia la componentistica (convertitori, materiale rotabile, sistemi di accumulo, azionamenti) che i sistemi elettrici, possono costituire un utile riferimento per ingegneri e tecnici impegnati a cogliere le opportunità offerte da un mercato in continua evoluzione. Fabrizio Marignetti INDICE Cap. 1. MODALITÀ DI TRASPORTO 1.1. Il fenomeno del trasporto........................................................................1 1.2. Domanda e Offerta...................................................................................2 1.2.1. Impostazione concettuale per lo studio della domanda e dell’offerta...................................................................................................2 1.2.2. Analisi delle serie storiche della domanda e dell’offerta a livello nazionale.........................................................................................4 1.2.2.1. Traffico merci e passeggeri per modalità di trasporto............4 1.2.2.2. Trasporto ferroviario passeggeri e merci.................................6 1.2.2.3. Metropolitane e Tranvie..........................................................9 1.2.2.4. Estensione della rete stradale, ferroviaria, metropolitana, e tranviaria...........................................................................................10 1.3. Caratteristiche e vantaggi della guida vincolata...................................13 1.4. Sviluppo del trasporto a guida vincolata..............................................14 1.5. Riferimenti.............................................................................................16 Cap. 2. AFFIDABILITÀ E SICUREZZA 2.1. Concetti e definizioni............................................................................17 2.2. Ruolo dell’affidabilità nella progettazione dei sistemi per la mobilità..........................................................................................................18 2.2.1. Affidabilità del componente: il guasto..........................................19 2.2.2. Metodi di valutazione analitica dell’affidabilità di sistema.........25 2.2.3. Metodi di prova e ottimizzazione dell’affidabilità: il progetto.....28 2.2.4. Valutazione del rischio: tecniche Risk Analysis...........................29 2.3. Sicurezza e protezione..........................................................................35 2.3.1. Gli impianti security......................................................................36 2.3.2. Gli impianti safety.........................................................................38 2.4. Sicurezza nelle gallerie delle linee metropolitane e ferroviarie..........40 2.4.1. Introduzione..................................................................................40 2.4.2. La prevenzione incendi nelle metropolitane................................40 2.4.3. La sicurezza nelle gallerie ferroviarie...........................................42 X La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 2.5. Riferimenti.............................................................................................44 2.5.1. Norme tecniche..............................................................................44 2.5.2. Libri................................................................................................45 2.6. Appendice - L’affidabilità del sistema continuo: il margine di sicurezza........................................................................................................45 Cap. 3. SISTEMI DI ALIMENTAZIONE PER LA TRAZIONE 3.1. La rete ferroviaria..................................................................................49 3.1.1. Le linee...........................................................................................49 3.1.2. I nodi..............................................................................................50 3.2. I sistemi di elettrificazione ferroviaria..................................................51 3.2.1. L’elettrificazione in corrente continua..........................................52 3.2.1.1. Le linee primarie di alimentazione delle sottostazione elettriche di conversione.....................................................................53 3.2.1.2. Le Sottostazioni elettriche di conversione............................54 3.2.1.3. Le linee di trazione................................................................68 3.2.2. Le interferenze prodotte dall’elettrificazione ferroviaria in c.c..........................................................................................................69 3.2.2.1. Le armoniche di tensione e di corrente................................69 3.2.2.2. Le correnti disperse ed i fenomeni corrosivi........................74 3.2.3. L’elettrificazione ferroviaria in corrente alternata........................84 3.2.3.1. L’alimentazione primaria.......................................................86 3.2.3.2. Le SSE in c.a. monofase.........................................................87 3.2.3.3. I posti ausiliari.......................................................................90 3.2.3.4. Linea di trazione e circuito di terra.......................................95 3.2.3.5. L’alimentazione dei servizi ausiliari e delle utenze di linea.................................................................................................98 3.2.4. Le interferenze prodotte dall’elettrificazione ferroviaria in corrente alternata....................................................................................100 3.2.4.1. Le interferenze elettromagnetiche.......................................100 3.2.4.2. Dissimmetrie e fluttuazioni di tensione nella rete di trasmissione in alta tensione.............................................................104 3.3. Riferimenti...........................................................................................111 Cap. 4. SEGNALAMENTO FERROVIARIO .1. Le funzioni e le logiche di sicurezza del segnalamento ferroviario: 4 governo della via, distanziamento e supervisione.....................................113 4.2. Evoluzione Tecnologica: Tecnica della circolazione su rotaia...........119 4.2.1. Distanziamento dei Treni............................................................119 4.2.2. ERTMS.........................................................................................127 4.2.2.1. Livello 1...............................................................................127 4.2.2.2. Livello 2...............................................................................128 4.2.2.3. Livello 3...............................................................................130 Indice XI 4.2.3. SCMT...........................................................................................130 4.2.4. Sistema di Supporto alla Condotta (SSC )..................................132 4.3. Sistemi di controllo della circolazione...............................................134 4.4. Nuove Tecnologie per l’incremento della sicurezza: RTB, PAI-PL e MTR...........................................................................................................143 4.4.1. Sistemi per il Rilevamento termico delle Boccole (RTB )...........143 4.4.2. Protezione Automatica Integrativa per Passaggi a Livello (PAI-PL)........................................................................................................144 4.4.3. Monitoraggio della Temperatura Rotaia (MTR )..........................145 4.5. Gli sviluppi delle tecnologie satellitari per il settore ferroviario.......146 4.6. L’evoluzione della normativa comunitaria: Direttiva 2004/49/CE e D.Lgs. 162/2007 - istituzione dell’SGS.........................................................147 4.7. Riferimenti...........................................................................................149 Cap. 5. MECCANICA DEL MOTO 5.1. 5.2. 5.3. 5.4. Cap. 6. Introduzione........................................................................................151 Forze di attrito statico..........................................................................151 Il fenomeno dello slittamento.............................................................153 Richiami di meccanica della locomozione.........................................155 PROPULSIONE ELETTRICA 6.1. Funzionamento dinamico degli azionamenti.....................................161 6.1.1. Condizioni di funzionamento delle macchine e degli azionamenti elettrici...............................................................................161 6.1.1.1. Funzionamento in regime stazionario.................................162 6.1.2. Funzionamento in dinamica........................................................162 6.1.2.1. Operazioni da generatore, motore e freno..........................163 6.1.2.2. Funzionamento nei quadranti.............................................164 6.1.2.3. Macchina asincrona.............................................................165 6.1.2.4. Macchina sincrona..............................................................167 6.1.2.5. Macchina a corrente continua.............................................168 6.2. Azionamenti elettrici per l’alta velocità in Europa............................171 6.2.1. Azionamenti Load-Commutated.................................................171 6.2.2. Il Load Commutated Inverter nel TGV.......................................175 6.3. Tecniche di controllo degli azionamenti per la propulsione ferroviaria....................................................................................................176 6.3.1. Il modello matematico della macchina trifase ad induzione.....176 6.3.2. Regolazione delle caratteristiche di un motore trifase ad induzione con controllo scalare.............................................................178 6.3.3. Algoritmo di controllo ad orientamento di campo.....................181 6.3.4. Controllo diretto e indiretto........................................................183 6.3.5. Controllo ad orientamento di campo diretto..............................184 XII La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata .3.5.1. Controllo diretto a orientamento di campo con stimatore 6 del flusso............................................................................................184 6.3.5.2. Controllo diretto a orientamento di campo con osservatore del flusso........................................................................185 6.3.6. Controllo ad orientamento di campo indiretto...........................188 6.3.7. Implementazione in ambiente Matlab-Simulink........................189 6.3.7.1. Case study 1: Avviamento con riferimento di velocità costante alla velocità nominale.........................................................190 6.3.7.2. Case study 2: Variazione a gradini del riferimento di velocità...............................................................................................190 6.3.7.3. Case study 3: Ciclo di lavoro a rampe.................................191 6.3.7.4. Case study 4: Variazione del riferimento secondo un arco di sinusoide................................................................................192 6.3.7.5. Case study 5: Avviamento con riferimento di velocità costante costante e pari a 200 rad/s .................................................192 6.4. Componenti caratterizzanti l’azionamento policorrente....................193 6.4.1. Il convertitore 4Q - Principio di funzionamento ed applicazione su ETR500.........................................................................193 6.4.1.1. Principio di funzionamento................................................195 6.4.1.2. Generazione dei riferimenti per la tensione V4..................197 6.4.1.3. Modulazione PWM..............................................................198 6.4.1.4. Modulazione bipolare..........................................................200 6.4.1.5. Modulazione unipolare ......................................................201 6.4.1.6. Considerazioni sullo sfasamento fra portante e modulante.......................................................................................203 6.4.1.7. Modulazione simmetrica e asimmetrica.............................204 6.4.1.8. Considerazioni sull’inter-allacciamento dei convertitori........................................................................................207 6.4.1.9. Applicazione del convertitore 4Q su ETR500....................208 6.4.1.10. Moduli fondamentali del sistema di controllo.................211 6.5. Riferimenti...........................................................................................226 Cap. 7. SISTEMI DI ACCUMULO DELL’ENERGIA ELETTRICA 7.1. L’accumulo di energia elettrica............................................................227 7.2. Missione del sistema di accumulo......................................................228 7.3. Accumulo di energia in forma elettrochimica....................................229 7.3.1. Caratteristiche fondamentali.......................................................229 7.3.2. Modulo, cella, pacco-batteria......................................................232 7.3.3. Autoscarica..................................................................................236 7.3.4. Vita utile.......................................................................................237 7.3.5. Valori nominali............................................................................238 7.3.6. Parametri specifici.......................................................................239 7.3.7. Tecniche di carica........................................................................239 7.3.8. Carica in tampone........................................................................242 7.3.9. Documentazione fornita dai costruttori......................................242 Indice XIII 7.4. Principali tipologie di accumulatori elettrochimici......................243 7.4.1. Accumulatori al Piombo (acido).................................................244 7.4.1.1. Principio di funzionamento................................................244 7.4.1.2. Tipologie e caratteristiche...................................................246 7.4.2. Accumulatori al Nickel - Idruri metallici...................................248 7.4.2.1. Generalità.............................................................................248 7.4.2.2. Principio di funzionamento................................................248 7.4.2.3. Effetto memoria...................................................................250 7.4.3. Accumulatori al Litio...................................................................251 7.4.3.1. Generalità.............................................................................251 7.4.3.2. Principio di funzionamento................................................251 7.4.3.3. Tipologie di batterie al Litio................................................253 7.4.3.4. Confronti..............................................................................254 7.4.3.5. Sicurezza..............................................................................256 7.4.4. Accumulatori Sodio-Nickel Cloro...............................................258 7.5. Modelli matematici di accumulatori elettrochimici e stima del SOC... 258 7.5.1. Limiti dei modelli finora discussi...............................................262 7.5.2. Valutazione dei parametri dei modelli........................................263 7.5.3. Analisi spettroscopica.................................................................265 7.5.4. Stima dello stato di carica...........................................................268 7.6. I supercondensatori.............................................................................269 7.6.1. Condensatori a doppio strato elettrico (EDLC )...........................270 7.6.2. Pseudocondensatori.....................................................................272 7.6.3. Condensatori ibridi......................................................................273 7.6.4. Modelli matematici dei supercondensatori EDLC......................274 7.7. Accumulo dell’energia in volani.........................................................277 7.8. Criteri di scelta e di dimensionamento sulla base di valutazioni tecnico-economiche....................................................................................278 7.8.1. Potenza, energia e diagrammi di Ragone....................................278 7.8.2. Selezione di un sistema di accumulo sulla base delle specifiche tecniche.................................................................................283 7.8.2.1. Scegliere la tipologia di accumulo......................................283 7.8.2.2. Scegliere la famiglia all’interno della tipologia considerata..284 7.8.2.3. Determinare la capacità ed il numero di celle....................285 7.8.2.4. Effettuare simulazioni numeriche.......................................287 7.8.2.5. Determinare l’ingegnerizzazione del sistema di accumulo....287 7.9. L’accoppiamento accumulatore-convertitore......................................288 7.10. Gli accumuli ibridi............................................................................290 7.11. Accumuli a bordo e a terra: valutazioni su un caso studio..............294 7.11.1. L’esempio considerato................................................................294 7.11.2. La frenatura a recupero senza sistemi di accumulo.................294 7.11.3. L’installazione di sistemi di accumulo stazionari.....................295 7.11.4. L’installazione di accumulo a bordo treno................................299 7.12. Considerazioni conclusive................................................................299 7.13. Riferimenti.........................................................................................300 XIV La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Cap. 8. SISTEMI DI TRASPORTO URBANO 8.1. Cenni storici sui sistemi di trasporto urbano.....................................303 8.2. Il Tram: su ferro e su gomma...............................................................307 8.3. Il filobus: dal tradizionale al bimodale...............................................314 8.4. La Metropolitana: pesante e leggera....................................................318 8.5. Gli organi di captazione......................................................................326 8.5.1. La presa ad asta............................................................................326 8.5.2. Il pantografo.................................................................................327 8.5.3. I sistemi a terza rotaia..................................................................330 8.5.4. Il ritorno della corrente e la quarta rotaia ..................................333 8.5.5. Tensione di alimentazione ..........................................................333 8.6. Le infrastrutture dei sistemi di trasporto urbano...............................334 8.6.1. La sede.........................................................................................334 8.6.2. Impianti tecnologici per i servizi al pubblico.............................339 8.7. Appendice 1.........................................................................................340 8.7.1. Le ricariche per conduzione e per induzione.............................340 8.8. Appendice 2.........................................................................................342 8.8.1. Normative di riferimento ............................................................342 8.9. Riferimenti...........................................................................................346 Cap. 9. SISTEMI DI TRASPORTO EXTRAURBANO 9.1. L'evoluzione tecnologica.....................................................................349 9.2. Generalità.............................................................................................356 9.3. Le apparecchiature di bordo...............................................................358 9.3.1. I pantografi...................................................................................358 9.3.2. Il sistema di sensori.....................................................................358 9.4. Schemi elettrici delle policorrenti......................................................360 9.4.1. Mezzi di trazione con motori in corrente continua....................360 9.4.2. Le policorrenti con equipaggiamento a tiristori.........................362 9.4.3. Mezzi di trazione con azionamento trifase sincrono..................363 9.4.4. Mezzi di trazione con azionamento trifase asincrono................365 9.5. Riferimenti...........................................................................................367 Cap. 10. I MODERNI MEZZI DI TRAZIONE POLICORRENTE DELLA FLOTTA TRENITALIA 10.1. Introduzione......................................................................................369 10.2. I mezzi di trazione policorrente “AV” del parco Trenitalia..............370 10.2.1. ETR 500 PLT “FRECCIAROSSA”...............................................370 10.2.2. ETR 600 “FRECCIARGENTO”...................................................375 10.2.3. ETR 1000 “FRECCIA 1000”.......................................................379 Indice XV 10.3. La gestione automatica dell’equipaggiamento elettrico dei mezzi di trazione policorrente tramite ERTMS..........................................384 10.3.1. Generalità sul sistema di alimentazione delle linee AC/AV e cenni su ERTMS..................................................................................384 10.3.2. Implementazione delle funzioni automatiche di cambio fase e di cambio tensione nell’esercizio AV dell’ETR 500 PLT.............385 10.3.2.1. Gestione automatica della sequenza di cambio fase........388 10.3.2.2. Segnali di interfaccia fra SSB e LV....................................388 10.3.2.3. Ruolo della LV nella esecuzione della sequenza di cambio fase....................................................................................389 10.3.2.4. Gestione automatica della sequenza di cambio tensione..............................................................................................390 10.3.2.5. La diagnostica del cambio fase e del cambio tensione.....394 10.4. Il sistema di captazione della corrente elettrica dalla catenaria nei rotabili della flotta AV: l’ETR 500 PLT..................................................399 10.4.1. Il sistema di regolazione della spinta continua del pantografo sulle motrici dell’ETR 500 PLT con l’introduzione della centralina di controllo del pantografo (PCU )....................................401 10.4.2. Le curve dinamiche di pressione realizzate dalla centralina PCU.........................................................................................................402 10.5. Trasformatore di trazione nei mezzi policorrente e fenomeni termici caratteristici....................................................................................404 10.5.1. Premessa....................................................................................404 10.5.2. Trasformatore di trazione della loco E404PLT..........................405 10.5.2.1. Caratteristiche costruttive.................................................405 10.5.2.2. Condizioni di funzionamento in corrente alternata (25 kV )................................................................................................... 407 10.5.2.3. Dati elettrici del trasformatore..........................................408 10.5.2.4. Descrizione dell’Impianto di Raffreddamento..................408 10.5.2.5. Differenze fra un trasformatore di distribuzione e un trasformatore di trazione...........................................................408 10.5.2.6. Prove di riscaldamento su Banco a Rulli..........................410 10.6. Simulatore termico dell’azionamento policorrente Esempio di applicazione su ETR 500 PLT..................................................419 10.6.1. Principi teorici sulla trasmissione del calore...........................420 10.6.1.1. Generalità...........................................................................420 10.6.1.2. Reti termiche (in regime stazionario)................................420 10.6.1.3. Resistenze termiche...........................................................421 10.6.1.4. Fenomeni termici transitori...............................................422 10.6.2. Caratteristiche tecniche principali del sistema di raffreddamento dell’azionamento del treno ETR 500.......................424 10.6.3. Modelli termici della catena di trazione...................................426 10.6.3.1. Introduzione......................................................................426 10.6.3.2. Procedimento generale per la realizzazione delle retitermiche........................................................................................426 10.6.3.3. Struttura dei modelli.........................................................429 10.6.3.4. Motore................................................................................430 10.6.3.5. Premessa.............................................................................430 XVI La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 10.6.3.6. Implementazione in MOTORCAD....................................430 10.6.3.7. Implementazione in “SIMULINK”....................................432 10.6.5. Gruppo di conversione..............................................................439 10.6.5.1. Rete termica.......................................................................439 10.6.5.2. Calcolo delle perdite .........................................................441 10.6.6. Trasformatore.............................................................................443 10.6.6.1. Rete termica.......................................................................443 10.6.6.2. Calcolo delle perdite..........................................................445 10.6.7. Interfaccia per i dati in input al simulatore termico................446 10.6.8. Validazioni dei modelli..............................................................449 10.6.8.1. Motore................................................................................449 10.6.8.2. Gruppo di conversione......................................................450 10.6.8.3. Trasformatore.....................................................................452 10.6.9. Simulazioni di tratta..................................................................453 10.7. Il processo manutentivo del materiale rotabile................................455 10.7.1. Il Piano di Manutenzione delle flotte AV di Trenitalia............457 10.7.2. Manutenzione predittiva su condizione (Condition Based Maintenance ) ed applicazione sulla flotta ETR 1000...........................459 0.7.2.1. Architettura del sistema di comando e controllo 1 ed interfacciamento con i sistemi di Terra.......................................460 10.7.2.2. Indicatori di vita residua...................................................460 10.7.2.3. Indicatori dello stato di salute...........................................463 Cap. 11. IMPIANTI DI TRASPORTO A FUNE 11.1. Introduzione......................................................................................467 11.2. Sintesi storica del trasporto a fune...................................................469 11.3. Classificazione e tipologia.................................................................474 11.3.1. 11.3.2. 11.3.3. 11.3.4. 11.3.5. 11.3.6. 11.3.7. 11.3.8. 11.3.9. Caratteristiche della via di corsa...............................................475 Modalità di trasmissione del moto ai veicoli............................475 Tipo di moto...............................................................................475 Numero di funi..........................................................................476 Tipo di collegamento del veicolo..............................................476 Tipo di veicolo...........................................................................477 Parametri secondari...................................................................477 Classificazione CEN...................................................................478 Classificazione segnaletica........................................................480 11.4. Componenti di base degli impianti ..................................................481 11.4.1. Funi............................................................................................481 11.4.1.1. Tipologia delle funi............................................................481 11.4.1.2. Scelta delle funi.................................................................485 11.4.1.3. Evoluzione delle funi.........................................................486 11.4.2. Argani.........................................................................................488 11.4.2.1. Motori.................................................................................489 Indice XVII 11.4.2.2. Riduttori.............................................................................490 11.4.2.3. Pulegge: puleggia motrice..................................................490 11.4.3. Freni e sistemi di frenatura........................................................491 11.4.4. Dispositivi di attacco e serraggio...............................................492 11.4.5. Il dispositivo di tensione ..........................................................493 11.4.6. Linea: Sostegni...........................................................................494 11.4.7. Rulli e rulliere............................................................................496 11.4.8. Progressi della tecnica per la sicurezza dei componenti .........497 11.5. Fondamenti teorici.............................................................................498 11.5.1. Grandezze caratteristiche..........................................................498 11.5.1.1. Potenzialità.........................................................................499 11.5.2. Tensioni nelle funi.....................................................................504 11.5.3. L’azionamento. Coppia. Potenza................................................507 11.5.3.1. La condizione di aderenza.................................................508 11.5.4. Costi degli impianti funiviari....................................................509 11.6. Funivie bifuni....................................................................................511 11.6.1. Impianti a va e vieni..................................................................511 11.6.1.1. Componenti.......................................................................514 11.6.2. Evoluzione delle bifuni a va e vieni..........................................516 11.6.2.1. Doppia portante per via di corsa.......................................516 11.6.2.2. Portanti ancorate................................................................517 11.6.3. Impianti bifune a moto unidirezionale 2S e 3S .......................517 11.6.4. Impianti bifune speciali: il Funifor...........................................519 11.6.5. Dispositivi di controllo delle bifuni..........................................521 11.6.6. Recupero dei trasportati............................................................522 11.7. Funivie monofuni..............................................................................522 11.7.1. Seggiovie e cabinovie a collegamento permanente..................523 11.7.1.1. Impianti Pulsé....................................................................524 11.7.2. Seggiovie e cabinovie a collegamento temporaneo..................524 11.7.2.1. Le stazioni..........................................................................526 11.7.2.2. Travi e meccanismi di accelerazione e decelerazione......527 11.7.3. Evoluzione delle monofuni: sistemi DMC e “Funitel”..............528 11.7.3.1. Il DMC................................................................................528 11.7.3.2. Il Funitel.............................................................................530 11.7.4. Dispositivi di controllo del collegamento temporaneo............532 11.7.5. Recupero dei trasportati............................................................533 11.8. Sciovie................................................................................................533 11.9. Funicolari terrestri.............................................................................536 11.9.1. Piani inclinati. Ascensori inclinati...........................................539 11.10. Teleferiche per materiali..................................................................540 11.11. Impianti funiviari urbani. APM......................................................543 11.11.1. Impianti APM..........................................................................546 11.11.1.1. Tipologie di APM.............................................................548 XVIII La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 11.11.1.2. Esempi di realizzazioni...................................................552 11.12. Documenti di riferimento................................................................555 Cap. 12. COMPORTAMENTO DINAMICO DEGLI IMPIANTI A FUNE 12.1. Funicolari terrestri.............................................................................557 12.1.1. Introduzione..............................................................................557 12.1.2. Modello Matematico Sistema Aperto........................................557 12.1.3. Sistema chiuso...........................................................................561 12.1.4. Analisi di differenti condizioni di funzionamento...................562 12.1.5. Accelerazione in salita ..............................................................562 12.1.6. Frenatura in discesa...................................................................564 12.2. Funicolari aeree ed impianti a moto continuo ad agganciamento automatico...................................................................................................567 12.2.1. Impianti a Vai e Vieni................................................................567 12.2.1.1. Introduzione......................................................................567 12.2.1.2. Meccanica della locomozione...........................................567 12.2.1.3. Analisi di differenti condizioni di funzionamento...........573 12.2.1.4. Accelerazione in salita.......................................................573 12.2.1.5. Frenatura in discesa...........................................................574 12.2.1.6. Analisi in regime stazionario............................................574 12.2.2. Impianti a moto continuo..........................................................577 12.2.2.1. Introduzione......................................................................577 12.2.2.2. Meccanica della locomozione ..........................................577 12.3. Impianti di sollevamento..................................................................585 12.3.1. Introduzione..............................................................................585 12.3.2. Meccanica della locomozione...................................................586 12.3.3. Analisi di differenti condizioni di funzionamento...................589 12.3.4. Accelerazione in salita...............................................................589 12.3.5. Frenatura in discesa...................................................................590 12.3.6. Accelerazione in discesa...........................................................590 12.3.7. Frenatura in salita......................................................................591 12.3.8. Analisi in regime stazionario....................................................591 12.4. Riferimenti.........................................................................................592 INDICE ANALITICO...................................................................................593 1 MODALITÀ DI TRASPORTO Gabriele Malavasi Sapienza - Università di Roma 1.1. IL FENOMENO DEL TRASPORTO Il trasporto di persone e cose interviene in tutte le attività umane e costituisce un mezzo necessario per la loro attuazione ed il loro sviluppo. I Trasporti sono necessari per soddisfare le esigenze di spostamento di persone per attività di lavoro, di studio, di svago, di cose dal luogo di produzione a quello di utilizzazione e consumo da quello di utilizzazione a quello di alienazione. I trasporti sono fondamentali per l’economia delle società moderne e la mobilità contribuisce al miglioramento della qualità di vita. Essi sono pertanto funzionali alla crescita economica, ma devono essere efficienti e sostenibili in termini di costi, sicurezza e rispetto dell’ambiente. Il sistema dei trasporti coinvolge e interagisce con lo sviluppo economico: un sistema efficiente favorisce la delocalizzazione della produzione, le dimensioni dei bacini portuali condizionano l’attracco delle navi e lo sviluppo economico del territorio, una stazione ferroviaria nell’area urbanizzata può favorire lo sviluppo di attività commerciali, la presenza di un sistema di trasporto rapido di massa incrementa il valore economico delle aree e delle strutture, ecc. Ogni sistema di trasporto è caratterizzato, oltre che dal mezzo di trasporto che costituisce il contenitore di persone e cose, dall’infrastruttura puntuale o lineare, dall’ambiente, dall’uomo e dalle regole operative che governano il funzionamento delle componenti e le interazioni tra di esse. Il mezzo in cui si svolge il movimento, inteso come aria, terra, acqua e la tecnologia utilizzata per il sostentamento, la guida e la trazione, definiscono le divere modalità di trasporto, per cui un sistema di trasporto può essere di tipo unimodale o plurimodale. Le problematiche attuali, gli obiettivi da raggiungere, i vincoli socio-economici-ambientali, la conoscenza delle relazioni fisiche e delle tecnologie disponibili sono gli aspetti da considerare per lo sviluppo dei progetti e l’individuazione delle alternative. Nella impostazione rigorosa di un problema tecnico-scientifico il numero delle soluzioni dipende dal confronto tra il numero delle equazioni ed il numero delle incognite. In generale in un problema di trasporti il numero delle relazioni è inferiore al numero delle incognite pertanto la soluzione non è unica ma vi sono più insiemi di valori che soddisfano le equazioni; tali insiemi definiscono le diverse alternative progettuali. 2 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Il problema si pone in genere come problema di ottimizzazione, massimizzazione o minimizzazione di una funzione obiettivo sottoposta a vincoli: il problema si potrebbe porre come ricerca del massimo risultato con il vincolo delle risorse a disposizione, oppure come ricerca del minimo di risorse necessarie con il vincolo di un prefissato risultato. L’accessibilità al territorio, lo sviluppo della mobilità, il riequilibrio modale strada-ferrovia del trasporto delle merci, la riduzione della congestione urbana, la riduzione degli impatti ambientali, la qualità e la regolarità degli spostamenti, il grado di sicurezza, il livello di comfort sono tipici obiettivi per la definizione degli interventi che devono essere affrontati a livello di piano, di programmazione strategica e di progettazione specifica. Il sistema delle attività definisce la domanda di trasporti, il sistema dei trasporti deve fornire l’offerta di servizi di trasporto che soddisfi le esigenze di mobilità. In estrema sintesi le fasi di un progetto di sistema di trasporto possono essere le seguenti: –– Individuazione degli obiettivi. –– Individuazione dei vincoli. –– Individuazione del sistema delle attività attuali. –– Individuazione del sistema di trasporto attuale. –– Formulazione del piano. –– Formulazione di modelli di domanda e offerta. –– Formulazione di progetti alternativi. –– Confronto e valutazione dei progetti alternativi. –– Scelta della soluzione. –– Progettazione degli interventi. –– Realizzazione degli interventi. Lo sviluppo delle fasi può essere affrontato con strumenti teorici e computazionali che utilizzano metodi e modelli della matematica applicata e dell’analisi numerica: esempio tecniche reticolari, tecniche matriciali, metodi di ottimizzazione, strumenti di supporto alle decisioni, programmazione lineare ecc. A livello di progettazione degli interventi intervengono competenze di carattere ingegneristico basate sulla fisica applicata sia di carattere sistemistico trasportistico, trasversale tra le varie discipline ingegneristiche, sia di carattere specialistico (civile, meccanico, elettrico, ecc.), sia di carattere socio-economico. 1.2. DOMANDA E OFFERTA 1.2.1. IMPOSTAZIONE CONCETTUALE PER LO STUDIO DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA Lo studio della domanda di trasporto, dell’offerta di trasporto e delle loro interazioni è oggetto di discipline specialistiche del settore Trasporti. Per una impostazione del problema e dei metodi di soluzione si può fare riferimento ai testi di Tecnica ed economia dei trasporti (Ricci, 2011 [1]) che Capitolo 1 - Modalità di trasporto 3 considerano il trasporto nelle sue accezioni tecniche ed economiche e introducono gli aspetti funzionali dal punto di vista sia tecnico sia economico. La bibliografia del settore offre riferimenti per una trattazione approfondita dei temi specifici. Lo schema concettuale per lo studio della domanda di trasporto di persone può essere rappresentato da una funzione di più variabili che definisce il valore del flusso del tipo: ( Fo,d,m,r , p = f Oo ,Dd ,Co,d ) Con: –– F: quantità di persone che si spostano; –– o: origine dello spostamento; –– d: destinazione dello spostamento; –– m: modo di trasporto dello spostamento; –– r: motivo dello spostamento; –– p: percorso dello spostamento; –– Oo: caratteristiche della zona di origine correlate con la mobilità; –– Dd: caratteristiche della zona di destinazione correlate con la mobilità; –– Co, d: costo generalizzato percepito dall’utente per lo spostamento dall’origine alla destinazione. La ricostruzione della funzione di domanda viene affrontata in genere combinando più modelli che considerano separatamente gli elementi che ne influenzano il valore. In molti casi viene utilizzato il cosiddetto modello a quattro stadi che considera: la generazione degli spostamenti, l’attrazione degli spostamenti, la modalità degli spostamenti, il percorso degli spostamenti. La previsione della domanda futura si basa fondamentalmente sull’analisi di parametri socio economici, caratteristici dei territori interessati dagli spostamenti (popolazione, reddito, produzione industriale, ecc.). Lo studio delle serie storiche, l’estrapolazione di valori tendenziali, le indagini mirate sul territorio integrate con i principi della teoria elementare della domanda consentono di formulare ipotesi sulla previsione della domanda futura. L’offerta di trasporto è un sistema complesso governato da relazioni di tipo deterministico e di tipo stocastico che rappresentano le azioni delle componenti del sistema costituito da veicolo-infrastruttura-uomo e le reciproche interazioni. Lo studio e la rappresentazione delle prestazioni del veicolo isolato si basano sulla elaborazione delle relazioni della fisica applicata per definire attraverso espressioni matematiche o grafiche: –– la sostentazione, –– la locomozione, –– la stabilità della marcia, –– le resistenze al moto, –– la trazione, –– la frenatura, –– l’equazione generale del moto, –– i diagrammi di marcia, 4 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– i consumi di energia, –– il confort di marcia, –– la sicurezza di circolazione. Lo studio e la rappresentazione delle interazioni tra veicoli si basano sulla elaborazione delle relazioni della fisica applicata per definire attraverso espressioni matematiche o grafiche: –– il deflusso negli impianti puntuali (stazioni, incroci, ecc.), –– il deflusso negli impianti lineari (strada, linea ferroviaria, distanziamento, ecc.), –– la sicurezza del movimento contemporaneo di più veicoli. Lo studio e la rappresentazione delle prestazioni delle infrastrutture si basano sulla elaborazione delle relazioni della fisica applicata per definire attraverso espressioni matematiche o grafiche: –– la rete di trasporto costituita da nodi (intersezioni, stazioni, aeroporti, porti, ecc.) ed archi (strade, linee ferroviarie, rotte, ecc.), –– le caratteristiche dimensionali, e prestazionali di archi e nodi, –– gli impianti tecnologici. Le regole operative definiscono sia le procedure funzionali delle componenti fisse (infrastrutture, impianti) e mobili (veicoli) sia i criteri funzionali per il comando e controllo del sistema e delle interazioni tra le componenti finalizzate a garantire l’efficienza del trasporto dal punto di vista tecnico, economico e della sicurezza. 1.2.2. ANALISI DELLE SERIE STORICHE DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA A LIVELLO NAZIONALE Le serie storiche dei parametri caratteristici della domanda (passeggeri* km, tonnellate*km) e della offerta (estensione della rete) oltre a fornire una dimensione del fenomeno del trasporto e delle sue modalità, sono alla base degli studi trasportistici e costituiscono il riferimento per la progettazione di nuovi interventi o il potenziamento di quelli esistenti. Nel seguito si riportano alcune elaborazioni di dati relativi alla situazione italiana in un orizzonte temporale fino al 2010-13 in funzione della disponibilità di dati rilevabili dai Conti Nazionali dei Trasporti [1]. 1.2.2.1. Traffico merci e passeggeri per modalità di trasporto Il traffico totale interno di passeggeri delle modalità di trasporto stradale, ferroviario (impianti fissi) aereo e marittimo espresso in passeggeri*km (Fig. 1.1) è di circa 800 miliardi di passeggeri *km nel 2012 ed è costituito per la maggior parte (circa 90 %) da traffico stradale. Dopo il 2010 si è avuta una sensibile flessione che ha interessato in modo significativo il trasporto stradale. Il traffico totale interno di merci, per le modalità stradale (per distanze maggiori di 50 km), marittima, ferroviaria e aerea (Fig. 1.2) è stimato di circa 200 miliardi di tonnellate *km per il 2012 e composto prevalentemente dal trasporto stradale (oltre 50 %). Nel periodo considerato è diminuita sensibilmente soprattutto la modalità stradale. 6 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Il trasporto ferroviario delle merci, modalità che potrebbe sostenere in modo più sostenibile questo tipo di traffico, assorbe una quota ridotta: esso corrisponde a circa un quinto del trasporto stradale ed alla metà di quello marittimo di cabotaggio. La ripartizione modale del trasporto merci costituisce sempre un tema di attenzione da parte di studiosi ed esperti del settore. Alcune delle problematiche oggetto di approfondimento sono: –– Incremento della capacità di circolazione di linee e nodi utilizzando le potenzialità degli impianti e le innovazioni tecnologiche. –– Controllo della integrità del convoglio merci per rendere possibili sistemi di distanziamento che aumentino la capacità di circolazione delle linee –– Riduzione dell’impatto acustico prodotto dalla circolazione dei convogli merci. –– Adozione di aggancio automatico dei carri per aumentare la sicurezza e ridurre i tempi di composizione e scomposizione. –– Adozione di soluzioni tecnologiche che riducano i tempi per il carico e lo scarico delle merci, dei contenitori e dei veicoli nelle stazioni. Altre difficoltà che condizionano lo sviluppo derivano dalla conformazione del territorio che di fatto limita la lunghezza del percorso ferroviario imponendo rotture di carico che penalizzano la modalità ferroviaria a favore di quella stradale: nel 2012 la percorrenza media per tonnellata relativa alle grandi imprese ferroviarie è stata pari a circa 220 km, inferiore al valore minimo ritenuto da alcuni necessario per giustificare la modalità ferroviaria per il trasporto merci, pari a 300-350 km. 1.2.2.2. Trasporto ferroviario passeggeri e merci Il trasporto ferroviario si sviluppa sulla rete nazionale e sulle reti regionali. La rete nazionale è affidata ad un Gestore dell’Infrastruttura nazionale, che è responsabile della infrastruttura e della apertura della rete a tutte le imprese ferroviarie pubbliche e private che chiedono di utilizzarla per offrire servizi di trasporto. Le reti regionali, di estensione ridotta rispetto a quella nazionale, sono gestite direttamente dalle regioni tramite aziende che in genere sono responsabili sia dell’infrastruttura sia del servizio di trasporto. Le reti regionali sono in alcuni casi connesse con la rete nazionale per cui i servizi di trasporto possono svilupparsi su entrambe le reti senza trasbordi (rotture di carico) per l’utente. I servizi di trasporto passeggeri a lunga percorrenza, sia tradizionali sia ad alta velocità, si svolgono in genere sulla sola rete nazionale. I servizi di trasporto di estensione regionale si svolgono sia sulla rete nazionale, sia sulle reti regionali. A livello urbano, l’offerta di trasporto si sviluppa su metropolitane e tranvie, che sono anch’essi sistemi di trasporto a guida vincolata. L’offerta di trasporto ferroviario complessiva è costituita da varie infrastrutture, gestite da amministrazioni diverse, con caratteristiche tecnologiche che solo in alcuni casi sono compatibili tra loro e costituiscono una rete interoperabile (rete nazionale e ferrovie regionali interconnesse). Capitolo 1 - Modalità di trasporto 1.2.2.3. 9 Metropolitane e Tranvie I servizi offerti da metropolitane e tranvie urbane ed extraurbane in termini di posti*km offerti sono tendenzialmente in aumento (Fig. 1.4) con tassi di crescita più accentuati per le metropolitane che per le tranvie. Le metropolitane sono sistemi di trasporto ad alta prestazione per capacità di trasporto dei veicoli (possono raggiungere oltre 1000 posti per convoglio), per distanziamento temporale dei treni (intervalli minimi fino a 90 secondi), per velocità commerciale (30 km/h). Le tranvie urbane hanno capacità per veicolo ridotta rispetto alle metropolitane (al massimo intorno a 200 posti o poco più), in ambito urbano sono spesso in sede promiscua, a volte tortuosa, che riduce la velocità commerciale a causa delle interazioni con la viabilità stradale. L’offerta in termini di posti*km offerti è circa un quarto o un quinto di quella delle metropolitane. Le alte prestazioni delle metropolitane giustificano la tendenza delle città densamente abitate a scegliere in questo sistema di trasporto; tuttavia la realizzazione, spesso in sotterranea, pone problematiche derivanti dalla presenza di reti di servizi sotterranei (acquedotti, fognatura, condutture elettriche, comunicazioni) o di reperti archeologi nel sottosuolo e di vibrazioni indotte sui fabbricati dal transito dei treni. La riduzione delle vibrazioni del sistema veicolo-via, alla sorgente, cioè al contatto ruota-rotaia, e l’attenuazione della trasmissione delle vibrazioni attraverso il sottosuolo ed i fabbricati costituiscono argomenti di ricerca scientifica e ambiti di applicazione delle innovazioni tecnologiche sia sul veicolo sia sulla via. Le tranvie, in genere superficiali, richiedono installazioni fisse per l’alimentazione dell’energia elettrica necessaria per la trazione che possono costituire impatti visivi specialmente nelle zone di maggior pregio storicoarchitettonico-paesaggistico. Si stanno sempre più diffondendo soluzioni tecnologiche che non richiedono la linea aerea e utilizzano conduttori collocati sotto la superficie stradale alimentati solo in presenza del veicolo. Dal punto di vista della progettazione trasportistica è significativo il rapporto tra viaggiatori*km e posti*km offerti: dalla Figura 1.4 si deduce un valore variabile tra il 20 % ed il 30 %, che corrisponde pertanto ad dimensionamento dell’offerta pari a 3-4 volte la domanda prevedibile. Tale sovradimensionamento dipende anche dalla necessità di seguire la fluttuazione della domanda nel tempo, massima nei periodi di punta giornalieri e minima nei periodi di morbida, con una capacità di trasporto adeguata. Il servizio a frequenza, che caratterizza le metropolitane e le tranvie, ben si adatta alle esigenze degli spostamenti urbani ma rende difficoltosa la variazione della capacità in relazione alla richiesta. In parte il problema può essere risolto con treni di capacità variabile (treni lunghi e treni corti) ma alcune esperienze hanno dimostrato l’inefficacia di tali soluzioni anche in relazione al maggior onere di gestione per la composizione e scomposizione di treni. Un sensibile vantaggio si può ottenere con sistemi completamente automatici, senza guidatore. In tal caso l’automazione nella movimentazione, nell’aggancio e nello sgancio di veicoli e l’assenza del vincolo della presenza Capitolo 1 - Modalità di trasporto 13 Inoltre le metropolitane e le tranvie, essendo in genere sistemi chiusi, non connessi ad altre reti, possono più facilmente usufruire delle innovazioni tecnologiche che la ricerca e lo sviluppo rende disponibili: ad esempio la guida automatica integrale, senza la presenza del conducente, la fermata a bersaglio nelle stazioni cioè con arresto del convoglio sempre in uno stesso punto prefissato, la trazione elettrica senza il filo di contatto aereo, il recupero di energia in frenatura con restituzione alla rete elettrica, costituiscono ormai soluzioni consolidate, largamente applicate. La standardizzazione e la interoperabilità delle reti facilita la circolazione di veicoli, ma non l’applicazione di innovazioni che potrebbero aumentare l’efficienza tecnico-economica del sistema di trasporto. Questa apparente contraddizione ancora limita ad esempio lo sviluppo dei sistemi tram-treno o treno-tram in cui le regole di circolazione ferroviaria impongono modalità di esercizio, prestazioni funzionali e caratteristiche costruttive non sempre corrispondenti a quelle tipiche dei veicoli tranviari. 1.3. CARATTERISTICHE E VANTAGGI DELLA GUIDA VINCOLATA Le funzioni che permettono il movimento dei veicoli di un sistema di trasporto dipendono dalle interazioni tra veicolo e infrastruttura, nei modi di trasporto stradale e ferroviario, o dalle interazioni tra veicolo e ambiente, aria o acqua, nei modi di trasporto aereo e marittimo. L’infrastruttura rigida o l’ambiente consentono di esplicare le funzioni di sostentamento, di trazione, di frenatura e di guida. Nei sistemi di trasporto a guida vincolata, la funzione di guida è affidata alla infrastruttura che con la sua configurazione definisce la traiettoria che il veicolo deve seguire. La funzione di guida non viene esplicata mediante dispostivi installati a bordo del veicolo (organi di sterzatura), ma mediante dispositivi fissi installati a terra. In tal modo si riducono i gradi di libertà del veicolo al quale rimane il compito di attuare e regolare i parametri cinematici del moto: la velocità, l’accelerazione, il verso di marcia. Il trasferimento della funzione di guida da bordo a terra ha il vantaggio di semplificare gli organi di rotolamento a cui rimane la funzione di consentire il movimento, sostenere il veicolo e di trasmettere le forze di trazione e di frenatura. La funzione di guida rimane tale anche se si inverte il verso di percorrenza della traiettoria. Nel caso di veicoli non motori, gli organi di rotolamento svolgono le sole funzioni di sostentamento e di frenatura. Con la guida vincolata non esistono limiti teorici alla composizione dei convogli, pertanto si possono avere convogli di qualunque lunghezza. L’imposizione della traiettoria, identica per tutti i veicoli, porta con sé una serie di altri vantaggi che hanno favorito lo sviluppo del trasporto ferroviario come sistema di trasporto collettivo di massa di elevate prestazioni sia per le lunghe distanze sia per le brevi distanze nelle aree urbane e metropolitane. L’inversione della marcia è semplificata specie nei servizi urbani e metropolitani: essa può avvenire mantenendo inalterata la composizione poi- 14 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata ché la posizione dell’unità di trazione nel convoglio può essere qualsiasi: infatti la funzione di guida agisce su tutti i veicoli del convoglio ed i veicoli possono essere indifferentemente spinti o trainati. Il vincolo della traiettoria uguale per tutti i veicoli consente di trasferire a terra anche il sistema di alimentazione dell’energia necessaria per la trazione: se si utilizza l’energia elettrica, essa può essere resa disponibile sia installando lungo la via conduttori elettrici da cui prelevare l’energia mediante contatti striscianti, sia installando a terra anche parte delle macchine necessarie a trasformare l’energia elettrica in energia meccanica (motori lineari). Con l’uso di motori elettrici al posto di motori termici si possono ottenere notevoli vantaggi in termini di potenza installata a bordo, di possibilità di recupero dell’energia durante le fasi di frenatura e di inquinamento atmosferico. La guida vincolata consente inoltre di realizzare la funzione di sostentamento senza ricorrere ad organi rotanti: sfruttando il fenomeno della levitazione magnetica si può ottenere il sostentamento del veicolo senza il contatto con la via. Le forze magnetiche necessarie al sostentamento richiedono che la traiettoria sia tale da mantenere constante la distanza tra veicolo e via senza contatto reciproco. In tal modo, mancando l’attrito dovuto al contatto si possono ottenere velocità più elevate di quelle ottenibili con organi rotanti. La marcia dei convogli ferroviari è basata su sistemi di segnalamento che inviano al treno le informazioni sullo stato della via e sulla velocità in modo da garantire la sicurezza di circolazione. Il binario deve essere equipaggiato con impianti tecnologici che svolgono funzioni di controllo della posizione del treno e della sua velocità. Il vincolo della traiettoria facilita lo scambio di informazioni tra terra e bordo e rende possibile la realizzazione di un sistema di comunicazioni ad alta affidabilità in grado di controllare e comandare la marcia dei convogli sia a comando manuale, sia ad automazione integrale indipendentemente dalla presenza del conduttore a bordo. Analogamente agli altri modi di trasporto l’infrastruttura ferroviaria ha in generale una configurazione a rete in cui i nodi rappresentano punti in cui si possono avere scambi di convogli tra più linee attraverso intersezioni convergenze o divergenze dei percorsi. Le linee ferroviarie hanno le dimensioni trasversali ridotte rispetto agli altri sistemi di trasporto; in caso di binari affiancati l’interasse è quello minimo necessario per evitare interferenze tra veicoli essendo garantito, dal vincolo della guida, il mantenimento della traiettoria. Nel caso di guida libera, come in campo stradale, le piste devono essere più larghe delle dimensioni trasversali dei veicoli a causa della variabilità delle traiettorie. 1.4. SVILUPPO DEL TRASPORTO A GUIDA VINCOLATA Lo sviluppo dei trasporti ricopre un ruolo fondamentale nella politica europea orientata ad un sistema di trasporti competitivo e sostenibile (EUROPEAN COMMISSION. White Paper on Transport, 2011 [3]). La tabella di marcia verso uno spazio unico europeo prevede alcuni obiettivi che considerano strategico lo sviluppo del trasporto ferroviario. 16 1.5. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata RIFERIMENTI [1] [2] [3] [4] Ricci S. (2011), Tecnica ed Economia dei Trasporti. Ulrico Hoepli Editore, Milano, 2011. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti. Anni 2007 – 2012. Roma - Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. EUROPEAN COMMISSION. White Paper on Transport. Roadmap to a single European transport area - Towards a competitive and Resource - Efficient transport system. (COM (2011) 144 final of 28 March 2011). UNIFE Reference The European Rail Industry - Roland Berger Strategy Consultants. Growth Market Promote Rail for Sustainable Mobility. Executive Summary 2012. (www.railwaygazette.com). 2 AFFIDABILITÀ E SICUREZZA Richard Bartoni♠, Alfonso Capasso♣, Fabio Garzia♣, Massimo Guarascio♣, Mara Lombardi♣, Giuliano Rossi♣ ♣Sapienza - Universita di Roma; ♠Salini Impregilo S.p.A. 2.1. CONCETTI E DEFINIZIONI L’affidabilità nel funzionamento e la sicurezza in caso di malfunzionamento costituiscono requisiti prestazionali fondamentali di qualunque sistema ingegneristico. Le teorie dell’affidabilità e della sicurezza hanno lo scopo, rispettivamente, di fornire metodi per valutare se un componente o un sistema sarà funzionante per un determinato lasso di tempo in cui l’utilizzatore lo richiederà e, in caso contrario, se il malfunzionamento costituirà pericolo per persone o cose. Si definisce: –– sistema: gruppo di elementi connessi reciprocamente che compiono una funzione; –– pericolo: qualità potenziale di un sistema di generare danno; –– danno: riduzione misurabile di valore o valore di ripristino o valore di liquidazione; comprende, nel caso di sistemi produttivi, anche l’effetto di mancato guadagno per fuori servizio del sistema; –– guasto: condizione di impossibilità di funzionamento atteso del sistema; –– incidente: condizione di guasto evoluta che realizza, attraverso una sequenza di eventi più o meno complessa, un flusso del pericolo (e quindi danno, D) verso valori esposti (beni materiali costituiti dal sistema stesso o presenti al contorno, persone); –– affidabilità: attitudine di un sistema ad adempiere alla funzione richiesta nelle condizioni fissate e per un periodo di tempo stabilito. –– rischio: misura dell’effettiva concretizzazione di un potenziale di pericolo, dimensionalmente definito dal prodotto tra la probabilità di realizzazione dell’incidente e il danno conseguente. Nella trattazione corrente la centralità concettuale è assunta dal fenomeno del guasto, eminentemente aleatorio, la cui trattazione richiede un approccio probabilistico. Le tecniche di analisi e gestione dell’affidabilità hanno lo scopo di progettare la probabilità di guasto di un sistema attraverso l’introduzione di ridondanze di sistema, politiche di rodaggio e di manutenzione preventiva dei componenti, nonché gestione della manutenibilità in caso di guasto. Le tecniche di analisi e gestione del rischio di un sistema hanno lo scopo di progettare la sicurezza di un sistema attraverso la valutazione del danno atteso (conseguenze in caso di guasto e di sua evoluzione in incidente) e la gestione di affidabilità e prestazioni di sistemi di produzione e sistemi di sicurezza per l’ottimizzazione e il controllo delle esternalità negative. Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza 19 scrivono la disponibilità in condizione di corretto funzionamento di un componente o di un sistema ed i fattori che la condizionano. La dependability (fidatezza, sicurezza di funzionamento) è il termine collettivo utilizzato per descrivere le prestazioni di disponibilità ed i fattori che le condizionano: affidabilità, disponibilità, manutenibilità, sicurezza. Tale approccio unitario, che prende il nome di RAMSIII, esprime l’affidabilità del corretto funzionamento di un sistema in rapporto a: –– Reliability (affidabilità): attitudine di un sistema ad adempiere alla funzione richiesta nelle condizioni fissate e per un periodo di tempo stabilito; –– Availability (disponibilità): attitudine di un sistema ad essere in grado di svolgere una funzione richiesta a un dato istante o durante un dato intervallo di tempo, in condizioni determinate, supponendo che siano assicurati i mezzi esterni eventualmente necessari; rispetto all’affidabilità tale attitudine risulta condizionata dai tempi di riparazione in caso di guasto; –– Maintenability (manutenibilità): attitudine di un sistema, nelle condizioni specificate di uso, ad essere conservato o ripristinato in uno stato nel quale può adempiere alle funzioni richieste, quando la manutenzione è espletata nelle condizioni specificate e usando le procedure ed i mezzi prescritti; –– Safety (sicurezza): stato in cui il rischio di danno alle persone o alle cose è limitato ad un livello accettabile. 2.2.1. AFFIDABILITÀ DEL COMPONENTE: IL GUASTO Nell’ambito della definizione fornita di affidabilità, assume rilevanza centrale la definizione del modello analitico rappresentativo del fenomeno del guasto. Nella teoria dell’affidabilità si distinguono tre tipi fondamentali di guasti spontanei (Fig.2.2): Figura 2.2: Tipologie di guasto in funzione del tempo di funzionamento. III Prima definizione in UNI EN ISO 8402 :1988. 20 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– guasti infantili: caratteristici del periodo iniziale della vita di un componente; nella gran parte dei casi sono il risultato dell’inadeguatezza delle tecniche di costruzione e di controllo qualità durante il processo di produzione; l’approccio preventivo efficace al controllo di tali guasti consiste in un maggior controllo di qualità del processo produttivo o nell’introduzione di una fase di rodaggio degli elementi prodotti al fine di scartare quelli viziati; –– guasti per usura/fatica: sintomatici del progressivo invecchiamento dei componenti; si possono prevenire attraverso l’introduzione di politiche di manutenzione programmata; –– guasti casuali: provocati da improvvise accumulazioni di sollecitazione, oltre la resistenza massima di progetto del componente, costituiscono la quota parte di inaffidabilità caratteristica intrinseca del progetto del componente; si verificano casualmente, ma la frequenza di guasto considerata su periodi di tempo sufficientemente lunghi è pressoché costante nella maggior parte dei casi reali. Facendo riferimento alle configurazioni di sistema R (affidabile) e S (sicura), è possibile selezionare i guasti in relazione all’effetto sulla sicurezza definendo: –– guasti critici, quelli che determinano configurazioni S*; –– guasti primari, quelli che determinano configurazioni R*; –– guasti secondari, quelli che costituiscono solo un degrado della condizione di massima efficienza del sistema. Il modello di guasto si ricava in generale in base ai rilievi statistici in esercizio o da risultati di prove funzionali in laboratorio, effettuate su una popolazione omogenea rappresentativa del sistema elementare considerato. Un sistema complesso può essere dotato di apparecchiature che svolgono continuativamente le funzioni alle quali sono preposte (componenti a funzionamento continuo) e di apparecchiature (anche le stesse) on demand (componenti interventivi) il cui corretto funzionamento, limitatamente ad alcune loro funzioni, è richiesto in specifici istanti di tempo. Si pensi al guasto di un interruttore in condizioni di normale assetto o di comando di intervento. Il grado di affidabilità di un componente, in relazione a tali modalità operative e/o di guasto on demand, dovrà essere opportunamente normalizzato: –– per i componenti on demand: facendo riferimento al numero di operazioni fallite rispetto al numero di operazioni correttamente svolte dall’apparecchiatura; –– per i componenti a funzionamento continuo: facendo riferimento al tempo medio di corretto funzionamento fino all’occorrenza del guasto. Introducendo la trattazione relativa al caso di componenti a funzionamento continuo, i dati rilevati si presentano come una serie di tempi di guasto; da essi si può ricavare la distribuzione dei guasti occorsi in funzione del tempo, da assumersi come stima della distribuzione della densità di probabilità di guasto in funzione del tempo. Un primo semplice modello affidabilistico prevede per un componente due soli possibili stati: funzionante e guasto. Introduciamo il concetto di tasso di guasto: Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza 21 –– N Numero di componenti in esame nel tempo di osservazioneIV; –– T Tempo di osservazione; –– NG Numero di componenti guasti al termine del tempo di osservazione; Il tasso di guasto osservato(λoss) è pari al valore delle occorrenze di guasto normalizzato rispetto al campione in funzionamento: NG N ⋅T λoss = (2.1) La stima di λoss tende al λ teorico al crescere del tempo di osservazione. La grandezza MTBF (mean time between failures) rappresenta il tempo medio tra due guasti successivi del sistema/componente. Il valore osservato di tale parametro, nel caso in cui sia trascurabile il tempo di riparazione, è MTBF = N ⋅T 1 = NG λoss (2.2) La probabilità di sopravvivenza al tempo t o affidabilità al tempo t [R(t)] può definirsi come la probabilità che un ente svolga correttamente la sua funzione in tutto l’arco di tempo che va dall’istante di inizio funzionamento (0) all’istante t ovvero, nell’ipotesi di componenti identici, come percentuale degli enti funzionanti su una determinata popolazione. Una grandezza di particolare interesse è la disponibilità A(t), cioè la probabilità di funzionamento corretto all’istante t. Definendo t0 l’istante di inizio di funzionamento del sistema/componente, sia: –– t: variabile aleatoria tempo al guasto del sistema/componente; –– f(t): funzione densità di probabilità di guasto. La f(t) quindi esprime la probabilità di guasto al tempo t. L’integrale della f(t) esprime la probabilità che il guasto avvenga nell’intervallo di tempo [0, t]. Nella terminologia affidabilistica la funzione descritta è denominata inaffidabilità del componente al tempo t: t Q ( t ) = ∫ f ( t ) dt t0 (2.3) Per contro, il complemento ad 1 dell’integrale della f(t) rappresenta R(t), affidabilità del componente al tempo t, avendo sfruttato la proprietà di f(t) per la quale: ∞ ∫ f ( t )dt = 1 to Si consideri che all’occorrenza del guasto, allo scopo di mantenere il campione di consistenza costante, il componente guasto deve essere rimpiazzato con un nuovo componente funzionante. Analogamente i componenti devono essere opportunamente testati al fine di ridurre opportunamente l’incidenza di guasti infantili e devono essere oggetto di manutenzione programmata al fine di controllare opportunamente l’incidenza di guasti per fatica. IV Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza R t N tot N t N t 1 N tot N tot Q (t ) = 23 (2.5) N (t ) (2.6) N tot e differenziando: dR ( t ) dt dQ ( t ) 1 dN ( t ) = − = − ⋅ = f (t ) dt N tot dt (2.7) Introducendo la definizione in forma semplificata esponenziale del tasso di guasto: λ (t ) = N tot = dN ( t ) N tot dN ( t ) 1 1 ⋅ = ⋅ ⋅ = dt N tot N tot − N ( t ) dt − N (t ) (2.8) N tot 1 dN ( t ) 1 ⋅ ⋅ = ⋅ f (t ) N tot − N ( t ) N tot dt R (t ) Questa equazione permette di affermare che f(0) = λ(0) poiché R(0) = 1. Inoltre essa mostra che la funzione tasso di guasto è una funzione condizionale della funzione densità di guasto. Ciò significa che la funzione densità di guasto permette il calcolo della probabilità di guasto in un qualsiasi periodo di tempo mentre la funzione tasso di guasto consente il calcolo della probabilità di guasto nel periodo di tempo successivo all’istante t supposto il componente sopravvissuto al tempo t. Essendo: f (t ) = dQ ( t ) dt = − dR ( t ) (2.9) dt si ha: 1 dR ( t ) λ (t ) = − ⋅ ⇒ R ( t ) dt R( t ) ∫ 0 t 1 dR ( t ) = ∫ λ ( t ) dt R (t ) 0 (2.10) e quindi: t ∫ − λ ( t )dt R (t ) = e0 t ln R ( t ) = ∫ −λ ( t )dt ⇔ (2.11) 0 Nel caso particolare in cui λ è costante e indipendente dal tempo, l’equazione precedente si semplifica nella: ˆ R ( t ) = eλ t (2.12) Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza 2.2.2. 25 METODI DI VALUTAZIONE ANALITICA DELL’AFFIDABILITÀ DI SISTEMA Lo scopo principale dell’analisi affidabilistica è quello di individuare la probabilità di corretto funzionamento di un sistema, cioè di un complesso di componenti, allo scopo di ottimizzarne le prestazioni. L’ottenimento dell’affidabilità di un sistema complesso è ottenuto, a partire dalle caratteristiche dei componenti, attraverso metodi dell’affidabilità combinatoria. In questi metodi il valore dell’affidabilità del sistema viene ricavato dall’affidabilità degli elementi mediante l’applicazione di semplici modelli probabilistici, di calcolo combinatorio e di logica dei grafi per descrivere le combinazioni di guasto e le connessioni tra gli elementi. Tali metodi si verificano sufficientemente validi finché il sistema è relativamente semplice, a pochi elementi, con due stati possibili per elemento (funzionante e non funzionante) e si può trascurare la correlazione tra i guasti. Gli schemi di combinazione semplice utilizzabili sono: –– combinazione serie; –– combinazione parallelo. Se il verificarsi di un qualunque guasto dei componenti del sistema provoca il fuori servizio dello stesso, i detti componenti potranno essere considerati in serie affidabilistica. Se viceversa soltanto la contemporaneità dei guasti di tutti i componenti costituenti il sistema ne determina il fuori servizio, tali componenti potranno essere considerati in parallelo affidabilistico. Si riportano nel seguito le espressioni matematiche che consentono di risolvere tali semplici sistemi: Serie Figura 2.6: Schema elementare di collegamento in serie. λ= λ1 +λ2 σ = rσ Parallelo Figura 2.7: Schema elementare di collegamento in parallelo. λ 1 r1 + λ 2 r2 + λ 1λ 2 r1 r2 1 = µσ λ1 +λ2 (2.16) (2.17) 26 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata µ= µ1 + µ 2 π λ= π λ 1 ⋅ λ 2 ⋅ ( r1 + r2 ) 1 = µπ l + λ 1 r1 + λ 2 r2 (2.18) (2.19) Al crescere della complessità del sistema la soluzione risulta meno immediata. In questi casi è utile riferirsi ai metodi risolutivi cut-set e tie-set. Un tipico esempio di tali sistemi è quello riportato nella figura seguente, che rappresenta il diagramma funzionale di un sistema fisico dotato di adeguate ridondanze al fine di consentire il flusso ingresso-uscita (ad es.: acqua, energia elettrica, ecc.). Figura 2.8: Configurazione di sistema complesso, non riducibile a collegamento serie o parallelo (Bridge). Immediatamente emerge l’impossibilità di ricondurre immediatamente il caso a complessi di sistemi elementari serie/parallelo. La maggior parte delle metodologie di analisi che andiamo a presentare si basano sulla trasformazione del funzionamento logico dei sistemi o della loro topologia in semplici strutture costituite da serie e/o paralleli di componenti, rami, percorsi. Con riferimento alla configurazione bridge riportata alla precedente figura si osserva che il sistema funziona correttamente se almeno uno dei percorsi AC, BD, AED e BEC è funzionante. Dividendo il sistema considerato nei due sottosistemi SS1 e SS2, per i quali si è fatta l’ipotesi che il componente E sia rispettivamente funzionante e guasto, è possibile applicare le semplici leggi dei sistemi serie/parallelo ed il metodo delle probabilità condizionate per arrivare a determinare l’affidabilità del sistema complesso. In tale ottica il sistema è scomponibile nei due sistemi mutuamente esclusivi riportati, ciascuno costituito da schemi di collegamento semplice serie / parallelo. Figura 2.9: Risoluzione dello schema bridge in schemi serie / parallelo. Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza 27 Nel caso in cui dopo una prima suddivisione i sottosistemi generati non risultino costituiti da semplici serie e paralleli si procede applicando iterativamente il metodo sino all’ottenimento di tale condizione. Un metodo risolutivo particolarmente adatto all’implementazione di calcolo automatica è rappresentato dal metodo del cut set. La sua applicazione consiste nel focalizzare le diverse modalità di guasto per le quali un sistema può andare fuori servizio. Un cut set minimo è un insieme di componenti il cui guasto determina il fuori servizio del sistema, e tale che il corretto funzionamento di uno qualsiasi degli elementi dell’insieme comporta il non guasto del sistema. A titolo d’esempio si riportano i cut set minimi relativi al sistema già considerato precedentemente. Tabella 2.1: Cut set minimi della configurazione Bridge. Configurazione Bridge Cut set minimi Componenti del cut set 1 AB 2 CD 3 AED 4 BEC Dalle definizioni appena date emerge chiaramente che gli elementi di un cut set minimo sono connessi in parallelo. Inoltre il sistema è fuori servizio se uno qualunque dei cut set minimi individuati presenta tutti i componenti guasti; pertanto ogni cut set minimo è collegato in serie con gli altri. Nel caso specifico della configurazione bridge, l’applicazione di tale metodo conduce al diagramma di affidabilità riportato. Figura 2.10: Schema di collegamento funzionale dei cut set minimi della configurazione Bridge. Una modalità di semplificazione del sistema consiste nel trascurare i cut set di ordine superiore ad un valore prefissato. Tale tecnica si basa sull’ipotesi che i cut set minimi di ordine superiore siano anche quelli meno probabili. Questa ipotesi è accettabile quando le affidabilità dei singoli componenti sono dello stesso ordine di grandezza. 28 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 2.2.3. METODI DI PROVA E OTTIMIZZAZIONE DELL’AFFIDABILITÀ: IL PROGETTO Le caratteristiche di affidabilità degli elementi possono essere valutate non soltanto a posteriori mediante i rilievi statistici, ma anche in sede di studio e sviluppo dei prototipi mediante prove adatte. Di tali prove le più importanti sono le cosiddette “prove funzionali”, concepite per simulare in modo accelerato, su modelli rappresentativi, l’effetto concomitante delle sollecitazioni di esercizio e determinare l’attitudine alla capacità resistente nel tempo. Tali prove costituiscono un valido strumento per progettare elementi con le desiderate caratteristiche di affidabilità al minor costo. Un problema di grande interesse è quello di definire il grado di affidabilità che si deve attribuire agli elementi di un sistema. In generale l’affidabilità di sistema è una prestazione che dipende dall’affidabilità della struttura di connessione dei suoi componenti. Per riflettere compiutamente sul caso, si consideri la formula di affidabilità composta dei sistemi serie e parallelo: a parità di costo delle affidabilità elementari, il sistema parallelo è ottimamente implementato quando si aumenta l’affidabilità del componente più affidabile, mentre il sistema serie quando si aumenta l’affidabilità del componente meno affidabile. È chiaro che il costo di un elemento cresce col grado di affidabilità richiesto, e oltre un certo limite questo aumento diventa proibitivo senza che aumenti sensibilmente il beneficio sul sistema. I gradi di affidabilità degli elementi sono grandezze che devono essere determinate in relazione all’affidabilità ottima del sistema. Non è quindi corretto per un elemento del sistema stabilire a priori un certo grado di affidabilità senza pensare al sistema in cui è inserito e di cui concorre a determinare l’affidabilità. Gli elementi del sistema devono essere tenuti in efficienza e essere riparati o sostituiti; è il problema della manutenzione che assorbe una importante parte del lavoro e una sensibile quota del bilancio di un’Azienda. Tale problema ha due aspetti fondamentali: gli elementi del sistema devono essere concepiti, realizzati e valutati non solo per fornire determinate prestazioni al momento del collaudo, ma anche per mantenere tali prestazioni durante la vita utile con una spesa di manutenzione minima. Nella valutazione di un elemento si dovrebbe tener conto non soltanto del suo costo di installazione, ma anche del suo costo di esercizio (vita utile e manutenzione). Le tecniche di progettazione di affidabilità consolidate si riferiscono, in genere, alla tassonomia introdotta dalla Norma IEC 61508, che esprime livelli codificati di prestazione SIL (Safety Integrity Level), in termini di PFD (Probability of Failure on Demand) e di PFH (Probability of Failure per Hour), rispettivamente per i componenti interventivi e per quelli a funzio Tabella 2.2: IEC 61508 - livelli di affidabilità di progetto. Average Probability of Failure on Demand (PFDavg)* Probability of Failure per Hour (PFH)** SIL 4 10-5 ≤ x < 10-4 10-9 ≤ x < 10-8 SIL 3 10-4 ≤ x < 10-3 10-8 ≤ x < 10-7 SIL 2 10-3 ≤ x < 10-2 10-7 ≤ x < 10-6 SIL 1 10-2 ≤ x < 10-1 10-6 ≤ x < 10-5 Safety Integrity Level (SIL) * Probabilità di guasto pericoloso a chiamata. ** Probabilità di guasto pericoloso per ora di funzionamento. Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza 29 namento continuo, (cfr. tabella seguente) prendendo in considerazione i soliguasti pericolosi. Laddove la complessità del sistema è tale da sconsigliare un test reale, buone stime di affidabilità complessa possono essere ottenute con metodi di simulazione operativa. La simulazione del sistema è sostanzialmente legata al tipo di problema da studiare e al grado di approssimazione desiderato. Anzitutto si deve rappresentare la struttura del sistema: topologia e connessioni tra elementi. Struttura, automatismi e intervento umano sono fattori essenziali dell’affidabilità e strettamente legati tra loro; il modello del sistema deve quindi simulare adeguatamente struttura e logica di funzionamento. I metodi di simulazione diretta tipo Montecarlo sono basati sulla possibilità di generare una serie di numeri casuali estratti da una distribuzione statistica voluta: tale possibilità consente quindi di simulare eventi dipendenti da variabili aleatorie aventi distribuzioni statistiche note. Nell’impiego del metodo Montecarlo la determinazione del grado di precisione può essere fatta osservando la dispersione dei risultati e arrestando il calcolo quando il livello di confidenza del risultato è ritenuto sufficiente. 2.2.4. VALUTAZIONE DEL RISCHIO: TECNICHE RISK ANALYSIS In generale sono state qualificate le condizioni di configurazione di un sistema come R e R* (funzionamento corretto/malfunzionamento) e S e S* (condizioni non pericolose e pericolose). L’analisi delle configurazioni S*, e quindi delle modalità di pericolo orientato a persone o cose, costituisce una modalità di gestione del sistema (sia in progetto che in esercizio) particolarmente importante ove siano presenti potenziali lesivi socialmente rilevanti: è il caso, certamente, delle infrastrutture di trasporto in generale e del trasporto collettivo in particolare. La stima della affidabilità di un sistema secondo un approccio affidabilistico non esaurisce in questi casi le necessità di analisi. Negli ultimi anni per la sicurezza delle gallerie stradali, ferroviarie e metropolitane si è andata affermando, nelle Direttive e Decisioni Europee e ancor più nei documenti tecnici delle associazioni internazionali, un’innovativa tendenza alla progettazione integrata in cui la sicurezza viene inquadrata in una logica di sistema. Gli obiettivi prestazionali prevalgono sui criteri prescrittivi: in sostanza crescono fiducia ed aspettative nelle soluzioni ingegnerizzate e tecnologiche e, conseguentemente, crescono le responsabilità di progettisti, costruttori e gestori. L’analisi del rischio del sistema si struttura quindi: –– nella identificazione degli incidenti rilevanti; –– nella valutazione delle catene complesse di guasti e malfunzionamenti che, variamente interagendo, costituiscono la modalità di genesi degli incidenti; –– nella valutazione evolutiva degli incidenti, in considerazione delle condizioni al contorno e della eventuale presenza ed efficacia di sistemi di protezione, mitigazione e facilitazione, fino a scenari di fine emergenza. L’analisi del rischio è completamente sviluppata quando per ciascun evento incidentale selezionato è stato completamente sviluppato il processo logico analitico generatore dell’incidente e il processo evolutivo successivo 30 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata ad esso, arrivando a considerare quindi tutti gli scenari di fine emergenza realizzabili. Si pensi, ad esempio, all’applicazione di analisi di rischio al caso ferroviario: definiti gli incidenti caratteristici (ad esempio deragliamento, collisione e incendioV), l’analisi si sostanzierà, per ciascuno dei tre incidenti, nella valutazione, logica e quantitativa, delle modalità di accadimento degli incidenti (ad es.: riferendoci al caso di incendio, sarà studiato il caso di incendio generato da corto circuito, da difetto all’impianto frenante, da innesco involontario ad opera di un passeggero, da atto vandalico… attraverso specifiche valutazioni statistiche su banche dati di casi recenti e/o con l’utilizzo di tecniche affidabilistiche) e della possibile evoluzione dell’incidente stesso (ancora con riferimento all’incendio, ipotizzato un incendio generalizzato ad un convoglio, si analizzeranno i casi variabilissimi di potenza del focolaio, sua durata, la presenza o meno di confinamento dei fumiVI, il grado di esposizione, la presenza o meno dell’impianto di spegnimento automatico a bordo, la distanza dal luogo sicuro delle persone esposte, il tempo di intervento delle squadre di soccorso esterne...). In funzione della modalità di evoluzione dello scenario variano in modo sostanziale i livelli di pericolosità differenti da cui dipende la severità delle conseguenze (effetti). Questo processo sequenziale di eventi viene illustrato graficamente considerando l’evento critico iniziatore come punto nodale tra le precondizioni (cause) e gli effetti (conseguenze): tale rappresentazione logico-strutturata della sequenza degli eventi è rappresentata nella figura che segue e definita nella letteratura anglosassone Bow-Tie Model. Figura 2.11: Bow-Tie Model: flusso logico-sequenziale del pericolo. L’Analisi di Rischio Quantitativa Probabilizzata (ARQP) integra l’analisi affidabilistico - prestazionale dei sistemi e dispositivi, a monte con i moL’esempio è proposto in coerenza con il disposto normativo del DM 28/10/2005, Sicurezza delle gallerie ferroviarie, Allegato III, Analisi di rischio. VI cfr § 3.4.3 V Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza 31 delli probabilizzati degli eventi e delle situazioni pericolose e a valle con l’analisi probabilizzata delle conseguenze generate dagli eventi pericolosi stessi e dalla loro evoluzione negli specifici scenari di pericolo. Le tecniche di Risk Analysis analizzano tutte le configurazioni di guasto assumibili dal sistema che possono generare l’incidente e tutte le configurazioni evolute di incidente che possono recare danno a persone e cose. L’identificazione degli incidenti rilevanti L’analisi del sistema deve orientarsi alla valutazione degli scenari evolutivi di guasto verso condizione di incidente, attraverso tecniche ricognitive strutturate (HazopVII, FMEAVIII, FMECAIX); si seleziona così un Gruppo Completo di Eventi Incidentali (GCEI), partizione completaX della condizione di sistema complementare allo status sicuro (status insicuro). L’insieme delle modalità incidentali selezionate deve quindi costituire il complemento logico al funzionamento del sistema in assenza di incidenti. Dal guasto del componente all’incidente: Fault Tree Analysis La valutazione delle catene più o meno complesse di eventi che, a partire dal guasto del singolo componente, evolvono verso la realizzazione di un incidente, è efficacemente studiata attraverso la tecnica Fault Tree Analysis (analisi ad albero dei guasti). Utilizzando questa procedura si può ottenere, nel rispetto delle regole di composizione degli eventi aleatori, la quantificazione delle cause elementari e complesse che generano l’incidente. Una procedura tipica di applicazione dell’analisi dell’albero dei guasti con approccio top-down consiste nelle seguenti fasi: –– acquisire una conoscenza completa ed approfondita del sistema oggetto dell’analisi, della sua struttura, del suo funzionamento e delle sue prestazioni; –– evidenziare le cause prime, a livello di sottosistema, generatrici dell’incidente e qualificarne le interazioni/combinazioni in termini di operatori logici; –– approfondire l’analisi al livello immediatamente inferiore, ricercando il complesso di cause generatrici delle cause prime e così via ripetendo l’approfondimento per i livelli successivi fino ad arrivare ad un livello di sviluppo dell’albero in cui l’analisi stessa non è più ulteriormente sviluppabile. Questo processo di destrutturazione dell’incidente in cause via via più elementari conduce, nell’ultimo livello, ad individuare cause radice, costituite sempre da guasti elementari di componenti del sistema (e errori procedurali elementari se il sistema complesso vede la presenza rilevante del fattore umano). L’analisi FTA prevede per i guasti un modello binario. I legami tra i guasti possono quindi essere espressi attraverso le funzioni logiche AND e OR. Se il verificarsi di uno qualunque dei guasti provoca l’evento considerato (eleHAZard and OPerability analysis. Failure modes and effects analysis. IX Failure Mode, Effects, and Criticality Analysis. VII VIII X ( ) ( ) ( ) ∀i, j i ≠ j P EI i ∪ EI j = P EI i + P EI j ( ) 0 e i EI i = EI . ⇔ P EI i ∩ EI j = 32 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata menti in serie) si userà la funzione logica OR. Se viceversa solo la presenza contemporanea di tutti i guasti provoca l’evento considerato (elementi in parallelo) si userà la funzione logica AND. La probabilità di realizzazione dell’incidente viene calcolata attraverso l’opportuna combinazione probabilistica delle cause radice (e quindi dalle inaffidabilità dei componenti rilevanti del sistema) nel sistema di operatori logici che costituiscono l’albero. Con riferimento all’esempio proposto di incendio al treno, l’analisi ad albero dei guasti contemplerà un livello primario di cause evolute costituite dal cortocircuito, dal caso di vandalismo, dal difetto all’impianto frenante… nei termini già descritti, coordinate tra loro con porta OR (la probabilità di avere incendio sarà data dalla somma delle probabilità di avere incendio a causa di una qualunque di queste cause evolute). Ciascuna causa evoluta viene a sua volta analizzata nelle sue proprie cause generatrici, e così via scendendo fino alle cause radice e riferendoci quindi alla difettosità di componenti elementari (si pensi ad esempio all’evento di cortocircuito innescante l’incendio che sarà caratterizzato dalla probabilità di perdita di isolamento con generazione conseguente del corto e dalla contemporanea assenza o malfunzionamento delle protezioni). Scenari evoluti di incidente: Event Tree Analysis Avvenuto l’incidente, le condizioni di lesività verso persone e beni esposti sono molto condizionate dalla qualificazione di dettaglio dell’incidente stesso e dell’ambiente in cui esso è occorso. Considerando, in chiave termodinamica, un incidente come una trasformazione di energia potenziale (chimica, gravitazionale…) in energia meccanica e/o termica in modo incontrollato, è immediatamente comprensibile come il danno conseguente a questo processo libero sia, anch’esso, una grandezza aleatoria. Riferendosi al ricorrente esempio di incendio al treno, innanzitutto, definito l’accadimento dell’incendio, risulta necessario considerare la complessa variabilità del fire design, circa quindi potenza espressa dall’incendio, durata dell’incendio, qualificazione dei prodotti della combustione (che dipendono in generale dal combustibile disponibile), possibilità per gli esposti diretti di allontanarsi all’interno del convoglio o meno, tempi di arresto del convoglio (che dipenderà dalla presenza efficiente ed efficace di un impianto di rilevazione automatica di incendio, o dall’affidabilità di procedure manuali di allarme), la capacità del convoglio di mantenere la trazione fino al raggiungimento di una fermata attrezzata, l’eventualità di fermata in condizione di ambiente confinato (arresto per guasto emergente in galleria o in stazione sotterranea), la capacità di autosoccorso dei passeggeri esposti. Scelto un qualunque scenario finale di incidente, questo sarà costituito dall’emergere di un esito specifico tra quelli possibili, costituiti da tutte combinazione delle variabili descritte. Per ciascuno scenario finale di incidente è valutabile, attraverso metodi simulativi opportuni (ad esempio, in caso di analisi di scenario di incendio, attraverso simulazioni termo-fluidodinamiche e di esodo), il numero di vittime atteso. L’ETA costituisce quindi la rappresentazione sequenziale ed interconnessa di tutti i percorsi alternativi di evoluzione degli scenari di pericolo innescati da un evento iniziatore; ciascuno di tali percorsi alternativi del flusso di pericolo conduce ad uno specifico e distinto scenario di danno di fine Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza Figura 2.12: Albero degli eventi. 33 emergenza (Evento Conseguenza), caratterizzato da una probabilità di accadimento e da un livello di gravità delle conseguenze di danno; il complesso degli Eventi Conseguenza costituisce una partizione completa di dettaglio delle condizioni insicure di sistema, ed è quindi definito Gruppo Completo degli Eventi Conseguenza (GCEC). I concetti di probabilità, incompatibilità ed indipendenza di eventi e le proprietà che ne discendono sono strumenti indispensabili alla caratterizzazione quantitativa probabilizzata del bow-tie, cioè del flusso logico sequenziale che descrive l’evoluzione del pericolo fino alla determinazione del gruppo completo di eventi conseguenza. In particolare si consideri che, nell’ambito della risoluzione quantitativa dell’albero degli eventi, sono verificati i concetti di incompatibilità tra eventi biforcazione e di dipendenza o indipendenza statistica tra eventi in successioneXI. La valutazione del rischio L’analisi di rischio è costituita da un insieme di procedure utilizzate per misurare quantitativamente attraverso opportuni indicatori il livello di rischio associato ad una definita configurazione progettuale di sicurezza. L’applicazione descritta è finalizzata alla verifica dell’efficacia della configurazione progettuale all’ottenimento di un valore del rischio (quindi un danno atteso) compatibile con determinate soglie di validità generale. Le tecniche presentate hanno lo scopo di sviluppare una raccolta completa degli scenari di incidente realizzabili. Lo scenario definito da ciascun evento di fine ramo è caratterizzato da un indicatore di probabilità di accadimento, ottenuto attraverso la produttoria delle probabilità delle biforcazioni dei livelli precedenti. Allo scopo della quantificazione del rischio, assume particolare rilevanza l’analisi del danno associato a ciascuno scenario finale (Evento Conseguenza). In particolare, definito lo scenario finale in termini di configurazione di sistema, il danno conseguente ha la caratteristica di essere una variabile aleatoria (va)XII, generalmente continua. Operativamente, con riferimento Per approfondimenti sulle tecniche statistiche specifiche si veda, ad esempio, Birolini, A. (1994). Reliability engineering: theory and practice. VI Edizione, 2010. New York: Springer. XII Una va continua è caratterizzata da una funzione di densità di probabilità p ( x ) XI d2 tale che, necessariamente per p ( x ) ≥ 0 per ∀x ; p ( d1 ≤ D ≤ d2 ) = ∫ p ( x ) dx d1 p (= D ≥ 0) +∞ ( x ) dx 1 ∫ p= 0 ; 34 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata all’esempio ricorrente di incendio al treno e dell’ETA sviluppata, la procedura di valutazione del rischio si sostanzia nel calcolo della probabilità degli scenari di fine ramo (gruppo completo degli eventi conseguenza), ciascuno ottenuto dalla produttoria delle singole probabilità di nodo. Ciascuno scenario si caratterizza, inoltre, per uno specifico livello di danno associato, costituito ad esempio dal numero di vittime ad esso riferibile. Ciascun evento di fine ramo è così caratterizzato da una coppia di valori Pi e Di. Sulla base di questa analisi quantitativa sono definibili indicatori di rischio caratteristici quali: –– rischio totale (RT): definito come RT = ∑ Pi Di (2.20) i avendo definito le Pi e le Di di fine ramo dell’albero degli eventi; il valore così ottenuto costituisce la media ponderata (con pesi costituiti dalle probabilità degli scenari di fine ramo) di tutti i danni realizzabili in caso di incidente. Per questo motivo il rischio totale è detto anche danno atteso. –– rischio individuale (RI o IR): ottenuto dividendo il valore atteso del danno (RT) per la totalità del valore esposto; nel caso dell’incidente al treno, considerata la probabilità annua di accadimento dell’incidente con riferimento ad una precisa tratta e uno specifico piano di esercizio, la normalizzazione del danno atteso (calcolato in numero di vittime) per ottenere il rischio individuale deve essere operata sul numero totale di passeggeri che usano quella tratta nell’anno di riferimento. In questa accezione, immediatamente comprensibile, il rischio individuale costituisce la probabilità di restare vittima in occasione di incidente per il generico utente del servizio (in genere con riferimento al km annuo percorso). Il rischio individuale è confrontato, nel caso di alcune normeXIII, con valori di accettabilità assoluta e inaccettabilità assoluta. La fascia di variabilità compresa tra questi due limiti è in genere definita ALARP XIV e l’accettazione di valori di IR compresi in questo range richiede la esplicitazione dei motivi che rendono non conveniente il perseguimento di soluzioni progettuali/funzionali di maggiore sicurezza. Figura 2.13: Esempio di criterio di verifica sul RI, ricavato dall’Allegato III del DM 28/10/2005 Sicurezza delle gallerie ferroviarie. –– rischio sociale: esprime la probabilità annua, per un prefissato valore di danno D*, di avere incidenti con un numero di vittime pari o superiori a D*XV. XIII XIV È il caso del DM 28/10/2005 Sicurezza in galleria ferroviaria. As Low As Reasonably Practicable. XV Il RS è valutato rappresentando in un piano la funzione retrocumulata del danno, ot- Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza 2.3. 35 SICUREZZA E PROTEZIONE La sicurezza di un sistema intesa in senso generale, e cioè la capacità dello stesso di non evolvere verso stati indesiderati, comporta non solo aspetti riguardanti la protezione di persone e beni da attacchi volontari (furto, sabotaggio, spionaggio, terrorismo, ecc., che nella lingua inglese vengono indicati con il termine security) ma anche quelli volti alla protezione di persone e beni da eventi incidentali (incendi, fughe di sostanze tossiche e pericolose, alluvioni, catastrofi naturali, ecc., orientati, quindi alla safety). Allo scopo di superare l’ambiguità, tali termini tendono sempre più ad essere utilizzati anche nella lingua italiana. Rientrano più propriamente tra questi ultimi i concetti di sicurezza ferroviaria. Con riferimento agli aspetti progettuali di sistema va osservato che nel campo degli impianti ferroviari di sicurezza e di segnalamento (descritti in un successivo capitolo) è tradizione il non accontentarsi solo di livelli di sicurezza elevati, associati a valori assai ridotti di probabilità di guasto, quali quelli del tipo definito al precedente paragrafo. La conseguenza del fatto di considerare tradizionalmente la sicurezza in ferrovia un fatto deterministico, sul quale intervenire in qualsiasi condizione di guasto, è che esiste in ferrovia la possibilità, non così presente in altri sistemi di trasporto, come ad esempio quello aeronautico, di ripiegare, tramite il maggiore intervento dell’uomo e specifiche norme cautelative di marcia, su di una condizione alternativa di sicurezza, quale una procedura con funzioni degradate, e al limite l’arresto della circolazione. L’esistenza di una tale possibilità consente di cercare di essere sicuri che un qualsiasi guasto non possa che provocare il passaggio ad una situazione di minore disponibilità, ma di uguale sicurezza, in quanto più limitativa solo per la circolazione, fino a raggiungere, al limite, il completo fermo di tutti i treni circolanti nella tratta interessata dal guasto. Apparecchiature che implementino il concetto sopra esposto, vengono definite “fail-safe”, termine che può essere correttamente tradotto come “a prova di guasto pericoloso” oppure “a sicurezza intrinseca”. Ad esempio, la realizzazione del fail-safe del sistema di frenatura meccanica dei rotabili, si concretizza con l’azione di produrre una depressione nella condotta ove si trova l’aria, abitualmente ad una pressione di 5 bar, qualora si desideri effettuare una frenatura. Tale azione tiene conto anche dell’occorrenza di un guasto alla condotta stessa ed, in particolare, della sua rottura. In tale circostanza infatti, la depressione dell’aria diventa un evento inevitabile e l’effetto conseguente è l’arresto del convoglio. Una delle più semplici vie da seguire per giungere a risultati fail-safe è quella di raggiungere, e mantenere in atto, una situazione permissiva agli effetti della circolazione, con l’immissione di un’energia esterna nell’apparecchiatura. Altro sistema idoneo per realizzare un impianto fail-safe è quello della introduzione del cosiddetto controllo di ciclo. La sicurezza fail-safe viene ottenuta attraverso la suddivisione delle operazioni inerenti la circolazione tenuta integrando in modo discreto i valori di probabilità ottenuti a fine ramo per valori di soglia crescenti di danno. 36 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata in fasi e permettendo che ogni fase possa avere inizio solo se la fase precedente abbia avuto uno svolgimento completo e regolare: di conseguenza ogni anormalità, impedendo la successione delle fasi del ciclo, blocca la circolazione. Va comunque sottolineato il fatto che in condizioni di degrado o di blocco della circolazione, la sicurezza torna ad essere delegata all’uomo, con ciò prefigurando una possibile correlazione tra affidabilità e sicurezza di sistema. Ne consegue che comunque il progetto di sistema debba perseguire i più elevati possibili valori di MTBF. In un impianto complesso i necessari livelli di affidabilità vengono perseguiti attraverso la ridondanza, ottenuta raddoppiando, od anche moltiplicando più volte, le condizioni che - ovviamente attraverso strade tra di loro indipendenti - devono verificarsi per raggiungere, con la voluta sicurezza, un determinato funzionamento. Si tratta, in genere, di duplicazioni spaziali, ottenute con l’impiego di due o più apparecchiature indipendenti che devono fornire contemporaneamente segnali di uscita concordanti. È evidente come introducendosi più condizioni indipendenti decresca geometricamente la probabilità che tutte le condizioni siano contemporaneamente escluse dalla presenza di altrettanti guasti. Il ricorso al sistema della ridondanza - che può riguardare anche interi calcolatori o microprocessori - si impone e può consistere, come detto, nel paragone di più risposte che devono risultare tutte concordanti o nel paragone di un numero dispari di risposte di cui viene considerata valida la maggioranza. Va inoltre tenuto presente che nella scelta dei componenti vengono adottati di regola elevati coefficienti di sicurezza tanto nei riguardi della qualità dei materiali da impiegare quanto nei dimensionamenti, realizzando così componenti che, sottoutilizzati rispetto alle loro possibilità limite, certamente sono in grado di dare elevato affidamento. 2.3.1. GLI IMPIANTI SECURITY La famiglia degli impianti security è costituita dagli impianti antintrusione e antifurto, dagli impianti di controllo accessi e dagli impianti di videosorveglianza TV a circuito chiuso (TVCC) mentre la famiglia degli impianti safety è costituita dagli impianti di rivelazione incendi, gas tossici e pericolosi ed altro. Sia gli impianti security che gli impianti safety vengono integrati mediante opportune reti di telecomunicazione, sistemi di supervisione e controllo o building automation, dando vita a sistemi di sicurezza integrata caratterizzati da funzionalità e affidabilità elevate. Si pensi infatti ad un impianto controllo accessi che blocchi l’accesso in una zona teatro di incendio, o in cui è avvenuta una fuoriuscita di sostanze pericolose. Si pensi ancora al caso di un impianto di TVCC, in grado di verificare la presenza di situazioni pericolose in una determinata zona, permettendo di attivare tutte le procedure necessarie alla tutela delle persone eventualmente presenti o che debbono accedere in tale zona. Gli impianti di sicurezza possono essere ricondotti ad uno schema semplificato in cui sono chiaramente identificabili i seguenti componenti: – elementi in campo (sensori antintrusione o lettori controllo accessi o telecamere); – centrale di raccolta, elaborazione e gestione delle informazioni raccolte dai sensori; 38 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata la resistenza all’intrusione mediante separazioni. Per fare ciò è necessario identificare le varie aree, valutarne i relativi rischi e definire i percorsi accessibili ai vari livelli di accreditamento. La sicurezza elettronica integra e supporta la sicurezza fisica, facendosi carico della rivelazione delle intrusioni e dell’attuazione delle contromisure necessarie, tra cui la trasmissione di tali informazioni alle forze di intervento o comunque la segnalazione acustica e visiva di una avvenuta intrusione: i sistemi di sicurezza rivelano la presenza di intrusi attraverso sensori opportuni e rendono disponibile tale informazione alle squadre di sicurezza; l’allarme può essere progettato in funzione aperta o riservata, consentendo, nel secondo caso, solo alla squadra di intervento e non al soggetto penetrato di avere contezza dell’avvenuta intrusione. La progettazione di un sistema di sicurezza deve assicurare la perfetta integrazione con la struttura dell’edificio e del sito da proteggere. Un sistema di sicurezza efficace dovrebbe essere: –– –– –– –– selezionato a seguito di un’analisi accurata delle prestazioni attese; complementare al sistema di sicurezza fisica; semplice da utilizzare, comprendere, installare e mantenere; molto difficile da eludere, sabotare e attaccare sia dall’interno che dall’esterno; –– accettato dagli utilizzatori, dalle compagnie di assicurazione, dai vigili del fuoco, dalle forze dell’ordine e dagli operatori; –– affidabile nell’uso; –– in grado di funzionare fin dalla prima accensione e in maniera continuativa. Un problema ricorrente è costituito dalla necessità di progettazione della sensibilità del sistema: la rilevazione non dovrebbe dare origine a falsi allarmi provocati da disturbi ambientali e interferenze elettromagnetiche in quanto i falsi allarmi tendono a generare assuefazione nei confronti di chi è deputato all’intervento, inficiando uno dei tre parametri su cui si basa un corretto piano di sicurezza (sicurezza elettronica, sicurezza fisica, intervento umano). 2.3.2. GLI IMPIANTI SAFETY Ricollegandosi logicamente alle valutazioni espresse nella definizione delle configurazioni di sistema S*, caratterizzate da pericolo verso esposti, assumono particolare rilevanza le prestazioni, in termini di prevenzione alla genesi del flusso pericoloso e in termini di mitigazione delle conseguenze sugli esposti, fornite da impianti dedicati alla safety. In senso lato, accanto agli impianti dedicati, vanno annoverati gli effetti safety garantiti da sistemi a finalità principale diversa: la resistenza alle sollecitazioni dinamiche o alle sollecitazioni termiche di una qualunque struttura costituisce una prestazione safety espressa da un sistema non specificamente orientato. Affrontando il tema degli impianti safety dedicati, una prima differenziazione rilevante è riconoscibile nel carattere attivo o passivo della prestazione del sistema: l’impianto esprime un carattere attivo laddove è Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza 39 possibile un intervento direttamente condizionante la sorgente di pericolo; diversamente l’impianto genera un condizionamento sugli effetti di autosoccorso, favorendoli, in generale facilitando la lettura dell’emergenza e la tempestività dell’intervento di soccorso interno o esterno. In questa accezione, impianti tipicamente safety attivi sono costituiti da impianti di spegnimento incendi o sistemi attivi di smorzamento delle vibrazioni in caso di sisma. Esempi rilevanti di sistemi passivi sono costituiti da impianti di rilevazione incendi (ottici o termici) che fornendo la notizia del pericolo in modo affidabile e senza ambiguità, consentono l’adozione tempestiva della strategia di separazione tra flusso di pericolo ed esposti e attivano velocemente le squadre di intervento specializzate nel contenimento dell’evoluzione del pericolo. La prestazione di questi impianti condiziona l’evoluzione del flusso di pericolo (impianti attivi) e dell’interazione fra esposti e flusso di pericolo (impianti passivi) avendo effetto diretto sulla consistenza probabilistica di scenari evoluti di fine emergenza: in generale il miglioramento in termini di efficienza ed efficacia delle prestazioni safety comporta, a livello di valutazione del rischio, nell’ambito delle analisi ad albero degli eventi (cfr § 2.4), un effetto di trasferimento di quote di probabilità di scenario da scenari ad elevato danno verso scenari a danno più basso. Anche questo tipo di impianti è in generale integrato nelle centrali di controllo, che costituiscono la radice comune dei vari impianti security e safety. Tali centrali si occupano della gestione specifica e dedicata degli impianti, e sono in grado di ricevere e inviare informazioni di comando e controllo all’esterno, tramite opportune interfacce di comunicazione. Le centrali possono essere anche in numero superiore ad uno per ciascun impianto specifico, in funzione delle esigenze del sito da proteggere. Il vantaggio derivante dall’utilizzo di centrali autonome per ogni impianto è rappresentato dalla possibilità di ottenere un’autonomia di gestione a prescindere dalle informazioni ricevute dall’esterno, garantendo un corretto funzionamento anche in caso di malfunzionamento del canale di comunicazione, dando vita a quella che viene comunemente definita un’architettura ad intelligenza distribuita. La rete di telecomunicazione provvede al trasporto delle informazioni dal campo verso il livello superiore, rappresentato dal sistema centrale, e viceversa. Essa può utilizzare architetture e protocolli differenti in funzione delle caratteristiche specifiche delle varie centrali in campo e del sistema centrale, nonché della loro distanza. Tale rete permette sia alle centrali in campo che al sistema centrale di liberarsi dell’incombenza di eseguire una trasmissione sicura e affidabile, provvedendo direttamente al trasporto delle informazioni di sicurezza. La rete risulta essere in genere composta da più architetture differenti se di tipo locale, in quanto le informazioni generate dalle varie centrali sono tra le più disparate e richiedono differenti velocità di trasmissione. Essa può anche connettere centrali in campo e sistemi centrali tra loro estremamente distanti: in tal caso essa provvede all’omogeneizzazione dei dati e alla loro trasmissione su di un unico supporto digitale a larga banda. La rete deve comunque garantire che tutte le informazioni raggiungano, senza errori, la corretta destinazione entro un intervallo di tempo prestabilito, in funzione delle prestazioni del sistema integrato. 40 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 2.4. SICUREZZA NELLE GALLERIE DELLE LINEE METROPOLITANE E FERROVIARIE 2.4.1. INTRODUZIONE L’ambiente sotterraneo, per la sua specificità di ambiente confinato, costituisce la tipologia infrastrutturale che massimizza la pericolosità di eventi di incendio e di incidenti che in generale hanno effetto di rilasci tossici. Nell’eventualità di incendio le persone esposte al pericolo devono provvedere all’autosoccorso in condizioni particolarmente svantaggiate: ridotta visibilità a causa dei fumi, temperature rapidamente crescenti nel tempo (almeno nell’intorno della zona di incendio), tossicità dei prodotti della combustione. In funzione di questa particolarità, l’incidentalità caratteristica dei mezzi a guida vincolata, significativamente minore di quelli a guida libera, non garantisce, di per sé, l’ottenimento di un livello di sicurezza soddisfacente: eventi poco probabili, o anche molto rari, possono condurre a scenari di danno evoluto catastrofico in ragione della difficoltà, per gli esposti, di raggiungere, nel poco tempo disponibile, un luogo sicuro. Specifiche direttive europee, assunte anche a seguito di incidenti rilevanti, hanno reso obbligatoria la valutazione della sicurezza integrata del “sistema galleria”, del complesso, cioè, di infrastruttura, impianti ed esercizio che costituiscono gli elementi variabilissimi amplificatori del pericolo in ragione della condizione confinata. Nelle gallerie delle linee metropolitane e ferroviarie il conseguimento degli obbiettivi di sicurezza è il risultato di una combinazione ottimale di requisiti di sicurezza applicati all’infrastruttura, all’energia, al controllocomando e segnalamento, al materiale rotabile ed alle misure organizzative ed operative che possono essere adottate, al fine di prevenire l’insorgere di situazioni dì emergenza e mitigarne le eventuali conseguenze. I requisiti di sicurezza prescritti dalla Normativa specifica emessa a livello Nazionale sono volti al conseguimento dei seguenti obbiettivi: –– previsione e prevenzione degli eventi incidentali; –– protezione dei soggetti esposti e mitigazione delle conseguenze; –– facilitazione dell’esodo delle persone e dell’intervento delle squadre di soccorso. 2.4.2. LA PREVENZIONE INCENDI NELLE METROPOLITANE Le misure di prevenzione e protezione dagli incendi da porre in atto nella realizzazione delle linee metropolitane di nuova costruzione (G.U. 2 marzo 1988, n. 51) si applicano alle opere civili e agli impianti fissi delle stazioni sotterranee e delle linee sotterranee (linee in galleria). Per stazioni sotterranee si intendono quelle nelle quali atrio e/o banchina sono sotto il livello del terreno. Per quanto concerne le stazioni, il parametro che viene utilizzato come dato di input per poter dimensionare il sistema dei percorsi di esodo è l’Affollamento, inteso come il massimo numero di persone ipotizzabile in banchina al piano del ferro e nelle restanti aree costituenti la stazione. Tale Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza 41 parametro è funzione sostanzialmente della conformazione delle banchine (ad isola o laterali), del numero di passeggeri presenti sul convoglio e del numero di utenti in attesa del treno. Ai fini del dimensionamento geometrico e delle caratteriste dei materiali da utilizzare per i vari elementi ed ambienti componenti la Stazione vengono definite le prestazioni in caso di incendio delle strutture portanti e dei percorsi di esodoXVI e degli elementi di separazione tra gli ambienti. Inoltre viene definita la classe di reazione al fuoco dei materiali da utilizzare (classe 0 o 1 a seconda dei casiXVII). Per quanto riguarda la dotazione impiantistica sono di regola previsti i seguenti impianti di emergenza: –– rivelazione e segnalazione incendi: ogni stazione deve essere sorvegliata da impianti automatici di rivelazione di incendi, che devono inoltre essere installati nei locali a rischio specifico; –– allarme: in caso di necessità deve essere possibile comunicare le necessarie disposizioni al pubblico tramite un impianto di altoparlanti; –– spegnimento incendi: idranti a muro e naspi da posizionare lungo le banchine e negli atri di stazione; da estintori da posizionare in prossimità dei locali a rischio specifico (ad es.: locali tecnici, ascensori…); sprinkler lungo le banchine, nei locali commerciali, nei cassoni delle scale mobili… –– illuminazione di sicurezza: devono essere installati in tutte le aree aperte al pubblico e nei luoghi in cui il personale opera regolarmente; –– fonti di energia per gli impianti elettrici di emergenza: ogni impianto di emergenza, che richieda alimentazione elettrica, deve essere connesso alla normale rete di distribuzione di energia e ad una fonte di energia di emergenza che può essere costituita da: batteria di accumulatori dotati di ricarica automatica e di inverter con autonomia non inferiore a due ore, se il sistema non è accoppiato a gruppo elettrogeno con avviamento automatico; non è ammesso derivare l’alimentazione degli impianti di emergenza dalla consegna dedicata alla trazione elettrica a meno che questa non provenga da due fonti distinte; –– evacuazione dei fumi: le stazioni devono essere dotate di sistemi per l’evacuazione dei fumi in caso di incendio. impianti di protezione dei tratti e/o delle aree protette: la protezione all’ingresso dei tratti e/o delle aeree protette deve essere situata allo stesso piano della banchina, in corrispondenza delle uscite della medesima, in modo da realizzare una separazione tra la banchina interessata dall’incendio e le restanti aree di stazione alla stessa profondità e lungo il percorso d’esodo. L’impianto di protezione deve essere realizzato a sovrapressione d’aria o con altri sistemi idonei ed equivalenti (barriere ad acqua). Le prestazioni sono riferite a tre funzioni essenziali in caso di incendio: stabilità (R), tenuta (E) ed isolamento (I). La prestazione è qualificata con un numero che indica il tempo, in minuti, di capacità di prestazione in condizioni di prova normalizzata. Nel caso in esame, le strutture devono garantire una prestazione R 120 mentre i precorsi d’esodo devono garantire prestazione REI 120. XVII La classe di reazione al fuoco indica il grado di partecipazione del materiale all’incendio. La classificazione, ottenuta attraverso prove standard, prevede l’attribuzione di una classe di reazione da 0 a 5. La classe 0 comprende i materiali non reagenti, che quindi non partecipano alla combustione. XVI 42 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– un ascensore antincendio per ogni banchina di stazione al fine di garantire, anche in caso di emergenza, lo spostamento dei disabili sino al livello atrio XVIII. È prevista inoltre, in conformità alle citate disposizioni di legge, la realizzazione di specifici filtri a prova di fumo in ogni piano servito dagli ascensori antincendio ed è richiesta, per tali ascensori, la doppia alimentazione elettrica (normale e sicurezza) con cavi resistenti all’incendio, completamente segregati. Per quanto riguarda le Gallerie, sotto il profilo infrastrutturale le Norme definiscono le caratteristiche dei percorsi di emergenza. Tali percorsi devono essere realizzati mediante banchina di servizio utilizzabile per l’evacuazione di un treno fermo in galleria. La dotazione impiantistica prescrive i seguenti impianti di emergenza: Spegnimento incendi, Allarme, Illuminazione di sicurezza e Fonti di energia per gli impianti di emergenza, con caratteristiche analoghe a quelli delle stazioni. È inoltre necessario un Impianto di evacuazione fumi e sistema di ventilazione. 2.4.3. LA SICUREZZA NELLE GALLERIE FERROVIARIE Gli obiettivi di sicurezza per le gallerie ferroviarie possono essere raggiunti mediante l’adozione di: requisiti minimi e requisiti integrativiXIX. Per le gallerie caratterizzate dall’insieme dei seguenti parametri: –– lunghezza non superiore a 2 km; –– volume di traffico non superiore a 220 treni/giorno; –– tipologia di traffico senza la contemporanea presenza in galleria di treni passeggeri e treni con merci pericolose; –– andamento altimetrico senza inversioni di pendenza; –– assenza di aree a rischio specifico in prossimità degli imbocchi. Il rispetto dei requisiti minimi costituisce condizione sufficiente a garantire un adeguato livello di sicurezza. Gallerie di lunghezza superiore richiedono valutazioni di analisi di rischio (cfr § 3.3.4) sulla base delle quali può risultare necessaria l’adozione di misure di sicurezza integrative. Requisiti minimi Per quanto concerne l’infrastruttura ai fini della prevenzione dagli incidenti devono essere previsti: –– un sistema di radiocomunicazione che consenta la comunicazione radio tra il personale a bordo dei treni e tra questo e il centro di controllo; –– la limitazione dell’installazione dei deviatoi in galleria; –– il controllo sistematico dello stato del binario; –– la protezione e il controllo degli accessi; –– l’ispezione regolare dello stato della galleria; –– un piano di manutenzione della galleria. Ai fini della mitigazione delle conseguenze di incidenti deve essere garantita: In conformità al D.P.R. n.151/2011 e al D.M. 15.09.2005. DM 28/10/2005 Sicurezza delle gallerie ferroviarie. XVIII XIX Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza 43 –– resistenza e reazione al fuoco delle strutture delle opere in sotterraneoXX. –– affidabilità delle installazioni elettriche: i componenti elettrici destinati all’alimentazione dei vari impianti di emergenza (luce e forza motrice) devono risultare protetti da guasti e per quanto possibile da danni conseguenti ad eventi incidentali; gli impianti di alimentazione elettrica a servizio dei dispositivi di emergenza devono, inoltre, prevedere opportune configurazioni o ridondanze tali da garantire, in caso di guasto singolo, la sola perdita dì brevi tratti di impianto in galleria, comunque non superiori a 500 metri. –– impianto idrico antincendio. L’impianto deve essere collegato ad un idoneo sistema di alimentazione che garantisca il funzionamento contemporaneo di quattro attacchi per almeno 60 minuti, assicurando almeno una portata di 120 l/min a 2 bar; –– ispezione periodica dello stato della galleria. Per quanto concerne la facilitazione dell’esodo, lungo le gallerie devono essere realizzati marciapiedi per assicurare un rapido e sicuro esodo delle persone, predisponendo un apposito corrimano. Sempre al fine di favorire l’autosoccorso, per agevolare l’esodo e per consentire l’individuazione delle predisposizioni di emergenza presenti nella galleria, devono essere previsti appositi cartelli di tipo riflettente o luminescente che indichino la distanza e la direzione delle uscite più vicine. Deve inoltre essere previsto un impianto di illuminazione in galleria che garantisca lungo i percorsi di esodo un livello di illuminazione non inferiore a 5 lux medi, a 1.0 m dal piano di calpestio e comunque assicurando 1 lux minimo. Per garantire l’esodo delle persone dovranno essere presenti idonee vie d’uscita/accessi secondo le indicazioni seguenti: –– Gallerie a singola canna: finestre d’accesso carrabili, ogni 4 km circa. –– Galleria a doppia canna: collegamenti tra le canne almeno ogni 500 m. Gli accessi intermedi (finestre, pozzi, ...) devono essere realizzati in modo tale da poter essere utilizzati sia come vie di esodo dei passeggeri sia come vie di accesso per i mezzi (se carrabili) e le squadre di soccorso. Deve essere prevista la messa in sovrappressione o la compartimentazione dei collegamenti tra una galleria ferroviaria ed un’altra, in caso di sezione a doppia canna o tra la galleria ferroviaria ed una galleria di servizio a questa parallela o tra la galleria ferroviaria e le uscite/accessi, per evitare che in presenza di un incendio si abbia propagazione di fumi. Deve essere previsto un impianto di telefonia di emergenza/diffusione sonora al fine di consentire, durante un’eventuale emergenza, le comunicazioni dall’interno della galleria tra il personale di bordo o i viaggiatori e il centro di controllo nonché impartire le necessarie disposizioni al pubblico in caso di necessità da parte del personale ferroviario ovvero delle squadre di soccorso. Ai fini della facilitazione del soccorso sono previsti, per gallerie di lunghezza superiore a 5 km, piazzali di emergenza posizionati di regola agli imbocchi per accedere alla galleria con mezzi bimodali, piazzole per elisoccorso e aree da utilizzare per il primo soccorso. A livello impiantistico sono necessari impianti di radiopropagazione per le comunicazioni radio in galleria, postazioni di controllo per la gestione degli impianti tecnologici di XX R e REI 120; cfr nota 18. 44 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata galleria. Sempre ai fini della facilitazione del soccorso va ricordata l’esigenza di prevedere sezionamenti longitudinali della linea di contatto per consentire la mobilità dei treni non incidentati, nonché sistemi di interruzione e messa a terra della linea di contatto (realizzata mediante sezionatori) agli imbocchi di accesso delle gallerie, per accedere in sicurezza nelle stesse. La Normativa prevede inoltre requisiti minimi con riferimento anche al materiale rotabile, sia in termini di prevenzione (previsione di specifica classe di reazione al fuoco dei materiali costituenti arredi e impianti) sia in termini di mitigazione delle conseguenze in caso di incendio a bordo (previsione d’obbligo di impianti fissi di estinzione; garanzia di trazione in caso di incendio per 15 minuti). Requisiti integrativi Qualora la valutazione della sicurezza integrata del “sistema galleria” dimostri che i requisiti minimi risultano insufficienti a conseguire gli obiettivi posti dalle Norme in termini di limitazione delle conseguenze di eventi incidentali, debbono essere individuate ed adottate misure di sicurezza integrative. Tali misure possono riguardare l’infrastruttura, il materiale rotabile, gli equipaggiamenti per la facilitazione dell’esodo e del soccorso, nonché i programmi di esercizio (ad es. restrizioni al transito di treni trasportanti merci pericolose in presenza di treni passeggeri, ecc.). A livello di infrastruttura vanno ricordati tra i provvedimenti atti a prevenire gli incidenti: –– Gli impianti fissi per il controllo dello stato del treno, quali gli impianti di rilevamento delle temperature delle boccole dei carrelli dei treni, posizionati in modo da poter consentire in caso di anomalie l’attivazione di una procedura di emergenza; i portali termografici, consistenti in sensori di temperatura in grado di rilevare un principio di incendio nel materiale rotabile; –– I sistemi di segnalamento atti ad impedire il superamento dei segnali a via impedita e/o di eccessive velocità; sistemi in grado di identificare la posizione del treno lungo la linea e di trasmetterla ad un posto centrale. 2.5. RIFERIMENTI 2.5.1. NORME TECNICHE [1] [2] [3] [4] [5] UNI EN ISO 8402:1988, Sistemi Qualità. Gestione per la Qualità ed assicurazione della Qualità - Termini e definizioni UNI EN ISO 9000:2005, Sistemi di gestione per la qualità - Fondamenti e vocabolario. IEC 61508, Functional Safety of Electrical/Electronic/Programmable Electronic Safety-related Systems. EN 50126:2001, Railway Applications-Specification and demonstration of reliability, availability, maintainability and safety (RAMS). Le misure di prevenzione e protezione dagli incendi da porre in atto nella realizzazione delle linee metropolitane di nuova costruzione (G.U. 2 marzo 1988, n. 51). Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza [6] 2.5.2. DM 28/10/2005 Sicurezza delle gallerie ferroviarie. LIBRI [1] [2] [3] 2.6. 45 Birolini, A. (1994). Reliability engineering: theory and practice. VI Edizione, 2010. New York: Springer. ISBN 978-3-642-14951-1 I.Bazovsky. Principi e Metodi dell’Affidabilità- ETAS Compass, Milano 1969. L.Mayer. Impianti Ferroviari-Edizioni CIFI. APPENDICE - L’AFFIDABILITÀ DEL SISTEMA CONTINUO: IL MARGINE DI SICUREZZA L’approccio presentato finora, vertendo su una concettualizzazione discreta della complessità del sistema, costituisce un metodo inadatto all’analisi di strutture complesse continue. È il caso delle strutture soggette a sollecitazioni. In questo caso è utile impostare lo studio affidabilistico operando il confronto fra la domanda e l’offerta di prestazione. Considerando la sicurezza di una struttura l’analisi sarà incentrata, ad esempio, sul confronto tra la sollecitazione cui la struttura è sottoposta (la domanda, S) e la resistenza offerta dal materiale di cui la struttura è costituita (l’offerta, R). Lo stato limite di un sistema identifica le condizioni ultime nelle quali il sistema è in grado di soddisfare i requisiti di progetto. La teoria dell’affidabilità ed in particolare i metodi di stima della probabilità di crisi di un sistema si basano sull’analisi probabilistica del concetto di stato limite, sull’analisi dell’aleatorietà di R e S e sulla stima della funzione aleatoria di margine di sicurezza. Oggetto della teoria non è il semplice confronto tra valori, opportunamente definiti, delle quantità che caratterizzano il comportamento di un dato sistema, ma la misura della probabilità che l’evento “la domanda supera l’offerta” si verifichi; tale evento è detto critico. Più precisamente, detta t la variabile aleatoria che identifica l’istante in cui il sistema si trova per la prima volta in condizioni critiche, obiettivo dell’analisi di affidabilità di un sistema è la stima della: Pf(t0, t1) = prob(t ≤ t1) (2.22) ovvero della probabilità che il primo attraversamento (crossing) della soglia critica, che avviene al tempo τ, si verifichi per τ ≤ t1, fissato l’intervallo temporale di funzionamento [t0, ti]. La stima della probabilità di tale evento è subordinata alla conoscenza della funzione densità di probabilità che caratterizza il tempo τ, circostanza effettivamente assai rara e dunque poco interessante ai fini delle applicazioni. Siano R e S rispettivamente l’offerta e la domanda per un dato sistema o sottosistema di un sistema complesso; la condizione critica è superata, nell’istante t, se: R(t) ≤ S(t) (2.23) Capitolo 2 - affidabilità e sicurezza 47 ne intuitiva della probabilità di accadimento dell’evento critico: tanto più ampia è la regione di sovrapposizione tra le due curve tanto maggiore è la probabilità di crisi del sistema. La regione di sovrapposizione delle due distribuzioni di probabilità marginali dipende dalla loro posizione relativa. La posizione relativa delle due distribuzioni può essere misurata attraverso il rapporto tra i valori medi µR / µs, introducendo il Fattore di Sicurezza centrale FS = µR/ µs (in questo caso si avranno condizioni critiche per FS ≤ 1, ovvero dalla differenza µR - µs, introducendo il Margine di Sicurezza centrale MS = µR – µs (in questo caso si avranno condizioni critiche per MS ≤ 0). 3 SISTEMI DI ALIMENTAZIONE PER LA TRAZIONE Regina Lamedica♣, Stefano Quaia♠, Dario Zaninelli♦ ♣Sapienza - Università di Roma; ♠Università degli Studi di Trieste; ♦Politecnico di Milano 3.1. LA RETE FERROVIARIA Una rete ferroviaria ha, in generale, un’estensione che è funzione della dimensione del Paese nel quale si sviluppa e la sua importanza è funzione del traffico che riesce a veicolare. I requisiti che devono contraddistinguere una rete ferroviaria sono: –– capacità di rispondere alle esigenze del traffico; –– sicurezza nell’esercizio; –– capacità di traffico; –– regolarità del servizio; –– rapidità del servizio. Se una rete è interconnessa con altre reti ferroviarie, ai requisiti sopra elencati deve aggiungersi anche quello relativo all’interoperabilità infrastrutturale. Una rete ferroviaria è costituita da linee e nodi. Le prime costituiscono i collegamenti tra i secondi che sono i luoghi ove si effettua la regolazione della circolazione. 3.1.1. LE LINEE La circolazione ferroviaria su una linea può essere effettuata in uno o in entrambi i sensi di marcia. Una linea a semplice binario consente, tipicamente, la circolazione nei due sensi di marcia. Per la sussistenza di numerosi vincoli alla circolazione e per l’onerosità nell’esercizio, linee di questo tipo sono caratterizzate da una ridotta potenzialità, cioè, in grado di far circolare un ridotto numero di convogli in uno specifico intervallo di tempo. Le linee equipaggiate per consentire la circolazione in un unico senso di marcia sono tipicamente le linee a doppio binario. Poiché le flotte di veicoli che viaggiano nel medesimo senso di marcia sono soggette a minori vincoli nella circolazione, ne consegue che tali linee sono caratterizzate da maggiore potenzialità. Se le linee a doppio binario vengono dotate di impianti che consentono una circolazione bidirezionale, cioè su ciascun binario la marcia dei convogli può avvenire nei due sensi di marcia, la circolazione viene detta “banalizzata” ed i binari sono detti “banalizzati”. Per garantire la regolarità della circolazione dei rotabili, le linee devono essere dotate di idonei impianti di sicurezza e segnalamento, idonei posti di servizio (in generale, non utilizzabili dall’utenza), idonei posti utilizza- 50 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata bili dall’utenza nei quali si possano gestire treni di normale composizione. Circa quest’ultimo aspetto, si fa riferimento anche alla lunghezza dei moduli dei binari di ricevimento che, qualora non idonea, imporrebbe vincoli alla circolazione di convogli limitandola a quelli la cui composizione risulti minore o uguale alla lunghezza dei moduli stessi. 3.1.2. I NODI I “nodi” di una rete ferroviaria sono località nelle quali convergono più linee ferroviarie. Sono utilizzate per effettuare operazioni di circolazione, quali: precedenze, incroci, arrivi, soste, partenze oltre che per eseguire attività di formazione/scomposizione dei convogli, di ricovero, di deposito, di manutenzione/pulizia del materiale rotabile. Vengono classificate in relazione alle attività che in esse è possibile effettuare. In particolare, sono denominate fermate le località di piena linea nelle quali i convogli effettuano la sosta per consentire la salita/discesa dei passeggeri. In esse può essere presente un fabbricato viaggiatori (FV) o una semplice pensilina per il ricovero dei passeggeri e, se svolge anche funzioni per il traffico merci, è dotata di uno scalo merci costituito da uno o due binari collegati ai binari di corsa con scambi. Le piccole stazioni hanno un numero limitato di binari per il ricevimento/partenze dei convogli e possono effettuare operazioni di precedenze/incroci. Può essere presente uno scalo merci eventualmente dotato di piano caricatore e magazzino merci. Normalmente, i binari di ricevimento sono affiancati a quelli di corsa e sono chiamati anche binari di incrocio. Le medie stazioni hanno un numero di binari di circolazione più elevato ed, in generale, piazzali specializzati per il trasporto dei passeggeri e delle merci. I binari sono tipologicamente riuniti in fasci. Servendo centri urbani di media importanza, di solito costituiscono le località di origine/termine delle corse dei treni, pertanto, in generale, sono dotate di deposito per il materiale rotabile destinato ai viaggiatori e per i mezzi di trazione. In queste stazioni, i compiti del personale addetto al movimento, del personale addetto alle manovre e del personale addetto ai rapporti con il pubblico sono distinti. Quando l’entità del traffico e dei servizi da svolgere diventa molto elevato, la coesistenza tra i settori passeggeri e merci cessa; si realizzano le grandi stazioni viaggiatori e le stazioni di smistamento. Le grandi stazioni viaggiatori possono essere di testa o passanti. Le stazioni passanti, rispetto a quelle di testa, sono più razionali dal punto di vista dell’esercizio in quanto manovre relative a svincoli dei locomotori o sgombero dei materiali sono più semplici e veloci, tuttavia, dovendo garantire una posizione non troppo distante dal centro della città, impongono notevoli vincoli urbanistici legati alla realizzazione di opere d’arte e manufatti indispensabili per garantire la continuità del sistema viario cittadino. Tutte le grandi stazioni viaggiatori sono dotate di binari di ricevimento, servizi per il pubblico, impianti di piazzale, fasci deposito e pulitura delle vetture, binari di sosta dei locomotori, ecc.n Italia, Milano Centrale e Roma Termini sono esempi di grandi stazioni di testa, Bologna è un esempio di grande stazione passante. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 51 Le grandi stazioni merci o di smistamento sono impianti di grande potenzialità e ben ubicate geograficamente. Le operazioni di circolazione che vengono effettuate sono: ricevimento treni, smistamento del materiale per direzioni, riordino dei carri in funzione della collocazione geografica delle stazioni destinatarie, inoltro del convoglio. Sono presenti binari per la sosta dei treni in transito, per i quali possono essere effettuati cambi di trazione e/o aggiunta/sottrazione carri, e per il deposito dei materiali. I binari sono ordinati in fasci, pertanto, nell’area della stazione sono presenti: il fascio arrivi, il fascio direzioni, il fascio riordino, il fascio partenze ed il fascio deposito. Sul territorio nazionale sono presenti numerose stazioni di smistamento dislocate, in prevalenza, nelle regioni del nord, ma anche nel centro-sud (Lazio, Puglia, Campania e Calabria). Le stazioni viaggiatori e di smistamento di una città sono sistematicamente interconnesse con una cintura di collegamento. Qualora non vi siano particolari vincoli locali, idonei raccordi ferroviari vengono realizzati anche per il collegamento di importanti impianti industriali con la più vicina stazione ferroviaria. Particolari caratteristiche hanno le stazioni di confine, nelle quali si svolgono anche controlli doganali per le merci, o le stazioni comuni internazionali, come quella di Chiasso, situata in territorio svizzero. In alcuni “nodi” della rete ferroviaria non si effettua il servizio passeggeri/merci, ma solo operazioni di gestione e controllo del traffico ferroviario. Tali “nodi” sono denominati posti di servizio e si classificano in: –– posti di movimento (PM). Dotati di comunicazioni fra binari, consentono il passaggio dei convogli da una via all’altra. Effettuano il ricovero treni su binari di precedenza, consentono lo stazionamento dei mezzi di manutenzione e di soccorso; –– posti di comunicazione (PC). Sono dotati di comunicazioni fra binari per consentire il passaggio dei convogli da un binario all’altro; –– posti di interconnessione (PJ). Consentono l’ingresso/uscita di un convoglio da una linea ad un’altra; –– bivi. Sono località, realizzate al di fuori di una stazione, nelle quali vi è confluenza tra due linee ferroviarie. Nel caso di linea a doppio binario ad intenso traffico, al fine di evitare soggezioni alla circolazione, vengono realizzati manufatti, detti salti di montone, per lo scavalcamento dei binari. Se il bivio è realizzato all’interno di una stazione, questa viene denominata stazione di diramazione. 3.2. I SISTEMI DI ELETTRIFICAZIONE FERROVIARIA Il sistema di alimentazione dei veicoli elettrici ferroviari è stato, nel corso degli anni, vincolato alla progettazione del circuito elettrico di bordo dei locomotori ed, in particolare, alla scelta dei motori di trazione effettuata sulla base dell’avanzamento tecnologico presente nei vari Paesi. Con un’alimentazione diretta dei motori, l’energia elettrica doveva garantirne il funzionamento, pertanto, l’utilizzo, in alcuni Paesi, dei motori in c.c. o, in altri, in c.a. monofase ha comportato che si seguissero criteri differenti che hanno prodotto una notevole varietà di sistemi non soltanto nei diversi Paesi, ma anche nell’ambito di una stessa rete nazionale. Se l’avvento dell’e- 52 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata lettronica di potenza ha, più recentemente, uniformato le scelte relative ai motori di trazione (asincrono trifase controllato in frequenza), quelle storiche relative alle linee di trazione sono state sostanzialmente mantenute. I sistemi di alimentazione delle linee di trazione che si sono più diffusi sono: –– Corrente continua a 750 V in Gran Bretagna, con alimentazione a terza rotaia. –– Corrente continua a 1500V in Giappone, Francia, Olanda, ecc. –– Corrente continua a 3000 V in Russia, Italia, Polonia, Spagna, ecc. –– Corrente alternata monofase alla frequenza speciale di 16 2 3 Hz a 15 kV, in Germania, Svezia, Svizzera, Austria, Norvegia. Negli USA è stata adottata la frequenza di 25 Hz, con tensioni di 11-12 kV. –– Corrente alternata monofase alla frequenza industriale di 50 o 60 Hz, a 25 kV, in Russia, Francia, Giappone, India, Gran Bretagna, Romania, ecc.uesto sistema comprende anche la variante a 2 × 25 kV, adottata in Francia e Giappone e nelle nuove linee ad Alta Velocità/Alta Capacità (AV/AC) italianeI. 3.2.1. L’ELETTRIFICAZIONE IN CORRENTE CONTINUA Nei sistemi di trazione elettrificati in corrente continua (c.c.), le tensioni di esercizio normalmente utilizzate sono pari a 750-1500-3000 V II. A causa dei valori relativamente bassi della tensione di linea, sia le locomotive di maggior potenza sia i treni delle linee metropolitane, questi ultimi costituiti da più elettromotrici funzionanti in accoppiamento multiplo, in alcuni istanti possono assorbire correnti dell’ordine dei kA. L’energia per l’alimentazione delle linee di trazione viene fornita dalla rete elettrica trifase in media o alta tensione (a seconda che si tratti di un sistema ferroviario urbano o extraurbano) e convertita in corrente continua nelle sottostazioni elettriche di conversione (SSE), posizionate lungo il tracciato ferroviario o in corrispondenza di opportuni nodi. Il numero delle SSE e la potenza in esse installata è funzione del tipo di traffico che circola in linea. Nelle linee storiche e con scarso traffico, è presente un numero non elevato di SSE e la loro interdistanza può raggiungere anche i 30-40 km. Viceversa, nelle linee più moderne caratterizzate da traffico merci e passeggeri elevato, si ha un numero elevato di SSE e le reciproche interdistanze, relativamente brevi, sono funzione del livello di tensione. In particolare, sono distanziate tra 1.3 e 1.5 km se l’alimentazione è a 750 V, tra 6 e 8 km se è a 1.5 kV, tra 15 e 20 km se è a 3 kV. Per aumentare l’affidabilità del sistema di alimentazione, le SSE sono collegate tra loro con apposite linee trifasi in MT o AT, dedicate, dette linee “primarie”. I Sebbene storicamente il valore di questa frequenza sia stato imposto pari a 16 2/3Hz, le attuali Specifiche di Interoperabilità Europea (2008/284/CE) fanno esplicito riferimento a una tensione di 15 kV e a una frequenza di 16.7 Hz. II Questi valori sono quelli previsti dalle norme per quanto riguarda impianti di nuova costruzione. Nel passato sono stati realizzati impianti di trazione, soprattutto di tipo metropolitano e ferrotranviario, con valore nominale di tensione di alimentazione di 600 V, tuttora funzionanti (linea tranviaria di Milano). Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 53 Figura 3.1: Schema d’alimentazione di linee ferroviarie in corrente continua: 1) Linee trifasi, in AT o MT; 2) Stazioni della rete elettrica trifase; 3) Linee primarie; 4) Linea di trazione; 5) Binario; 6-7-8-9) Sottostazioni di conversione (SSE). L- Distanza fra SSE adiacenti. La Figura 3.1 riporta lo schema di principio dell’alimentazione di linee ferroviarie elettrificate in c.c. A valle dei punti di interconnessione con la rete elettrica in AT o MT, sono presenti i seguenti sottosistemi: –– le linee primarie trifasi (LP); –– le sottostazioni elettriche di conversione (SSE); –– il circuito di trazione (TE), il cui positivo è costituito, nel caso dei trasporti su rotaia, da una linea aerea o dalla terza rotaiaIII; il circuito di ritorno è costituito dal binario. 3.2.1.1. Le linee primarie di alimentazione delle sottostazione elettriche di conversione Esigenze di servizio e/o vincoli di natura territoriale possono imporre lo schema di alimentazione della SSE. Questo può essere in “derivazione (o, altrimenti detto, in “antenna”)” o in “serie” (o, altrimenti detto, in entra – esce). Nel primo caso, la SSE è collegata, tramite una linea trifase, direttamente alla stazione della rete elettrica del distributore pubblico più vicina. Nel secondo caso, le SSE sono collegate tra loro mediante apposite linee primarie disposte nelle vicinanze del tracciato ferroviario ed alcune tra esse sono interconnesse con stazioni della rete elettrica del distributore pubblico. Per queste, in particolare, si parla anche di “alimentazione mista”, in quanto possono ricevere energia sia da una stazione della rete elettrica del distributore pubblico sia dalle primarie provenienti da altre SSE. La possibilità che un evento guasto si verifichi sulla linea primaria che alimenta in antenna la SSE, rende tale schema poco affidabile, pertanto viene generalmente utilizzato lo schema di alimentazione in entra - esce che Sistema di alimentazione in uso fino agli anni settanta sia per trasporti ferroviari sia per metropolitane ed avente tensione di alimentazione con valore nominale di 600 o 750 V. III 54 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata garantisce maggiore continuità di esercizio, soprattutto se le primarie della SSE sono collegate a stazioni della rete elettrica del distributore pubblico tra loro indipendenti. L’affidabilità dello schema aumenta ulteriormente se le SSE vengono dotate di doppio sistema di sbarre. Ai fini di una maggiore razionalizzazione delle scorte e di una maggiore efficienza delle operazioni di manutenzione degli apparati, si cerca, nei limiti del possibile, sia di standardizzare apparecc.ture ed impianti sia unificando il valore della tensione delle linee primarieIV. Queste ultime, se alimentano sistemi ferroviari urbani, si attestano sui valori standard adottati per la rete di MT (15-20 kV in Italia), se viceversa alimentano sistemi extraurbani, per le linee di più recente costruzione destinate ad un volume di traffico elevato, hanno valori di tensione tipici delle reti di subtrasmissione in AT (130-150 kV). 3.2.1.2. Le Sottostazioni elettriche di conversione 3.2.1.2.1. Funzioni delle sottostazioni elettriche La funzione di una SSE è quella di ridurre e convertire la tensione alternata in ingresso al fine di renderla idonea all’alimentazione del circuito elettrico di bordo dei rotabili. È pertanto equipaggiata con gruppi di conversione (2 o più) V, costituiti da un trasformatore trifase ed un ponte raddrizzatoreVI, che hanno struttura modulare e standardizzata. Tipicamente, nelle SSE di Rete Ferroviaria Italiana (RFI), i gruppi hanno potenza nominale di 3.6 o 5.4 MW. Lo schema elettrico di principio è rappresentato nella Figura 3.2. In una SSE ferroviaria si distingue una sezione in alta tensioneVII, nella quale si comprendono le linee primarie, le sbarre trifasi AT, gli interruttori e i sezionatori tripolari dei gruppi di conversione, i trasformatori, ed una sezione in corrente continuaVIII, nella quale sono compresi i raddrizzatori, gli extrarapidi, i sezionatori e gli alimentatori che collegano la SSE al circuito di trazione. Gli elementi che costituiscono una SSE ferroviaria per l’alimentazione di linee di trazione a 3 kV sono: –– TV per la misura delle tensioni di linea; –– sezionatori tripolari AT di linea con lame di terra; IV Nella rete FS, le tensioni trifasi normali adottate sono, ad esempio, 66, 132, 150 kV. Solo poche SSE, per motivi particolari, sono alimentate a tensioni diverse. Sono richiesti due gruppi per SSE per garantire la continuità di esercizio. Si possono avere SSE con tre o anche quattro gruppi nei nodi più importanti e nei tratti di valico. VI Il primo gruppo raddrizzatore al silicio da 2000 kW entrò in funzione nel 1963 nella SSE di Mortara; prima di tale data si utilizzavano mutatori a vapori di mercurio. VII La sezione ad AT è di regola installata all’aperto. VIII La sezione in corrente continua è spesso installata in un edificio dedicato, insieme ai quadri di controllo e comando, fatta ecc.one dei sezionatori delle linee in c.c. uscenti (alimentatori di SSE). V Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 55 Figura 3.2: Schema elettrico di principio tipico di una SSE ferroviaria: 1) Linee primarie trifasi AT; 2) interruttori tripolari di linea; 3) sbarre trifasi; 4) interruttori tripolari di gruppo; 5) sezionatori tripolari; 6) trasformatori trifasi; 7) raddrizzatori al silicio; 8) filtri; 9) sbarra a c.c. positiva e negativa; 10) interruttori extrarapidi; 11) sezionatori a c.c.; 12) alimentazione linea di contatto –– –– –– –– –– –– –– –– –– –– –– –– –– –– –– –– –– interruttori tripolari AT di linea; sezionatori tripolari AT; una terna di sbarre AT in corda di rame da 120 mm2; sezionatore tripolare AT congiuntore; sezionatori tripolari per l’alimentazione della sottostazione ambulante (SSA); sezionatori tripolari AT per alimentazione gruppi; interruttori tripolari AT di gruppo con TA; scaricatori AT; trasformatori di gruppo; trasformatori da 100 kVA per l’alimentazione dei servizi ausiliari in corrente alternata. All’interno del fabbricato sono presenti: sezionatore anodico; raddrizzatori al silicio; sezionatore bipolare; interruttore extrarapido di linea e relativo relè di massima corrente; sezionatore positivo 3,4 kV e sezionatore negativo; amperometri e voltmetri di gruppo; sbarre omnibus 3,4 kV; 56 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– –– –– –– –– sezionatore bipolare per il collegamento della SSA; filtri per le armoniche (reattori e condensatori); sbarre e dispositivi per i servizi ausiliari in c.a. e c.c.; quadro di comando, controllo e segnalazione; maxigrafo per la misura dell’energia in c.c. erogata dalla SSE. Infine, la parte all’aperto, a 3 kVcc, è composta da: –– –– –– –– –– sezionatori a corna 3 kVcc di prima fila; sezionatori a corna 3 kVcc di seconda fila; scaricatori per ciascun alimentatore 3 kVcc; alimentatori di collegamento con la linea di contatto; rete di terra magliata ed integrata con picchetti. Si riportano, nei paragrafi successivi, alcune caratteristiche delle principali apparecchiature presenti nel sistema. 3.2.1.2.2. Le apparecchiature di protezione e manovra 3.2.1.2.2.1. I sezionatori Il sezionatore è un’apparecchiatura in grado di effettuare la continuità elettrica tra due tratte contigue di uno stesso circuito elettrico e garantirne la separazione. Un sezionatore non può essere aperto o chiuso sotto carico e quindi può essere manovrato solo se il circuito non è percorso da corrente. Permette, inoltre, l’accertamento a vista della reale interruzione del circuito. I sezionatori in AT usati dalle Ferrovie dello Stato Italiane (FSI) sono del tipo a tre colonnine di isolatori per ciascun polo. Le due colonnine laterali sono fisse e portano alla loro sommità i “contatti fissi” cui sono collegati i due estremi del circuito da sezionare. La colonnina centrale può ruotare intorno al suo asse verticale trascinando così una lama orizzontale che può stabilire od interrompere la continuità tra i due contatti fissi. Per garantire che il contatto sia sicuramente ben stabilito, la lama ruotante porta all’estremità dei contatti che, con un manovellismo portato dalla lama stessa e posto in azione dall’ultima fase di manovra, vengono premuti contro i contatti fissi. La manovra dei sezionatori può essere manuale, per mezzo di volantini di manovra montati al di sotto della colonnina centrale, oppure a distanza qualora la SSE sia dotata di telecomando. I sezionatori sono in generale riuniti in terne a manovra simultanea e montati su appositi cavalletti. I sezionatori con “lame di terra” vengono usati come sezionatori di terra ed hanno lo scopo di permettere il collegamento alla terra delle tre fasi della linea primaria in arrivo. Si utilizzano per proteggere il personale che effettua lavori sulla linea stessa. Questi sezionatori hanno, oltre alle tre normali lame di sezionamento, tre lame di terra che, muovendosi simultaneamente con moto di rotazione intorno alla base della corrispondente colonnina del sezionatore, cortocircuitano la colonnina stessa. I meccanismi di manovra dei due sistemi di lame sono interbloccati in modo che il collegamento a terra sia possibile solo se le lame principali sono in posizione di aperto. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 3.2.1.2.2.2. 57 Gli interruttori Gli interruttori AT L’interruttore è un’apparecchiatura che consente l’interruzione di un circuito elettrico anche quando questo è percorso da corrente. L’interruzione dell’arco che si innesca all’atto dell’apertura dei contatti avviene per effetto dell’immediato allontanamento delle particelle ionizzate dall’arco stesso e ciò era ottenuto, in passato, con rapidi soffi di aria (interruttori ad aria compressa) o facilitando rapidi moti convettivi di olio isolante (interruttori in olio) in corrispondenza della interruzione. Più recentemente, sono stati realizzati interruttori che effettuano lo spegnimento dell’arco con soffi di un gas nella cui atmosfera sono contenuti i contatti (interruttori in esafluoruro di zolfo). Questo gas, pesante (incolore, inodore, non tossico, non infiammabile e non corrosivo) ha una capacità di trasmissione del calore, per convezione, superiore di 2,5 volte quello dell’aria alla pressione atmosferica. L’interruzione dell’arco risulta facilitata se: –– l’arco viene frazionato e cioè se l’apertura del circuito viene realizzata attraverso più contatti mobili collegati in serie tra di loro; –– la velocità di allontanamento dei contatti mobili da quelli fissi è sufficientemente elevata in relazione alla circostanza che l’arco si interrompe naturalmente due volte in un periodo e che pertanto non può riaccendersi se i contatti hanno raggiunto una distanza reciproca sufficiente. L’intervento di un interruttore può avvenire a seguito di una manovra effettuata da un operatore oppure automaticamente, tramite dispositivi che riconoscono il raggiungimento di soglie opportunamente imposte. Il funzionamento automatico generalmente usato è quello a massima corrente: non appena la corrente che circola nel circuito ove è inserito l’interruttore supera un determinato valore di taratura, interviene un complesso di relè che, a seguito di una misura di corrente proporzionale a quella che circola nel circuito principale, chiudono i propri contatti e comandano l’apertura dell’interruttore. I relè di massima corrente possono essere ad azione immediata o ad azione ritardata. In genere un interruttore viene dotato di relè dell’uno e dell’altro tipo, ovviamente tarati ad un diverso valore di intervento. L’interruzione ritardata, in genere con ritardo dell’ordine di una decina di secondi, viene provocata ad un certo valore della corrente non molto superiore a quella massima che deve circolare nel circuito (da 1,2 ad 1,5 volte) e ciò costituisce la protezione contro sovraccarichi durevoli. In particolare, i sovraccarichi che durino solo qualche secondo sono in genere dovuti a varie cause connesse con l’esercizio (avviamenti di locomotori, transitori di inserzione, ecc.) e devono poter restare alimentati per garantire la regolarità dell’esercizio stesso e lo possono in quanto non danneggiano l’impianto. L’interruzione immediata è viceversa attuata se la corrente raggiunge valori più elevati (oltre il doppio della corrente massima di esercizio come, ad esempio, nel caso di un cortocircuito) in quanto potrebbe rappresentare una condizione pericolosa per l’impianto. Gli interruttori extrarapidi Caratteristiche particolari hanno gli interruttori che servono alla protezione dai cortocircuiti delle linee in c.c. (o a bordo dei mezzi di trazione) detti interruttori extrarapidi. 58 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Le principali caratteristiche costruttive di tali dispositivi sono: –– immediato intervento dell’interruttore all’atto del raggiungimento del valore di taratura della corrente; –– elevata velocità di allontanamento dei contatti mobili dai contatti fissi; –– allungamento, raffreddamento, frazionamento ed infine estinzione dell’arco che inevitabilmente si adesca tra i contatti all’atto dell’apertura. La prima realizzazione di un interruttore extrarapido avvenne nel 1915 e fu così denominato sia perché l’arco durava al massimo qualche decina di millisecondi sia perché il processo di apertura iniziava solo pochi millisecondi dopo l’inizio della corrente di cortocircuito. In Italia, furono adottati nelle SSE per l’alimentazione di linee ferroviarie, anche se palesarono alcune difficoltà nella selettività tra correnti di cortocircuito e correnti di esercizio. Attualmente sono in commercio molti interruttori extrarapidi per c.c., caratterizzati da elevata affidabilità (possono essere garantite durate di vita di 20‐30 anni). I contatti vengono realizzati con materiali molto resistenti all’usura ed a bassa resistenza: generalmente si impiega argento e carburo di tungsteno. Le camere d’arco, hanno raggiunto una notevole efficienza che ha permesso di ottenere elevati poteri d’interruzione; inoltre, il design modulare ne consente una facile sostituzione. Anche i pesi e gli ingombri si sono ridotti notevolmente, facilitando l’installazione a bordo di mezzi di trasporto sempre più leggeri e con l’esigenza di sfruttare al massimo gli spazi disponibili. Il principio di funzionamento dell’interruttore extrarapido è rimasto praticamente invariato sin dalle prime realizzazioni, anche se la realizzazione costruttiva sia stata largamente migliorata e le prestazioni incrementate. Il sistema di aggancio può essere di tipo meccanico o magnetico, con bobina di ritenuta e circuito magnetico in ferro (cfr. Fig. 3.3 e 3.4). Lo sgancio per massima corrente diretta avviene mediante un elettromagnete percorso dalla corrente che libera l’arpionismo di aggancio nell’esecuzione con ritenuta meccanica, o per smagnetizzazione del magnete di ritenuta da parte della corrente dell’interruttore nell’esecuzione con ritenuta Figura 3.3: Extrarapido a sgancio meccanico. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 59 Figura 3.4: Extrarapido a ritenuta magnetica. magnetica. I meccanismi di apertura per massima corrente diretta devono la loro rapidità al fatto di derivare l’energia necessaria al loro funzionamento dalla corrente di guasto, assicurando così la massima affidabilità alla protezione; nel caso di aggancio magnetico si compensa il ritardo meccanico all’apertura, dovuto alla massa dell’ancora del magnete, disponendo in parallelo al tratto di conduttore che smagnetizza la bobina di ritenuta (o sbarra di scatto), un secondo conduttore circondato da un manicotto in lamierino (shunt magnetico). Quando non vi sono fenomeni transitori, la ripartizione di corrente fra sbarra di scatto e shunt induttivo dipende dalle resistenze ohmiche dei due rami in ragione inversa delle rispettive sezioni. Se invece si produce una corrente a fronte ripido (caso di cortocircuito in linea), la reattanza dello shunt altera la distribuzione della corrente nei due rami, cosicché viene aumentata la percentuale di corrente nella sbarra di scatto: in tal modo, la corrente di guasto passa prevalentemente nel magnete di ritenuta, anticipandone la smagnetizzazione rispetto al valore della taratura statica. Ciò avviene in proporzioni tanto più notevoli quanto maggiore è il gradiente di salita della corrente. La forma e il movimento del contatto mobile sono tali che le superfici a contatto, ad interruttore chiuso, sono diverse da quelle esposte alla formazione dell’arco che provoca usura per effetto di bruciature e fusioni parziali del materiale ad ogni interruzione. La zona di formazione dell’arco è investita perpendicolarmente da un campo magnetico sostenuto da bobine di soffio percorse permanentemente dalla corrente (cfr. Fig. 3.5). Per effetto di questo campo e di quello della corrente d’arco, si genera un campo risultante la cui forza elettromagnetica di reazione spinge l’arco sul circuito di soffio, realizzato con varie forme e dimensioni, ma sostanzialmente composto da un certo numero di piastre metalliche (deflettori) addossate a settori isolanti disposti trasversalmente al percorso dell’arco e chiuse ai lati da pareti isolanti (Fig. 3.6). L’arco spinto verso l’alto dal campo magnetico risultante e dalla temperatura del gas ionizzato, penetra nel caminetto, si divide e si stabilisce tra 60 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 3.5: Interruttore extrarapido durante l’apertura. Figura 3.6: Caminetto dell’extrarapido. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 61 le corna spegniarco, una collegata al contatto fisso, l’altra aderente al contatto mobile; successivamente investe i deflettori suddividendosi in archi elementari che danno luogo ad una caduta dell’ordine di 200 ÷ 300 V in corrispondenza di ogni catodo. I gas e i vapori metallici spinti verso l’alto, sono raffreddati e deionizzati tra le piastre di materiale isolante situate al di sopra dei deflettori. La forma dei corni metallici devia la corrente d’arco su un percorso a spirale che sostiene un campo magnetico che spinge ulteriormente verso l’alto gli archi elementari allungandoli e raffreddandoli. Finché l’arco rimane confinato dai campi magnetici presenti nella camera, la sua tensione resta approssimativamente costante e definita dal numero delle piastre e dalle dimensioni della camera di estinzione; all’aumentare della corrente oltre i valori di dimensionamento, il volume ionizzato si estende al di fuori della camera allungandosi e cedendo energia per irraggiamento. Al raffreddamento dell’arco corrisponde un aumento della resistenza dipendente dalla rapidità di ricombinazione e dal ricambio del mezzo ionizzato; l’estensione delle pareti isolanti e il materiale che le ricopre sono importanti per evitare un brusco aumento della resistenza alle basse correnti (strappamento dell’arco) accompagnato da sovratensioni proporzionali alle induttanze presenti su ciascuna polarità. La vaporizzazione del rame dei contatti e l’alta temperatura dell’arco provocano un progressivo degrado delle superfici isolanti della camera di estinzione che, senza manutenzione o sostituzione, porterebbe alla scarica. La vita elettrica è quindi definita in base al numero dei cortocircuiti alla massima corrente presunta che l’apparecchiatura è in grado di sostenere senza manutenzione. Questo numero, tipicamente limitato a 10-15, costituisce una limitazione abbastanza grave all’esercizio degli alimentatori di linea, inoltre il tentativo di richiusura della linea in seguito a una apertura per intervento della protezione diretta potrebbe trovare la linea ancora in cortocircuito o predisposta a nuova scarica se il primo evento ha lasciato tracce conduttrici sul percorso dell’arco. Di fatto, un nuovo cortocircuito raddoppierebbe l’usura dell’apparecchiatura, sottoponendo gli altri componenti a inutili sollecitazioni. Pertanto, l’interruttore è dotato di un dispositivo di “prova linea”, costituito da un reostato e da un contattore in grado di aprire una corrente di 20‐25 A alla tensione di linea, e da un relè, o da un rilevatore di tensione, tarato sul valore di resistenza corrispondente a linea sana. Una volta chiuso il circuito di prova, se dopo un tempo dell’ordine della decina di secondi, non si verificano scariche, viene dato il consenso alla chiusura dell’interruttore; in caso contrario, il circuito viene riaperto tramite il contattore e si procede con una successiva procedura di prova. La sequenza viene ripetuta 2‐3 volte quindi viene segnalato il cortocircuito permanente in linea e l’interruttore apre definitivamente. Gli attuali interruttori impiegano una camera d’estinzione a catodo freddo (cold cathode arc chute) ritenuta ideale per l’interruzione di correnti continue in quanto fornisce una tensione d’arco praticamente fissa indipendentemente dalla corrente d’arco. Per eliminare, o ridurre, i rischi dello scatto intempestivo degli interruttori, sono state adottate varie misure. Le protezioni situate alle estremità delle linee a 3 kV c.c. sono state di norma equipaggiate con dispositivi di asservimento (di teleprotezione) che assicurano lʹintervento anche nel caso 62 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata di guasti localizzati in posizioni sfavorevoli (lontani dall’interruttore). In molti casi è risultata utile lʹaggiunta di relè di minima tensione posizionati a metà di una tratta alimentata da due SSE adiacenti. Anche la riduzione delle cadute di tensione (c.d.t.) in linea ha comportato vantaggi, pertanto le sezioni equivalenti dei conduttori delle linee di trazione sono state aumentate. Il valore normalizzato delle linee italiane è 540 mm2. Gli scaricatori Sulla facciata esterna del fabbricato di ogni SSE sono presenti gli scaricatori (3,4 kVcc), posti fra l’extrarapido e il sezionatore aereo esterno; il loro compito è quello di bloccare le sovratensioni provenienti dalla linea di trazione, scaricandole a terra prima che interessino l’extrarapido. 3.2.1.2.3. Gruppi di conversione Il primo sistema adottato per la conversione dell’energia elettrica da alternata in continua fu quello di tipo rotante (cfr. Fig. 3.7a). Il sistema, costoso, delicato e di rendimento non elevato, fu abbandonato attorno agli anni venti con l’avvento dei mutatori a vapori di mercurio (cfr. Fig. 3.7b). Figura 3.7a: SSE con convertitrici rotanti c.a./c.c. costituite da 5 macchine montate sullo stesso asse: un motore sincrono, avviabile come asincrono, due dinamo (a 1500V, collegate in serie), le eccitatrici del sincrono e delle dinamo. 64 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– possibilità di costruzione del raddrizzatore in unità separate e collegabili in serie e in parallelo; –– minore ingombro (un gruppo al silicio da 3600 kW occupa lo stesso spazio di uno a vapori di mercurio da 2000 kW). In particolare, la possibilità di collegare le singole unità in serie o in parallelo è sfruttata dalle Ferrovie dello Stato Italiane che hanno i raddrizzatori costituiti da due unità, ciascuna delle quali di potenza pari alla metà di quella del gruppo e con tensione di uscita pari e 3 kV, collegate in generale in parallelo. Nella trazione ferroviaria sono largamente impiegati i circuiti di raddrizzamento a ponte di Graetz trifase. Nella sua realizzazione più elementare, il ponte è costituito da sei diodi connessi secondo lo schema di Fig. 3.8. Vi sono quindi due gruppi commutanti in serie, indipendenti e tra loro sfasati dell’angolo π 6 : il gruppo catodico fa capo al morsetto K positivo del circuito a corrente continua, quello anodico al morsetto anodico A negativo. Figura 3.8: Ponte trifase di Graetz. Si può supporre per semplicità che il secondario del trasformatore sia collegato a stellaIX. In un istante generico, sono in conduzione la valvola del gruppo catodico collegata alla fase del trasformatore a potenziale positivo più elevato In realtà è normale collegare a stella il primario AT, a triangolo il secondario. Il risultato del dimensionamento è assolutamente identico. Si indica con U la tensione concatenata al secondario del trasformatore trifase e con E = U 3 la tensione di fase corrispondente. IX Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 65 e quella del gruppo anodico collegata alla fase a potenziale più negativo. Tutte le altre sono sottoposte a tensione inversaX, quindi in condizione di blocco. La situazione cambia ogni sesto di periodo; la tensione raddrizzata è data dalle creste positive delle tensioni concatenate (Fig. 3.9). Il suo valor medio è espresso dalla 3.1: U d 0= 1 + β1 / 2 β1 ∫- β / 2 1 2⋅ p 2 ⋅ U ⋅ cosω t ⋅ d (ω t )= π ⋅ sin π p ⋅ U= 1,35 ⋅ U (3.1) dove p è il numero di impulsi di tensione in un periodo e, in questo caso, è pari a 6. Il periodo di tale grandezza vale T1 = T /p , corrispondente all’angolo elettrico β1= 2 ⋅ π p , che vale ora π 3 . Figura. 3.9: Tensioni di fase. Se si sviluppa la tensione raddrizzata in serie di Fourier, si ottiene: = ud U d 0 + ∑ un (3.2) n dove un è l’armonica di ordine n e n= k ⋅ p con k = 1, 2, 3, … Occorre tuttavia tener conto della circostanza che, per effetto dell’induttanza presente nel circuito di alimentazione, lo spegnimento di una valvola ed il passaggio in conduzione della successiva non sono istantanei. La commutazione, infatti, richiede un tempo finito durante il quale conducono sia la valvola che si sta spegnendo sia quella appena entrata in conduzione. Il fenomeno, denominato sovrapposizione, determina di fatto una riduzione del valor medio della tensione raddrizzata. X Le tensioni inverse applicate alle singole valvole, durante i periodi di blocco, hanno molta importanza nella determinazione delle sollecitazioni elettriche dei raddrizzatori. La tensione inversa massima URM per ciascuno dei sei rami del ponte trifase è dato dal valore di cresta della tensione concatenata al secondario del trasformatore. 66 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Il ponte trifase ha indice di pulsazione p = 6 ed è, perciò, a reazione esafase. Due sistemi esafase alimentati da tensioni sfasate tra loro di 30° (1/12 di periodo) realizzano una reazione dodecafaseXI. A causa di eventuali piccoli squilibri fra i diversi rami di valvole del raddrizzatore, nella corrente assorbita dalla rete di alimentazione potrebbero essere presenti oltre alle armoniche caratteristiche, anche le subarmoniche. Nel successivo Paragrafo 3.2.3 viene approfondita la problematica inerente le armoniche di tensione e corrente che illustra anche i provvedimenti abitualmente adottati per la mitigazione dei disturbi. Circuito esafase Il circuito esafase di raddrizzamento fa uso di un trasformatore praticamente identico a quello impiegato per il circuito a doppia stella; in questo caso c’è un unico centro stella, e la stella delle tensioni secondarie è formata da sei vettori sfasati di 60°. La conduzione interessa angoli di 60° e le relazioni fondamentali sono: Vdo = 1,35V f = If 1 = I d 0,408I d 6 (3.3) (3.4) Il circuito esafase non risulta particolarmente conveniente nonostante il maggior valore di Vdo in quanto il rapporto tra il valore efficace e valore medio della corrente di fase è sfavorevole. C’è inoltre un altro elemento a sfavore del circuito esafase, piuttosto evidente se si osserva l’andamento delle correnti primaria e secondaria di un collegamento stella – stella esafase. All’interno di un semiperiodo, una delle fasi secondarie ha una sola conduzione che dura 60°; la corrente è unidirezionale e, se esce dal morsetto di linea, rientra dal centro stella. Simultaneamente è assorbita un’identica onda di corrente sul lato primario, che però deve ritornare in linea attraverso le due fasi che in quel momento non lavorano. Quindi, mentre nella fase che effettivamente è in conduzione c’è equilibrio delle f.m.m., contemporaneamente nelle altre due fasi si determina una situazione di magnetizzazione non equilibrata dal secondario. Qualora si utilizzi un circuito esafase, viene adottato un circuito triangolo - stella. Si può pertanto affermare che il circuito di conversione con secondario esafase risulta sotto ogni aspetto svantaggiato rispetto ai circuiti trifasi a ponte e a doppia stella e, di fatto, il suo impiego è assai raro e dettato da necessità particolarissime ed eccezionali. Circuito dodecafase La combinazione di due circuiti trifasi semplici in serie o in parallelo, che si traduce nei due circuiti a doppia stella e a ponte, porta a notevoli vantaggi per quanto riguarda la fluttuazione della tensione teorica raddrizzata Vdo , mantenendo per le correnti un numero di impulsi per periodo sufficientemente basso, e cioè 3. Al fine di realizzare un raddrizzamento a In questo caso, i due ponti raddrizzatori sono alimentati da due distinti avvolgimenti secondari del trasformatore collegati uno a stella e l’altro a triangolo. XI Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 67 “reazione dodecafase”, è necessario collegare due gruppi esafase, in serie o in parallelo, ed alimentarli con tensioni sfasate di 30°. Tale condizione si realizza dotando il trasformatore di alimentazione dei ponti di doppio secondario con collegamenti degli avvolgimenti rispettivamente a stella e a triangolo (cfr. Fig. 3.10a). In generale, si ricorre ad un convertitore dodecafase per esigenze di esercizio o se vi sono richieste di potenze elevate (a partire da qualche centinaio di kW). Figura 3.10a: Schema di principio di un collegamento a reazione dodecafase. Figura 3.10b: Stadi e filari di un gruppo raddrizzatore. 68 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Nelle SSE che installano gruppi a “reazione dodecafase” i raddrizzatori sono contenuti in 6 armadi ognuno dei quali contiene i sei distinti rami. Ogni ramo, per condurre la corrente corrispondente alla piena potenza, è costituito da più filari lavoranti in parallelo e ciascun filare, in funzione della tensione di esercizio e delle possibili sovratensioni, è costituito da più diodi collegati in serie. Ognuno di questi diodi costituisce uno stadio (cfr .Fig. 3.10b). 3.2.1.3. Le linee di trazione Le linee di trazione per l’alimentazione dei convogli ferroviari, aeree o a terza rotaia, costituiscono con le rotaie, il circuito elettrico di trazione. A seconda del tipo di traffico, possono essere più o meno complesse e, con riferimento a quelle utilizzate per un sistema di trasporto extraurbano con traffico elevato, sono costituite da: uno o più fili di contatto (ad un’altezza dal piano del ferro pari a 5,125 m), una o più funi portanti (ad un’altezza dal piano del ferro pari a 6,125 m), eventuali alimentatori (ad un’altezza dal piano del ferro pari a 7,125 m). Sono dotate di un circuito di protezione dai cortocircuiti costituito da una o più funi di terra (se una, è posizionata ad un’altezza dal piano del ferro pari a 5,105 m; se due, la prima è a 5,105 m e la seconda a 7.505 m; se 3, la prima è a 5,105 m, la seconda è a 5,125 m, la terza è a 7,505 m) ed, in alcuni casi, da un circuito di protezione da sovratensioni di tipo indotto costituito da un conduttore (trefolo ceraunico) posizionato al di sopra della fune portante, ad una distanza variabile tra i 40 e gli 80 cm. Le sollecitazioni cui è sottoposta una linea di trazione sono di natura meccanica, elettrica e termica. Le sollecitazioni mecc.che sono causate dalla spinta esercitata dall’organo di captazione del veicolo ed è particolarmente rilevante se le linee sono di tipo aereo. In generale, provvedimenti legati ad opportune sospensioni dei fili di contatto sia alla fune portante sia in corrispondenza dei sostegni, consentono di mitigarle. Sono la causa principale dell’usura del filo di contatto. Le sollecitazioni termiche discendono sia da fattori ambientali sia dagli stessi fattori elettrici. Il provvedimento che consente di limitare le dilatazioni termiche è quello di contrappesare o il solo filo di contatto o anche la fune portante. In generale, una campata di contrappesatura è lunga circa 1500 m. Lo stress termico, legato al passaggio della corrente nei conduttori, viene evitato se la corrente non supera il valore di 4 A/mm2. Il circuito di trazione è in generale suddiviso in tronchi alimentabili e separabili mediante interruttori e sezionatori. I tronchi vengono denominati settori o sezioni elementari, a seconda che vengano usati interruttori automatici o semplici sezionatori. Un settore compreso fra due SSE è alimentato in “bilaterale” se entrambe le SSE lo alimentano. In questo caso, la quasi totalità della corrente assorbita da un mezzo di trazione si ripartisce fra due SSE adiacenti. Si ha un’alimentazione “a sbalzo” quando il settore è alimentato ad una sola estremità. L’intera corrente percorre il tratto di circuito compreso fra la SSE e il punto (o i punti) di prelievo, ovvero il treno e/o i treni in assorbimento. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 69 La Fig. 3.11 riporta lo schema di una tratta di una linea di trazione a doppio binario compresa tra 2 SSE e nella quale sono presenti 3 stazioni: 2 in prossimità delle SSE stesse ed una posizionata a metà della tratta. Nella figura sono evidenziati i settori che sono separati mecc.camente da sezionamenti a spazio d’aria e la cui continuità elettrica è garantita dalla presenza di sezionatori. In particolare, per mantenere la continuità elettrica della tratta con l’intera linea, deve essere verificata la chiusura dei seguenti sezionatori: 1, 2, 10, 9, 3 e 4 relativi alla SSE1 e alla stazione posta nelle sue immediate vicinanze, 1,2, 3 e 4 relativi alla stazione dislocata a metà tratta, 1, 2, 9, 10, 4, 3 relativi alla SSE2 e alla stazione posta nelle sue immediate vicinanze. I sezionatori 6,5, 8 e 7 si chiudono solo se una 2 delle coppie di sezionatori delle SSE (1-2 o 10-9 della prima e 9-10 o 4-3 della seconda) sono aperti. In caso di guasto di una SSE, il settore può essere alimentato dalle SSE adiacenti qualora il dimensionamento del sistema lo consenta. Figura 3.11: Alimentazione di linea a doppio binario con sezionamento intermedio realizzato in corrispondenza di una stazione. 3.2.2. LE INTERFERENZE PRODOTTE DALL’ELETTRIFICAZIONE FERROVIARIA IN C.C. 3.2.2.1. Le armoniche di tensione e di corrente I ponti convertitori presenti nelle sottostazioni elettriche generano armoniche di tensione e di corrente, causa di disturbi di tipo condotto su altri sistemi e apparecchiature anche esterni alla ferrovia. Le frequenze caratteristiche di tali armoniche sono funzione del numero di commutazioni non contemporanee per ciclo della fondamentale della tensione alternata (numero di impulsi, o indice di pulsazione) del convertitore. Viene definito ordine di un’armonica il rapporto tra la frequenza dell’armonica e quella della fondamentale di oscillazione periodica. L’ampiezza di un’armonica di ordine h è pari al rapporto tra l’ampiezza dell’armonica fondamentale ed il suo ordine, pertanto decresce con il crescere dell’ordine dell’armonica stessa. Per determinare l’ordine, il valore massimo e la fase delle armoniche caratteristiche di un convertitore trifase, si assume che: a. le tensioni alternate siano trifasi, sinusoidali, simmetriche e di sequenza positiva, b. la corrente continua sia costante e senza nessuna oscillazione (ipotesi conseguente dall’aver supposto l’esistenza, lato c.c., di un’induttanza infinita), 70 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata c. gli inneschi siano dati ad uguali intervalli di tempo (1/6 di ciclo) con un uguale angolo di ritardo misurato dallo 0 della rispettiva tensione (in commutazione). Per effetto dell’ipotesi (a), gli zeri sono egualmente distanziati; d. le induttanze di commutazione siano uguali nelle tre fasi. Dalle ipotesi sopra elencate discende che: –– le tensioni alternate non hanno armoniche eccetto la prima (la fondamentale) e la corrente continua non ha armoniche. Si può pertanto affermare che le armoniche presenti lato c.a. sono esclusivamente di corrente, quelle presenti lato c.c. sono esclusivamente di tensione; –– l’angolo di sovrapposizione è lo stesso per ogni commutazione; –– l’oscillazione della tensione continua ha il periodo di 1/6 di quello della tensione alternata pertanto le armoniche di tensione, lato c.c., sono di ordine 6 e dei suoi multipli (12, 18, 24, …); –– le correnti alternate hanno parti positive e negative della stessa forma (F(+ 180°) = - F (- 180°)), pertanto non ci sono armoniche di ordine pari nella corrente alternata; –– le correnti alternate hanno la stessa forma d’onda, ma sono sfasate di 1/3 di ciclo (120° dalla fondamentale), pertanto, tenuto conto che la differenza di fase per l’h-esima armonica è h volte quella della fondamentale, ne discende che le armoniche di c.a. hanno le sequenze di fase riportate nella Tab. 3-I. Tabella 3-I: Ordine delle armoniche e sequenze. Sequenza Ordine Omopolare (S0) 0, 3, 6, 9, 12, 15, 18, 21, 24, … Positiva (S1) 1, 4, 7, 10, 13, 16, 19, 22, 25, … Negativa (S2) 2, 5, 8, 11, 14, 17, 20, 23, 26, … Si può pertanto concludere che un convertitore trifase, il cui numero di impulsi è pari a p, genera: lato c.c., armoniche di ordine h = pn lato c.a., armoniche di ordine h = pn ± 1, essendo n un intero (cfr. Tab. 3-II); quelle di ordine 6 h + 1 hanno sequenza positiva, quelle di ordine 6 h – 1 sequenza negativa e non possono esistere armoniche caratteristiche di ordine 3 h. Tab. 3-II: Ordine delle armoniche in funzione degli impulsi. N. impulsi Ordine di armonica lato c.c. Ordine di armonica lato c.a. P Pn pn ± 1 6 0, 6, 12, 18, … 1, 5, 7, 11, 13, … 12 1, 12, 24, … 1, 11, 13, 23, 25, … Si definiscono armoniche caratteristiche quelle intrinsecamente connesse all’indice di pulsazione (ed i cui ordini sono riportati nella tab. 3-II), le restanti vengono definite armoniche non caratteristiche, presenti in condizioni di non idealità della tensione trifase. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 71 L’entità e gli effetti della distorsione armonica sono determinati non solo dell’ampiezza delle singole armoniche, ma anche della loro azione combinata. È noto che qualsiasi funzione periodica non sinusoidale può essere scomposta nella somma di funzioni sinusoidali: una di frequenza fondamentale e altre, generalmente di minore ampiezza, aventi frequenze che sono multiple intere di quella fondamentale (armoniche); le fasi di tali armoniche, rispetto alla fondamentale, possono assumere valori in generale diversi. Quanto sopra si esprime nella classica formula: y f t A0 Ah sin n1t h (3.5) h 1 dove: h = ordine dell’armonica; A0 = eventuale componente unidirezionale; ω1 = pulsazione corrispondente alla fondamentale; ϕh = fase della h-esima armonica; Ah = valore massimo della h-esima armonica. La distorsione armonica è caratterizzata da alcuni parametri che vengono definiti una volta effettuata la scomposizione della funzione y. In particolare, si definiscono i seguenti indici: il tasso di distorsione armonica individuale (Individual Harmonic Distortion - IHD): IHD 100 Ah A1 (3.6) il tasso di distorsione armonica globale (Total Harmonic Distortion - THD): 2 A THD 100 h h 2 A1 (3.7) essendo Ah e A1, rispettivamente, le ampiezze dell’h-esima armonica e della fondamentale. Per altri parametri, come in particolare il TIF (Telephone Interference Factor), la definizione richiede anche l’introduzione di opportuni “pesi” (weighting factors), che tengono conto degli effetti dell’accoppiamento induttivo con i circuiti telefonici alle diverse frequenze. Il TIF è definito nel seguente modo: 2 TIF A hW h h1 h 1 (3.8) Ah2 essendo Wh un fattore di peso corrispondente alla h-esima armonica, il cui valore è ricavabile da apposite tabelle. 72 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata La normativa prevede dei limiti all’inquinamento armonico in quanto le stesse correnti armoniche hanno effetti negativi su diversi componenti di rete e sui carichi delle utenze, provocando, in particolare, disturbi ad elementi dei sistemi elettrici, ai carichi elettrici, alle linee telefoniche e telematiche. I principali disturbi che si riscontrano in alcuni elementi dei sistemi elettrici sono: –– i sovraccarichi delle batterie di condensatori. I condensatori allacciati alla rete assorbono correnti armoniche di intensità dipendente dalla distorsione dell’onda di tensione. I sovraccarichi risultanti sono in generale non elevati, in quanto distorsioni che abitualmente si osservano nelle reti hanno valori relativamente modesti, fatta eccezione per alcuni casi particolari. Si sono riscontrati casi di distruzione di batterie di condensatori per sovrariscaldamento e distacchi ripetuti delle batterie di rifasamento per sovraccarico. Secondo le norme IEC i condensatori possono funzionare con un sovraccarico permanente del 30 %. Per raggiungere tali sovraccarichi sarebbe necessaria la presenza nella tensione di una componente di 5a armonica di circa il 17 %, oppure una componente di 7a armonica di circa il 12 %; –– l’irregolarità di funzionamento dei dispositivi di telecomando centralizzato del tipo “ripple control”. Tali dispositivi, utilizzati in molte reti europee, inviano degli impulsi nelle linee di distribuzione per comandare l’accensione di impianti di illuminazione, la inserzione o la disinserzione di certi tipi di utenze, la variazione di tariffa, eccezionali impulsi sono generalmente a frequenza fonica ma, in alcuni casi, a frequenze più elevate. La presenza di armoniche nella tensione di rete, anche se di ampiezza limitata (circa l’1 % per la 3a armonica e valori decrescenti per le armoniche più elevate), può provocare il funzionamento intempestivo di questi dispositivi. La scelta opportuna delle loro frequenze di funzionamento e l’adozione di circuiti con banda passante molto ristretta attorno alla frequenza prescelta, potrebbe limitare l’intempestività degli interventi; –– la circolazione di correnti armoniche nel 4° filo dei sistemi trifase di bassa tensione. In un sistema trifase equilibrato, il conduttore di neutro è percorso da una corrente di ampiezza pari a: I 0= 3 I32 + I 62 + I 92 + ... (3.9) ale corrente potrebbe sovraccaricare il conduttore di neutro, se questi T fosse già percorso da una corrente dovuta ad uno squilibrio dei carichi alimentati dalla linea, e si riscontrerebbero maggiori perdite e una limitazione della portata del cavo; –– le perdite addizionali nei trasformatori. Nel caso in cui le correnti armoniche costituiscano una quota cospicua della corrente totale, si hanno sensibili perdite addizionali negli avvolgimenti dei trasformatori. Tuttavia, anche ammettendo che la quota di carico suscettibile di produrre armoniche non sia superiore al 30-40 % del carico totale, si calcola che tali perdite non superino comunque il 2-3 % delle perdite totali, in condizioni normali; Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 73 –– gli errori di misura dei contatori di energia ad induzione. Da alcune misure condotte sui contatori monofase in classe 2, nel caso di carichi con controllo di fase è risultato che le variazioni assolute di errore, rispetto al caso di carico sinusoidale, vanno mediamente dall’1 %, per angoli di controllo di 50°-60°, fino ad un valore del 4 %, per angoli di controllo di 150°. Poiché gli errori maggiori si verificano quando l’angolo di controllo è grande, ossia quando è piccola la potenza controllata, le conseguenze sono piuttosto modeste. I carichi elettrici particolarmente suscettibili alla presenza delle armoniche di tensione e di corrente sono: –– le macchine elettriche rotanti. La presenza di armoniche di tensione o di corrente provoca perdite addizionali anche di notevole entità. Se un motore ad induzione fosse alimentato da una tensione molto deformata, ad esempio di tipo quasi rettangolare (cui corrisponde una distorsione totale del 30 %) l’incremento di perdite riscontrabile potrebbe raggiungere il 2 % della potenza erogata; –– i convertitori statici. Sono tra i più sensibili alla presenza di armoniche nella tensione di alimentazione. Prescrizioni contenute in diverse fonti (IEC, VDE) richiedono una distorsione globale inferiore al 10 % ed un tasso di distorsione armonica individuale inferiore al 5 % fino alla 13a armonica e gradualmente decrescente all’1 % fino ai 5.000 Hz; –– le apparecchiature elettriche in genere. La tendenza da parte dei costruttori è di prescrivere un fattore di distorsione globale del 5 %; –– i relè di protezione. La presenza di distorsione armonica può causare un intervento intempestivo qualora il valore delle armoniche di tensione sia abbastanza elevato (intorno al 10 % della fondamentale). In condizioni di regime, la presenza di armoniche nella tensione non ha alcun inconveniente per le protezioni di rete (relè distanziometrici, ecc.) mentre è critica la situazione in regime transitorio (conseguente per esempio ad un cortocircuito), quando cioè la distorsione dell’onda di tensione e di corrente può essere anche molto elevata. Va comunque ricordato che le recenti norme IEC sui relè prescrivono una distorsione limite del 5 % in regime permanente; –– le linee telegrafiche e telefoniche. I principali disturbi, di tipo indotto, sono dovuti principalmente alle correnti armoniche e la loro entità dipende dalla configurazione del sistema e dalla reciproca disposizione delle linee elettriche e di telecomunicazione. Le Direttive CCITT (Comité Consultatif Telegrafique et Telephonique) impongono le formule da applicare per poter valutare l’entità del disturbo. Si può tuttavia affermare che, salvo eccezioni e comunque per le armoniche di ordine inferiore a 15, non si riscontrano disturbi di particolare entità. Alcune indagini hanno mostrato che, in una conversazione telefonica, il principale disturbo è localizzato ad una frequenza di 800 Hz mentre componenti a frequenze diverse, anche se di eguale ampiezza, non hanno gli stessi effetti di disturbo per l’orecchio umano. Si sono pertanto attribuiti pesi differenti alle varie frequenze. Si definisce quale indice per la valutazione del disturbo una tensione, detta psofometrica, che si registra tra due fili di un circuito telefonico interferito da una linea elettrica, la cui espressione è la seguente: 74 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Vp = 1 P800 ∞ ∑ ( Pf V f ) 2 (3.10) n=1 dove: –– Vf è la tensione alla frequenza f indotta dalla linea elettrica sulla linea telefonica (indipendente quindi dalle caratteristiche dei due circuiti); –– Pf è il peso che si attribuisce alla frequenza f; P 800 è il peso che viene assegnato alla frequenza pari ad 800 Hz ed assunto convenzionalmente pari a 1000. Per ridurre significativamente le armoniche presenti nella linea di contatto, si può utilizzare, all’uscita delle sottostazioni, un filtro passa–basso costituito essenzialmente da un grosso reattore (con un’induttanza tra 6 e 13 mH) posto in serie nel collegamento tra la sbarra negativa e le rotaie, e da alcuni rami di induttanza e capacità accordate sulle varie armoniche (filtro a risonanza) o di semplici capacità (filtro aperiodico) derivate, subito a valle del reattore, tra il positivo ed il negativo. Con gruppi raddrizzatori al silicio di potenza pari a 5.400 kW, per evitare reattori di dimensioni eccessive, è risultato preferibile adottare un filtro per ogni singolo gruppo. La presenza del filtro riduce la componente alternativa della tensione raddrizzata fino allo 0,3 %. 3.2.2.2. Le correnti disperse ed i fenomeni corrosivi 3.2.2.2.1. Generalità Le strutture metalliche presenti nel sottosuolo, specialmente nelle aree urbane, sono sempre più numerose. Ciò è dovuto alla continua espansione di servizi tecnologici di varia natura e finalità, distribuiti capillarmente all’utenza. La conseguenza è che vengono a coesistere in modo sempre più massiccio nello stesso ambiente tubazioni dell’acqua, tubazioni del gas, tubazioni di teleriscaldamento, cavi telefonici, cavi d’energia dei vari sistemi di distribuzione, impianti di terra, ecc. Queste strutture, poste nell’ambiente elettrolitico costituito dal terreno - o in alcuni casi dall’acqua -, sono soggette a diversi fenomeni di tipo chimico-fisico, causati sia dalla loro natura, sia dalla presenza di altri servizi che, per il loro funzionamento, sono fonte di campi elettrici nel terreno. Tra i vari problemi che si vengono in tal modo a creare, assumono rilevanza particolare le interferenze di tipo elettrico cui le strutture metalliche sono soggette. Col termine generico di interferenza si intende la variazione dello stato elettrico di una struttura come conseguenza di un’alterazione del campo elettrico nell’ambiente causata dalla presenza di un’altra struttura o di correnti continue disperse nel terreno. L’esistenza di campi elettrici continui nel terreno è legata a diverse cause; le principali sorgenti di correnti continue nel suolo (note anche come correnti vaganti) sono: –– i sistemi di trazione elettrica ferroviaria; –– i sistemi di trazione elettrica tranviaria; Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 75 –– gli impianti industriali che utilizzano distribuzioni in corrente continua con un polo a terra (ad esempio i grandi impianti di saldatura dei cantieri navali, le lavorazioni di tipo elettrochimico, ecc. –– i dispersori degli impianti di protezione catodica; –– le centrali telefoniche; –– i sistemi di trasmissione HVDC unipolari con ritorno a terra. In molti Paesi, tra cui il nostro, la gran parte della trazione ferroviaria e tranviaria si effettua in corrente continua. In questo caso, le correnti disperse di origine ferro-tranviaria costituiscono di gran lunga la più importante fonte di interferenza elettrica per le opere del sottosuolo, sia per la capillare distribuzione della rete ferroviaria, sia per l’intensità delle correnti disperse (dell’ordine anche di parecchie centinaia di ampère), sia per la loro forte variabilità (tant’è che questo genere di interferenza viene normalmente detto di tipo dinamico), sia infine per il fatto che i campi elettrici prodotti (e di conseguenza le interferenze) sono avvertibili anche a distanze di svariati chilometri dagli impianti di trazione. Va ricordato che i metodi d’indagine ed i provvedimenti atti a far fronte alle interferenze causate da altri tipi di sorgente (ad esempio gli alimentatori di protezione catodica a corrente impressa), sono in genere diversi da quelli adottabili nel caso di interferenze originate da impianti di trazione. La conseguenza principale di una interferenza di tipo elettrico su una struttura metallica interrata consiste nello spostamento del potenziale naturale (o indisturbato) di equilibrio tra il metallo e l’elettrolita circostante. L’interferenza può essere sia di tipo “migliorativo”, quando porta il metallo a contatto con l’ambiente a potenziali più negativi di quello di soglia limite di immunità termodinamica, sia di tipo “peggiorativo”, quando sposta tale potenziale verso valori più positivi, creando quindi pericolo di corrosione. Quest’ultimo aspetto è ovviamente il più preoccupante ed è appunto quello che si vuole combattere; basti pensare che al di là dell’intrinseca pericolosità del fenomeno e dei danni indiretti indotti dalla corrosione delle opere metalliche del sottosuolo, si stima per il solo acciaio che circa un quinto della produzione annuale mondiale di sostanze ferrose serva unicamente alla sostituzione di manufatti distrutti nei processi di corrosione, nei quali la corrosione per correnti vaganti (o allocorrosione) ha un ruolo rilevante. 3.2.2.2.2. L’interferenza elettrica provocata dagli impianti di trazione Se il binario, conduttore di “ritorno” del circuito di trazione, fosse perfettamente isolato dal terreno, la corrente si chiuderebbe (sotto forma di corrente di elettroni, o corrente di prima specie) tra ogni locomotore e le SSE, senza interessare il terreno. Ciò, in realtà, non accade mai. Il tipo di costruzione dell’armamento ferroviario, nonché i percorsi fisici del binario, che non sempre costituiscono la via più diretta di richiusura per le correnti, fanno sì che un’aliquota importante della corrente sia condotta dal terreno. In base ai rilievi sperimentali, tale aliquota può raggiungere il 70 % della corrente totale. Nell’illustrazione di Fig. 3.12 si vede come, in una situazione semplice costituita da un unico locomotore ed un’unica SSE, la somma della corrente vagante e della corrente condotta dalle rotaie, rilevate su una ideale sezione infinita ortogonale al binario, eguagli in ogni istante (con segno contrario) la corrente circolante nella linea di contatto. 76 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 3.12: Quota della corrente vagante nel terreno generata dalla presenza in linea di un convoglio ferroviario. Un’eventuale struttura metallica posta nell’ambiente viene a costituire un’ulteriore via preferenziale per le correnti vaganti. Il potenziale della struttura rispetto al terreno viene alterato come mostrato nella Fig. 3.13, con la creazione di almeno una zona catodica, dove le correnti entrano nella struttura, e di almeno una zona anodica, dove le correnti escono dalla struttura per tornare all’alimentatore. La creazione della zona anodica costituisce pericolo di corrosione. Si parla in questo caso di allocorrosione, o corrosione sostenuta da generatore esterno, in contrapposizione con il diverso fenomeno dell’autocorrosione per pila geologica. Va subito chiarito che il processo allocorrosivo ha fortunatamente un rendimento elettrolitico molto più basso rispetto ai processi di tipo autocorrosivo. Nei primi infatti la corrente non è totalmente costituita da ioni metallici migranti verso l’ambiente, anzi la conduzione elettronica è prevalente. In altre parole, nel caso di allocorrosione non sono applicabili le leggi di Faraday che governano il processo autocorrosivo e conseguentemente non vi è proporzionalità tra corrente circolante e materiale metallico (ioni) Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 77 Figura 3.13: Corrente vagante nel terreno raccolta da una struttura estranea e spostamento del potenziale della struttura rispetto all’elettrolita. passato in soluzione: se così fosse, le elevate correnti in gioco - in alcuni casi centinaia di ampère - causerebbero in poche ore la distruzione delle strutture metalliche interferite. Tuttavia il fenomeno dell’allocorrosione, pur avendo un rendimento elettrolitico basso, è comunque spesso più preoccupante di quello dell’autocorrosione a causa dell’elevata intensità delle correnti in gioco. L’aliquota di corrente che abbandona il binario per chiudersi lungo la struttura interferita può essere calcolata per mezzo del circuito equivalente di Fig. 3.14, valido nel caso semplice di un unico locomotore e di un’unica SSE, dove: –– I, I’, i sono rispettivamente le correnti nel binario e quella raccolta dalla struttura interferita; –– r1, r2 sono le resistenze longitudinali del binario e della struttura; –– R1, R1’, R2, R2’ sono le resistenze trasversali - supposte concentrate - del binario e della struttura; –– R, R’ sono le resistenze equivalenti del terreno. Dal circuito equivalente si ricava facilmente: I= I '+ i (3.11) 78 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 3.14: Circuito equivalente per il calcolo della corrente vagante nel terreno. i= = i% I ' r1 R1 + R + R2 + R2 '+ R '+ R1 '+ r2 r1 i = 100 I r1 + R1 + R + R2 + R2 '+ R '+ R1 '+ r2 (3.12) (3.13) Ne segue che, per diminuire l’aliquota di corrente drenata dalla struttura interferita, si può agire in uno o più dei seguenti modi: 1. 2. 3. 4. diminuire r1, cioè migliorare la conducibilità longitudinale del binario; aumentare le resistenze trasversali R1 e R1’ del binario; aumentare le resistenze trasversali R2 e R2’ della struttura interferita; aumentare la resistenza longitudinale r2 della struttura: ciò si può ottenere interponendo giunti isolanti longitudinali lungo la struttura interferita. La conducibilità longitudinale del binario si può aumentare utilizzando rotaie saldate e di grande sezione, mentre un aumento delle resistenze trasversali R1 e R1’ del binario si può ottenere per mezzo di una massicciata sassosa scarsamente conduttrice. Le resistenze trasversali della struttura interferita si possono aumentare migliorando l’isolamento della struttura con rivestimenti adatti. Riguardo l’installazione di giunti isolanti lungo la struttura interferita, questi modificano l’andamento del potenziale raccolto dalla struttura come illustrato nella Fig. 3.15. I benefici così ottenibili sono evidenti. Va evidenziato che il giunto isolante deve essere idoneo per il tipo di fluido eventualmente trasportato dalla struttura, se questa è una tubazione, in modo da tener conto della con- Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 79 Figura 3.15: Modifica del potenziale struttura-terreno a seguito dell’introduzione di un giunto isolante. ducibilità intrinseca del fluido stesso (utilizzando un idoneo rivestimento interno) e deve essere posato in modo tale da non venire successivamente by-passato dal terreno (utilizzando un rivestimento esterno a monte ed a valle del giunto). Particolare cura va infine posta nei casi in cui siano presenti più strutture parallele o comunque vicine tra loro, perché in questi casi l’adozione di un giunto isolante su una delle strutture può comportare (o aggravare) problemi di interferenza sull’altra (o sulle altre). Esiste tuttavia un’ulteriore possibilità di limitare la creazione di una zona anodica in corrispondenza dell’uscita di corrente dalla struttura interferita, senza tentare di diminuirne l’intensità. In termini di principio ciò è possibile semplicemente trasformando l’aliquota di corrente di seconda specie (costituita da ioni metallici ceduti all’ambiente) in corrente di prima specie (costituita da elettroni), mediante la creazione di un collegamento galvanico tra rotaia e struttura interferita. Un collegamento di questo tipo è noto come Drenaggio Direzionale su Rotaia (DDR). In realtà l’adozione di questo provvedimento non è semplice come potrebbe sembrare e, se non correttamente eseguito, può essere fonte di problemi maggiori di quelli che si vogliono risolvere. 80 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata La costruzione di un DDR viene eseguita come illustrato nella Fig. 3.16, utilizzando un diodo per evitare che situazioni di inversione di polarità comportino pericolose entrate di correnti dalla rotaia verso la struttura, correnti che poi creerebbero dannose zone anodiche uscendo dalla struttura da qualche altra parte. Spesso risulta necessario inserire in serie al diodo una resistenza di bilanciamento R allo scopo di regolare i potenziali relativi struttura-rotaia. Figura 3.16: Esecuzione di un drenaggio direzionale su rotaia. 3.2.2.2.3. La misura delle interferenze Per determinare lo stato elettrico di una struttura e quindi la sua condizione di struttura interferita (in senso peggiorativo o migliorativo), si ricorre usualmente alla misura del potenziale metallo-elettrolita (terreno per le strutture interrate, acqua per quelle sommerse). Esistono anche altri tipi di misure possibili (ad es.: misura della differenza di potenziale tra due strutture non galvanicamente collegate tra loro; misura della caduta di tensione tra due punti di una stessa struttura; misure di gradiente di potenziale tra due o più punti del terreno ecc.) che qui, per brevità, non si discutono. La misura del potenziale della struttura rispetto al terreno viene in genere condotta utilizzando un elettrodo di riferimento impolarizzabile. Molto diffuso è l’elettrodo rame-solfato di rame saturo (Cu/CuSO4), che consiste in un’emicella del tipo illustrato nella Fig. 3.17, posta con il setto di legno poroso a contatto con l’elettrolita. La misura viene eseguita come illustrato nella Fig. 3.18, ponendo il voltmetro tra la struttura interferita e l’elettrodo posizionato sulla superficie soprastante la generatrice della struttura. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 81 Figura 3.17: Elettrodo impolarizzabile al Cu/CuSO4 per misure sul campo. Figura. 3.18: Esecuzione della misura del potenziale struttura-elettrolita. Per una struttura interferita, il circuito equivalente di misura è quello illustrato nella Fig. 3.19, dove: –– Ri = resistenza interna del voltmetro; –– Rc = resistenza dei conduttori di misura; –– Re = resistenza interna dell’elettrodo di riferimento; 82 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 3.19: Circuito equivalente di misura nel caso di struttura interferita. –– Rt = resistenza tra la superficie del metallo e la superficie dell’elettrodo di riferimento; –– Gs = f.e.m. dell’emicella struttura-ambiente; –– Ge = f.e.m. dell’emicella costituita dall’elettrodo di riferimento; –– Im = corrente della maglia di misura; –– Io = corrente interferente esterna. In assenza di perturbazione, la corrente I0 è nulla di conseguenza il potenziale misurato tra i punti A e B è dato da: Vba = RI × Im = Gs - Ge - Im(Rc + Re + Rt) ≅ Gs - Ge (3.14) Se il voltmetro ha resistenza interna Ri molto elevata e di conseguenza la corrente Im risulta molto piccola, il potenziale letto è praticamente quello naturale, dato dalla differenza delle due emicelle. In presenza di interferenza, la lettura sul voltmetro è affetta dalla caduta di tensione determinata dalla corrente vagante I0 che agisce nel sistema, sicché la lettura diventa: Vba = Gs - Ge - Im(Rc + Re + Rt) – I0Rt (3.15) In questo caso, la lettura del potenziale non è data soltanto dal valore della differenza delle due emicelle, ma è influenzata anche da un termine di errore che dipende dal prodotto Rt (tanto maggiore quanto più distante è l’elettrodo dalla superficie della struttura metallica) moltiplicato per I0. Per rendere minimo tale errore, occorre che l’elettrodo di riferimento sia posto il più possibile a ridosso della struttura interferita, in modo da rendere minima Rt. Nel caso comune di struttura interrata e non meglio accessibile, il punto di posizionamento dell’elettrodo che provoca l’errore minore è ovviamente in corrispondenza della generatrice superiore (punto B della Fig. 3.20). In caso di struttura accessibile (scavo aperto), la posizione ideale è a ridosso (ma non a contatto!) della struttura (punto A della Fig. 3.20). In pratica, la misura deve essere condotta con una serie di strumenti posti lungo la struttura interferita, come illustrato nella Fig. 3.21. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 83 Figura 3.20: Misura del potenziale struttura-terreno. Figura 3.21: Rilievo dei potenziali di una struttura interferita. Poiché le correnti vaganti risultano ampiamente variabili nel tempo (essendo legate alla posizione dei convogli, alla regolazione delle stazioni di conversione, ecc.) i potenziali debbono essere registrati per periodi di tempo significativi, in pratica non meno di 24 ore. La lettura comparata dei diagrammi di potenziale consente di individuare le zone soggette a diventare anodiche, di valutarne il tempo di persistenza in tale stato e di determinare le zone che, contemporaneamente, diventano catodiche. 84 3.2.3. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata L’ELETTRIFICAZIONE FERROVIARIA IN CORRENTE ALTERNATA L’esigenza di un’elettrificazione ferroviaria in c.a., con valori di tensione superiori a quelli utilizzati per l’elettrificazione in c.c., si è avvertita quando si è sentita la necessità di incrementare la potenzialità del sistema senza aumentare eccessivamente i costi degli impianti di alimentazione dei rotabili. Per altro, l’installazione a bordo di un trasformatore che consentisse di ridurre la tensione ad un valore idoneo per i motori di trazione, non sembrò complicare particolarmente il circuito di bordo dei locomotori. Tuttavia, la scelta del motore di trazione, monofase o trifase, comportò comunque una riprogettazione del tipo di alimentazione. Infatti, la scelta di un motore asincrono monofase a collettore se, da un lato, presentava il vantaggio di mantenere monofilare la linea di trazione, dall’altro, presentava problemi legati alla f.m.m. trasformatorica che, all’avviamento, rendeva difficoltosa la commutazione. L’inconveniente, trascurabile alle basse frequenze, comportò una distribuzione dell’energia elettrica ad una frequenza che fu denominata “ferroviariaXII” (16 2/3 Hz), da prodursi in apposite centrali. Per contro, la scelta di un motore sincrono trifase imponeva una complicazione nella progettazione delle linee di trazione, che dovevano essere bifilari, e negli organi di captazione del rotabile. Questa soluzione fu destinata ad avere realizzazioni di rilievo anche in Italia e, al riguardo, si ricorda la Lecco-Colico-Chiavenna, realizzata nel 1902, prima linea ferroviaria elettrificata in trifase che, per consentire il raggiungimento di velocità accettabili, fu elettrificata a 3000 V, tensione che consentiva l’alimentazione diretta del motore. Per ridurre le cadute di tensione dovute al ridotto livello di tensione e limitare il numero di poli del motore, fu scelta la frequenza di 15 Hz, valore che si era ottenuto con le convertitrici di frequenza costituite da un motore sincrono e da un alternatore il cui numero di poli era nel rapporto delle frequenze in ingresso e in uscita di 1 a 4. Il problema della produzione dell’energia a frequenze diverse da quella industriale fu superato nel 1904, quando si realizzò, in Svizzera, la linea Seebach-Wettingen, primo esperimento effettuato sul monofase: l’elettrificazione era a 15 kV-50 Hz. Seguirono altri esperimenti che consentirono, nel 1945, l’elettrificazione della linea francese della Savoia a 20 kV alla frequenza industriale. I motori di trazione a bordo dei locomotori erano o monofasi in c.a., alimentati direttamente, o in c.c. con conversione a bordo ottenuta per mezzo di ignitroni o di gruppi rotanti. La comparsa dei raddrizzatori al silicio ha reso ovviamente più semplice e sicura la conversione a bordo ed ha consentito lo sviluppo dell’attuale sistema a 25 kV-50 Hz che, rispetto al sistema in c.c., annovera alcuni vantaggi di natura economica, specie per quanto concerne gli impianti fissi. Si hanno infatti minori costi sia per la maggiore semplicità delle SSE, che si riducono a semplici sottostazioni di trasformazione, sia per il loro numero, basso per via del maggior distanziamento reso possibile dall’aumento del valore della tensione di alimentazione. Anche le linee di trazione hanno sezioni equivalenti inferiori per effetto della riduzione delle correnti e, conseguentemente, si riducono i costi dei sostegni, delle sospensioni e delle regolazioni. A fronte di tali vantaggi si riscontrano tuttavia alcuni inconvenienti, descritti nel successivo XII cf. Nota a Pag 52. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 85 Paragrafo 2.4: gli squilibri di carico, derivanti dalle SSE stesse che, come carichi monofasi, sono la causa principale delle dissimmetrie delle tensioni nel sistema di alimentazione in AT, e la generazione di fenomeni di induzione elettromagnetica. Una variante del sistema a 25 kV 50 Hz è quello a 50 kV che va sotto il nome di 2 × 25 kV ed è attualmente utilizzato per le linee ad alta velocità. Il sistema esalta alcuni dei vantaggi economici del 25 kV ed utilizza, nelle SSE, trasformatori il cui secondario è dotato di 3 uscite, delle quali una è collegata alla rotaia. II sistema consente di aumentare il distanziamento tra le SSE, evitando di aumentare la tensione a bordo dei rotabili. I sistemi di alimentazione delle linee ad alta velocità – alta capacità (AV/AC) sono caratterizzate da potenze specifiche elevate e ciò comporta l’esigenza di derivare l’energia da reti in alta o altissima tensione. Di conseguenza si hanno costi elevati non soltanto per l’intero reparto AT delle SSE, ma anche e soprattutto per le linee primarie. Il costo di queste ultime, ai livelli di tensione usualmente impiegati nella rete industriale, incide in modo significativo sul costo totale degli impianti, per cui si cerca di minimizzarne lo sviluppo. La configurazione dell’impianto di alimentazione delle linee di trazione è costituita dai seguenti sottosistemi: “Linee primarie”, “Sottostazioni elettriche”, “Posti ausiliari”, “Linee di trazione”. Con riferimento al sistema AV/AC italiano, lo schema generale dell’impianto è quello riportato in Fig. 3.22. Figura 3.22: Schema generale di impianto [1]. In generale, le distanze medie tra le SSE sono di 50 km, la distanza media tra la SSE ed il successivo Posto ausiliario è di 12.5 km; l’interdistanza tra un posto ausiliario e l’altro viene denominata “cella”. Ciascun gruppo di trasformazione presente nella SSE alimenta, mediamente, 25 km di linea in antenna. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 87 Questo tipo di sostegno, avendo le fasi più ravvicinate rispetto alla linea tradizionale, ha una reattanza inferiore con conseguente maggiore capacità di trasmissione e un impatto elettromagnetico sensibilmente inferiore. L’uso dei sostegni a ridotto impatto ambientale per le linee aeree permette di garantire la tutela dell’ambiente ed un’elevata affidabilità, a vantaggio di: –– –– –– –– –– –– un basso impatto visivo; una fascia di asservimento ridotta; una limitata occupazione del suolo; fondazioni piccole; minori danni e disturbi all’ambiente in fase di costruzione; ridotti campi elettro-magnetici. Le tensioni adottate per linee primarie trifasi sono a 132 kV o a 150 kV. In Tabella VI-III sono riportate, a titolo esemplificativo, quelle relative alle linee a 132 kV. Tabella VI-III: Caratteristiche elettriche degli elettrodotti. 3.2.3.2. Tensione nominale concatenata 132 kV Tensione massima del sistema 145 kV Frequenza 50 Hz Valore efficace max di corrente 800 A Densità di corrente 1,36 A/mm2 Le SSE in c.a. monofase La funzione di una SSE per l’alimentazione delle linee di trazione in c.a. monofase è quella di ridurre la tensione dal valore della rete primaria a quello della linea di trazione, garantendo la protezione sia delle apparecchiature in essa presenti sia delle linee di trazione che alimenta. La Fig. 3.24 ne riporta lo schema. La SSE può avere uno solo dei due trasformatori in esercizio oppure entrambi. Se sono in esercizio entrambi, sono connessi alla sbarra AT secondo l’inserzione a “V”, cioè alimentati da 2 coppie di fasi differenti. Se è in esercizio uno solo dei 2 trasformatori, nelle sottostazioni adiacenti deve essere effettuata una rotazione delle fasi che compensa, in parte, lo squilibrio di carico che ciascuna SSE produce sulla rete primaria in AT. Le SSE che alimentano le linee AV/AC italiane presentano una potenza installata di 120 MVA, ripartita in due unità di trasformazione da 60 MVA secondo lo schema di Fig. 3.25. Le linee alta velocità, realizzate con l’obiettivo di far circolare treni a velocità elevate e con cadenzamenti ridotti (fino a 5 minuti), sono caratterizzate da una potenza specifica, intesa come rapporto tra la potenza totale installata nelle sottostazioni e la lunghezza della linea di competenza, dell’ordine di 1-2 MW/km. Tale valore è di gran lunga superiore a quello delle linee storiche che, con riferimento alla rete nazionale a 3 kV, sono caratterizzate da valori di potenza specifica dell’ordine di 0,3-0,4 MW/km, Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 89 nelle linee principali ad andamento prevalentemente pianeggiante, e di 0,50,7 MW/km nei tratti di valico. Per questa tipologia di linee, per far fronte alle richieste di potenza da parte dei treni in particolari ore della giornata, si fa affidamento sulla sovraccaricabilità dei gruppi di conversione delle sottostazioni, che è del 100 % per 2 ore e del 133-200 % per 5 minuti. Soltanto sulla “direttissima” Roma-Firenze si è raggiunta una potenza specifica di circa 0,8 MW/km, per garantire una velocità di massima di 250 km/h. Con specifico riferimento al caso dell’AV italiana, il progetto è stato sviluppato al fine di sostenere la circolazione di treni che viaggiano ad una velocità di 300 km/h e distanziati di 5 minuti, senza alcun limite e con margini di potenzialità. Tale prestazione discende dalla previsione di circolazione nei due sensi di marcia di treni tipo ETR 500, nella massima composizione con un assorbimento massimo al pantografo di 12 MW e che, distanziati di 5 minuti, necessitano di una potenza specifica nominale complessivamente sui due binari di oltre 1 MW/km, ipotizzando i carichi con un fattore di potenza di 0,95. Al fine di realizzare il margine di potenzialità del 100 %, raggiungendo così la potenzialità massima di oltre 2 MW/km, oltre al funzionamento di un singolo trasformatore come riserva all’altro, la taglia dei trasformatori per ogni SSE è pari a 60 MVA. Di conseguenza, la configurazione dell’impianto di una SSE è tale che per nessuna condizione di manutenzione o di disservizio di una apparecchiatura si possa verificare il fuori servizio della SSE. In questo caso i trasformatori hanno possibilità di sovraccarico del 50 % per 15 minuti o del 100 % per 5 minuti. Ciascuno stallo di linea AT è dotato di sezionatori e interruttori e la sbarra AT è sezionabile al centro con un sezionatore motorizzato che consente di mantenere in servizio uno dei due gruppi in caso di guasto di sbarra o di una apparecchiatura rigidamente collegata alla sbarra. In serie al sezionatore è previsto un secondo sezionatore a comando manuale che ha il solo scopo di consentire interventi sul sezionatore motorizzato che consente di mantenere in esercizio il gruppo di trasformazione. Non è previsto invece il funzionamento dei due trasformatori in parallelo, perché si avrebbe un livello di cortocircuito ecc.ivamente elevato, in particolare nei confronti del potere di interruzione degli interruttori di bordo. Una stima approssimativa indica una corrente di cortocircuito dell’ordine di 20 kA e richiede quindi attenzione nella scelta degli interruttori di protezione delle sottostazioni, il cui intervento è particolarmente critico nel caso di cortocircuiti lontani a causa della forte impedenza di linea e dell’alimentazione a sbalzo. I gruppi hanno rapporto di trasformazione 132/55 kV, avvolgimento di bassa tensione suddiviso in due sezioni da 27,5 kV e sono dotati di variatore di rapporto sotto carico con una regolazione in tensione del + 4 × 1,25 % e –12 × 1,25 % lato primario per compensare le variazioni di tensione AT. I valori limiti della tensione al pantografo ammessi per l’alimentazione della linea di contatto dalla normativa CEI e IEC vigente sono: –– valore massimo permanente 27,5 kV (+ 10 %), 29 kV per 5 minuti; –– valore minimo permanente 19 kV (– 24 %), 17,5 kV per 10 minuti; –– variazione della frequenza di ± 1Hz (± 2 %). Al fine di consentire al treno di fornire le massime prestazioni, la progettazione del sistema di alimentazione è stata concepita in modo che, ad 90 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata eccezione di tratti molto limitati, ai pantografi sia presente una tensione superiore a 22 kV. La presa centrale del secondario dei trasformatori è collegata al binario e alla maglia di terra, il polo a 25 kV alimenta la linea di trazione, mentre quello a –25 kV è collegato all’alimentatore negativo (feeder), secondo lo schema previsto nel sistema 2 × 25 kV. Dalla sbarra secondaria di sottostazione sono derivati quattro montanti alimentatori, ciascuno dei quali comprende un interruttore bipolare e due sezionatori bipolari, di cui uno motorizzato e telecomandato. Le apparecchiature di protezione che intervengono sugli interruttori dei montanti alimentatori sono del tipo a reattanza con caratteristica rettangolare ed in grado di assicurare l’intervento anche con linee in parallelo ed estese fino alla SSE adiacente. Dei quattro alimentatori, due alimentano le linee pari, mentre gli altri due alimentano quelle dispari, per un totale di quattro linee di trazione e quattro feeder. Al dispersore della SSE si collegano i conduttori del circuito di terra. In sintesi, tutte le SSE comprendono: –– –– –– –– –– –– 3.2.3.3. sbarra 132 kV; stalli trasformatori 132/2 × 25 kV (60 MVA); sbarre MT ± 25 kV; trasformatori dei Servizi Ausiliari; stalli alimentatori a 25 kV; sbarre parallelo alimentatori pari/dispari 25 kV. I posti ausiliari Se, in esercizio normale, deve prevedersi il cambio della coppia di fasi di alimentazione sia tra i due gruppi di una SSE sia tra i gruppi corrispondenti alimentanti ciascun tratto di linea tra due SSE, la linea di trazione deve essere sezionata sia in corrispondenza della SSE sia a metà della tratta alimentata da 2 SSE adiacenti (50 km). Allo scopo di poter meglio ripartire il carico in caso di condizioni anormali, come ad esempio il fuori servizio parziale o totale di una SSE, si realizzano sezionamenti anche a metà di ciascuna segmento di linea di 25 km che, in esercizio normale, vengono tenuti cortocircuitati. Lo schema generale di alimentazione è riportato in Fig. 3.26. Lungo la linea si trovano, pertanto, dei “Posti Ausiliari”, che sono classificabili in: Posto di parallelo (doppio o semplice, PPD o PPS) e di autotrasformazione che ha la funzione sia di realizzare il parallelo tra l’alimentazione del binario pari e quella del binario dispari sia di consentire il passaggio del flusso di corrente tra linea di trazione e feeder. Nella Fig. 3.27, riferita ad una tratta di linea costituita da 3 celle ed alimentata dal trasformatore di una SSE, sono evidenziati la ripartizione dei flussi di corrente nei conduttori ed i contributi forniti dagli autotrasformatori. Si può osservare inoltre che, nelle celle occupate da un treno, il contributo del feeder al ritorno della corrente è solo parziale in quanto è prevalente quello della rotaia, viceversa tale contributo diventa pressoché totale nelle celle libere. 94 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 3.30: Schema funzionale del POC su binario di interconnessione [1]. Il POC, come si può evincere nello schema di principio di Fig. 3.30, è fondamentalmente costituito da: –– unità trasformatore-separatore (TS, nella Fig.); –– unità filtri; –– dispositivi di protezione. La scelta del posizionamento e della lunghezza di un POC devono tener conto di due esigenze contrapposte. La prima discende dalla circostanza che, al fine di evitare che un rotabile colleghi tra loro i due sistemi, il POC debba essere superato da convogli che abbiano i pantografi abbassati, cioè che lo percorrano con marcia inerziale (al riguardo, tale condizione viene garantita da dispositivi di controllo/comando automatici di bordo che ricevono la comunicazione dell’abbassamento del pantografo da “boe” di terra). Pertanto, per evitare che un convoglio possa arrestarsi all’interno di un tratto di linea disalimentato, sarebbe opportuno posizionare il POC in aree che non presentino particolari accidentalità di tracciato (piano e rettifilo) ed inoltre che la sua lunghezza sia la minore possibile. La seconda esigenza, viceversa, deve tener conto della circostanza che anche treni particolarmente lunghi possono transitare sulle linee ad Alta velocità e che questi, se non sono interamente contenuti nel tratto neutro, possono causare lo “shuntaggio” contemporaneo di due giunti consecutivi di rotaia. Ne deriva pertanto che la lunghezza del tratto neutro debba essere sufficientemente elevata. Una lunghezza compresa tra gli 800 e i 1000 m è apparsa quella che contempera le sopra menzionate esigenze. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 95 Unità trasformatore-separatore L’unità trasformatore-separatore costituisce il lato 25 kV del posto di confine elettrico. Il trasformatore dell’unità è stato studiato per alimentare a 25 kV un tratto di linea della lunghezza di un chilometro circa, reso elettricamente indipendente dal restante sistema a 25 kV con la presenza di un giunto isolato (Giunto 1 di Fig. 3.30). Si realizzano così due sezioni elettricamente indipendenti del binario. L’unità è posta in corrispondenza della penultima ed ultima regolazione automatica dei conduttori precedenti al tratto di sezionamento del POC, proprio in coincidenza del Giunto 1 ed il collegamento viene effettuato attraverso apposite casse induttive di parallelo delle rotaie connettendo il primario ed il secondario dello stesso trasformatore fra linea di trazione e binario. Tale soluzione consente principalmente di limitare la dispersione nel terreno delle correnti di trazione in c.a. al solo tempo di percorrenza da parte di un treno del tratto di binario alimentato da TS a 25 kV c.c. (~ 1 km) e di evitare, contestualmente, possibili interferenze con i circuiti del segnalamento a correnti codificate lato 3 kV. Il trasformatore dell’unità TS dei binari di interconnessione è di tipo monofase con avvolgimenti indipendenti, a secc. a raffreddamento naturale in aria, ha potenza nominale di 2 MVA, sovraccaricabile per un periodo di 10 minuti. Unità filtri L’unità filtri, lato 3 kV, si collega alla linea di trazione e al binario del ramo interconnesso. Realizza la continuità elettrica dei conduttori della linea di contatto, relativi alle due regolazioni automatiche delle rotaie in corrispondenza del giunto isolato 2 (Giunto 2 di Fig. 3.30) ed ha funzione di interdizione al passaggio di correnti alternate pericolose per il segnalamento. L’unità filtri relativa a ciascun binario comprende essenzialmente due filtri, funzionalmente analoghi, costituiti da una reattanza induttiva e da un condensatore in parallelo, accordati in modo da assicurare l’attenuazione dei disturbi a 50 Hz interessanti la linea di contatto ed il binario. L’induttanza nominale è pari a 3,5 mH; il condensatore per l’unità filtri ha capacità nominale di 2895 μF. Dispositivi di protezione Alcuni dispositivi di protezione sono collegati, in corrispondenza della zona di confine, fra linea di trazione e binario. Tali dispositivi, comandati da appositi riduttori di misura, sono composti essenzialmente da un trasformatore di tensione da esterno a 25 kV e da un partitore di tensione a 3 kV; essi consentono di interrompere l’alimentazione nel caso in cui un convoglio impegni il POC con pantografo sollevato. 3.2.3.4. Linea di trazione e circuito di terra Nelle elettrificazioni in c.a. monofase a 25 kV, a differenza di quanto viene abitualmente attuato nei sistemi in c.c., le linee di trazione non effettuano il parallelo tra sottostazioni adiacenti, anche prescindendo dall’aumento dello squilibrio di carico che si verrebbe a creare nel sistema trifase di alimentazione. La naturale reversibilità delle SSE creerebbe, infatti, pa- 96 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 3.31: Schema elettrico del sistema di alimentazione di linee di trazione in c.a. monofase [1]. ralleli tra punti anche lontani della rete di trasmissione in AT e, conseguentemente, si potrebbe avere circolazione permanente di correnti nelle linee di trazione anche in assenza di convogli. Lo schema elettrico prevede pertanto, sistematicamente, un posto di sezionamento a metà tratta che viene realizzato con un tratto neutro. Sono inoltre frequenti anche dei posti di “sezionamento secondari” che consentono, all’occorrenza di guasti, di ridurre la lunghezza della tratta disalimentata. In generale, sono posizionati ad uguale distanza tra la SSE ed il posto di sezionamento principale. Nelle linee a doppio binario nei posti di sezionamento viene in generale inserita anche la possibilità di chiusura del parallelo tra le linee di trazione delle due vie secondo lo schema di Fig. 3.31. Anche se la scelta dei vari Paesi delle sezioni dei conduttori della linea di trazione è stata, nel corso degli anni, diversa c’è stato viceversa un generale orientamento per la composizione della linea di trazione per l’AV: singola fune portante e singolo filo di contatto. I conduttori delle linee di trazione a 2 × 25 kV italiane, per ogni singola via, sono: –– 1 filo di contatto in rame con sezione di 120 mm2 e alimentazione a 25 kV; –– 1 fune portante in rame con sezione di 150 mm2 e alimentazione a 25 kV; –– 1 feeder in alluminio-acciaio con sezione di 307 mm2 e alimentazione a – 25 kV; –– 1 fune di terra in lega di alluminio con sezione di 147,1 mm2; –– 1 conduttore di terra in rame o alluminio con sezione di 95 mm2. I conduttori sono sostenuti da pali di tipo LS posizionati ad intervalli di lunghezza in genere di 50-60 m in rettilineo. Su una stessa palificazione sono presenti il filo di contatto, la fune portante, il feeder e la fune di terra. Per quanto riguarda le geometrie, la necessità di inserire un percorso ferroviario nel territorio, implica la realizzazione di diverse tipologie di tracciato che sono raggruppabili in quattro classi, denominate “sezioni tipo”: rilevato/trincea, viadotto, galleria naturale e galleria artificiale. A ciascuna di esse corrisponde una particolare disposizione geometrica dei conduttori, dovuta ai diversi spazi disponibili soprattutto per quanto riguarda il feeder e le corde di terra. In Fig. 3.32 è riportata la disposizione dei conduttori di una sezione tipo all’aperto. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 97 Figura 3.32: Schema di disposizione dei conduttori e relativa fotografia [1]. La linea di trazione è costituita dalla fune portante che, attraverso il sistema di pendinatura, sostiene longitudinalmente il filo di contatto, conduttore in rame massiccio opportunamente sagomato. Il circuito di terra è costituito da due dispersori lineari, da due funi di terra e dalle rotaie. I primi sono realizzati in corda di rame e disposti parallelamente alle vie ad una certa profondità nel terreno in prossimità della base dei sostegni e ad essi collegato. Dal momento che i binari non sono isolati dal suolo, tale dispersore lineare, uno per ciascuno dei due binari, permette di aumentare la naturale conduttanza di dispersione del binario verso terra, in modo di diminuire i potenziali ritorno/terra e conseguentemente evitare il rischio di eccessive tensioni di contatto sia in esercizio normale sia in caso di guasto. Ai dispersori lineari vengono quindi connessi tutti i pali e le masse metalliche di apparecchiature posizionate lungo linea allo scopo di proteggere gli operatori dai contatti indiretti. Tale dispersore lineare riduce anche l’impedenza dei sostegni verso terra, precauzione importante ai fini della protezione contro le sovratensioni di origine atmosferica. Le funi di terra invece sono dei conduttori cordati in lega di alluminio e sono montati sulla stessa palificazione della linea di contatto e del feeder, in testa ai pali. Esplicano una triplice funzione. Sono utilizzati come conduttore di ritorno per i servizi ausiliari lungo linea, in quanto, in virtù della loro posizione prossima ai conduttori attivi della linea, attirano una buona quota della corrente di ritorno, con riduzione di quella che si disperde nel terreno e conseguente diminuzione delle interferenze. Hanno, infine, funzione di protezione ceraunica, in quanto, sempre in virtù della loro posizione prossima alla linea di trazione ed al feeder, operano una efficace protezione contro le sovratensioni di origine atmosferica di tipo indiretto. Tutti i sostegni di ciascun binario sono collegati tra di loro dalla fune di terra che, ogni 1500 m circa, è collegata al binario tramite connessioni induttive, necessarie per il corretto funzionamento degli impianti di segnala- 98 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 3.33: Collegamento della rete di terra tramite connessione induttiva [1]. mento. Sono previsti collegamenti di parallelo tra il conduttore pari e quello dispari alla fine ed a metà di ciascuna tratta di 1500 m. Le connessioni induttive sono dotate di due morsetti che vanno connessi uno per ciascuna rotaia, più una presa centrale collegata a terra, Fig. 3.33. Esse sono dimensionate in maniera da funzionare come filtro passa basso, offrendo bassa impedenza al passaggio della corrente di trazione a 50 Hz ed ostacolando il passaggio delle correnti di segnalamento in audiofrequenza. Esistono due tipi di connessioni induttive: –– di sbarramento, con funzione di equilibrare le correnti di trazione di ritorno fra le rotaie e realizzano i collegamenti delle rotaie all’impianto di terra; –– di ritorno TE (per SSE e PPD), con funzione di collegare le prese centrali del trasformatore e dell’autotrasformatore alle rotaie; –– costruttivamente sono realizzate in due semiavvolgimenti su un nucleo ferromagnetico con traferro per evitare la saturazione e mantenere la linearità anche con correnti elevate. Le rotaie sono in acciaio di tipo 60 UNI. 3.2.3.5. L’alimentazione dei servizi ausiliari e delle utenze di linea Nelle SSE, da ciascuna estremità del conduttore di sbarra “feeder” è derivato un trasformatore monofase 25/0,24 kV da 50 kVA per l’alimentazione dei servizi ausiliari di SSE. Ciascun trasformatore (cfr. Fig. 3.34) è protetto da un fusibile con segnalazione d’intervento e da un sezionatore a comando manuale. I servizi ausiliari sono alimentati da uno dei due trasformatori (il secondo è di riserva). Le utenze alimentate da questa fonte sono: gli impianti di illuminazione, gli impianti di forza motrice, gli impianti di emergenza, gli impianti di segnalamento, il riscaldamento dei deviatoi, le stazioni radio base del GSM-R e l’unità acquisizione dati per la diagnostica della linea. Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 99 Figura 3.34: Posti di trasformazione lungo linea [1]. Figura 3.35: Alimentazione delle utenze normali e di emergenza. Se, da un lato, l’alimentazione da feeder rende disponibile l’energia in qualunque punto lungo la linea, dall’altro può introdurre possibili problematiche inerenti la qualità dell’energia fornita, in quanto il feeder può essere soggetto a disturbi sia di tipo condotto, generati dagli azionamenti dei locomotori, sia soprattutto causati da possibili disalimentazioni della linea, imposte da esigenze di esercizio. Dal momento che tale alimentazione interessa utenze essenziali, al fine di garantire la continuità di alimentazione delle utenze essenziali è necessario prevedere una sorgente di alimentazione di riserva, oltre che batterie tampone per le utenze essenziali, come riportato in Fig. 3.35. I Posti di servizio, le località, cioè, dove sono ubicate apparecc.ture ed impianti necessari all’esercizio delle linee ferroviarie, presentano dei carichi che possono essere divisi in utenze normali, privilegiate ed essenziali. Utenze normali sono ad esempio l’illuminazione non di emergenza e forza motrice, gli ausiliari, le Unità Acquisizione Dati monitoraggio (UAD) ed il riscaldamento dei deviatoi. Un utenza privilegiata è ad esempio il Condizionamento (CDZ), mentre sono utenze essenziali gli Impianti Segnalamento (IS), Telecomunicazione (TLC), Trazione Elettrica (TE), le luci di sicurezza, l’antincendio, gli ausiliari, l’automazione e la Diagnostica & Manutenzione (D&M). 100 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 3.36: Schema elettrico unifilare dell’alimentazione di un Posto di servizio [1]. In Fig. 3.36 è riportato, a titolo di esempio, lo schema elettrico unifilare di alimentazione di un Posto di servizio. Come si può notare dalla figura, la continuità di alimentazione è garantita da due UPS e da un Gruppo Elettrogeno. 3.2.4. LE INTERFERENZE PRODOTTE DALL’ELETTRIFICAZIONE FERROVIARIA IN CORRENTE ALTERNATA 3.2.4.1. Le interferenze elettromagnetiche Il fenomeno delle interferenze elettromagnetiche, caratteristico di una linea di trazione ferroviaria elettrificata in c.a. monofase, si genera se il circuito inducente (cfr. Fig. 3.37), costituito da catenaria, binari-terreno, mezzo di trazione e sottostazione elettrica, è nelle vicinanze di elementi/ strutture conduttrici (tubazioni, linee elettriche in cavo, linee di telecomunicazione, ecc. La corrente che circola nei conduttori della linea di trazione infatti induce negli elementi metallici posti in prossimità della linea stessa una forza elettromotrice il cui valore è dato da: E =– dΦ/dt =– M dI/dt (3.16) Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 101 Figura 3.37: Induzione elettromagnetica generata dal circuito di trazione a 25 kV- 50 Hz. dove: –– M, in Henry per chilometro, è il coefficiente di mutua induzione, funzione della distanza tra elemento inducente ed elemento interferito; –– I, in ampère, è la corrente che circola nel circuito inducente. In particolare, il valore del coefficiente M, funzione della natura del terreno, può variare: –– tra 500 e 1400 μH per distanze dell’ordine dei 10 metri; –– tra 90 e 900 μH per distanze dell’ordine dei 100 metri; –– tra 10 e 500 μH per distanze dell’ordine dei 1000 metri. La forza elettromotrice indotta (f.e.m.) genera la circolazione di correnti potenzialmente pericolose nell’eventualità di un contatto con l’elemento interferito. Il valore della f.em. è definito dall’espressione 3.16: = E 6 = Z kj I j k 1,...,6 ∑ (3.16) k =1 dove: –– Zkj, è la mutua impedenza tra i conduttori k e j; –– Ij, è la corrente che circola nel conduttore j-esimo. Nel caso in cui il conduttore interferito sia protetto da uno schermo, l’espressione della f.e.m. diventa: 102 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata e = 2π f k M I L (3.17) dove: –– f è la frequenza della corrente inducente; –– k è un fattore di riduzione dovuto alla presenza di materiali schermanti; –– I è la corrente che circola nel conduttore; –– M è il coefficiente di mutua induzione; –– L è la lunghezza in chilometri del parallelismo. Al fine di determinare il valore del coefficiente k, può farsi riferimento ai 3 circuiti riportati in Fig. 3.38, dei quali il primo rappresenta il circuito inducente percorso dalla corrente I1, il secondo rappresenta il circuito schermante sottoposto all’azione della f.e.m. indotta che produce la circolazione della corrente I2. Il terzo rappresenta il circuito indotto ai capi del quale si misura la f.e.m. indotta dalla circolazione della corrente I2. Figura 3.38: Il fenomeno dell’induzione elettromagnetica in presenza di un circuito elettrico schermante. Nel caso in cui il circuito interferito sia schermato, è possibile scrivere le seguenti equazioni (3.18): I1 ⋅ Z 13 + I2 ⋅ Z 23 = E3 I1 ⋅ Z 12 + I2 ⋅ Z 2 = 0 (3.18) Viceversa, nel caso in cui il circuito interferito sia privo di schermi, l’espressione della f.e.m. è: I1 ⋅ Z 13 = E3 ' ( 3.18’) Si può dimostrare che il coefficiente k è espresso dalla 3.19: K= E3 Z 12 Z 23 = 1E3 ' Z 13 Z 2 (3.19) Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 103 Infatti, se si ipotizza che il circuito 2 sia molto vicino al circuito 3, si può assumere che: Z 12 = Z 13 (3.20) Pertanto l’espressione di k diventa: = K 1- Z 23 Z2 (3.21) Poiché è: Z 23 = jϖ Ls Z= Rs + jϖ Ls 2 (3.22) ne discende che: = K e Rs = | s| Rs + jω Ls e (3.24) In altri termini, la f.e.m. indotta dal circuito di trazione fa circolare sullo schermo una corrente I2 = Is pari a: Is = E Rs + jω Ls (3.25) Tale corrente induce nel circuito interferito una f.e.m. E3 = Ec pari a: E C= - jω Ls I s (3.26) Sulla struttura interferita agiscono pertanto due f.e.m. il cui valore complessivo (Es) è: E s =E + E C = Rs I s (3.27) Se ne deduce quindi che: Rs E s = E - jω I s = E =K E Rs + jω Ls (3.28) Si può pertanto concludere che l’effetto schermante è tanto migliore quanto minore è la resistenza e quanto è maggiore l’induttanza dello schermo. Per i conduttori in cavo, il valore del coefficiente k è pari a: –– 0.4 ÷ 0.8, se provvisti di guaina di piombo; –– 0.15 ÷ 0.30, se provvisti di guaina di alluminio. Un sistema piuttosto efficace anche se costoso, è l’impiego di un conduttore di ritorno e di trasformatori succhianti, detti anche booster, di rapporto 1:1, che vengono inseriti ogni tre o quattro chilometri circa. Il primario ed il secondario sono inseriti in serie rispettivamente sulla linea di contatto e sul conduttore di ritorno; nel punto intermedio tra due trasformatori adiacenti, il conduttore di ritorno è collegato alla rotaia (cfr. Fig. 3.39). 104 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 3.39: Inserzione di trasformatori succhianti. La circolazione della corrente nei primari dei trasformatori produce l’azione di richiamo della corrente dalle rotaie nel conduttore di ritorno, attraverso i secondari degli stessi trasformatori, riducendo la spira inducente e limitandone pertanto gli effetti. Di fatto, la presenza di correnti nel binario è riscontrabile solo nel tratto di linea compreso tra il treno ed il più vicino collegamento tra rotaia e conduttore di ritorno Il sistema a 2 × 25 kV offre, dal punto di vista dei disturbi, notevoli vantaggi rispetto al sistema monofase tradizionale in quanto la presenza degli autotrasformatori ha un effetto analogo a quello dei trasformatori succhianti. La presenza di correnti nel binario si riscontra, anche in questo caso, solo nella cella nella quale si trova un treno. La Normativa vigente impone che, per evitare il rischio di infortunio derivante da valori di elevati di tensione e dell’intensità di corrente, la f.e.m. in regime permanente sia minore o uguale a 60 V efficaci; possono accettarsi valori superiori, fino ad un massimo di 150 V, solo per impianti nei quali vengano adottate cautele ed istruzioni particolari. Nei circuiti telefonici è possibile ottenere una riduzione del disturbo mediante la introduzione di traslatori che interrompano la continuità metallica del circuito indotto – trasformatori con rapporto 1:1 – oppure adoperando cavi telefonici provvisti di schermatura metallica. 3.2.4.2. Dissimmetrie e fluttuazioni di tensione nella rete di trasmissione in alta tensione La presenza di dissimmetrie e fluttuazioni di tensione si riscontra rispettivamente per la presenza dei trasformatori monofasi nelle sottostazioni elettriche e per l’esercizio radiale delle linee di trazione. Le dissimmetrie delle tensioni Relativamente alle dissimmetrie delle tensioni, le analisi vengono condotte, come nel caso dello studio dei cortocircuiti, utilizzando la ben nota teoria del Fortesque. La teoria dimostra che una terna dissimmetrica di fasori (vettori rotanti di assegnato modulo e fase), può ricondursi alla combinazione di tre componenti di sequenza fondamentali: positiva (o diretta, d), negativa (o inversa, –i), neutra (o zero o omopolare, o), avendo indicato per queste un verso Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 105 convenzionale di rotazione (cfr. Fig. 3.40a). In particolare, le terne diretta e inversa rappresentano due terne di fasori bilanciati, rotanti in verso opposto, la componente zero è una terna equiversa. Una terna generica e dissimmetrica di vettori V(1, 2, 3, Fig. 3.40b), può rappresentarsi per mezzo dell’operatore complesso α = e j2π/3, secondo la trasformazione lineare indicata in Fig. c. L’operatore α ha l’effetto di ruotare in senso antiorario un fasore di 2π/3, per cui è possibile esprimere tutti i vettori di terna tramite uno di riferimento per ogni sequenza (Vd, Vi, Vo). In modo analogo è possibile esprimere le componenti simmetriche in funzione dei vettori della generica terna, utilizzando l’inversa della matrice di trasformazione. Figura 3.40: Componenti simmetriche. V1 = Vd + Vi + Vo V2 = α 2Vd + α Vi + Vo V3 =α Vd + α 2Vi + Vo ( ) ( ) 1 V1 + α V2 + α 2V3 3 1 Vi = V1 + α 2V2 + α V3 3 1 Vo= ( V1 + V2 + V3 ) 3 Vd = Se in una rete di distribuzione con neutro isolato, un generatore alimenta con una linea un carico trifase, se le tre f.e.m. del generatore hanno stesso modulo e stessa fase (i vettori E1, E2, E3, formano una stella regolare), se le tre impedenze dell’utilizzatore sono tutte uguali, le correnti che circolano nelle tre fasi della linea di distribuzione hanno stesso valore efficace e possono esprimersi secondo le seguenti espressioni: I1 = I 2cos ω t I2 = π π 2 cos ω= t - 2 I3 I 2 cos ω t - 4 3 3 (3.29) In un sistema trifase equilibrato, le correnti che circolano nelle tre fasi sono quindi uguali in modulo e sfasate tra loro di 120°. Se, viceversa, un carico preleva potenza solo da due fasi, si determina uno squilibrio nella terna delle correnti e nelle tre fasi circolano correnti differenti tra loro che creano differenti cadute di tensione di fase, con conseguente dissimmetria delle tensioni di nodo. 106 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata A titolo esemplificativo, la Fig. 3.41 riporta il confronto tra tre casi: carico equilibrato sulle tre fasi, carico monofase, carico monofase con inserzione dei trasformatori monofase “a V” (nell’ipotesi di cos ϕ = 1). Figura 3.41: Esempi di applicazione. Per determinare il valore della dissimmetria delle tensioni, le grandezze elettriche di fase vengono ricondotte a componenti simmetriche, secondo le seguenti note espressioni: E1 Ed E i E0 E2 2 Ed E i E0 Ed 1 (E1 E2 2 E3 ) 3 1 E i (E1 2 E2 E3 ) 3 (3.30) Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione E3 Ed 2 E i E0 E0 107 1 (E1 E2 E3 ) 3 1 (I1 I2 2 I3 ) 3 I1 Id I i I 0 Id I2 2 I d I i I 0 1 I i (I1 2 I2 I 3 ) 3 I3 I d 2 I i I 0 I0 (3.31) 1 (I 1 I 2 I 3 ) 3 Nell’ipotesi di alimentazione di un carico monofase, con il neutro è isolato, si avrebbe: I1 + I2 + I3 = 0 (3.32) essendo i moduli e le fasi dei tre vettori diversi. La variazione del regime simmetrico dovuta all’assorbimento della corrente Ī* da parte di un carico monofase (costituito, ad esempio, da una sottostazione elettrica che alimenta una linea ferroviaria), può essere schematizzata secondo quanto riportato in Fig. 3.42. Figura 3.42: Condizioni sulle correnti fisse. Le equazioni delle correnti diventano pertanto: I1 0 I2 I3 I3 I * (3.33) e si può dedurre che le correnti che vengono a generarsi sono di sequenza diretta e inversa. Il collegamento dei circuiti di sequenza equivalenti è riportato in Fig. 3.43. 108 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 3.43: Collegamento dei circuiti di sequenza. Si può pertanto scrivere: Ed E Zd I d Ei Z i I i (3.34) Nell’ipotesi che: Rd << Xd, Ri << Xi, Xd = Xi, si ottiene E E d Xd I * Ei 3 XdI * 3 (3.35) Viene definito fattore di dissimmetria (ks) delle tensioni in un nodo del sistema trifase il rapporto: ks Ei Ed (3.36) Nel caso di un carico monofase isolato alimentato dal nodo stesso, è possibile determinare il valore di ks secondo l’espressione seguente: * ks * Ei E X I X VI P i d d2 m Ed E Pcc V 3E (3.37) dove: –– Pm: la potenza apparente assorbita dalla sottostazione monofase per la trazione. –– Pcc: la potenza di cortocircuito del nodo trifase di alimentazione da cui viene prelevato il caricoXIII. La circolazione di correnti di sequenza inversa, dovuta alla dissimmetria delle tensioni di alimentazione, può essere causa di disturbi o danneggiamenti a: Si osserva che la potenza di cortocircuito è un valore convenzionale dato dal prodotto di due grandezze peraltro non aventi realtà fisica coincidente nel tempo: la corrente di corto circuito e la tensione nominale del sistema. XIII Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 109 –– motori asincroni che, a causa della circolazione delle correnti inverse negli avvolgimenti, presentano riduzioni della coppia motrice e perdite addizionali con conseguente sopraelevazione della temperatura e riduzione del rendimento; –– generatori sincroni, soprattutto i grandi turboalternatori, che possono subire danni al rotore per effetto del riscaldamento anomalo provocato dalle correnti indotte di frequenza doppia; –– lampade che, per effetto delle differenze nei valori delle tensioni di fase, hanno diversità di prestazioni. I valori limite di dissimmetria delle tensione dei motori trifase a induzione sono indicati nella norma internazionale IEC 34-1, la quale prevede che “nel caso di motori in corrente alternata polifasi, le tensioni nei punti di alimentazione devono costituire un sistema virtualmente simmetrico (un sistema di tensioni polifase è considerato virtualmente simmetrico se la componente di sequenza inversa non supera il 2 % della componente di sequenza diretta)”. La norma fissa inoltre i limiti nella componente di sequenza inversa della corrente (≤ 5 % della componente di sequenza diretta) per garantire il corretto funzionamento dei generatori. Tuttavia, essendo tale componente funzione dell’entità del carico trifase (diverso da quello di trazione) presente nella rete, nonché della struttura della rete e dell’ubicazione dei generatori, ne risulta che il limite fissato è in generale poco significativo nei progetti di elettrificazione in c.a. monofase. Viceversa, viene di regola controllato il grado di dissimmetria provocato nel sistema delle tensioni, essendo assai probabile la presenza di motori trifasi in prossimità delle sottostazioni di trazione, alimentati attraverso trasformatori dalla linea in A.T. o dalle stesse sbarre in A.T. cui è collegato il trasformatore monofase della sottostazione per la trazione ferroviaria. La relazione tra la potenza massima PA erogabile dalla sottostazione per la trazione e la potenza di corto circuito PCC necessaria per rispettare il limite del 2 % previsto dalle norme IEC è quindi PA = 0,02 PCC. Per effettuare il calcolo del fattore di dissimmetria, nel caso di carichi non isolati, è richiesta, dunque, la rappresentazione ed il calcolo delle tre fasi della rete di alimentazione. In base a quanto enunciato dalle norme, tuttavia, non esistono indicazioni precise sui valori della potenza assorbita dal trasformatore cui fare riferimento. È infatti noto che, per la sovraccaricabilità del trasformatore, assorbimenti istantanei largamente superiori a quelli nominali possono verificarsi frequentemente, dando luogo a valori di dissimmetrie maggiori di quelli determinabili in base ai valori nominali. Se si considera che gli effetti più dannosi sulle utenze trifasi sono di natura termica, quindi legati alla durata della dissimmetria, si può effettuare il calcolo facendo riferimento alla potenza (apparente) media quadratica assorbita dalle macchine in un prefissato intervallo di tempo. In tale ottica appare evidente come possano essere diversificati i limiti ammissibili in funzione della durata del disturbo sia lungo (dell’ordine dell’ora) sia breve (qualche minuto). Una riduzione del fattore di dissimmetria può ottenersi, alternando la coppia di fasi cui collegare un unico trasformatore monofase, oppure, con due trasformatori, adottando l’inserzione a “V” o lo schema Scott e, in tutti i Capitolo 3 - Sistemi di Alimentazione per la Trazione 3.3. 111 RIFERIMENTI [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] [10] [11] [12] [13] [14] [15] [16] D. Zaninelli Sistemi Elettrici per l’Alta Velocità Ferroviaria, Polipress (anno 2010), pagine 272 - ISBN 9788873980694. M. Cavagnaro, G. Sciutto, L’Alta Velocità ferroviaria, rivista AEI, Febbraio 1997. I. Senol, H. Gorgun, M. G. Aydeniz, General Comparison of the Electrical Transportation Systems that are fed with 1 × 25 kV or 2 × 25 kV and Expectations from these Systems, 9th Mediterranean Electrotechnical Conference, 1998, MELECON 98, Volume 2, 18 - 20 May 1998, Page (s): 885 - 887. V. Morelli, Il sistema elettrico di potenza della Roma-Napoli, rivista AEI, Febbraio 1997. C. 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La Rosa, Elettrificazione monofase 25 kV - 50 Hz: Osservazioni sul calcolo del sistema elettrico, Ingegneria Ferroviaria, n.5, 1979. 4 SEGNALAMENTO FERROVIARIO Luca Esposito, Eugenio Fedeli RFI - Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. 4.1. LE FUNZIONI E LE LOGICHE DI SICUREZZA DEL SEGNALAMENTO FERROVIARIO: governo della via, distanziamento e supervisione I veicoli vengono classificati secondo l’ambiente impegnato, che può essere terra, acqua, aria. I veicoli pertanto si suddividono in: –– veicoli terrestri –– veicoli marini –– veicoli aerei Il moto dei veicoli richiede tre funzioni necessarie che consistono in: –– propulsione –– sostentazione –– guida La Propulsione è costituita dall’insieme del propulsore, che rappresenta quell’elemento che fornisce l’energia (in qualsiasi forma) e dal sistema di propulsione, il cui compito è quello di trasformare l’energia del propulsore in energia di traslazione necessaria a determinare quindi il moto del veicolo. I veicoli terrestri si distinguono in: –– Veicoli su strada ordinaria (a guida libera, in cui il moto è bidimensionale). –– Veicoli su strada ferrata (a guida vincolata, in cui il moto è unidimensionale). Il mezzo di sostentazione più di uso per i veicoli terrestri è la ruota che può essere di gomma (si parla quindi di strada ordinaria) o d’acciaio (si parla quindi di strada ferrata). Per i veicoli terrestri la ruota costituisce il sistema di propulsione che insieme al motore (detto propulsore), costituisce la propulsione. La guida può essere libera o vincolata, a seconda se il moto è libero o vincolato. Sulla strada ordinaria abbiamo una guida libera con un moto della traiettoria che è quindi bidimensionale, invece su di una strada ferrata la guida è vincolata e quindi il moto della traiettoria sarà unidirezionale. I veicoli marini, invece, possono essere: –– di superficie (detti anche natanti), il cui moto è bidimensionale; –– subacquei, il cui moto è tridimensionale. I veicoli di superficie, in relazione al tipo di sostentazione, possono essere a spinta idrostatica o idrodinamica. I veicoli a spinta idrostatica (natanti di superficie) possono essere dotati o meno di motore mentre i veicoli a 114 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata spinta idrodinamica (aliscafo), sono dotati di motore (in questo caso l’elica rappresenta il sistema di propulsione). I veicoli aerei possono essere dotati o meno di motore. Quelli dotati di motore insieme all’elica costituiscono il sistema di propulsione. Sempre per i veicoli dotati di motore la sostentazione è affidata alle ali aerodinamiche, e il moto è tridimensionale. Il Trasporto ferroviario caratterizzato, come detto, da una guida vincolata non consente al conducente di impartire una direzione diversa da quella imposta dalla via. Tale vincolo direzionale unitamente alle elevate velocità determina una regolazione della marcia non basata sulla visibilità dello spazio libero da percorrere ma su sistemi, chiamati di segnalamento, che forniscono tutte le informazioni sullo stato della via e sulla velocità da tenere per garantire una marcia in assoluta sicurezza. Le informazioni che tali sistemi forniscono al conducente del veicolo devono chiaramente garantire che la circolazione avvenga in maniera sicura e efficiente. L’infrastruttura ferroviaria ed in particolare il binario sono attrezzati con impianti tecnologici che svolgono le funzioni di trasferimento di informazioni per il comando, il controllo e la regolazione della marcia dei convogli. In ogni sistema di trasporto si riconoscono due distinti gruppi di condizioni di sicurezza: 1. La sicurezza del moto di ogni singolo rotabile (affidabilità del dispositivo). 2. La sicurezza del moto di ciascun rotabile in relazione alla contemporanea circolazione sull’infrastruttura ferroviaria di altri rotabili aventi caratteristiche in termini di struttura, configurazione e tipo di alimentazione differente (sicurezza e regolarità della circolazione). La sicurezza relativa alla circolazione dei rotabili è regolata da un complesso di norme e procedure che consentono di evitare situazioni di conflitto per la marcia su una data linea, garantendo l’inoltro di un rotabile su di una determinata sezione della linea, solo in condizioni di libero tracciato. Una volta avvenuta l’occupazione della sezione in esame da parte di un rotabile, la sezione rimane interdetta fin quando non si avrà la completa liberazione di quest’ultima. I tre fattori fondamentali che concorrono alla Sicurezza della circolazione sono sostanzialmente: 1. Le attrezzature tecnologiche. 2. Le regole e le procedure da osservare. 3. Il fattore umano. Attitudini e competenze sono il patrimonio fondamentale del fattore umano, che concorre, in sinergia col fattore tecnologico e il fattore normativo, al rispetto dei vincoli di sicurezza dell’esercizio ferroviario. Il raggiungimento di elevati standard di sicurezza nel trasporto ferroviario è affidato a: –– l’incremento della qualità delle apparecchiature impiegate nelle applicazioni ferroviarie; –– il rispetto delle norme nazionali e comunitarie, regolamenti e disposizioni; –– il continuo miglioramento delle skills del personale dipendente; –– una efficace ed efficiente programmazione dei cicli manutentivi. Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 115 La sicurezza di un sistema in ambito ferroviario è concepita quindi, come la capacità dello stesso di non evolvere verso stati indesiderati. Tale assunzione comporta non solo aspetti riguardanti la protezione di persone e beni da attacchi volontari (furto, sabotaggio, ecc., che nella lingua inglese vengono indicati con il termine security) ma anche quelli volti alla protezione di persone e beni da eventi incidentali (incendi, fughe di sostanze tossiche e pericolose, ecc., indicati con il termine safety). Allo scopo di superare l’ambiguità, tali termini tendono sempre più ad essere utilizzati anche nella lingua italiana. Rientrano più propriamente tra questi ultimi i concetti di sicurezza ferroviaria. Con riferimento agli aspetti progettuali di sistema va osservato che nel campo degli impianti ferroviari di sicurezza e di segnalamento è tradizione il non accontentarsi solo di livelli di sicurezza elevati, associati a valori assai ridotti di probabilità di guasto, ma considerare la sicurezza in ferrovia come un concetto deterministico, sul quale intervenire in qualsiasi condizione di guasto, pervenendo, tramite il maggiore intervento dell’uomo e specifiche norme cautelative di marcia, ad una condizione alternativa di sicurezza rappresentata da una procedura con funzioni degradate o giungendo al limite all’arresto della circolazione. L’esistenza di una tale possibilità consente di aumentare la sicurezza nei confronti di un qualsiasi guasto, provocando il passaggio ad una situazione di minore disponibilità, ma di uguale sicurezza, in quanto più limitativa solo per la circolazione, fino a raggiungere, al limite, alla completa immobilità di tutti i rotabili circolanti nella tratta interessata dal guasto. Apparecchiature che implementino il concetto sopra esposto, vengono definite “fail-safe”, termine che può essere correttamente tradotto come “a prova di guasto pericoloso”. Ad esempio, la realizzazione del fail-safe del sistema di frenatura meccanica dei rotabili, si concretizza con l’azione di produrre una depressione nella condotta ove si trova l’aria, abitualmente ad una pressione di 5 bar, qualora si desideri effettuare una frenatura. Tale azione tiene conto anche dell’occorrenza di un guasto alla condotta stessa ed, in particolare, della sua rottura. In tale circostanza infatti, la depressione dell’aria ha come effetto conseguente l’arresto del convoglio. Con l’utilizzo sempre più spinto di tecnologie innovative è stato possibile migliorare le prestazioni degli apparati di Sicurezza e di eliminare o almeno minimizzare gli effetti di ogni possibile errore umano. La tipologia e l’entità delle informazioni e dei comandi che vengono scambiati tra gli elementi del sistema definiscono, a seconda dei componenti coinvolti, i vari regimi di circolazione. Il tipo e l’entità delle funzioni affidate agli apparati di terra e di bordo definisce il livello di automazione del sistema. Nel caso di un sistema completamente automatico (ad esempio i sistemi driverless) non esistono funzioni affidate all’uomo e scompaiono conseguentemente le interazioni tra esso e gli altri elementi del sistema; Parallelamente si sposta la sede della Logica della Sicurezza che viene trasferita dall’uomo (caso dei regimi di circolazione esclusivamente manuali) agli impianti di sicurezza e segnalamento moderni, in cui la verifica delle condizioni di sicurezza è tutta attribuita agli apparati e all’uomo resta affidata la sola funzione di regolazione della circolazione e l’attivazione delle procedure. Analogamente a bordo la Logica della Sicurezza può essere attribuita agli apparati di bordo, mediante sistemi ATP (Automatic Train Protection) o ATO (Automatic Train Operation) lasciando all’uomo solo la funzione di 116 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 4.1: Sistemi di sicurezza è controllo della marcia treno e loro legame di interdipendenza. decisione della partenza. L’azione dell’uomo rimane comunque necessaria per gli interventi in situazioni di avarie e di malfunzionamenti o per gestire i movimenti di manovra. La sicurezza effettiva dipende, quindi, dal corretto funzionamento di tutti gli elementi e dai criteri progettuali con cui sono gestite le situazioni di avaria (sicurezza intrinseca, ridondanza, ecc.). La logica di sicurezza può essere realizzata tramite 4 sistemi fondamentali: –– ATP –– ATC –– ATO –– ATS L’ ATP (Automatic Train Protection) garantisce il rispetto delle condizioni restrittive, attivando all’occorrenza la frenatura d’emergenza, non richiedendo visualizzazioni dei vincoli di velocità a bordo (MMI), ed è utilizzabile come singolo sistema fino a velocità di 160 km/h (150 km/h in Italia), in concomitanza con segnalamento laterale (usato su SCMT, SSC). L’ ATC (Automatic Train Control) fornisce in cabina l’indicazione della velocità che il treno deve rispettare in relazione alla libertà e all’integrità della via, alla distanza disponibile, alle caratteristiche del treno, alle caratteristiche del tracciato (permanenti o temporanee) e alle informazioni dell’orario di servizio/prescrizioni. L’ATC può essere interpretato come supplemento o come sostituzione dei segnali fissi (è usato con ETCS e TVM). L’ATO (Automatic Train Control) permette la gestione automatica e/o remota della marcia del treno e della frenatura applicando le informazioni fornite dall’ ATC (è usato su LZB e ETCS modificato). Infine l’ATS (Automatic Train Supervision) fornisce al treno la velocità consigliata in relazione alle condizioni di traffico e di infrastruttura sotto il controllo ATO o ATC, ottimizzando la velocità e ottimizzando la circolazione di un treno in relazione agli altri treni in linea. La sicurezza è un requisito fondamentale per la progettazione e la manutenzione delle infrastrutture e dei veicoli ferroviari. In particolare, per quanto riguarda la valutazione del livello complessivo di sicurezza di un sistema ferroviario, devono essere considerati nella loro globalità gli insiemi: –– dei sistemi tecnologici di sicurezza di impianti e veicoli; –– delle normative d’esercizio; –– dei comportamenti degli operatori. La natura della materia e la rara possibilità (solo per taluni sistemi tecnologici) di disporre di valori deterministici delle grandezze in gioco rendono necessario definire le grandezze fondamentali del problema attraverso indicatori probabilistici. In termini estremamente generali si possono definire in primo luogo: 118 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Nella matrice del Rischio riportata in figura si è considerato per la probabilità di accadimento P: 1 = improbabile, 2 = poco probabile, 3 = probabile, 4 = altamente probabile; mentre per il Danno D si è considerato invece: 1 = lieve, 2 = medio, 3 = grave, 4 = gravissimo. Figura 4.3: Misure da adottare in funzione della Rischio ricavato con la Matrice del Rischio. Il processo di evoluzione tecnologica, che ha accompagnato lo sviluppo del sistema ferroviario, si è vieppiù indirizzato verso l’attribuzione ai componenti tecnologici degli impianti e dei veicoli dei compiti di sicurezza, inizialmente interamente affidati all’uomo con la guida dei testi regolamentari. L’ipotesi alla base di tale processo è quella, valida in generale, di poter ottenere attraverso l’impiego della tecnologia livelli di sicurezza molto superiori a quelli garantiti dall’uomo (RI << RC). A tal proposito, risulta di fondamentale importanza l’analisi del comportamento umano nei casi, sempre più rari, di avarie dei sistemi durante i quali, la sicurezza viene riposta/ gestita nuovamente dagli operatori. Elementi determinanti per procedere a tale valutazione sono: –– l’affidabilità dei componenti tecnologici interessati e quindi la frequenza delle situazioni di degrado per avaria; –– l’efficacia degli strumenti regolamentari preposti a guidare i comportamenti degli operatori in tali situazioni. La regolamentazione d’esercizio nasce dalla necessità di regolare le azioni compiute dagli operatori. Alle origini della ferrovia le funzioni degli operatori erano pressoché completamente rivolte ad assicurare la sicurezza dell’esercizio. Attualmente la responsabilità della sicurezza in regime ordinario ricade sugli operatori in forma più limitata (soprattutto sul personale di condotta) ed in prospettiva essa sarà ancor più marginale con l’estensione dei sistemi di controllo della velocità. La regolamentazione dell’esercizio continua tuttavia a svolgere un ruolo fondamentale sotto almeno tre diversi profili: –– individuazione degli standard di riferimento per la progettazione funzionale e le verifiche di sicurezza intrinseca delle apparecchiature tecnologiche che progressivamente stanno sostituendo l’operato umano; –– regolamentazione delle operazioni di controllo e gestione dell’esercizio al fine di accrescere la qualità del servizio offerto (ad esempio dal punto di vista della disponibilità, della regolarità, del comfort per i passeggeri, ecc.); –– regolamentazione del regime degradato, disciplinando i comportamenti degli operatori che devono inevitabilmente tornare ad assumere temporaneamente responsabilità per la sicurezza dell’esercizio (bisogna tenere in conto che la gran parte degli incidenti che avvengono in ferrovia, hanno luogo in situazioni di degrado per una o più componenti del sistema). Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 4.2. 119 EVOLUZIONE TECNOLOGICA: Tecnica della circolazione su rotaia La tecnica della circolazione su rotaia tende a disciplinare il movimento dei treni in linea (distanziamento, precedenze, regolazione degli incroci) e nelle stazioni (itinerari di ingresso, di partenza, manovre ed istradamenti) con l’utilizzo di impianti e di norme apposite. Nel seguito saranno affrontati i temi del distanziamento treni, del segnalamento, degli apparati centrali, della gestione della circolazione e dei nuovi sistemi tecnologici per il controllo della marcia dei treni. 4.2.1. DISTANZIAMENTO DEI TRENI Nelle prime linee ferroviarie non esistevano impianti di sicurezza e di segnalamento, ma la sicurezza e il corretto funzionamento del sistema era affidato a segnalazioni a mano o tramite bandiere colorate, o di notte mediante lanterne a luce colorata. Uno dei primi sistemi per la gestione di una rete ferroviaria si basava sul cosiddetto “Distanziamento a Tempo”, che come suggeriva la parola consisteva nell’inviare un treno dalla stazione A alla successiva trascorso un certo tempo dall’immissione in rete del treno precedente. Naturalmente tale sistema non contemplava la presenza di eventuali ostacoli o problemi che si potevano presentare lungo la linea, pertanto si passò ad un sistema più sicuro rappresentato dal cosiddetto “Distanziamento a Spazio”. Il distanziamento a spazio era basato sullo scambio di comunicazioni telegrafiche tra posti distanziatori successivi, dove i posti distanziatori erano rappresentati generalmente da stazioni, solo successivamente furono introdotti anche delle postazioni intermedie tra le varie stazioni per aumentare il cadenzamento. Il distanziamento a spazio può avvenire con due criteri diversi, cioè il “Regime del Giunto” e il “Regime del Blocco”. Nel Regime del giunto la linea ferroviaria è considerata come una linea aperta, nella quale può sempre essere inviato un treno da una stazione A alla successiva B, una volta che il treno sia giunto nella stazione successiva B, il dirigente di movimento invia un segnale alla stazione precedente A di giunto treno, che abilita la stazione A ad inviare un altro treno verso la stazione B. Quindi nel regime del giunto la linea è sempre considerata aperta tranne quando la tratta tra le due stazioni è occupata dal treno. Un sistema più affidabile in termini di sicurezza è invece rappresentato dal regime del blocco, nel quale un treno può muoversi dalla stazione A alla successiva B solo al seguito di un segnale di benestare inviato dalla stazione B alla precedente A. Quindi nel regime del blocco la linea ferroviaria è considerata una linea chiusa, che diviene aperta solo quando si è ottenuto il consenso al transito del treno. Nel regime del blocco nessun dispaccio viene inviato dalla stazione B alla stazione A all’arrivo del treno in stazione diversamente da come accadeva nel regime del giunto. In tali sistemi si autorizzava il treno ad immettersi in linea e implicitamente lo si autorizzava anche ad entrare nella stazione successiva a quella di partenza, salvo intervento di un agente lungo la linea munito di segnalamento a mano, si rese necessario quindi nel corso del tempo il ricorso a segnali fissi per regolamentare l’ingresso in stazione, e che per il loro scopo furono quindi definiti segnali di protezione della stazione o più semplicemente segnali di protezione. Successivamente 120 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata nacquero i segnali di partenza per poter segnalare al treno la possibilità o l’impossibilità di partire dalla stazione, semplificando i compiti del dirigente di movimento, in stazioni dove si avevano lunghi binari o con distinti fasci di binario. Con il crescere delle velocità risultò evidente l’impossibilità da parte del macchinista di rispettare un segnale che gli apparisse solo nel campo della diretta visibilità. In un primo momento si superò tale problema ponendo il segnale ad una distanza maggiore rispetto al punto protetto, consentendo quindi la possibilità al treno di fermarsi anche oltre il segnale ma prima del punto protetto, realizzando così quello che venne definito segnale di seconda categoria. Un successivo provvedimento fu quello di far precedere il segnale vero e proprio da un altro segnale fisso non manovrabile di attenzione, costituito da una vela gialla con al suo interno una luce gialla che veniva accesa nelle ore notturne. Tale segnale fisso serviva per far capire al macchinista di ridurre la velocità per l’avvicinarsi al successivo segnale che se in stato di rosso non poteva essere assolutamente superato. Con l’aumentare della velocità e con il progredire della tecnica ferroviaria il segnale di attenzione divenne un segnale di avviso, manovrabile, che consentiva quindi in anticipo di ripetere le indicazioni del segnale principale, che prese il nome di segnale di prima categoria e che non poteva essere per nessun motivo oltrepassato. Con questa strategia il macchinista doveva rallentare se incontrava il segnale di avviso a via impedita, altrimenti poteva continuare a marciare a piena velocità. L’insieme del segnale di avviso e del segnale di prima categoria prende nome di doppio segnalamento. Si parla invece di doppio segnalamento completo quando ogni stazione è munita oltre che di segnalamento di protezione anche di segnalamento di partenza. In Italia è prevista una distanza tra segnale di avviso e di prima categoria di 1200 metri per velocità dei rotabili non superiori ai 140 km/h. Per avere indicazioni riguardanti l’occupazione della linea da parte del treno senza fare ricorso a segnalazioni tra i dirigenti di movimento che devono presidiare fisicamente la stazione e scambiare informazioni con le altre stazioni, una delle metodologie più utilizzata, per rendere automatico l’impianto è rappresentata dall’adozione dei cosiddetti circuiti di binario. Il circuito di binario è un circuito elettrico realizzato mediante giunti isolanti posti agli estremi del tratto di binario che si vuole controllare e disponendo ad un estremo del segmento di binario considerato, una sorgente di bassa tensione che alimenta tramite le rotaie un relè posto all’altro estremo (i giunti servono ad interrompere la continuità elettrica del binario, per determinare la creazione di più circuiti elettrici, da controllare per valutare la presenza o meno di un treno in una sezione di binario). In caso di binario libero la corrente percorre le due rotaie e va a richiudersi sulla ricezione posta all’altra estremità del circuito determinando attraverso il relè di binario la disposizione a via libera del segnale di protezione di quel tratto di binario (aspetto verde) così come indicato nella Figura 4.4. Quando il treno si trova a passare sul tratto di binario considerato gli assi del rotabile cortocircuitano l’alimentazione, impedendo quindi alla corrente di raggiungere il relè e lasciando il relè diseccitato. Tale stato diseccitato è associato allo stato di binario occupato. Per evitare la circolazione di In tale schema viene aggiunta anche una resistenza per limitare il valore della corrente, quando un asse del treno cortocircuita il binario. Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 121 Tale situazione viene rappresentata nella Figura 4.5. Come si può notare la condizione più restrittiva via impedita (aspetto rosso) è associata ad una mancanza di alimentazione del relè in modo tale che una eventuale avaria del relè (es.: rottura della bobina di comando) o la rottura della rotaia non va ad inficiare la sicurezza. Figura 4.4: Relè eccitato (aspetto del segnale verde). Figura 4.5: Relè diseccitato (aspetto del segnale rosso). Naturalmente il circuito di binario non può avere un’estensione illimitata, poiché per lunghezze superiori a un paio di chilometri la corrente erogata dal generatore a causa della dispersione non sarebbe in grado di eccitare il relè anche quando non vi è alcun treno ad occupare il circuito. Nel caso di linee con sistemi di trazione elettrica in corrente continua il circuito di binario non può essere realizzato come ora descritto, poiché potrebbero, per effetto della corrente di trazione, crearsi ai capi del relè della delle tensioni tali da eccitare il relè anche quando il relè non dovrebbe essere eccitato (cioè circuito occupato dal treno). Per questo motivo nelle linee con sistemi di trazione elettrica a corrente continua si usano circuiti di binario alimentati in corrente alternata. In tali cdb l’alimentazione e la ricezione sono rea- 122 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata lizzate tramite due piccoli trasformatori a presa variabile, in modo da regolare la tensione in funzione della lunghezza del tratto di binario considerato (con tensione dell’ordine di otto/dieci Volt), agendo inoltre sulle resistenze presenti vicino ai trasformatori per ridurre le correnti di dispersione. Questa soluzione comporta, in piena linea, l’uso di filtri che lasciano passare la corrente di ritorno dalla trazione ma bloccano le correnti sinusoidali che alimentano il circuito di binario. Infatti le induttanze mostrate nella Figura 4.6 consentono il passaggio della corrente continua da un cdb all’altro, ma a causa dell’alta impedenza a 50 Hz, limitano il passaggio delle correnti alternate. I circuiti di binario vengono anche utilizzati per trasmettere, modulando in ampiezza le correnti dei circuiti di binario, informazioni che vengono inviate sotto forma di telegrammi al SSB, consentendo quindi al bordo di avere indicazioni sullo stato dei segnali che il rotabile incontrerà lungo il suo tragitto. Figura 4.6: Utilizzo delle connessioni induttive nei cdb. Tale funzionalità è alla base del sistema di Blocco Automatico a Correnti Codificate (BAcc) ampiamente diffuso sulla rete ferroviaria italiana tradizionale per il distanziamento dei treni lungo linea. Tale sistema inoltre fornisce anche le indicazioni relative ad un eventuale rottura del binario che viene interpretata come un’occupazione della sezione di blocco, impedendo di fatto al treno di immettersi nel cdb in questione. Nei circuiti di binario a correnti codificate la modulazione in ampiezza della corrente a 50 Hz è ottenuta tramite appositi relè definiti codificatori. Ad ogni intervallo di alimentazione del relè ne segue uno di disalimentazione di eguale durata. La somma di un intervallo di alimentazione e di uno di disalimentazione costituisce il periodo di codifica ed il suo inverso rappresenta la frequenza del codice. Quindi un codice 75 rappresenta che l’alimentazione è stata tolta e immessa 75 volte in un minuto, quindi il periodo della forma d’onda è pari a 60/75 = 0,8 secondi. Il BAcc può essere a 4 codici cioè: 0-75-180-270, oppure utilizzando in aggiunta alla modulazione a 50 Hz una modulazione di una frequenza ausiliaria a 178 Hz, si possono generare ben 9 codici. Nel caso di sistema a 4 codici, quando la ricezione di un cdb non riceve nessun codice, cioè il relè non è eccitato, il segnale che protegge tale cdb assume Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 123 l’aspetto più restrittivo (rosso) e trasmette al cdb immediatamente adiacente un codice 75, che ricevuto all’estremità opposta del cdb fa assumere al segnale l’aspetto giallo e trasmettendo a sua volta a monte un codice 180. La ricezione del cdb posto a monte, riceve il 180 e fa assumere al relativo segnale l’aspetto più permissivo (verde) e trasmette un codice 270 a monte. Nel caso del blocco automatico con correnti codificate a 9 codici è invece possibile dare maggiori informazioni aggiuntive di segnalamento ai treni equipaggiati con apparecchiature per la ripetizione in macchina dei segnali. Nelle Tabelle 4.1 e 4.2 vengono riportati i significati delle informazioni per BAcc a 4 e a 9 codici. Tabella 4.1: Blocco a correnti codificate a 4 codici. Tabella 4.2: Blocco a correnti codificate a 9 codici. Codice Sigla tasto AC AC Bianco Zona occupata o assenza di codice 75 - Giallo lamp Avviso di via impedita al successivo segnale di 1ª categoria. 120 RV Giallo Avviso di riduzione di velocità a 30, 60 o 100 km/h per deviata 180 - Bianco Avviso anticipato di segnale di 1ª categoria disposto a via impedita 270 - Verde Via libera Codice Sigla gemma Colore gemma Descrizione AC AC Bianco Zona occupata o assenza di codice 75 - Giallo lamp Avviso di via impedita al successivo segnale di 1ª categoria. 120 RV Giallo Avviso di riduzione di velocità a 30, 60 o 100 km/h per deviata 120* 100 Giallo Avviso di riduz. velocità a 100 km/h al success. segnale a via libera per itiner. deviato 120** 130 Giallo Avviso di riduz. velocità a 130 km/h al success. segnale a via libera per itiner. deviato 180 - Bianco Avviso anticipato di segnale di 1ª categ. disposto a via impedita / fine zona codificata 180* 150 Bianco Avviso di riduzione della velocità massima di linea a 150 km/h per lavori. 270 - Verde Via libera con Vmax di 180Km/h 270* VM Verde Via libera con Vmax di 220 Km/h 270** SV Verde Via libera con Vmax di 250 Km/h Colore tasto Descrizione 124 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 4.7: Foto di un Pedale Conta Assi montato su rotaia. L’informazione relativa alla libertà della via può essere anche ottenuta, in forma automatica, senza l’impiego dei circuiti di binario, facendo ricorso ai Sistemi Conta Assi. Tali sistemi si basano sul Pedale Conta Assi (PCA), cioè su un componente elettromeccanico posizionato sulla rotaia (Fig. 4.7) e come tale esposto ad accidentalità di origine meccanica, elettrica, magnetica, chimica e climatica. Alla base del funzionamento del PCA ci sono dei sensori magnetici costituiti da una bobina Generatore G (posizionata all’interno della rotaia) che genera un campo magnetico variabile e da una bobina Ricevitore R (posizionata all’esterno della rotaia) che si concatena con il campo generato da G. Il campo suddetto viene generato da G in modo tale che il passaggio di una ruota di un rotabile ne provoca una forte attenuazione con conseguente riduzione della tensione indotta sulla bobina R, pertanto, quando il dispositivo è a riposo, cioè non vi sono assi in transito, fra la coppia di sensori G ed R vi è continuità magnetica, mentre quando vi è il passaggio di un rotabile, il segnale captato da R si annulla, o scende al di sotto di un soglia prefissata (occupazione sensore), generando l’occupazione immediata della sezione di blocco. Tale sistema è vantaggioso rispetto ai sistemi BAcc in quanto non richiede l’uso circuiti e componentistica lungo linea, ma solo presso le stazioni ed i posti di blocco intermedi. In Italia questo sistema negli ultimi anni ha avuto una diffusione importante, oltre che sulle reti secondarie a traffico medio-scarso, anche sulle linee intorno ai nodi grazie alla sua economicità (se rapportato con un BAcc), alla semplicità d’installazione e per la sua particolare attitudine ad operare completamente in telecomando. La sola presenza del PCA non consente tuttavia la verifica dell’integrità del treno transitato. A tal proposito, per assicurare la libertà della via a monte bisogna integrare il pedale conta assi con controlli aggiuntivi atti a verificare che il treno sia ivi transitato nella sua interezza. Il PCA, tuttavia, è sicuro nei confronti di un suo danneggiamento o nel caso di sottrazione di una parte o di tutti gli elementi costituenti il sistema. La sicurezza è garantita dalle caratteristiche intrinseche del sistema, il cui funzionamento è basato sull’invio di un segnale continuo. L’impiego di punti di conteggio assi doppi (2 bobine trasmittenti e 2 riceventi) consente di ottenere due impulsi immediatamente successivi al passaggio di ciascuna ruota e di rilevare pertanto anche il senso di marcia del treno in transito, così come descritto nella Figura 4.8. L’ultimo in ordine di tempo dei sistemi di blocco o di distanziamento a spazio è il Blocco Radio. Come nel caso del distanziamento a blocco fisso la linea è suddivisa in sezioni di blocco, costituite da almeno un cdb mediamente lungo 1800 metri, ed il distanziamento dei treni viene regolato mediante MA (Autorizzazione al Movimento) trasmesse via radio al treno dal Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 125 Figura 4.8: Pedale Conta Assi. Radio Block Center (RBC). La MA è relativa ad una tratta costituita da una o più sezioni e sostituisce le informazioni trasmesse a mezzo dei segnali luminosi di Ia categoria, non presenti sulle linee esercitate con tale regime ed è sempre assegnata dal RBC univocamente ad un treno. In assenza di treno non è assegnata alcuna MA. Una MA deve contenere, quindi, un numero intero di sezioni di blocco o itinerari; il numero minimo di sezioni di blocco radio o di itinerari coperti da una MA è pari ad 1, mentre il numero massimo dipende dalle caratteristiche di esercizio (es.: sulla Roma-Napoli con numero massimo di otto sezioni per MA si può arrivare a circa 20 km di lunghezza di MA, sulla Torino-Novara è stato scelto il valore di 17 km). Il numero di sezioni contenute in una MA dipende anche dalla distanza del circuito di binario detto di approccio al PdS che apre tramite le logiche di ACC (Apparato Centrale Computerizzato) e SCC (Sistema Comando e Controllo) il prossimo itinerario al treno che vi transita, in quanto il cdb di approccio al PdS configurato in SCC e ACC se occupato blocca per 5 minuti l’itinerario impegnato dal treno, impedendone la distruzione e la possibilità della formazione dello stesso per un treno seguente. La funzione del blocco radio è adottata nel sistema ETCS L2 (European Traffic Control System Livello 2) in maniera integrata con le altre funzioni del sistema stesso (segnalamento in cabina di guida e controllo della marcia del treno). I componenti del blocco radio sono i seguenti: –– –– –– –– Posto Centrale del Blocco Radio. Sezioni di blocco radio. Punti Informativi. Sottosistema di trasmissione. Presso il Posto Centrale sono ubicati: –– il Radio Block Center (RBC) per la gestione centralizzata del distanziamento treni, tramite Blocco Automatico Radio (BAR), nella tratta considerata, comprendente anche la parte di terra del sistema EURORADIO per il collegamento fisico tra RBC e GSM-R; se la tratta è superiore a 80 - 100 km sono presenti più RBC. –– Il Sistema di Comando e Controllo (SCC-AV) per il telecomando e la telecontrollo degli impianti di segnalamento e sicurezza della circolazione, degli impianti TE e degli impianti ausiliari. 126 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– Il sistema di radiocomunicazione GSM-R di livello centrale collegato, mediante il sistema TLC/LD, con le apparecchiature GSM-R di livello periferico. I punti informativi (PI) sono costituiti ciascuno da almeno due boe (Eurobalise) posizionate sui binari in punti significativi della linea (la maggior parte sono posizionate 200 m prima della fine di ogni sezione per entrambi i sensi di marcia) per individuare oltre alla posizione anche il senso di circolazione del treno (Position Report). Il PI costituisce un punto essenziale per il riferimento spaziale del sistema che fonda il calcolo dello spazio percorso dal treno sulla base delle misure effettuate dal sistema odometrico di bordo ed i dati inviati dal RBC attraverso i riferimenti spaziali relativi che ogni PI, detto anche Last Relevant Balise Group (LRBG), consente di dare e di aggiornare. L’energizzazione delle boe avviene al passaggio del rotabile, mediante accoppiamento induttivo tra l’apposita antenna, posta sotto il rotabile (BTM), e le boe stesse (frequenza a 27 MHz dal treno che energizza la boa, la quale risponde alla frequenza di 4 MHz, solo se sollecitata, inviando il contenuto informativo digitale a 1024 bit modulato). I predetti PI hanno tutti un tipo di informazione fisso, salvo quelli destinati alla gestione degli allarmi di rilevazione della temperatura delle boccole del rotabile (RTB), che possono essere del tipo commutabile ed interfacciati agli Encoder (LEU) e ai sensori ad infrarossi posti lateralmente al binario per la lettura della temperatura delle boccole del treno. I punti informativi presenti sulle linee AV sono: –– –– –– –– –– –– –– –– –– –– –– di ricalibrazione dell’odometria di bordo; di annuncio del cambio di tensione; di annuncio del cambio di fase; di connessione e annuncio; di cambio sistema; di disconnessione del sistema; di rilevamento termico boccole (RTB) Il sottosistema di trasmissione è realizzato tramite: GSM-R TLC Supporti in fibra ottica Il sistema GSM-R è necessario per il collegamento fra Sottosistema di Terra e Sottosistema di Bordo ETCS per il trasporto delle informazioni interoperabili di distanziamento dei treni, tramite il protocollo EURORADIO. Il Sottosistema TCL Lunga Distanza è una rete ad anello i cui elementi fondamentali sono costituiti dal portale ottico e da nodi allocati in corrispondenza del posto centrale AV e dei PPF (Posti Periferici Fissi). I nodi sono collegati tra loro mediante fibre ottiche inserite in due cavi a 16 fibre separati e posati sui lati opposti della linea, per aumentare la disponibilità del sistema. La trasmissione dei dati a livello ottico è realizzata con tecnologia SDH (Sincronous Digital Hierarchy) con velocità pari a 622 Mbit/s, che collega gli apparati di stazione ACC limitrofi fra loro e con l’RBC, e collega inoltre l’SCC agli ACC per il telecomando. Nella Figura 4.9 vengono indicate le frequenze di UP-LINK e DOWN-LINK utilizzate nel sistema GSM-R. Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 127 Figura 4.9: Rete GSM-R - allocazione frequenze. 4.2.2. ERTMS La tendenza all’ innovazione per incrementare il livello di sicurezza nei sistemi ferroviari è favorita oggigiorno da specifiche strategie a livello comunitario. L’ERTMS/ETCS rappresenta infatti un progetto di ricerca e sviluppo patrocinato dall’ unione europea, il cui obiettivo è quello di rendere interoperabile il sistema ferroviario europeo e elevare i livelli di sicurezza. Lo sviluppo dell’ERTMS rappresenta un progetto in cui, ai sistemi di sicurezza propri della gestione del traffico, possono integrarsi le attività di supervisione e controllo e programmazione dei trasporti, a valle degli studi preliminari condotti sempre in ambito europeo sui sistemi per il controllo del traffico, che vanno sotto il nome di ETCS, cioè European Train Control System. La specifica ERTMS prevede quindi un sistema che ha lo scopo di assicurare un controllo in sicurezza dei movimenti dei treni sulla base di uno scambio di informazioni tra terra e bordo attraverso più canali informativi, che possono essere di tipo discontinuo (SCMT), o di tipo continuo (Ripetizione Segnali Continua) e di tipo Radio (Blocco Automatico Radio). Il sistema è stato realizzato su tre livelli. In Italia si utilizza l’ERTMS livello 2. 4.2.2.1. Livello 1 Il primo livello ERTMS ha come obiettivo l’incremento della sicurezza operativa in qualsiasi condizione di circolazione della via, trasmettendo a bordo informazioni sicure sullo stato dei segnali a terra (per mezzo dei canali di trasmissione discontinuo e continuo che ripetono a bordo l’aspetto dei segnali), derivanti dal sistema di distanziamento tradizionale di terra di cui sono già equipaggiate le reti, fornendo informazioni riguardanti le caratteristiche plano-altimetriche del tracciato, gli eventuali rallentamenti, 128 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata PL, bivi, ecc. Lo stesso livello permette di viaggiare alla massima velocità consentita dalle caratteristiche del tracciato e del treno, attuando un controllo di velocità in sicurezza, in accordo con le infrastrutture presenti e basandosi sulla distanza tra due segnali consecutivi. Nel livello 1 (Fig. 4.10) si conserva il segnalamento laterale ed è facoltativo l’uso a bordo del treno di una interfaccia uomo-macchina di tipo innovativo, cosiddetta MMI (Man Machine Interface), che in particolare dipende dalla scelta fra interoperabilità tecnica e interoperabilità operativa. –– L’interoperabilità tecnica: richiede la definizione di standard tecnici comuni a tutti i paesi membri della comunità europea, per l’interfaccia tra la linea e il treno che richiede la comunicazione fra le apparecchiature di bordo e di terra, al fine di evitare i perditempo che si generano al confine degli stati, dove non è possibile far procedere lo stesso treno anche oltre i limiti nazionali, a causa del differente segnalamento e scartamento. Nell’ambito dell’interoperabilità tecnica resterà compito della normativa, in caso di discrepanza tra il segnalamento laterale e le informazioni date a bordo tramite MMI, stabilire se il macchinista dovrà obbedire al segnalamento esistente o alle informazioni date dal computer di bordo. –– L’interoperabilità operativa: una volta definito l’uso di interfacce standard e regole comuni di guida, l’interoperabilità operativa rappresentà la possibilità che uno stesso macchinista possa operare nei diversi paesi ignorandone i differenti tipi di segnalamento laterale. Nel primo livello ERTMS la posizione e la verifica dell’integrità del treno restano affidate ai sistemi di terra esistenti (ai circuiti di binario). Figura 4.10: ERTM/ETCS livello 1. 4.2.2.2. Livello 2 Il secondo livello dell’ERTMS prevede lo sviluppo dei sistemi di segnalamento esistenti per il controllo del distanziamento dei treni in piena linea, richiedendo obbligatoriamente l’utilizzo dell’interfaccia uomo-macchina DMI (Driver Machine Interface), tramite la quale il macchinista riceve gli ordini relativi alla marcia e le informazioni relative alla linea (Figura 4.11). Il secondo livello rende possibile una gestione del traffico in sicurezza in assenza del segnalamento laterale, regolando la marcia in modo automatico, Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 129 attraverso un sistema centralizzato denominato RBC (Radio Block Center) collegato con ogni treno tramite un sistema trasmissivo via radio (EURORADIO) su canale GSM-R (Global System Mobile Railway). La velocità consentita al treno è fornita in ogni istante dal RBC, in funzione della libertà della via, ovvero dei circuiti di binario liberi davanti al treno stesso. Con tale sistema è possibile ottenere un controllo sicuro della velocità in modo predittivo, poiché l’informazione relativa alla localizzazione del punto di fermata o di rallentamento viene trasmessa al treno in tempo reale, cioè appena elaborata dal sistema RBC e in modo anticipato rispetto a quanto è possibile fare con i segnali laterali. In questo secondo livello il canale discontinuo, tramite le boe, fornisce solo riferimenti geografici puntuali e la posizione e l’integrità del treno sono verificate ancora dai circuiti di binario esistenti. Questo livello, permettendo la marcia del treno in completa assenza del segnalamento laterale, realizza quindi interamente l’interoperabilità operativa (Fig. 4.12). Figura 4.11: ETCS DMI (Driver Machine Interface). Figura 4.12: ERTM/ETCS livello 2. 130 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 4.2.2.3. Livello 3 Il terzo livello ERTMS, come il secondo, centralizza le informazioni sull’intera linea nel Radio Block Center e tramite quest’ultimo sono inviate a bordo le informazioni sul distanziamento che i treni devono rispettare. A differenza del secondo livello viene tuttavia realizzato il distanziamento con sezioni variabili (blocco mobile). Il blocco mobile, consente pertanto di modulare il distanziamento in base alla distanza di frenatura propria del treno e delle variabili condizioni di impegno della linea, effettuando anche un controllo strategico della velocità ai fini della regolarità del servizio sulla complessa rete ferroviaria. Il terzo livello è basato su un canale discontinuo, che riducendo la presenza a terra di boe, fornisce solo alcuni riferimenti puntuali (per esempio la progressiva chilometrica, l’inizio e la fine dell’area controllata). A differenza degli altri due livelli, il terzo livello prevede sia la funzione di controllo di integrità del treno realizzata a bordo dello stesso mediante opportuni dispositivi TTI (Train Integrity Interface), sia la funzione di localizzazione del treno mediante le informazioni di sistema. Lo scopo di questo livello, oltre ai requisiti di sicurezza già evidenziati, è perciò quello di ridurre al minimo gli impianti fissi di segnalamento, minimizzando gli oneri di manutenzione e massimizzando la potenzialità della linea, in virtù dell’adozione del blocco mobile (Fig. 4.13). Figura 4.13: ERTM/ETCS livello 3. 4.2.3. SCMT I sistemi automatici che consentono di proteggere la guida del macchinista e quindi del treno da eventuali superamenti della velocità o a seguito di superamento di un segnale a via impedita, vengono in generale definiti Automatic Train Protection (ATP). Detti sistemi consentono l’intervento di frenatura di emergenza, fino ad annullare la velocità del treno o fino a riportarla al valore minimo accettabile. Fra gli ATP è da includersi quindi il blocco Automatico a correnti codificate. In tale ambito RFI ha sviluppato il 132 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 4.15: SST e SSB del sistema SCMT. riferimenti certi (PI). Nel SCMT i sensori misurano gli angoli di rotazione descritti da due assili tra loro indipendenti. Gli algoritmi dell’odometria devono, per quanto possibile, compensare eventuali slittamenti/pattinamenti degli assili sensorizzati dovuti a trazione o frenatura in condizioni di aderenza degradata. Tramite tali dispositivi è determinata la curva di frenatura che il rotabile in marcia andrà a realizzare in caso di segnale disposto a via impedita. Si individuano 4 curve principali che vengono rappresentate nella Figura 4.16: –– Curva di frenatura nominale; –– Curva di allerta; –– Curva di controllo; –– Curva di Frenatura; Tali curve sono costruite sulla base della conoscenza della velocità del rotabile e dello spazio entro il quale si deve raggiungere la velocità nulla o una velocità inferiore a quella con la quale si muove nell’istante considerato, determinando così quella che viene definita curva di frenatura, la quale rappresenta la curva limite oltre la quale il macchinista non può spingersi, poiché determina l’intervento dei dispositivi di sicurezza (con intervento della frenatura sia elettrica che pneumatica). Il superamento della curva di allerta è determina, invece, una segnalazione acustica e luminosa per richiamare l’attenzione del Personale di Macchina (PdM) mentre il superamento della curva di controllo determina l’intervento della frenatura elettrica. 4.2.4. SISTEMA DI SUPPORTO ALLA CONDOTTA (SSC ) Il Sistema di Supporto alla Condotta (SSC) è un sistema di sicurezza della marcia dei treni che fornisce un ausilio al macchinista attraverso il controllo dei segnali luminosi fissi, della velocità della linea e dei rallentamenti utilizzando una tecnologia trasmissiva con transponder a microonde. Il sistema risulta implementabile su linee a scarso traffico la cui velocità massima è di 150 Km/h, a semplice o doppio binario, con segnali disposti sia a destra che a sinistra rispetto al senso di marcia del treno ed è comple- Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 133 Figura 4.16: Possibili curve tra il Punto di Avviso e il Punto Obiettivo. mentare al SCMT (Sistema Controllo Marcia Treni), pur su livelli funzionali differenti. È installato, quindi, su tutte le linee ferroviarie per le quali non è prevista l’installazione del SCMT (circa 5.000 Km di rete ferroviaria). Il sistema SSC è costituito da un Sotto Sistema di Terra e da un Sotto Sistema di Bordo. Il Sotto Sistema di Terra ha il compito di trasferire a bordo del locomotore, tramite PI (realizzati da transponder a microonde non ridondati), le informazioni sull’aspetto del segnale e sulle caratteristiche della linea utilizzando una frequenza trasmissiva di 5,8 GHz. I trasponder possono essere collegati o meno all’encoder: –– i transponder non collegati ad encoder vengono installati 100 m a monte di tutti i segnali di avviso e forniscono informazioni di diagnostica; 134 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– i transponder collegati ad encoder vengono installati su tutti i segnali ed hanno il compito di trasferire a bordo del locomotore l’aspetto del segnale. Vengono inoltre utilizzati per la gestione della velocità della linea e dei rallentamenti. Gli encoder dovendosi interfacciare con i segnali sono stati progettati con requisiti di sicurezza SIL 4; Il Sotto Sistema di Bordo è composto da: –– un elaboratore che ha il compito di elaborare le informazioni acquisite dai transponder tramite ricevitori installati sull’imperiale dei rotabili e dagli input provenienti dalle operazioni del PdM (Personale di Macchina); –– MMI per interfaccia con le operazioni del PdM. Nella Figura 4.17 viene riportata una foto di un segnale attrezzato con SSC ed una schematizzazione dell’accoppiamento elettromagnetico tra terra e bordo. Fig. 4.17: Sistema di Supporto alla Condotta (Transponder). 4.3. SISTEMI DI CONTROLLO DELLA CIRCOLAZIONE Inizialmente nelle stazioni e nei posti di movimento, al fine di rendere più agevole l’intervento del personale preposto alla circolazione dei treni e più precisamente alla manovra degli “enti di campagna” (deviatoi, segnali per i treni e per le manovre, passaggi a livello, blocco, ecc.) venivano installati sistemi in grado di effettuare le manovre da remoto sempre nell’ambito della medesima località. Con il passare degli anni, il progredire della tecnica ferroviaria ha consentito miglioramenti nella realizzazione di tali impianti e Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 135 nella loro implementazione in sicurezza. Tali apparati via via più perfezionati e facenti capo a banchi di manovra e controllo furono definiti centrali in quanto, installati in cabine delle stazioni o dei posti di movimento, consentendo la centralizzazione dei comandi di tutti gli enti di pertinenza (e in particolare deviatoi, segnali e passaggi a livello) con trasmissioni di vario tipo. In origine tali impianti venivano realizzati con filo flessibile, semplice o doppio, oppure con collegamenti rigidi o realizzati negli impianti idrodinamici con tubi contenenti acqua (o miscela anticongelante) sotto pressione. In cabina i comandi venivano impartiti con arganelli, banchi a chiavi o a leve singole. Le condizioni di incompatibilità fra i singoli comandi erano realizzate con serrature meccaniche del tipo Stevens con collegamenti fra chiavi (di serratura o di fermascambi). Negli anni ‘30 i vecchi impianti furono soppiantati da un tipo unificato di Apparato Centrale Elettrico (ACE) costituito da un banco di manovra a leve singole e serratura meccanica di sicurezza, che rappresentava un’indubbia positiva evoluzione dei precedenti impianti idrodinamici adottati in ferrovia. Gli ACE erano muniti di tasti di soccorso e utilizzavano schemi elettrici di principio ormai standardizzati. I controlli di posizione degli enti comandati venivano ripetuti sui Quadri Luminosi ubicati di fronte ai banchi a leve e realizzati artigianalmente su lastre di cristallo sulle quali venivano riportati i piani sinottici delle stazioni e con retrostanti porta lampade tipo mignon (Fig. 4.18). Va aggiunto che negli ACE la manovra dei deviatoi era ottenuta con casse di manovra (contenenti, fra l’altro, motore elettrico a corrente continua) fissate agli zatteroni, montati lateralmente al binario in corrispondenza dello scambio. Naturalmente appositi locali dovevano contenere le robuste intelaiature per i relè che realizzavano le logiche di sicurezza (Fig. 4.19), l’attestamento dei cavi e dei cablaggi, la centralina di alimentazione elettrica e di riserva di ogni impianto e la relativa batteria di accumulatori. Durante la seconda guerra mondiale, il rinnovo degli apparati centrali fu interrotto e fu necessario attendere la ricostruzione post-bellica per poter estendere su vasta scala l’adozione degli ACE di tipo FS (secondo “schemi unificati”). Figura 4.18: Quadro sinottico ACE Roma Termini. 136 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 4.19: Armadi Relè ACE Roma Termini. Figura 4.20: Banco ACE Roma Termini. Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 137 Nei piazzali di stazione molto estesi e dove si effettua un traffico molto intenso, l’apparato centrale elettrico a leve singole, si dimostrò essere non sufficiente per permettere di svolgere un servizio rapido ed economico. Centralizzando l’intero piazzale in un unico posto di manovra, occorreva costruire dei banchi notevolmente lunghi (Fig. 4.20) ove dovevano lavorare più operatori, coordinandosi nello svolgimento delle singole azioni, pertanto negli anni ‘70, per soddisfare le necessità qui esposte si svilupparono gli apparati centrali elettrici a pulsanti di itinerario (ACEI). Negli ACEI tutte le operazioni per un arrivo o partenza di un treno sono comandate con la semplice pressione di un unico pulsante, la manovra di tutti gli scambi è contemporanea e rapida e la liberazione è elastica, cioè ogni scambio diviene utilizzabile per un altro movimento di treno o manovra non appena abbandonato dal treno per il quale era rimasto bloccato, rendendo in tal modo la distruzione dell’itinerario immediata e automatica, non essendovi leve da riportare in posizione normale. Apparati di questo tipo sono sempre privi di serrature meccaniche e tutte le condizioni sono ottenute mediante collegamenti elettrici. Per ogni itinerario esiste un pulsante di itinerario che negli ACEI tipo FS è a tre posizioni: partendo da una posizione di riposo (in cui il pulsante ritorna automaticamente per azione di una molla, non appena lasciato libero), il pulsante può essere premuto per effettuare un’azione di comando o può essere estratto per annullare una precedente azione di comando giudicata non più corrispondente alla reale necessità della circolazione treni. Ad ogni pulsante corrispondono due relè: un relè di comando C che si eccita, senza subordinazione ad alcuna altra condizione, quando il pulsante è premuto ed un relè di registrazione R che si eccita quando l’apparato registra il comando. All’atto dell’eccitazione del relè R, resa evidente dall’accendersi a luce bianca della lampada corrispondente al pulsante, questo può essere rilasciato in quanto il relè C resta eccitato da un contatto alto del relè R. Quando sul piazzale si debbono effettuare, oltre ai movimenti dei treni, numerosi movimenti di manovra, si aggiungono dei pulsanti che hanno lo stesso effetto dei pulsanti di itinerario ma limitatamente a tratte più brevi che vengono dette “istradamenti” ed in cui i movimenti vengono comandati dai segnali bassi. I pulsanti relativi agli istradamenti sono raggruppati in una separata parte del banco (Fig. 4.21). Al banco degli itinerari presta servizio un dirigente al movimento mentre a quello degli istradamenti poteva prestare servizio un agente di qualifica inferiore e cioè un deviatore. Il quadro luminoso di un ACEI si differenzia da quello di un ACE per due particolarità. Innanzi tutto esso è del tipo sempre spento, nel senso che con l’impianto a riposo esso è completamente spento (Fig. 4.22). I circuiti di binario si illuminano a luce rossa se risultano occupati mentre quelli liberi si illuminano a luce bianca solo in corrispondenza di un itinerario costituito. È quindi possibile seguire la marcia del treno, o della manovra, osservando i circuiti che passano dalla luce bianca alla rossa man mano che il treno li occupa e che si spengono man mano che il treno li abbandona. La seconda particolarità del quadro luminoso per ACEI riguarda la ripetizione, su di esso, della posizione degli scambi. Questa, pur rilevabile dall’accensione dell’uno o dell’altra lampadina poste a fianco della relativa levetta di manovra di emergenza D, non risulta evidenziata dalla posizione di una ben visi- Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 139 cuzione di tutte le verifiche e le azioni necessarie. L’apparato centrale si colloca, infatti, nella catena logica operativa del sistema di comando e controllo della circolazione, tra l’operatore di stazione ed il piazzale. Anche gli ACEI, così come gli ACE, nel corso degli anni sono stati oggetto di ulteriore sviluppo. A tal proposito lo sviluppo tecnologico di tali apparati ha portato negli anni ‘80 alla sperimentazione in Liguria degli ACS (Apparati Centrali Statici) chiamati poi ACC (Apparati Centrali a Calcolatore). Gli ACC hanno la caratteristica di funzionare secondo logica programmata (con calcolatori) anziché cablata (con i relè). In ogni impianto l’interfaccia operatore è prevista con semplice tastiera, mentre il QL viene rappresentato su monitor. Altre apparecchiature trovano posto in distinti armadietti contenenti i moduli di funzionamento e controllo e consentendo di realizzare l’interfacciamento con gli enti dì campagna (circuiti di binario, deviatoi, segnali, ecc.). In definitiva con l’ACC si raggiungono livelli di sicurezza e dì affidabilità equivalenti se non superiori a quelli degli ACEI, conseguendo inoltre, l’implementazione di nuove funzioni in grado di facilitare gli interventi manutentivi e operativi del personale addetto. Il sistema ACC in linea di principio è composto da tre sottosistemi funzionali: –– Interfaccia Operatore (UIO) e funzioni di supporto, in grado di coadiuvare le attività degli addetti ai movimenti e degli addetti alla manutenzione; –– Elaborazione delle logiche di movimento (UEL). Nella UEL ha sede l’elaborazione dei dati rilevanti ai fini della sicurezza. L’elaborazione delle logiche di movimento è garantita da un sistema avente grado di sicurezza SIL 4 (CENELEC 50128-50129) con architettura 3 su 2 oppure 2 su 2; –– Interfaccia con gli enti di piazzale, che si articola su due livelli funzionali (Fig. 4.23): • il primo livello dedicato alla gestione delle comunicazioni tra la UEL e le interfacce degli enti di piazzale, le cui funzionalità sono realizzate mediante apparecchiature dette Concentratori (CCU). Figura 4.23: Architettura ACC. 140 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 4.24: Apparato Centrale Computerizzato (ACC) di Roma Termini. • Il secondo livello dedicato alla gestione dell’interfacciamento vero e proprio degli enti di piazzale stessi, le cui funzionalità sono realizzate mediante apparecchiature dette Controllori di Ente (OC). Attualmente sono in funzione molti apparati di questo tipo sia in grossi centri ferroviari che in piccoli. Basta citare il grande ACC della stazione di Roma Termini (Fig. 4.24) e decine di altri apparati in stazioni di minore importanza. Una evoluzione degli apparati ACC è rappresentato dai sistemi ACCM (Apparati Centrali Computerizzati Multistazione) che permettono di controllare non solo una singola stazione come con il sistema precedente, ma un’intera linea da un unico Posto Centrale mediante interfaccia sicura (Fig. 4.25). Nell’ACCM si ha una riproduzione fedele sul Quadro Luminoso del posto centrale di tutte le condizioni dei piazzali delle stazioni da esso gestite. Questa particolarità, unita alla capacità del sistema di impartire “comandi sicuri” anche da remoto, permette la completa e sicura gestione di tutte le stazioni telecomandate anche in situazioni di degrado e anormalità. Figura 4.25: Architettura ACCM. Oltre ai sistemi di distanziamento ed agli apparati centrali, la circolazione ferroviaria viene governata attraverso i sistemi di Comando Centralizzato del Traffico (Centralized Traffic Control: CTC) che consentono di realizzare da un Posto Centrale il telecomando e la supervisione di un elevato numero di stazioni e fermate non presenziate, riducendo notevolmente i costi di esercizio grazie al recupero di personale derivante dal non presenziamento delle stazioni. Il CTC consente inoltre di migliorare la regolarità dell’esercizio ferroviario, regolando in modo tempestivo la circolazione dei treni in Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 141 ampie tratte, mediante il telecomando impartito da un singolo posto operativo facente capo ad un Dirigente Centrale Operativo. Tale sistema può essere schematicamente rappresentato come l’insieme di tre sottosistemi principali: –– Il Posto Centrale: che rappresenta il fulcro del sistema ed è il luogo dove risiedono tutte le apparecchiature per l’elaborazione dei dati, Server di elaborazione, Postazioni Operatore (Fig. 4.26) e quanto necessario per la gestione dei dati di circolazione e per fornire tutte le funzionalità necessarie per la supervisione del traffico ferroviario. –– Il Sistema Trasmissivo: che consente la comunicazione tra Posto Centrale (PC) e Posti Periferici (PF) ed è costituito dai mezzi trasmissivi e dai front-end di comunicazione. Figura 4.26: CTC Bologna Nod0. –– I Posti Periferici: che consentono l’interfacciamento con gli apparati ACEI o ACC dislocati nelle stazioni controllate. Il sistema richiede l’attrezzaggio della linea con impianto di blocco automatico. In un primo tempo il sistema fu realizzato con comuni comandi e controlli a distanza, utilizzando conduttori dei cavi dell’impianto di sicurezza. Successivamente, per poter superare distanze ragguardevoli fra PC e PP incominciò l’utilizzazione di coppie di conduttori dei cavi telefonici, impiegando modem per i necessari processi operativi di modulazione e di demodulazione. Tra gli anni 75 e gli anni 80 iniziò l’impiego di calcolatori di processo per l’innovativo impianto di automazione del Nodo di Genova per telecomandare numerosi PP, naturalmente senza compiti di sicurezza, che restarono affidati ai singoli ACEI e al blocco automatico. Tuttavia nell’evenienza di situazioni di circolazione fortemente perturbate, ad esempio in caso di interruzione di linee, si sentiva l’esigenza di avere degli strumenti automatici per suggerire e facilitare le scelte operate dal Posto Centrale finalizzate per congestionare la rete ferroviaria. Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 4.4. NUOVE TECNOLOGIE PER L’INCREMENTO DELLA SICUREZZA: RTB, PAI-PL E MTR 4.4.1. SISTEMI PER IL RILEVAMENTO TERMICO DELLE BOCCOLE (RTB ) 143 Nonostante sia sempre più diffuso l’impiego per le boccole degli assi delle carrozze viaggiatori e dei carri merci dei cuscinetti ad attrito volvente (a rulli) in sostituzione di quelle ad attrito radente, permane il rischio di surriscaldamento per carenza di lubrificazione o accidentale sovraccarico sull’asse. Al fine di prevenire gli incidenti che possono derivare dal citato surriscaldamento (rotture degli assi con svio, incendi, ecc.) le linee percorse a più alte velocità e lungo le quali non è possibile effettuare il controllo a vista dei treni in transito (impianti non presenziati) sono normalmente attrezzate con dispositivi atti al rilevamento delle boccole calde. I dispositivi più usuali si basano su captatori posti ai lati delle due rotaie sensibili ai raggi infrarossi che vengono emessi dai corpi a temperature elevate ma comunque inferiori a quelle in grado di creare situazioni di rischio: il captatore può quindi emettere un segnale proporzionale alla temperatura di ciascuna boccola da tramutare, in caso di valore eccessivo, in segnale di allarme o in azione diretta sul segnalamento (segnali a valle da disporsi a via impedita). Successivamente all’arresto del treno il personale di condotta può procedere ad un’ispezione per valutare lo stato della boccola in questione e decidere sulle modalità di eventuale prosecuzione della marcia (ad esempio con riduzione di velocità). L’insensibilità all’irraggiamento solare dei dispositivi captatori viene solitamente ottenuta selezionando la sensibilità alle sole lunghezza d’onda rilevanti per il caso specifico e comunque diverse da quelle dei raggi solari. Un impianto RTB (fig. 4.28) è costituito da: –– Apparato RTB; –– Interfacciamento RTB/IS (Rilevamento Temperatura Boccole/Impianto di segnalamento). L’Apparato RTB è l’insieme delle apparecchiature opportunamente interconnesse dedicate alla rilevazione della temperatura delle boccole dei rotabili in un punto di linea ed in grado di rendere disponibili al DM/DCO (Dirigente Movimento/Dirigente Centrale Operativo) o ad altro operatore le informazioni relative a tali rilevazioni, corredate da eventuali segnalazioni acustiche e visive di allarme nel caso in cui le temperature lette superino i valori di soglia prefissali. L’apparato RTB a sua volta è costituito da: –– Posto di Rilevamento con funzione di rilievo della temperatura delle boccole e di elaborazione dati; –– Posto di Controllo (Centrale: ubicato presso il DCO sulle linee telecomandate; Locale: ubicato presso l’Ufficio Movimento sulle altre linee), con funzione di presentazione e registrazione dei dati e stampa dei moduli; –– Sistema di Trasmissione con funzione di collegamento tra Posto di Rilevamento e Posto di Controllo; 144 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata L’Interfacciamento RTB/IS, invece, rappresenta l’insieme dei collegamenti circuitali e dispositivi che permettono di realizzare e gestire l’intervento dell’allarme RTB nei PBA (Posto Blocco Automatico) o nelle località di servizio interessate. Figura 4.28: Dispositivi per il rilevamento della temperatura delle boccole. L’impianto può fornire due tipi di allarme: –– Assoluto: cioè segnalando il superamento di una temperatura prefissata nella boccola interessala; –– Relativo: cioè segnalando il superamento, da parte della boccola interessata, di uno scarto termico prefissato rispetto alle altre boccole del treno. Sulle linee banalizzate, il dispositivo di rilevamento è realizzato in modo da rilevare lo stato termico delle boccole dei treni circolanti anche sul binario di destra. Nelle località di servizio sede di Posto di Controllo locale RTB o nelle apposite località di servizio telecomandate a congrua distanza dal relativo Posto di Rilevamento nel caso di Posto di Controllo Centrale RTB, viene realizzato il collegamento della segnalazione di allarme con i segnali di partenza dei binari per i quali è consentito il libero transito dei treni, pertanto, in caso di allarme, i suddetti segnali vengono mantenuti a via impedita, o ridisposti in tale posizione, se precedentemente disposti a via libera. Per le località di servizio non munite di segnalamento di partenza, tale collegamento viene realizzalo con i relativi segnali di protezione. 4.4.2. PROTEZIONE AUTOMATICA INTEGRATIVA PER PASSAGGI A LIVELLO (PAI-PL) Determinati Passaggi a Livello con manovra elettrica protetti da segnali di stazione e/o di linea possono essere attrezzati, con un apparato per la verifica della libertà dell’attraversamento denominato: Protezione Automatica Integrativa per Passaggi a Livello (PAI-PL). Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 145 L’apparato PAI-PL ha lo scopo di rilevare la presenza d’ingombri sull’area monitorata, preesistenti o determinatisi durante la chiusura delle barriere. Per ingombro sull’area PL, a barriere chiuse, si deve intendere la presenza accidentale di veicoli oppure la presenza di oggetti di dimensioni superiori a quelle limite (riportate successivamente all’interno del presente paragrafo), caduti da veicoli in transito. L’apparato non rileva né il transito attraverso l’area monitorata di persone o animali di piccola taglia, né la presenza di oggetti di dimensioni inferiori a quelle specificate. Di norma, l’impiego degli apparati PAI-PL è previsto soltanto per i PL da rendere impresenziati sul posto che, oltre ad essere lontani e non visibili dal punto di manovra, presentino difficoltà di esercizio quali: –– attraversamenti di più di due binari, con notevole traffico di veicoli pesanti o tracciato stradale difficile e tortuoso; –– intralci, per incroci o altro, al regolare deflusso del traffico stradale. L’apparato PAI-PL è costituito da due elementi principali: –– la sezione di controllo; –– la sezione di rilevamento. La sezione di controllo abilita, a barriere chiuse, la sezione di rilevamento e ne acquisisce l’informazione per determinare la libertà o meno dell’area controllata. In caso di rilevamento di attraversamento libero fornisce la relativa condizione all’impianto di segnalamento. La sezione di controllo gestisce anche le funzioni di allarme e di diagnostica. La sezione di rilevamento ha la funzione di acquisire, con soluzioni tecnologiche che possono essere differenziate (microonde, rilevamento d’immagine. ecc.), l’informazione di libertà dell’attraversamento, da trasferire al sistema di controllo. La sezione di rilevamento deve consentire di rilevare gli ingombri posizionati a un’altezza da terra pari a 50 cm e aventi le seguenti dimensioni minime: –– cubo di lato 0.5 m all’interno dell’area delimitata da ogni singolo binario; –– parallelepipedo 2,5 × 2,5 × 0,5 m all’interno dell’eventuale area di ricovero. Il controllo della libertà dell’attraversamento si attiva a barriere chiuse e cessa con il rilevamento della libertà dell’area oppure dopo un tempo massimo di 10 secondi. In caso di chiusura delle barriere relativa al passaggio di più treni in successione, nello stesso senso di marcia o in sensi opposti, il controllo della libertà dell’attraversamento PL è effettuato solo per il primo treno. 4.4.3. MONITORAGGIO DELLA TEMPERATURA ROTAIA (MTR ) Il sistema per il Monitoraggio della Temperatura Rotaia (MTR), rappresenta una tecnologia sviluppata per soddisfare la necessità di monitoraggio della temperatura dell’armamento ferroviario ai fini dell’incremento della sicurezza. Il sistema MTR è strutturato su tre livelli gerarchici: –– Livello 1: Rappresentato dai Posti di Rilevamento della Temperatura delle Rotaie (PRTR), installati lungo linea (Fig. 4.29), dove il rilevamento viene eseguito in modo automatico e i risultati ottenuti, relativi alla temperatura delle rotaie, vengono inviati su linea analogica al Posto di Controllo Periferico (PCP); 146 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– livello 2: Rappresentato dai Posti di Controllo Periferici (PCP), situati nelle stazioni di inizio tratta in posti presenziati o non, dove vengono concentrati i dati provenienti dai PRTR della tratta di linea diagnosticata e segnalate eventuali situazioni di allarme. Ai PCP possono essere collegate una o più Postazioni di Manutenzione (PM), da installare presso sedi del Capo Tecnico o del Capo Reparto, per consentire al Personale di utilizzare agevolmente tutte le informazioni disponibili; –– livello 3: Posto di Controllo Centrale (PCC), presso il quale vengono concentrati i dati dell’intera area, da prevedersi in un posto presenziato, così da poter rilevare, in ogni momento, eventuali segnalazioni di supero delle soglie di allarme, o segnalazioni di avaria del sistema. Figura 4.29: Sistema per il monitoraggio della temperatura della rotaia (MTR). 4.5. GLI SVILUPPI DELLE TECNOLOGIE SATELLITARI PER IL SETTORE FERROVIARIO Nel settore ferroviario, i sistemi GNSS (Global Navigation Satellite System) erano utilizzati solo per applicazioni critiche non legate alla sicurezza, infatti i sistemi satellitari esistenti (GPS statunitense e il GLONASS russo) non consentivano di avere livelli di precisione e accessibilità tali da garantire gli standard di sicurezza e affidabilità tipici della circolazione ferroviaria. L’avvento del sistema Galileo, composto da 30 satelliti in orbita, consente oggi di avere informazioni di posizionamento con una precisione ed affidabilità senza precedenti. I satelliti saranno gestiti e monitorati da varie stazioni terrestri per assicurarne il corretto funzionamento. La configurazione di Galileo fornirà una copertura continua di tutta la superficie terrestre e un qualsiasi punto sarà coperto da sei fino ad otto satelliti in qualsiasi momento. Questo assicurerà dati di posizionamento completi ed altamente accurati per l’intero pianeta, garantendo inoltre la compatibilità con il sistema GPS e con il GLONASS (Fig. 4.30). I progressi raggiunti dal sistema GALILEO nel fornire con precisione e affidabilità il posizionamento possono permettere al trasporto ferroviario di essere competitivo con le altre forme di trasporto. Il vantaggio dell’utilizzo Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 147 dei sistemi satellitari risulta essere rilevante, in particolare sulle linee a bassa densità di traffico, in quanto consente di avere una drastica riduzione dei costi legati alla gestione dell’esercizio della linea ferroviaria. La Comunità Europea a tal riguardo si è espressa positivamente nei confronti di una sinergia fra il sistema di segnalamento europeo ERTMS e il sistema di gestione, controllo e protezione del traffico ferroviario realizzato con tali tecnologie satellitari, al fine di realizzare l’interoperabilità tra le ferrovie europee ma nel rispetto della sicurezza. Figura 4.30: Sistemi GNSS applicati nel settore ferroviario. 4.6. L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA COMUNITARIA: DIRETTIVA 2004/49/CE E D.LGS. 162/2007 - ISTITUZIONE DELL’SGS Gli interventi normativi e di indirizzo in ambito europeo, sono definiti da una serie di direttive e regolamenti specifici del settore che hanno consentito l’introduzione di un complesso di regole comuni a tutti gli stati membri dell’UE, fondamentalmente nell’ottica di: –– Ampliare la liberalizzazione del mercato dei servizi ferroviari; –– Garantire norme eque e non discriminatorie in tema di accesso, tariffazione e ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria; –– Presidiare e rafforzare il livello globale di sicurezza del settore. Fino al recepimento di tali indirizzi, di fatto, gli standard tecnici, il materiale rotabile o i requisiti richiesti alle Amministrazioni ferroviarie europee variavano da un territorio all’altro, senza realizzare uno spazio ferroviario europeo integrato. 148 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata In Italia, la principale fonte normativa prima del recepimento degli atti europei per la liberalizzazione e la sicurezza era costituita dal D.P.R. 11 luglio 1980, n. 753 “Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell’esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto”, il quale prevede all’ Art. 8 che: “Nell’esercizio delle ferrovie si devono adottare le misure e le cautele suggerite dalla tecnica e dall’esperienza, atte ad evitare sinistri”. L’atto normativo che ha introdotto i principi e i criteri da rispettare per istituire il Sistema di Gestione della Sicurezza (SGS) è stata la disposizione 13/2001 di RFI, che ha definito l’SGS come “Parte di un sistema aziendale che, in materia di sicurezza, definisce un processo che consente di individuare e razionalizzare i rischi associati con le attività di un’organizzazione”. La nuova impostazione dettata dall’ Europa con la direttiva 2004/49/CE (c.d. Direttiva Sicurezza), invece, da seguito all’impegno assunto con la direttiva 91/440/CE per la creazione di un mercato unico del trasporto ferroviario, attraverso lo sviluppo di un quadro normativo comune per la sicurezza ferroviaria basato: –– Sull’introduzione di norme fondate su standard comuni, sviluppati sulla base delle specifiche tecniche di interoperabilità (STI). –– Sulla valutazione del livello di sicurezza e delle prestazioni degli operatori a livello comunitario e degli stati membri, attraverso la progressiva introduzione di indicatori comuni di sicurezza (CSI), obiettivi comuni di sicurezza (CST) e metodi comuni di sicurezza (CSM). Sono quindi in tale norma definiti ruoli e responsabilità degli operatori del sistema ferroviario, gestori dell’infrastruttura (GI) e imprese ferroviarie (IF), nei confronti delle autorità nazionali preposte alla sicurezza e di queste nei confronti dell’agenzia ferroviaria europea, istituita con il regolamento 881/2004/CE. La direttiva disciplina inoltre l’adozione da parte dei Gestori dell’Infrastruttura (GI) e delle Imprese Ferroviarie (IF) di un sistema di gestione della sicurezza al fine di garantire che il sistema ferroviario sia conforme alle norme nazionali ed ai requisiti di sicurezza contenuti nelle STI e che possa attuare i CST. La suddetta direttiva 2004/49/CE è stata recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 162 del 10/08/2007, il quale: –– ha istituito l’agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF) con compiti di garanzia della sicurezza del sistema ferroviario nazionale. L’ANSF, che opera alle dipendenze del ministero dei trasporti, è preposta alla sicurezza del sistema ferroviario nazionale; –– ha sancito che GI e IF elaborano i propri sistemi di gestione della sicurezza al fine di garantire che il sistema ferroviario possa attuare almeno i CST e che sia conforme alle norme di sicurezza nazionali, nonché ai requisiti di sicurezza contenuti nelle STI, con applicazione degli elementi pertinenti dei CSM. Il SGS garantisce il controllo di tutti i rischi connessi all’attività dei GI e delle IF. Il D. Lgs. 162/2007 ha disposto che: –– per avere accesso all’infrastruttura ferroviaria, l’IF deve essere titolare di un certificato di sicurezza. Scopo del certificato di sicurezza è fornire la prova che l’IF ha elaborato un proprio SGS ed è in grado di soddisfare i Capitolo 4 - Segnalamento Ferroviario 149 requisiti delle STI e delle norme nazionali di sicurezza ai fini del controllo dei rischi e del funzionamento sicuro sulla rete; –– ha disciplinato che per poter gestire e far funzionare un’infrastruttura ferroviaria, il GI deve ottenere un’autorizzazione di sicurezza dall’Agenzia Nazionale della Sicurezza Ferroviaria; –– ha istituito presso il ministero dei trasporti l’organismo investigativo (Direzione Generale per le Investigazioni Ferroviarie) che, a seguito di incidenti gravi, svolge indagini al fine di fornire raccomandazioni finalizzate al miglioramento della sicurezza ferroviaria e alla prevenzione di incidenti. Il certificato di sicurezza (CS), il cui scopo è fornire la prova che l’IF ha elaborato un proprio SGS ed è in grado di soddisfare i requisiti minimi delle STI, delle norme nazionali di sicurezza ai fini del controllo dei rischi e del funzionamento sicuro sulla rete, si compone di due parti: –– PARTE A: È la certificazione attestante l’accettazione del sistema di gestione della sicurezza dell’IF da parte dell’ANSF. È valida su tutto il territorio UE per attività di trasporto equivalenti. –– PARTE B: È la certificazione attestante l’accettazione delle misure adottate dall’IF per soddisfare i requisiti specifici della rete in questione (norme di carattere nazionale). È valida solo sulla rete o sulla parte della rete specificata nel certificato. Con la successiva emanazione del Regolamento Comunitario n.402 del 2013, l’Europa si è dotata di un metodo comune per valutare i rischi ferroviari. In particolar modo il regolamento prevede: –– L’istituzione di un metodo comune di sicurezza per la determinazione e la valutazione dei rischi ai sensi della direttiva 2004/49/CE; –– Il metodo comune è finalizzato a preservare e migliorare il livello di sicurezza delle ferrovie comunitarie quando e dove ciò sia necessario nonché ragionevolmente fattibile. L’articolo 2 del regolamento, riguardante il campo di applicazione, prevede che il metodo comune si applichi a qualsiasi modifica di natura tecnica, operativa od organizzativa del sistema ferroviario di uno degli Stati membri. Si dà notizia che con l’emanazione del D. Lgs. n. 112 del 15 luglio 2015 si è data attuazione alla direttiva 2012/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico. 4.7. RIFERIMENTI [1] L. Mayer , Impianti ferroviari - Tecnica ed Esercizio. [2] F. Senesi, E. Marzilli, Sistema ETCS Sviluppo e messa in esercizio in Italia. [3] P. L. Guida, Storia e Tecnica ferroviaria: 100 anni di ferrovie dello stato. [4] P. De Palatis, Regolamenti e sicurezza della circolazione ferroviaria. [5] C. Zenato, Evoluzione storica e tecnica del segnalamento ferroviario italiano. 5 MECCANICA DEL MOTO Diego Iannuzzi Università di Napoli "Federico II" 5.1. INTRODUZIONE Il presente capitolo analizza alcune problematiche connesse con l’avanzamento dei veicoli semoventi su rotaia e cioè prevalentemente si occupa del contatto ruota-rotaia. Tutti i veicoli semoventi (e cioè quelli non trainati da funi, come per esempio le funicolari terrestri), che sviluppano il loro moto, guidati da rotaie, dispongono di azionamenti, i quali producono momenti torcenti sulle ruote motrici. Ogni ruota motrice tende di conseguenza a porsi in movimento compatibilmente con i suoi vincoli. Per costruzione e per loro natura le ruote motrici sono ovviamente realizzate in maniera tale da poter ruotare intorno al proprio asse. Se le condizioni di aderenza tra ruota e rotaia sono tali da “vincolare” i due corpi secondo una generatrice ideale di contatto, l’unica possibilità concessa dai vincoli sarà l’avanzamenD to della ruota di uno spazio ds = dα per ogni rotazione di angolo infini2 tesimo dα intorno all’asse della ruota. Ovviamente qualora le condizioni di aderenza non sono tali da realizzare il vincolo lungo la generatrice ideale, la ruota risulta libera di ruotare intorno al proprio asse senza avanzare. Si ha, allora, uno slittamento tra ruota e rotaia. Poiché scopo della trazione è la generazione del moto traslatorio, è interesse specifico che vi sia “avanzamento” e non “slittamento” e dunque che durante il moto sia sempre rispettato il vincolo di aderenza. Questa condizione si verifica se la forza di attrito limite al contatto ruota-rotaia è maggiore della forza tangenziale generata dall’azionamento propulsore. 5.2. FORZE DI ATTRITO STATICO Dalla Fisica sperimentale è noto che due corpi a contatto tra loro si oppongono al loro moto relativo, esercitando un’azione repulsiva allo scorrimento. L’azione è tanto maggiore quanto maggiore è la forza esercitata da un corpo sull’altro. La resistenza allo scorrimento di un corpo sull’altro è detta attrito radente. L’attrito volvente è, invece, rappresentativo dell’azione di opposizione alla rotazione di una ruota su una superficie con essa a contatto. Complessa è la natura di quest’azione e l’analisi approfondita dell’attrito eccede ovviamente i limiti imposti alla nostra trattazione. Ci si limiterà, pertanto, unicamente a ricordare che, per il fenomeno di attrito volvente, si può ritenere Capitolo 5 - Meccanica del Moto 153 Equilibrio alla traslazione dv = Fv − R dt m (5.3”) se con m si indica la massa totale traslante e con R la resistenza totale all’avanzamento. Se all’eq. (5.3) si associa l’eq. (5.2), l’insieme delle tre equazioni costituisce il modello matematico del sistema fisico ruota-rotaia nelle condizioni di aderenza. Le cause agenti sul sistema fisico sono l’azione motrice e la forza resistente al moto, mentre l’effetto è lo spostamento della ruota. Nel modello matematico, testé definito, a causa ed effetto corrispondono rispettivamente le funzioni di forzamento (Mm e R) e la velocità angolare o lineare (ωr o v). Il modello matematico, rappresentato dalle tre equazioni precedentemente riportate, costituisce dunque un sistema di tre equazioni, una algebrica e due differenziali, la cui risoluzione consente di determinare non solo le due velocità incognite, ma anche la reazione vincolare Fv, la quale risulta intrinsecamente definita in funzione delle prestazioni del sistema. Combinando le equazioni si trova facilmente: = Fv 2 DmM m 2 m D +4 θ + 4θ R m D2 + 4θ (5.4) la quale rappresenta il legame funzionale in regime dinamico tra il momento torcente applicato alla ruota e la reazione esercitata dal vincolo. In maniera alternativa, eliminando Fv dalle eq. (5.3) e tenendo conto dell’eq, (5.2) si ha: dv 2 Dm D2 R = − 2 dt 4 θ + D m 4 θ + D2 m (5.5) che esprime la velocità lineare di avanzamento. Se partendo da una condizione di marcia che soddisfa la diseguaglianza: Fv < FA si aumenta progressivamente il momento motore Mm, si raggiunge la condizione di eguaglianza tra Fv e FA. Quando il momento motore è tale da comportare Fv > FA , non è più verificata la condizione necessaria e sufficiente per la marcia in aderenza ed ha inizio il fenomeno di slittamento. La sua natura è alquanto complessa e sarà affrontata nel paragrafo successivo. 5.3. IL FENOMENO DELLO SLITTAMENTO Quando Fm raggiunge e supera FA si modifica l’azione resistente di opposizione alla rotazione della ruota sulla superficie con la quale essa è idealmente a contatto lungo una sua generatrice. All’angolo di rotazione ϑ corrisponde uno spostamento lineare del centro della ruota, che soddisfa la diseguaglianza: ds < D dϑ 2 154 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata e la ruota avanza “non sincronamente” per cui si può definire la quantità = dσ D dϑ − ds 2 (5.6) che è detto “spazio perduto”. La variazione di tutte le grandezze dell’eq. (5.6) avviene nello stesso intervallo di tempo dt. Si ha, pertanto, anche: = Ω dσ D = ωr − v r dt 2 (5.7) la quale definisce lo scorrimento, Ω. L’eq. (5.7), associata con l’eq. (5.3), costituisce il modello matematico del sistema fisico considerato, quando non è soddisfatta la condizione di aderenza. Anche in questo caso le funzioni di forzamento sono rappresentate dal momento motore e dalla resistenza al moto; sono, però, incognite le due velocità e lo scorrimento, perché la Fv non rappresenta più in questo caso una reazione vincolare, bensì la forza di attrito che deve essere assegnata. Combinando l’eq. (5.3) e tenendo conto dell’eq. (5.7), si ha in definitiva: 1 dΩ D M m R D2 = + − + Fv 2 Θ dt m 4 Θ m (5.8) L’analisi teorica del comportamento dinamico del sistema fisico considerato richiede, dunque, la conoscenza delle funzioni R e Fv. Dalla letteratura tecnica è noto che la resistenza al moto può essere espressa da un polinomio nelle potenze delle velocità di avanzamento, cioè R (v ) = q ∑ ah v h (5.9) h =0 È stato, inoltre, trovato che la forza di attrito è funzione di Ω ed ωr. Con buona approssimazione essa può essere espressa analiticamente come: ( Fv = ( a + bωr ) e−αΩ + ce− βΩ ) (5.10) La risoluzione dell’eq. (5.8) non è invero né immediata né facile per la non-linearità e le trascendenze introdotte dalle espressioni di R e Fv fornite dall’eq. (5.9) e (5.10). È, tuttavia possibile ricorrere ad un procedimento grafico-intuitivo per determinare l’esistenza o meno di una condizione di equilibrio stabile. Questa condizione è caratterizzata dall’annullarsi di tutte le accelerazioni e cioè dalla condizione: dωr dv d 2σ = = = 0 dt dt dt 2 In base all’eq. (5.3) questa condizione si verifica per quella terna di valori Ω, ωr e v per i quali risultano simultaneamente soddisfatte le condizioni: ( ) D D M m =( a + bωr ) e −αΩ + c e − βΩ =∑ α n v n 2 2 (5.11) 156 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata esplicano attraverso le superfici di contatto ruote-rotaie; queste, che sono forze di aderenza, in ultima analisi, determinano il moto del veicolo sulla rotaia. Tra le forze esterne si possono distinguere: –– forze dipendenti dalla massa del veicolo: forza peso, forza d’inerzia, forza centrifuga; –– forze motrici e forze frenanti, che possono essere generate o da meccanismi a bordo del veicolo (motori e impianti frenanti) o da altri veicoli, aventi tali sistemi a bordo, che trainano o sospingono il veicolo in esame; –– forze resistenti (o più semplicemente resistenze), che si oppongono al moto del veicolo e che insorgono solo se il veicolo è in moto. Per un generico veicolo o convoglio ferroviario si possono scrivere le condizioni di equilibrio alla rotazione ed alla traslazione espresse dalle eq.(5.2) e (5.3) dei precedenti paragrafi. In questo caso più generalmente si ha: dv m = Fv − RT dt ΘM dωr D = M m − M r − Fv dt 2 = Ω (5.12) D ωr − v 2 dove si è indicato con m la massa del veicolo, con Fv la risultante di tutte le forze attive di trazione, con R la risultante di tutte le resistenze. Nel caso in cui il veicolo sia in fase di frenatura, agisce su di esso, oltre alla forza resistente RT, una forza frenante Ff. Per semplicità, si può ritenere ancora valida la prima delle (5.12), considerando la forza Ff come forza attiva e negativa e ponendo quindi, Ff al posto di Fv nell’equazione precedente. Nella seconda delle (5.11) si è indicato con Mm il momento motore, con D il diametro della ruota motrice e con ΘM il momento d’inerzia polare della totalità delle masse rotanti a bordo del veicolo che sono collegate cinematicamente con le ruote ed il cui moto rotatorio deve, conseguentemente, accelerare con l’accelerazione angolare della ruota. Sulla base dei risultati fin qui conseguiti si può passare ad esaminare in particolare il moto di una motrice per trazione. Una motrice ferroviaria si può pensare composta, in una semplice schematizzazione, da una parte sospesa e da N assi motori di peso pi (i = 1, ...... N), fra loro indipendenti. Per le motrici elettriche si possono avere carrelli motori e non assi, per cui in tale schematizzazione i carrelli, costituiti generalmente da due assi azionati da un unico motore elettrico, sono assimilati ad un unico asse motore. Con riferimento alla Figura 5.3, le forze che agiscono sulla parte sospesa I(*) della locomotiva sono le seguenti: la forza peso Ps della parte sospesa, applicata al relativo baricentro G; la resistenza all’avanzamento R della parIn un veicolo ferroviario, sia esso di trazione che rimorchiato, si definiscono masse sospese quelle masse le cui azioni si trasmettono alle rotaie con interposizioni di organi elastici, quali molle ad elica, tamponi di gomma, ecc., per distinguerle dalle masse non sospese le cui azioni si trasmettono direttamente alle rotaie. I (*) Capitolo 5 - Meccanica del Moto N i 159 momento di inerzia della motrice; i 1 N m ms mai massa dell’intero convoglio; i 1 N p Ps Pi peso aderente della motrice; i 1 F v N i reazione vincolare totale alle rotaie; i 1 N RT Ra R Rri resistenza totale all’avanzamento; i 1 In virtù di ciò le (5.13) e (5.14) si possono scrivere nella forma semplificata (5.12). 6 PROPULSIONE ELETTRICA Damiano D’Aguanno♣, Fabrizio Marignetti♣, Paolo Masini♠, Enrico Pagano♦ ♣Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, ♠Trenitalia S.p.A., ♦Università di Napoli “Federico II” 6.1. FUNZIONAMENTO DINAMICO DEGLI AZIONAMENTI A seconda del tipo di funzionamento e delle macchine elettriche utilizzate, gli azionamenti elettrici si dividono in diverse categorie. Se si fa riferimento alle velocità ed alle posizioni istantanee degli alberi motori, la prima grande distinzione riguarda i funzionamenti in regime stazionario ed in dinamica. Nel primo caso si fa riferimento a condizioni di funzionamento che si possono considerare costanti o molto lentamente variabili nel tempo. Il funzionamento in dinamica comporta, invece, brusche variazioni e si riferisce in particolare alle operazioni di inseguimento di traiettoria, quando, cioè, l’utenza richieda veloci variazioni della velocità o della posizione degli alberi mossi secondo un programma di lavoro ben definito. In pratica entrambe le condizioni vanno valutate in relazione alle costanti di tempo elettriche dei motori e degli azionamenti. Di fatto si considereranno condizioni di funzionamento in regime stazionario tutte quelle in cui si può ritenere con buona approssimazione che velocità e posizioni non varino in intervalli di tempo pari alla più grande costante elettrica dei motori impiegati nell’azionamento, perché le costanti di tempo dei circuiti elettronici sono in genere molto più piccole delle costanti di tempo dei motori. Ne consegue che nella trazione elettrica ci si riferisce di abitudine a condizioni di funzionamento in regime stazionario. 6.1.1. CONDIZIONI DI FUNZIONAMENTO DELLE MACCHINE E DEGLI AZIONAMENTI ELETTRICI Quando si fa riferimento alle direzioni dei flussi energetici, le condizioni di funzionamento vengono classificate come operazioni da motore, generatore e freno. Con riferimento al verso di rotazione degli alberi motori si definiscono condizioni di funzionamento in uno, due o quattro quadranti. Nel seguito vengono sviluppate in dettaglio considerazioni relative alle differenti classificazioni, fin qui considerate. 162 6.1.1.1. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Funzionamento in regime stazionario Questa condizione di funzionamento si ha quando è verificata la condizione di stazionarietà delle velocità o della posizione degli alberi motori. Essa comporta che siano alternativamente soddisfatte le condizioni: spostamenti di posizioni: dθ ≅ 0; dt dx ≅0 dt (6.1) movimenti per rotazione o spostamento di alberi motori: dωr ≅ 0; dt dv ≅0 dt (6.2) Queste condizioni di comportamento meccanico si ripercuotono anche sul comportamento delle grandezze elettriche, per cui in regime stazionario le grandezze di ingresso (tensioni e correnti di armatura dei motori e di azionamenti) in corrente continua risultano praticamente costanti: dVcc dI a = ≅0 dt dt Ne caso di motori ed azionamenti in corrente alternata questo regime comporta anche la costanza delle frequenze di correnti e tensioni di armatura. Ci si riferisce, allora, a condizioni di funzionamento in regime stazionario sinusoidale. La determinazione delle caratteristiche di funzionamento viene sempre eseguita facendo ricorso a modelli matematici costituiti da equazioni algebriche, i cui termini (grandezze elettriche e meccaniche) non sono funzioni del tempo, ma quantità reali per azionamenti in corrente continua o complesse per azionamenti in corrente alternata. Le variabili indipendenti sono la velocità e/o le posizioni degli alberi motori. Per maggiori dettagli sui modelli matematici si consulti [1]. 6.1.2. FUNZIONAMENTO IN DINAMICA Questa condizione di funzionamento è caratterizzata da rapidi cambiamenti richiesti alle velocità e/o alle posizioni degli alberi motori. Esempio significativo è il caso in cui è assegnata una funzione obiettivo [ωr(t), v(t), θ(t), x(t)] mediante una legge di variazione nel tempo di velocità o posizioni dei carchi mossi e si vuole che l’azionamento elettrico governi l’alimentazione dei motori elettrici in modo che i loro assi sviluppino forze, velocità e posizioni necessarie a soddisfare le funzioni obiettivo. Per soddisfare queste condizioni è necessario che le leggi di variazione nel tempo di tensioni e correnti di armatura siano imposte in maniera adeguata. Il miglior risultato pratico si ottiene utilizzando azionamenti elettrici con controllo a controreazione o a catena chiusa. La determinazione delle caratteristiche di funzionamento deve essere fatta con ricorso a modelli matematici scritti in forma differenziale, aventi il tempo come variabile indipendente. Le leggi delle tensioni di alimentazione da imporre ai motori possono essere determinate con l’ausilio degli algoritmi di alimentazione. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 6.1.2.1. 163 Operazioni da generatore, motore e freno La definizione di queste operazioni viene fatta con riferimento ai flussi energetici. Nel caso di macchine (motori) ed azionamenti elettrici sono in gioco energia elettrica ed energia meccanica. La prima può essere assorbita dalla rete elettrica o resa disponibile alla rete elettrica di alimentazione primaria. La seconda è resa all’asse dei motori o prelevata da essi. Il funzionamento da motore è caratterizzato da assorbimento di energia elettrica dalla rete primaria di alimentazione e restituzione di energia meccanica agli assi dei motori (Fig. 6.1a). Il funzionamento da generatore si ha quando il sistema assorbe energia meccanica dagli assi motori, la converte in energia elettrica e la rende alla rete di alimentazione primaria (Fig. 6.1b). In entrambi i casi l’azionamento elettrico o la macchina operano da convertitori di energia; nel primo caso da energia elettrica in meccanica, nel secondo viceversa. Funzionamento da freno si verifica quando il sistema assorbe energia elettrica dalla rete primaria di alimentazione elettrica ed energia meccanica dagli assi motori, convertendo entrambe in energia termica (Fig. 6.1c). (a) (b) (c) Figura 6.1: Condizioni di funzionamento da motore (a), generatore (b) e freno (c). Figura 6.2: Condizioni di funzionamento rappresentate sul piano delle potenze. Le tre condizioni di funzionamento esaminate possono essere descritte facilmente come luoghi di funzionamento su un piano cartesiano, avente come ascisse ed ordinate la potenza elettrica e la potenza meccanica. Con riferimento alla convenzione dei segni dell’utilizzatore si riconosce facilmente che le condizioni di funzionamento da motore sono definite da coppie di valori Pe e Pm che individuano punti contenuti nel primo quadrante. Condizione analoga si verifica nel terzo quadrante per funzionamen- 164 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata to da generatore e nel secondo quadrante per funzionamento da freno (cfr. Fig. 6.2). Ed il quarto quadrante di quale condizione di funzionamento è caratteristico? Anche se noi non crediamo al moto perpetuo, restiamo in fiduciosa, trepida attesa! 6.1.2.2. Funzionamento nei quadranti Il diagramma di Figura 6.2 ha definito le condizioni di funzionamento di una macchina elettrica nei quattro quadranti del piano cartesiano, le cui coordinate siano la potenza meccanica e la potenza elettrica. Un’analisi più approfondita di questo diagramma porta alla conclusione che la zona di fiduciosa attesa si estende ben oltre il quarto quadrante. Se infatti si ritiene vero che il rendimento di un qualsiasi sistema fisico sia sempre minore dell’unità (vanificando però così ogni speranza di estendere al quarto quadrante il funzionamento della macchina) si ha: η= Pm < 1 ⇔ Pm < Pe Pe da cui appare evidente che gli unici punti di possibile funzionamento dal punto di vista fisico appartengono al semipiano delimitato a destra dalla bisettrice del primo e terzo quadrante. Pertanto, condizioni di funzionamento da motore si avranno nel primo semiquadrante superiore, mentre le condizioni da generatore nel terzo semiquadrante inferiore. Per quanto concerne le condizioni di funzionamento da freno, c’è da considerare che sono ammissibili soltanto quelle condizioni in cui le perdite della macchina siano non superiori a quelle che si verificano in servizio continuativo. Se con ηn e con Pn si indicano rispettivamente il rendimento e la potenza nominali della macchina nel funzionamento da motore, tali perdite sono uguali a: Pp,n = 1 - ηn ηn Pn . Ne consegue che sono ammissibili solo le condizioni di funzionamento da freno tali che: = Pe Pp,n + Pm che corrisponde ad una retta parallela alla bisettrice del primo e terzo quadrante. È utile osservare che, nel caso di macchine elettriche, ηn è in genere molto elevato (~80-90 %) per cui risulta Pp, n ≅ 0.11-0.25 Pn. Ne consegue che le condizioni di funzionamento da freno posso essere realizzabili in pratica soltanto per un campo di potenze molto ristretto. L’effettivo funzionamento nei quadranti di una macchina elettrica si modifica quindi da quello di Figura 6.2 a quello di Figura 6.3. Le aree esterne a quelle ombreggiate non sono in realtà irrealizzabili, ma possono essere raggiunte soltanto per un tempo ben definito dipendente dalla capacità di sovraccarico della macchina. I domini di funzionamento sinora illustrati possono essere effettivamente realizzati soltanto se l’alimentazione della macchina avviene attraverso una rete flessibile, in grado cioè di fornire tensioni di alimentazioni variabi- Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 165 Figura 6.3: Domini di funzionamento nei quadranti di una macchina elettrica. li in ampiezza ed in frequenza. Se l’alimentazione della macchina avviene da rete rigida, invece, tali domini si riducono ad una curva di funzionamento. Si desidera adesso fornire alcuni esempi di curve di funzionamento per i tipi di macchine più conosciuti. 6.1.2.3. Macchina asincrona Come esempio pratico si è riportato in Figura 6.4 la curva di funzionamento al variare dello scorrimento di un motore asincrono alimentato da rete rigida a tensione e frequenza nominali. Figura 6.4: Curva di funzionamento di un motore asincrono nel piano delle potenze. 166 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Come si evince dal diagramma, la curva è polidroma e, in regime permanente, non sono quasi mai ammissibili condizioni di funzionamento da freno. Anche se poco visibile dal diagramma, l’unica regione ove tale funzionamento è possibile si trova in corrispondenza del passaggio dal funzionamento da motore a quello del generatore. Questo deve avvenire necessariamente per tutte le macchine elettriche, dal momento che le due zone di funzionamento non hanno in comune nessun punto. Infatti il punto (0, 0), che le frontiere dei due domini hanno in comune, non è fisicamente realizzabile perché ad esso corrisponderebbe un rendimento del sistema unitario. Per una migliore comprensione del diagramma, sono state poi riportate le curve a rendimento costante, rappresentate da semirette aventi pendenza pari all’inverso del rendimento nel caso di funzionamento da motore e al rendimento stesso nel caso di funzionamento da generatore. La figura mostra che il rendimento massimo della macchina non si ha in corrispondenza della potenza nominale, ma per valori inferiori. È possibile poi dimostrare che il luogo dei punti di funzionamento di un motore asincrono, operante a tensione e frequenza di alimentazione fisse, è sempre un’ellisse. Facendo riferimento al circuito equivalente semplificato di macchina, riportato per comodità in Figura 6.5, le potenze elettrica e meccanica sono date rispettivamente dalle equazioni: r′ rs + r s 3 ℜe Vs I s = 3 Vs2 Pe = ; 2 ′ r 2 r rs + s + X d 1- s rr′ 1- s 2 2 s 3 Vs = Pm 3= rr′ Is . 2 s rr′ 2 rs + s + X d { Figura 6.5: Circuito equivalente semplificato della macchina asincrona. } (6.3) Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 167 dove il significato dei simboli è riportato alla fine del capitolo. Le potenze sono determinate univocamente dal valore di scorrimento s a cui si porta a lavorare la macchina in funzione del carico meccanico ad essa collegato. Per individuare il luogo dei punti descritto nel piano delle potenze, si sostituisca la seconda delle (6.3) nella prima e si ricavi lo scorrimento: s= rr′ ( Pe - Pm ) rs Pm + rr′ Pe Sostituendo poi nella seconda delle (6.3) si ottiene, dopo alcuni semplici passaggi algebrici, il luogo dei punti cercato: 2 X d2 Pm2 2 X d2 Pm Pe rs rr X d2 Pe2 3 rs rr Vs2 Pm 3 rs rr Vs2 Pe 0 (6.4) L’eq. (6.4) è l’equazione di una conica. Per individuare il tipo di conica è necessario esaminare il suo discriminante, che è dato da: Δ= 4 X d4 - 4 X d2 ( rs + rr′ ) + X d2 = -4 X d2 ( rs + rr′ ) < 0 2 2 . Come si vede, il discriminante della conica è sempre negativo qualsiasi siano i parametri di macchina. Ne consegue che la conica è sempre non degenere ed è sempre un’ellisse. 6.1.2.4. Macchina sincrona Si desidera adesso mostrare lo stesso risultato per una macchina sincrona. Facendo riferimento al circuito equivalente di macchina riportato in Fig. 6.6, si ha che: V 3 ℜe Vs Is = 3 2 s 2 rs Vs - E0 ( rs cosδ + X s sinδ ) ; Pe = rs + X s { } V 3 ℜe E0 Is = 3 2 s 2 Pm = rs + X s { } (6.5) E02 + E0 ( rs cosδ - X s sinδ ) . - rs Vs Dalle eq. (6.5) si ricava: 2 E0 rs cosδ =rs Vs2 + E02 rs2 + X s2 r 2 + X s2 + Pm - s Pe ; 3 Vs 3 Vs Vs (6.5’) V 2 - E02 rs2 + X s2 r 2 + X s2 2 E0 X s sinδ =rs s Pm - s Pe . 3 Vs 3 Vs Vs Quadrando e sommando si ottiene, dopo alcuni semplici passaggi algebrici, il luogo dei punti cercato: r 2 s r 2 P 6r V X X E X r P 9r V E 0 X s2 Pm2 2 rs4 X s4 Pm Pe rs2 X s2 6rs Vs2 2 s 2 s 2 0 2 s 2 s e 2 s 2 2 s 2 e s 2 2 0 2 s 2 s rs2 E02 rs2 X s2 Pm (6.6) 168 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 6.6: Circuito equivalente della macchina sincrona. Il discriminante della conica è dato da: ( Δ= 4 rs4 - X s4 ) - (r 2 2 s + X s2 ) 4 = -2 rs2 X s2 < 0 , che è anch’esso sempre negativo. Questo dimostra che anche nel caso di macchina sincrona il luogo dei punti di funzionamento è sempre un’ellisse. Tale ellisse passa per l’origine degli assi se e solo se Vs = E0: in questo caso particolare non si ha funzionamento da freno nel passaggio da motore a generatore. Nel caso in cui si faccia l’approssimazione rs ≅ 0, valida nel caso di macchine di grande potenza, l’eq. (6.6) diventa: Pm2 - 2 Pm Pe + Pe2 = ( Pm - Pe )2 = 0 (6.6′ ) che rappresenta l’equazione di una conica degenere costituita dalla bisettrice del primo e terzo quadrante, presa due volte. Tali condizioni corrispondono infatti ad un funzionamento con rendimento unitario ed il passaggio dalle condizioni di motore a quelle di generatore avviene attraverso il punto di coordinate (0,0). 6.1.2.5. Macchina a corrente continua Si consideri adesso una macchina a corrente continua con eccitazione indipendente. Facendo riferimento al circuito equivalente della macchina riportato in Figura 6.7, si ha che: Pe Va= I a Va = Va - E V -E ;= Pm E= Ia E a . ra ra (6.7) Dalle eq. (6.7) si ricava: ra Pe2 - Va2 Pm - Va2 Pe = 0 (6.8) che si riconosce essere immediatamente il diagramma di una parabola con asse parallelo all’asse delle potenze meccaniche. Tale parabola passa per il punto (0,0) e presenta il vertice in corrispondenza del punto (Va2/4ra, Va2/2ra). Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 169 È facile riconoscere che questo punto rappresenta il punto di massima potenza che la macchina è in grado di erogare nel funzionamento da motore con un rendimento pari al 50 %. È necessario ricordare, però, che tale punto non è in generale raggiungibile perché corrispondente ad assorbimenti di correnti molte volte superiori alla corrente nominale della macchina. Figura 6.7: Circuito equivalente della macchina a corrente continua con eccitazione indipendente. Si consideri infine il caso di una macchina a corrente continua con eccitazione serie. Facendo riferimento al circuito equivalente della macchina riportato in Figura 6.8, si ha che: = E k= Φ eccωr ; I a hΦ ecc . (6.9) Da cui si ottiene: = Pe Va= Ia Va2 ; = Pm E= Ia ra + recc + k h ωr k h ωr Va2 ( ra + recc + k h ωr )2 . (6.10) Dalle eq. (6.10) si ricava: 0 ( ra + recc ) Pe2 - Va2 Pm - Va2 Pe = (6.11) che è formalmente analoga all’eq. (6.8). Pertanto, anche per il motore a corrente continua con eccitazione in serie si può affermare che il luogo dei punti di funzionamento è la stessa parabola del motore con eccitazione indipendente. L’uguaglianza del luogo dei punti nel piano delle potenze non deve far confondere il lettore sulla differenza sostanziale di funzionamento del motore a eccitazione indipendente e del motore serie. Se infatti si considerano le sole potenze meccaniche dei due motori, trascurando per semplicità la resistenza del circuito di eccitazione per la macchina serie (peraltro generalmente molto più piccola della resistenza di armatura): 170 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata V − k Φ ωr ; Pm,s = Pm,i k= Φ ωr a ra k h ωr Va2 ( ra + k h ωr )2 , (6.12) si nota che entrambe presentano lo stesso massimo assoluto, ma per velocità differenti. Per le due macchine il massimo si ha rispettivamente per: = ωr ,i Va ra = ; ωr ,s . 2kΦ kh (6.13) Quando la tensione Va è pari alla tensione nominale, Van, la velocità corrispondente al massimo del motore a eccitazione indipendente vale circa la metà della velocità nominale, ωrn, siccome En ≅ Van: = ωr ,i Van ωrn ωrn ≅ 2 En 2 Per il motore eccitato in serie si può invece affermare che, se la corrente di armatura nominale vale Ian, il flusso Φ è dato da: Φ = h I an per cui: ra I an ra I an ωrn ra I an ωrn = ≅ = ωr ,s = ra,puωrn kΦ En Van Siccome la resistenza di armatura è solitamente dell’ordine di 0.01-0.02pu, ne consegue che la velocità in cui si raggiunge il massimo della potenza meccanica è molto prossima allo zero. I due diagrammi di potenza sono riportati a scopo esemplificativo nella Figura 6.8. Dal diagramma è evidente che, quando le macchine funzionano nell’intorno della velocità nominale, i due motori presentano caratteristiche molto differenti in termini di potenza meccanica erogata. Il motore a eccitazione indipendente presenta infatti una potenza sostanzialmente linearmente decrescente con la velocità, mentre il motore serie presenta una potenza sostanzialmente costante. Figura 6.8: Diagramma delle potenze meccaniche di un motore a eccitazione indipendente e di un motore serie. Lista dei simboli usati –– a coniugato del numero complesso a; –– |a| modulo del numero complesso a; –– r′r resistenza di una fase dell’avvolgimento di rotore riportata allo statore; –– rs resistenza di una fase dell’avvolgimento di statore; –– E0 fasore della tensione indotta a vuoto dal rotore in una fase di statore; Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 171 –– Is fasore della corrente circolante in una fase di statore; –– Pe potenza elettrica assorbita dalla macchina; –– Pm potenza meccanica erogata dalla macchina; –– –– –– –– –– –– 6.2. ℜe {a} parte reale del numero complesso a; Vs fasore della tensione impressa ad una fase di statore; Xd reattanza di dispersione totale di fase di una macchina asincrona; Xm reattanza di traferro di macchina e di fase di una macchina asincrona; Xs reattanza sincrona; δ angolo tra i fasori della tensione impressa e indotta; AZIONAMENTI ELETTRICI PER L’ALTA VELOCITÀ IN EUROPA Secondo le attuali specifiche tecniche di interoperabilità emanate dalla Commissione europea, che fissano il limite minimo per l’alta velocità a 250 km/h, il primo treno europeo ad alta velocità è stato la direttissima Firenze-Roma, inaugurato a metà degli anni ’70, seguita dal francese TGV (acronimo di Train à Grande Vitesse), sviluppato da GEC-Alsthom anch’esso negli anni 70. Il primo prototipo TGV (001) fu originariamente concepito per essere alimentato da turbine a gas. Tuttavia nel 1973 il prototipo si è evoluto in treno a trazione elettrica. Il sistema di propulsione dei primi TGV era basato su azionamenti in corrente continua. Successivamente, negli anni ottanta, gli azionamenti in corrente continua sono stati rimpiazzati da azionamenti con motore sincrono ad eccitazione amperiana del tipo a commutazione di carico (load commutated). Prima di introdurre gli azionamenti per la propulsione elettrica ferroviaria in Italia, risulta quindi opportuno illustrare come precursore, l’azionamento load commutated adoperato in origine sui TGV francesi. 6.2.1. AZIONAMENTI LOAD-COMMUTATED In passato, quando la frequenza di commutazione dei dispositivi a semiconduttore di elevata potenza era limitata e l’uso dei magneti permanenti nelle macchine elettriche non era ancora molto diffuso, per azionamenti di elevata potenza (> 1000 HP) si faceva spesso ricorso a Load-Commutated Inverters (LCI) per alimentare macchine sincrone. Di fatto, il loro utilizzo risultava notevolmente competitivo rispetto agli azionamenti con macchine ad induzione. I convertitori LCI, grazie alla loro robustezza e affidabilità operativa, rappresentavano e, in taluni casi, rappresentano ancora oggi, una soluzione ideale per diverse applicazioni, come ad esempio: –– Azionamenti ad elevata potenza per compressori. In alcuni casi si utilizzano LCI e motori elettrici per sostituire le unità di turbina a gas al fine di ridurre emissioni, rumore e manutenzione e allo stesso tempo aumentare l’efficienza e il controllo. L’azionamento LCI risulta perfettamente integrato con il resto del sistema. –– Mulini per la macinazione. Vengono utilizzati per avviare più mulini o come alimentazione dedicata per uno solo di essi al fine di ottenere un controllo ottimale del processo. 174 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Infine, basandosi sulla conoscenza della Idc e sulla misura degli andamenti delle tensioni, viene determinato l’angolo di accensione per l’inverter di carico in relazione al toff che è preso come riferimento. In pratica, la If non viene mantenuta costante, e piuttosto viene controllata come una funzione della coppia e della velocità, per ottenere la costanza del flusso al traferro. Per quanto riguarda, invece, il controllo per velocità superiori a quella nominale, la coppia che può essere fornita dalla macchina è minore di quella nominale. Il controllo viene realizzato in modo da mantenere la potenza pari a quella nominale. In tali condizioni di esercizio va però ridotto il flusso della macchina e questo è realizzato riducendo la If. Per i motivi appena discussi la zona di funzionamento citata è anche nota come regione ad indebolimento di campo. Figura 6.11: Andamento idealizzato delle correnti nel LCI. In conclusione si può affermare che l’utilizzo di azionamenti con LCI comporta i seguenti benefici: 1. La possibilità di utilizzare macchine sincrone per un ampio range di potenze consente di ottenere rendimenti di qualche punto percentuale superiori a quelli che si otterrebbero con i corrispettivi azionamenti con macchine ad induzione. 2. La struttura di un LCI è più semplice e ha meno perdite rispetto agli azionamenti che utilizzano motori ad induzione perché il load inverter commuta ogni 60°. 3. Il DC link del LCI è controllato in corrente, per cui esso è naturalmente protetto dal corto circuito. Inoltre progettando in maniera opportuna i poli o la gabbia di avviamento del motore sincrono, si ottiene sufficiente coppia per far spuntare la macchina come fosse un motore ad induzione semplicemente dalla connessione alla linea elettrica. Una volta raggiunta una velocità prossima a quella di sincronismo si può alimentare l’ec- Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 175 citazione e lavorare in modalità sincrona. Questa modalità di alimentazione aumenta l’affidabilità del sistema in caso di una eventuale rottura del convertitore. 4. Gli LCI permettono di effettuare il recupero di energia in fase di frenatura. Facendo lavorare la macchina sincrona come generatore, e raddrizzando le tensioni ottenute per mezzo del convertitore di carico, si restituisce potenza alla rete attraverso il convertitore di linea (che viene utilizzato come inverter per il parallelo rete). 6.2.2. Figura 6.12: Il TGV (Train à Grande Vitesse). IL LOAD COMMUTATED INVERTER NEL TGV Il TGV (Train à Grande Vitesse) è il treno ad alta velocità che collega Parigi alle più importanti città francesi, e a diverse città straniere come: Ginevra, Zurigo, Berna, Bruxelles e Milano (via Torino). Il TGV normalmente viaggia a 320 km/h con motori da 9.3 MW. Il primo TGV fu inaugurato nel settembre del 1981 sulla tratta Parigi-Lione. Inizialmente il TGV adoperava motori in continua per la trazione, alimentati da rettificatori reversibili. Alla fine degli anni ottanta i grandi sviluppi nell’ambito dell’elettronica di potenza hanno permesso di rimpiazzare i motori in continua utilizzati, con macchine sincrone alimentate mediante convertitori a tiristori in una prima fase, e successivamente da IGBT. L’utilizzo di macchine sincrone ha portato significativi vantaggi tra cui la possibilità di utilizzare motori più semplici e leggeri (fissata la loro potenza). Si è passati dalla soluzione del “TGV PSE” con motori in DC in cui venivano utilizzati 12 motori da 535 kW l’uno con un peso di 1560 kg, al “TGV Atlantique” in cui sono utilizzate 8 macchine sincrone da 1100 kW di potenza l’una, con un peso di 1450 kg. Quest’ultima soluzione ha permesso di avere una potenza all’avviamento maggiore e l’assenza di spazzole e collettori ha ridotto significativamente la manutenzione ordinaria del TGV. Altro punto a favore dell’utilizzo delle macchine sincrone risiede nell’utilizzo del convertitore controllato e grazie al suo utilizzo si è ottenuto un notevole miglioramento in termini di fattore di potenza offerta dal convoglio. Il fattore di potenza del “TGV PSE” non era mai superiore a 0.8 mentre con il “TGV Atlantique” si riesce ad ottenere un valore anche superiore al 0.95. Il “TGV Atlantique” sfrutta macchine sincrone per le quali vengono adoperati Load Commutated Inverter per il controllo. Un esempio di schema circuitale dell’azionamento del TGV Atlantique è riportato in Figura 6.13. A partire dal 1983 il motore sincrono è stato abbandonato, nella tratta Parigi- Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 179 Figura 6.16: Permeabilità magnetica del ferro. In caso di funzionamento della macchina in condizioni di flusso inferiore a quello nominale, il rendimento della macchina si riduce a parità di coppia per effetto dell’aumento della corrente di statore e le costanti di tempo aumentano con relativo peggioramento delle prestazioni dinamiche della macchina (Fig. 6.16). Da queste considerazioni scaturisce la più semplice delle tecniche di regolazione delle macchine in alternata, la regolazione a V/f = costante, che attualmente è comunque utilizzata nelle ferrovie italiane. Il controllo V/f è basato sulla seguente relazione tra il modulo del fasore della tensione di alimentazione V e la frequenza f: V = V0 + K f f1 (6.16a) La legge di controllo è detta scalare perché nella relazione compaiono solo grandezze scalari. Possiamo valutare le curve di coppia/velocità ottenute in questo caso attraverso lo scorrimento di rovesciamento sk e il momento della coppia elettromagnetica di rovesciamento Tek. Lo scorrimento di rovesciamento aumenta con la riduzione di f mentre la coppia di picco si riduce leggermente con la diminuzione di f a frequenze superiori a 5 Hz. Al di sotto di questo valore, la coppia di picco diminuisce drasticamente se la (16.16a) viene applicata. Per compensare la caduta di tensione sull’impedenza primaria all’avviamento, viene applicato un offset sulla tensione, V0 = c0 r0 i0n (16.16b) L’incremento di tensione V0 ammonta a qualche percento della tensione nominale Vn, più alta per i motori più piccoli. Al di sopra della velocità nominale (velocità di base ωb), la tensione rimane costante e pertanto diminuisce la coppia di picco, mantenendo la potenza costante fino ad una frequenza massima pari a fmax. Superata la 180 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata velocità di base, trascurando la caduta di tensione sulla resistenza e sulla induttanza di dispersione, l’equazione di statore in regime sinusoidale e stazionario è: V0 ≈ jω1λ0b ; ω1 > ωb (16.16c) Quindi, a tensione costante Vs0, il flusso dello statore ls0 e, di conseguenza, il flusso principale ϕm diminuisce con l’aumento della velocità (e quindi della frequenza). Questa zona - da ωb a ω1max - viene chiamata zona di indebolimento del flusso. In molte applicazioni è necessaria una potenza costante per ω1max pari a 2-4 ωb. L’intero dimensionamento del motore dipende da questo requisito in termini di carico sia elettromagnetico che termico. Figura 16.16a: Curve corrente, coppia, potenza, legge di controllo per controllo V / f. Le tecniche di controllo V/f costituiscono generalmente uno standard per applicazioni a bassa dinamica e consentono di ottenere un campo di controllo di velocità moderato (ωb/ωmin = 10 - 15). Le costanti che compaiono nella legge V/f vengono calcolate fuori linea, con l’obiettivo di ottenere massima efficienza o fattore di potenza, e la legge viene quindi implementata nell’hardware dell’azionamento. Spesso, la legge di controllo viene ottimizzata, trasformandosi in una relazione V = V(f) non lineare, che si appoggia alla caratteristica V/f presentata. Ovviamente questa prima semplice tecnica presenta differenti inconvenienti. Per risolvere tali problematiche si considera il controllo più complesso denominato ωslip. Una delle principali problematiche del controllo scalare è che le sue prestazioni dinamiche sono piuttosto scarse in quanto esso influisce soltanto sul comportamento in regime stazionario. Inoltre le macchine elettriche sono alimentate mediante convertitori statici che forniscono in uscita grandezze non perfettamente sinusoidali, quindi le prestazioni del controllo sono diverse da quelle stimate. Il controllo vettoriale consente di ottenere prestazioni dinamiche superiori rispetto a quello scalare. Questa tecnica di controllo prende le mosse dal modello ai valori istantanei della macchina elettrica. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 6.3.3. 181 ALGORITMO DI CONTROLLO AD ORIENTAMENTO DI CAMPO L’algoritmo di controllo ad orientamento di campo (nella letteratura anglosassone Field Oriented Control) è una tecnica per il controllo vettoriale di macchine elettriche che fonda le sue basi matematiche sul disaccoppiamento dell’equazione vettoriale di bilancio elettrico delle tensioni del rotore in due componenti, agenti rispettivamente sulla dinamica del flusso di rotore e della coppia. Nel presente capitolo si farà riferimento al controllo di una macchina ad induzione trifase, tenendo presente che la tecnica di controllo per macchine sincrone sia a eccitazione amperiana che a magneti permanenti si ricava in maniera del tutto analoga. Nelle tecniche ad orientamento di campo si assume generalmente che il convertitore sia in grado di alimentare gli avvolgimenti di statore a corrente impressa. Con l’imposizione della corrente statorica si ottiene l’imposizione del momento della coppia elettromagnetica. Per compensare la costante di tempo elettrica del circuito è necessario chiudere un anello di retroazione di corrente. Per semplicità di trattazione, nel seguito verrà presentata la tecnica di controllo a orientamento sul campo di rotore. Partendo dall’equazione di rotore scritta nel referto rotorico e con le grandezze riportate allo statore come nella (6.14): 0 R 'r i 'r(r ) d (s) Lm is e dt jpR i 'r(r ) L' r di '(rr ) dt può essere esplicitato il flusso totale rotorico: = λR(r ) Lm[( is(s)e - jpϑR + (1 + σ R )ir' (r ) ] Con σ R = IVI (6.17) L'σ r . Lm Attraverso semplici manipolazioni si ricava l’espressione della coppia elettromagnetica: 3 1 T = - p Im {is(s) λˆR(r ) } (6.18) 2 1 +σR Figura 6.17: Sistema di riferimento e diagramma dei vettori di spazio. IVI Nel caso di macchina sincrona ( ) λ(R)R è il flusso di eccitazione λ(R)R = λE. 182 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Esplicitando i vari termini in forma polare si nota come la coppia elettromagnetica dipenda essenzialmente dal flusso di rotore e dalla componente della corrente statorica in quadratura con il flusso di rotore. Riscrivendo il flusso e la corrente in forma polare: λ(Rr ) = λR e jρ e is(s) = is e jα e sostituendo nell’espressione della coppia si ottiene: λ 3 T = - p R Im{is e j (α - ρ ) } 2 1 +σR dove: is e j (α - ρ ) = iscos(α - ρ ) + jis sin(α - ρ ) = isd + jisq La componente diretta della corrente di statore è in fase con il flusso mentre la componente in quadratura con il flusso è l’unica che fornisce contributo alla coppia. λ 3 T = - p R isq 2 1 +σR (6.19) Generalmente le Eq. (6.18-6.19) vengono scritte facendo riferimento a un sistema di riferimento il cui asse reale (asse diretto o asse d) è parallelo al vettore di spazio del flusso di rotore. L’asse perpendicolare all’asse diretto è detto asse quadratura (o asse q). Tale riferimento viene detto riferimento di Park. Indicando con T* la coppia di consegna, la (6.19) diventa: isq = 2 (1 + σ R ) * T 3 p λR Rimaneggiando l’equazione di rotore in funzione del flusso (rotorico) e modificandola in funzione della componente diretta e in quadratura della corrente di statore, si ottiene la seconda equazione dell’algoritmo di controllo. Svolgendo passaggi simili a quelli effettuati per ricavare l’equazione della coppia, si ha: TR d (s) λR + λR(s) (1 - jpωr TR ) = is(s) dt (6.20) 1 +σR e d θ =ω . r dt Esplicitando le varie grandezze in forma polare e suddividendo l’espressione in parte reale ed immaginaria: dove si è posto: TR = R' r TR d λR + λR = isd dt i d = ρ pωr + sd dt TR λR Re (6.21) Im 184 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata rilevate all’interno del motore stesso o ai suoi morsetti terminali. Al contrario la tecnica si definisce indiretta quando la posizione spaziale del vettore del flusso rotorico viene determinato attraverso la sola misurazione della velocità o della posizione spaziale del rotore. 6.3.5. CONTROLLO AD ORIENTAMENTO DI CAMPO DIRETTO La posizione spaziale del flusso rotorico è ricavata attraverso una misura o attraverso un’elaborazione. Il flusso viene quindi o misurato o stimato o osservato con operazioni matematiche. Tra le prime realizzazioni di questa tecnica di controllo si pensò di utilizzare sensori ad effetto Hall (all’interno della macchina) per determinare il parametro incognito ρ. Ovviamente un sistema di controllo di questo genere comporta molte limitazioni in termini di costi, fragilità, manutenzione ecc. La strada della misura diretta non viene quindi utilizzata e le tecniche di maggior utilizzo sono quelle in cui ρ viene valutato attraverso uno stimatore o un osservatore. 6.3.5.1. Controllo diretto a orientamento di campo con stimatore del flusso Utilizzando l’Eq. (6.20) ed esplicitando il tutto in funzione della derivata temporale del flusso, attraverso semplici manipolazioni e una successiva integrazione, può essere ricavato il flusso di rotore: λR(s) =∫ is(s) - λR(s) (1 - jpωr TR ) TR Una problematica non trascurabile di tale stima è la necessità di conoscere la costante di tempo rotorica (TR). Il parametro in questione, per di più, non è costante durante il funzionamento della macchina. Il controllo ricava con buona accuratezza ρ, ma è da considerare che i parametri utilizzati in esso cambiano al variare del tempo e delle condizioni di funzionamento. La costante di tempo rotorica (TR) è funzione della resistenza e dell’induttanza di dispersione rotorica (R′r, L′r) e dell’induttanza di magnetizzazione (Lm). Sicuramente già nella stima iniziale delle varie induttanze si commette un errore di valutazione che ovviamente si ripercuote nel controllo. Anche trascurando la differenza iniziale sul valore delle induttanze, l’errore maggiore viene commesso sul termine R′r il quale cambia in maniera più significativa delle induttanze, in base al particolar carico che si sta alimentando. Ogni qual volta si necessita una soluzione più precisa va considerata una retroazione sui parametri di cui si è parlato in precedenza (si introduce allora un Osservatore, vedi Par. 3.6.2). Grazie alla sua facile implementazione, il controllo a orientamento di campo con stimatore del flusso può essere realizzato con il solo ausilio di dispositivi analogici o digitali. Di seguito è riportato lo schema di controllo del “Field Oriented” con stimatore del flusso di rotore, in cui, come appena discusso, viene effettuata la stima della posizione angolare del flusso. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 6.3.5.2. 185 Controllo diretto a orientamento di campo con osservatore del flusso Al fine di aumentare la robustezza della tecnica di controllo, può essere introdotto un osservatore di flusso. Gli osservatori utilizzano il modello della macchina elettrica per ricostruire, in ampiezza e posizione istantanea, il vettore di spazio rappresentativo del flusso. Il modello della macchina asincrona sotto forma di sistema di equazioni differenziali può essere rappresentato come sistema ingressostato-uscita nel seguente modo: = x A x + Bu (6.22) Esso rappresenta il sistema di equazioni differenziali Eq. (6.14): x rappresenta il vettore di stato del mio sistema, u è il forzamento, A è la matrice del sistema e B è la matrice del forzamento. (Per una macchina elettrica si utilizzano le equazioni differenziali che rappresentano in termini vettoriali il bilancio elettrico delle tensioni di statore e di rotore). Bisogna tener presente che il modello matematico utilizzato dall’osservatore non descrive precisamente il sistema reale. Difatti, i parametri contenuti nel modello non sono costanti, a causa dell’errore di misura (dovuto sia alla determinazione iniziale sia ad una variazione naturale dei parametri in funzione delle condizioni di lavoro). Per questi motivi, in realtà, il sistema che si sta risolvendo è il seguente: = x A x + Bu In cui il simbolo ~ indica il valore attuale vero della grandezza. Al fine di rendere il sistema più robusto alle variazioni parametriche, viene introdotto un termine correttivo nell’equazione del modello. La grandezza fisica di una macchina elettrica che si riesce a misurare con maggiore accuratezza è la corrente di statore. Viene allora introdotta una correzione sull’osservazione, che dipenda dall’errore osservato tra la grandezza sotto controllo e quella misurata. In questo modo il modello si modifica in: x = A x + Bu + K C( x - x ) (6.23) dove C è la matrice di uscita e K è la matrice dei guadagni. L’Eq.(6.23) descrive il principio di funzionamento dell’osservatore “completo” (cioè del secondo ordine nel caso di macchine ad induzione) di Luenberger. Poiché poi C x fornisce le variabili di stato misurabili del problema, il modello ottenuto risulta corretto dagli errori commessi sulle variabili stesse. L’errore commesso è: e= x - x 186 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Sottraendo membro a membro l’Eq. (6.22) e l’Eq. (6.23): = e ( A - K C )e La quale è una equazione differenziale omogenea in cui l’incognita è il vettore di stato “errore”. Al fine di assicurare la convergenza dell’osservatore al valore reale del flusso, è necessario che l’errore si annulli all’aumentare del tempo: lim |e(t )| = 0 t → ∞ Per ottenere questa condizione è sufficiente che gli autovalori della matrice A KC siano tutti a parte reale negativa. Se la precedente condizione è rispettata, allora l’errore tende a zero asintoticamente (per questo motivo che l’osservatore è chiamato “Osservatore asintotico dello stato”). Caliamo ora il problema generale nel caso particolare di una macchina asincrona. Ovviamente le equazioni differenziali vanno rimaneggiate in modo tale che esse contengano le variabili che si intende osservare (come visto nei paragrafi precedenti, esse sono il vettore di spazio della corrente di statore is(s)e il vettore di spazio del flusso rotorico λR(s)). Le equazioni di statore e rotore riscritte in funzione di is(s) e λR(s), risultano: v (ss) = Rs is(s) + Lσ s TR Lm d (s) (s) d (s) d (λR - is ) is + Lm is(s) + 1 + σ R dt dt dt d (s) λR =is(s) - λR(s) (1 - jpωr TR ) dt (6.24) Riscrivendo le (6.24) rispettivamente in funzione di d (s) is = a11 is(s) + a12 λR(s) + b1 v (ss) dt d (s) d (s) is e λR si ha: dt dt d (s) λR = a21 is(s) + a22 λR(s) + b2 v (ss) dt Sulla base delle (6.24), può essere riscritta l’Eq. (6.22) che rappresenta il modello del motore, i termini sono: d (s) is(s) dt is a11 x = x = (s) A = λR d λ (s) a21 dt R a12 b B = 1 a22 b2 Secondo quanto detto, affinché l’errore si porti asintoticamente a zero, è necessario verificare che gli autovalori della matrice A KC siano tutti a parte reale minore di zero. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 187 Considerando i valori della matrice di uscita C e di quella dei guadagni K: C x = is(s) → C = si ottiene: [1 0] k K = 1 k2 a11 - k1 A - KC = a - k 2 21 a12 a22 Da questa matrice vanno ricavati gli autovalori, per i quali vanno valutati i valori dei guadagni tali per cui la parte reale dei primi risulti essere minore di zero. L’obiettivo della trattazione matematica è di sintetizzare l’osservatore sulla base del modello e di una stima dei parametri di macchina. Deve essere ricavato il valore del guadagno della retroazione dal sistema reale, che garantisca che gli autovalori abbiano parte reale minore di zero. La scelta dei guadagni non può, però, solamente considerare la specifica sulla parte reale, essi vanno impostati considerando i seguenti aspetti: a. La parte reale degli autovalori deve essere scelta in modo che il suo modulo non sia eccessivamente elevato. Bisogna considerare infatti che la stabilità del sistema può venir meno nella condizione presa in esame. Generalmente una buona scelta è quella di tarare i guadagni in modo che essi diano luogo a degli autovalori al massimo di dieci volte superiori a quelli naturali del sistema (cioè quelli della matrice A ). In questo modo l’osservatore, converge dieci volte più velocemente ad una nuova condizione di equilibrio rispetto a quanto farebbe da solo, senza incorrere in instabilità. b. La parte immaginaria degli autovalori è quella a cui sono legate le ondulazioni del sistema. Può essere posta uguale a zero e far così in modo che l’evoluzione dell’errore sia asintotica e che non ci siano sovraelongazioni rispetto al valore di regime. Di seguito lo schema di controllo a orientamento di campo con osservatore di flusso: Figura 6.19: Schema di controllo del F.O. diretto con osservatore. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 189 Il vantaggio di questa tipologia di controllo è l’estrema semplicità in quanto non ci sono osservatori ne calcoli computazionali di grade rilievo. Sicuramente però, questo sistema risente dell’errore dovuto alle variazioni dei parametri del sistema (come ad esempio la costante di tempo rotorica). Da notare come il controllo non si possa più considerare di tipo vettoriale, in quanto non viene effettuato un controllo istante per istante delle grandezze in gioco. Negli schemi fin qui analizzati si è sempre considerato un inverter VSI (Voltage Source Inverter), controllato in corrente. Sostanzialmente, la commutazione dei dispositivi a semiconduttore viene comandata sulla base del valore desiderato della corrente di statore is(s). Questo può essere realizzato tramite un controllo ad isteresi della corrente, oppure mediante un controllo con un’ulteriore retroazione sulla corrente di statore e un controllo di tensione di tipo PWM (Pulse Width Modulation, che è illustrata nel Par. 6.4.1.3.), oppure SVM (Space Vector Modulation). 6.3.7. IMPLEMENTAZIONE IN AMBIENTE MATLAB-SIMULINK Lo schema di controllo a orientamento di campo può essere simulato in ambiente Matlab/Simulink®. Figura 6.21: Schema Simulink del F.O. diretto con stimatore. Lo schema di Figura 6.21 è stato simulato per diverse condizioni di esercizio: –– gradino di velocità costante pari alla velocità nominale; –– ciclo di lavoro a gradini; –– ciclo di lavoro a rampe; –– inversione di velocità (velocità variabile in maniera sinusoidale); –– velocità costante e pari a 200 rad/sec (deflussaggio in quanto la velocità richiesta è superiore a quella di base del motore). Per ognuna delle seguenti simulazioni è analizzato l’andamento delle correnti statoriche e la coppia fornita dall’azionamento, che sono rappresentate nei diagrammi seguenti a p.u. 190 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Le differenti simulazioni enfatizzano come il metodo sotto esame rispetto ad un metodo scalare presenti il vantaggio di poter controllare con maggiore precisione la macchina anche durante la fase transitoria. 6.3.7.1. CASE STUDY 1: Avviamento con riferimento di velocità costante alla velocità nominale Nell’avviamento con riferimento costante di velocità, la macchina si porta a lavorare nelle condizioni nominali, successivamente al transitorio di avviamento in cui la corrente di statore eccede il suo valore nominale, raggiungendo un valore limite, che viene impostato sulla base delle caratteristiche del motore e della durata del transitorio. Figura 6.22: CASE STUDY 1: Avviamento con riferimento di velocità costante alla velocità nominale. Per contenere la corrente all’avviamento si può: –– Limitare il modulo della Is (dato dalla somma vettoriale della componente diretta Isd e di quella quadratura Isq) e accettando di ridurre il flusso nominale; –– Limitare solo la componente in quadratura Isq garantendo alla macchina il flusso nominale ma perdendo controllo sulla fase, il che porta a elevare la corrente di statore. 6.3.7.2. CASE STUDY 2: Variazione a gradini del riferimento di velocità Dai grafici riportati è facile notare come, in corrispondenza del cambiamento del riferimento, si riscontrino variazioni repentine delle grandezze sotto controllo: –– A parità di coppia di carico (costante) pari a quella nominale, le correnti dello statore si deformano per fornire una coppia motrice tale da soddisfare l’equazione di equilibrio dinamico del sistema. dω J = MM − ML dt Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 191 dω detta copcon MM e ML rispettivamente coppia motrice di carico e J dt pia inerziale (presente nel funzionamento transitorio). –– la frequenza delle correnti statoriche varia in corrispondenza di riferimenti diversi di velocità. –– Il flusso, a parte un transitorio iniziale non varia, dal momento che esso viene mantenuto proporzionale alla componente diretta della corrente di statore. Figura 6.23: CASE STUDY 2: Variazione a gradini del riferimento di velocità. 6.3.7.3. CASE STUDY 3: Ciclo di lavoro a rampe Figura 6.24: CASE STUDY 3: Ciclo di lavoro a rampe. 192 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Avendo sostituito i profili a gradino, del riferimento di velocità con delle rampe, si è ottenuto l’effetto benefico di abbattimento degli spikes sulle grandezze controllate nonché un profilo di velocità maggiormente fedele alle richieste. 6.3.7.4. CASE STUDY 4: Variazione del riferimento secondo un arco di sinusoide Impostando un riferimento di velocità sinusoidale ad una frequenza di 0.5 Hz, è evidente come la strategia a orientamento di campo garantisca prestazioni soddisfacenti, contrariamente a quanto si verifica nel controllo scalare. Figura 6.25: CASE STUDY 4: Variazione del riferimento secondo un arco di sinusoide. 6.3.7.5. CASE STUDY 5: Avviamento con riferimento di velocità costante costante e pari a 200 rad/s Figura 6.26: CASE STUDY 5: Avviamento con riferimento di velocità costante costante e pari a 200 rad/s. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 193 La macchina si porta a lavorare ad una velocità superiore a quella nominale a patto di aver abbassato la coppia motrice (e quindi quella di carico applicabile all’asse). Così facendo si sta lavorando nel dominio di regolazione a potenza costante anziché in quello a coppia costante. 6.4. COMPONENTI CARATTERIZZANTI L’AZIONAMENTO POLICORRENTE Al fine di contestualizzare le tecniche di controllo trattate nei precedenti paragrafi, nel seguito vengono dettagliati i componenti dell’azionamento policorrente. È difatti importante definire e spiegare i principi di funzionamento dei dispositivi elettrici caratterizzanti i moderni sistemi di propulsione ferroviaria policorrente: convertitore elettronico a 4 quadranti e trasformatore. Verrà definito il ruolo che tali apparecchiature ricoprono all’interno della catena di trazione del rotabile e saranno descritte le particolari condizioni operative alle quali si portano a funzionare nel sistema treno. 6.4.1. IL CONVERTITORE 4Q - PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO ED APPLICAZIONE SU ETR500 Il convertitore 4Q è un componente fondamentale dell’architettura dei moderni azionamenti di trazione a corrente alternata. Tale dispositivo trova applicazione su vari mezzi di trazione della flotta Trenitalia, quali ad esempio E402B, E403, ETR470, ETR500, ETR600 e ETR 1000. In tale paragrafo sarà descritto il principio di funzionamento di tale convertitore e sarà illustrato il dettaglio della sua applicazione sull’ETR500 evidenziando anche risultati di simulazioni effettuate in ambiente Matlab e rilievi effettuati a bordo treno. Uno dei requisiti fondamentali per la progettazione dell’equipaggiamento elettrico di un treno dal punto di vista energetico è la riduzione, a parità di potenza attiva, della potenza apparente assorbita dalla rete. Il rapporto fra potenza attiva e potenza apparente, che caratterizza l’assorbimento di energia del treno dalla rete, è definito come fattore di potenza e per ridurre le perdite e le cadute di tensione prodotte dal treno sulla rete di alimentazione le norme internazionali richiedono che, in caso di potenze maggiore di 2MW, il fattore di potenza fdp sia maggiore 0,95. Dal punto di vista analitico si ha: fdp = P attiva P apparente ed in regime stazionario, considerando tensione e corrente aventi forme d’onda periodiche, si ha in generale: V= (t ) n ∑ 2 ⋅Vi ⋅ sin(i ⋅ ω ⋅ t + ψ i ) (6.25′) 2 ⋅I i ⋅ sin(i ⋅ ω ⋅ t + ϑi ) (6.26) i =1 I= (t ) n ∑ i =1 194 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Pattiva 1 T T V (t ) I (t ) dt 0 1 T T n n ( 2 Vi sin(i t i )) ( 2 I i sin(i t i )) dt Pattiva = 0 i 1 1 T i 1 T ⋅ ∫ V (t ) ⋅ I (t ) ⋅ dt = 0 (6.27) n ∑ Vi ⋅ I i ⋅ cos(ψ i - ϑi ) (6.28) i =1 P apparente = Veff ⋅ I eff (6.29) Considerando inoltre che la potenza di cortocircuito delle sottostazioni di trazione della rete monofase è molto maggiore rispetto alla potenza apparente assorbita dal treno è approssimazione lecita considerare la tensione di catenaria sinusoidale e quindi priva di armoniche. Per le caratteristiche del proprio equipaggiamento elettrico ed in particolare dei convertitori di potenza installati a bordo, il treno rappresenta invece un carico non lineare e la corrente assorbita è quindi caratterizzata da armoniche di corrente. Ne deriva che essendo: (6.30) V (t ) = 2 ⋅ V ⋅ sin(ω ⋅ t ) T n 1 Pattiva = ⋅ ∫ V ⋅ sin(ω ⋅ t ) ⋅ (∑ 2 ⋅I i ⋅ sin(i ⋅ ω ⋅ t + ϑi )) ⋅ dt =⋅V ⋅ I1 ⋅ cos(ϑ1 ) (6.31) T 0 i =1 la potenza attiva assorbita dal treno è dovuta esclusivamente alla fondamentale della corrente. La potenza apparente può invece essere espressa tramite la seguente equazione: 2 n ∑ I i = P12 + Q12 + D2 Papparente =V ⋅ (6.32) i =1 dove P1 e Q1 sono rispettivamente la potenza attiva e reattiva dovute alla fondamentale della corrente, mentre D rappresenta la potenza deformante associata alle armoniche di corrente. Dalle equazioni precedenti è evidente che le armoniche della corrente assorbita dalla linea non comportano un aumento della potenza attiva, ma solo un incremento della potenza apparente e quindi rispetto al caso di corrente sinusoidale si ha una riduzione del fattore di potenza che in definitiva può essere espresso come: fdp P attiva Papparente V I1 cos1 n V I1 Ii i 1 2 cos(1 ) I12 n Ii cos(1 ) FF (6.33) 2 i 1 I12 ove ϑ1 è l’angolo di sfasamento fra la fondamentale della corrente e la tensione di lineaVI, mentre FF detto fattore di forma è un indice della riduzione Il fattore di potenza, come noto, coincide con il coseno dell’angolo di sfasamento fra tensione e corrente solo in caso di regime sinusoidale. In presenza di armoniche non è definibile un angolo di sfasamento tra tensione e corrente. VI Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 195 del fattore di potenza dovuto alla presenza di armoniche di corrente. Per ottimizzare il fattore di potenza è quindi necessario: –– ridurre lo sfasamento fra le fondamentali della corrente e della tensione; –– massimizzare il fattore di forma. Il primo obbiettivo è ottenibile tramite convertitori a commutazione forzata in cui è possibile comandare sia l’accensione che lo spegnimento dei componenti a semiconduttore ed ottenere quindi, tramite un apposito controllo, una fondamentale della corrente teoricamente in fase con la tensione di linea. Il secondo obbiettivo è invece ottenibile utilizzando componenti a semiconduttore ad elevata frequenza di commutazione che consentono l’utilizzo di tecniche di modulazione a larghezza di impulso. In tal caso l’aumento della frequenza delle armoniche di corrente rende agevole il filtraggio delle stesse tramite l’utilizzo di trasformatori con tensioni di cortocircuito Vcc elevate. L’utilizzo di tecniche di controllo attive che realizzano l’interallacciamento dei controlli dei convertitori di ingresso a bordo treno consente inoltre di aumentare ulteriormente la frequenza delle prime armoniche di corrente. I convertitori a commutazione naturale consentono invece di controllare solo l’angolo di accensione dei semiconduttori e quindi non consentono di regolare la fase fra corrente e tensione di linea. In tal caso inoltre la tensione di cortocircuito dei trasformatori di potenza, non potendo attuarsi la compensazione di potenza reattiva tramite il controllo della fase della corrente, deve essere limitata per non aumentare la potenza reattiva associata alla fondamentale di corrente. Nel presente articolo ci focalizzeremo quindi sui convertitori a commutazione forzata (noti come convertitori 4Q) utilizzati nello stadio di ingresso dei moderni mezzi di trazione operanti con alimentazione in corrente alternata. In particolare se ne descriveranno il principio di funzionamento e l’applicazione sull’ETR500. 6.4.1.1. Principio di funzionamento Uno schema semplificato di un modulo di trazione di rotabili moderni funzionanti in corrente alternata è rappresentato in Figura 6.27 ed in Figura 6.28, ove è evidenziato il convertitore 4Q e la realizzazione dei rispettivi interruttori statici. Figura 6.27: Schema semplificato di un modulo di trazione. 196 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata L’ingresso del convertitore 4Q è collegato al secondario del trasformatore di linea e fornisce in uscita la tensione continua per l’inverter. Figura 6.28: Realizzazione switch del 4Q. degli Se visto con ingresso lato inverter di trazione, il convertitore 4Q può essere considerato come un inverter monofase in ponte che a partire da una tensione continua Vd sul dc-link genera una tensione sinusoidale V4. Il convertitore può quindi essere pilotato dal controllo secondo i principi di regolazione propri di un inverter monofase controllato in corrente al fine di soddisfare i seguenti requisiti di progetto: 1. tensione sul circuito intermedio stabilizzata; 2. corrente assorbita dalla linea quasi sinusoidale; 3. cos(φ)IV prossimo ad 1. Nel circuito equivalente semplificato di Figura 6.29 il convertitore 4Q può essere rappresentato come un generatore sincrono che lavora in parallelo alla rete generando una opportuna tensione sinusoidale V4, mentre il trasformatore di trazione può essere schematizzato con un circuito equivalente in cui compare l’impedenza serie riportata al secondario composta da una parte induttiva ωLt ed una parte resistiva Rt. Questa schematizzazione semplificata è giustificata dal fatto che, normalmente, un trasformatore costruito per impiego in un convertitore 4Q possiede una impedenza di corto circuito molto elevata (tipicamente 20 - 25 %)V e quindi è possibile trascurarne l’impedenza di magnetizzazione. Figura 6.29: Convertitore 4Q come generatore di tensione sincrono con la tensione di linea. IV V φ è lo sfasamento fra fondamentale della corrente e della tensione di linea Nel caso dell’ETR500 la Vcc del trasformatore è del 25 %. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 6.4.1.2. 197 Generazione dei riferimenti per la tensione V4 Figura 6.30: Rappresentazione fasoriale delle grandezze elettriche. Trascurando la resistenza equivalente del trasformatore Rt, la relazione fra la tensione di linea, la tensione generata dall’inverter e la fondamentale della corrente di linea è fornita dalla seguente equazione (vedi Fig. 6.29 per la relativa rappresentazione fasoriale): V l = V4 + j ⋅ ω ⋅ L ⋅ I l (6.34) e quindi affinchè la corrente e la tensione di linea siano in fase è necessario sfasare V4 rispetto a Vl di un angolo pari a: L ⋅ ω ⋅ Il δ = arctan Vl (6.35) e di realizzare una tensione V4 che abbia un modulo pari a: V= 4 Vl 2 + (L ⋅ ω ⋅ I l )2 (6.36) mentre la corrente Il è funzione del punto di funzionamento del treno e può essere determinata dal valore medio della corrente assorbita dai convertitori a valle del convertitore 4QVI: I= Vd ⋅ l Id Vl (6.37) Dallo schema di Figura 6.31 è evidente come sia necessario per il controllo del convertitore 4Q un sistema capace di riconoscere fase, frequenza e modulo della tensione di linea. Figura 6.31: Schema di principio del controllo di un convertitore 4Q. Nel caso dell’ETR500 oltre all’inverter di trazione il 4Q alimenta anche un chopper per l’alimentazione dei servizi ausiliari di treno. VI 198 6.4.1.3. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Modulazione PWM Come riportato in precedenza, al fine di ottenere una tensione V4 atta a garantire il soddisfacimento dei requisiti di progetto, il convertitore 4Q viene controllato come un inverter monofase in ponte ed il pilotaggio dei semiconduttori è attuato mediante la tecnica di modulazione a larghezza di impulso (PWM) in modo da spingere in alto la frequenza delle prime armoniche di corrente che possono quindi essere più facilmente essere filtrate, contribuendo così ad aumentare il fdp. In base al principio di tale tecnica, per ottenere una tensione di uscita V(t) che approssimi l’andamento della tensione sinusoidale desiderata Umod(t), si divide il periodo T della tensione Umod in intervalli di uguale durata Tp e si regola l’apertura e la chiusura degli interruttori statici in modo che in ogni intervallo il valore medio della V(t) sia uguale al valore medio di Umod. In particolare la Umod(t) si approssima tanto meglio quanto più piccolo è Tp rispetto al periodo della sinusoide che si vuole ottenere (la quale in tale Tp può essere considerata costante). Gli istanti di accensione e spegnimento dei semiconduttori possono essere determinati in base all’intersezione fra una forma d’onda sinusoidale detta modulante ed una forma d’onda triangolare detta portante. La larghezza degli impulsi di accensione sarà proporzionale al valore medio della tensione che si vuole approssimare nel periodo Tp. È evidente che per utilizzare tale tecnica di modulazione, è necessario utilizzare semiconduttori che hanno una frequenza di commutazione molto più alta della frequenza di uscita V4VII. I parametri caratteristici della modulazione PWM sono: indice di modulazione in ampiezza r U mod Up indice di modulazione in frequenza p fp fmod (6.38) (6.39) ove Umod è il valore massimo della modulante sinusoidale, Up è il valore massimo della portante triangolare e fmod e fp sono rispettivamente la frequenza della modulante e della portante. Al fine di ottenere la tensione V4 desiderata, di ampiezza V4max e sfasata di δ rispetto alla tensione di linea, si può definire una modulante sinusoidale avente lo stesso periodo della tensione di linea con V4 max ⋅ Vp valore massimo Umod = r ⋅ Vp = Vd (6.40) sfasamento rispetto alla tensione di linea pari a δ (6.41) Per gli inverter ad onda quadra la frequenza di commutazione dei semiconduttori è pari alla frequenza della tensione di uscita dell’inverter, per gli inverter modulati PWM la frequenza di commutazione dei semiconduttori è maggiore della frequenza della tensione di uscita dell’inverter. VII Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 199 ed una portante avente valore massimo Vp e le cui caratteristiche saranno specificate in seguito. Qualsiasi sia la tecnica di modulazione usata (nel seguito ne saranno illustrate alcune) gli interruttori K1 e K1′ (K2 e K2′) di Figura 6.28 sono movimentati in modo complementare. Si otterrà quindi una tensione V4 la cui fondamentale ha valore massimo pari a ( r ⋅ Vd ) che sarà sempre minore di VD per cui il raddrizzatore così pilotato funzionerà da elevatore di tensione e non da abbassatore di tensione. Utilizzando anche la relazione precedente si avrà che: 2 Vl ⋅ 2 ⋅ω ⋅ I l ⋅ 1 + L Vl r = VD (6.42) Caratteristica propria della tecnica di modulazione PWM è che nello spettro di frequenza, le armoniche di tensione possono essere classificate in famiglie ed all’interno di ogni famiglia lo spettro armonico è simmetrico rispetto alla frequenza centrale. In generale si avrà: famiglia 1: frequenza centrale p. fmod; (6.43) famiglia 2: frequenza centrale 2 ⋅ p ⋅ fmod; (6.44) famiglia k: frequenza centrale k ⋅ p ⋅ fmod; (6.45) ove p è l’indice di modulazione. Figura 6.32: Circuito equivalente semplificato per la fondamentale. Figura 6.33: Circuito equivalente semplificato per le armoniche successive. Le armoniche di corrente sui secondari del trasformatore sono facilmente ottenibili considerando il circuito equivalente alle varie frequenze (vedi Figg. 6.32 e 6.33): 200 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata I si (h) = V4Qi (h) Z ts (h) (6.46) per cui le armoniche di corrente in ingresso al convertitore saranno dovute alle corrispondenti armoniche della tensione generata dal 4Q. L’ampiezza delle componenti armoniche della corrente di catenaria è indipendente, in prima approssimazione, dall’ampiezza della fondamentale (soprattutto per quanto concerne i primi ordini di armoniche) e quindi, in definitiva, dalla potenza sviluppata dal treno. 6.4.1.4. Modulazione bipolare Nel caso di modulazione bipolare, gli switch dei 2 rami vengono comandati in modo dipendente. In particolare gli interruttori K1 - K2′ e gli interruttori K1′ - K2 vengono comandati a coppie (Fig. 6.28) e la tensione Vab può assumere i seguenti valori: Vab = VD se K1 e K2′ sono in stato ON; (6.47) Vab = - VD se K2 e K1′ sono in stato di ON. (6.48) Tale tecnica di modulazione è detta di tipo bipolare in quanto la tensione di uscita oscilla fra + VD e – VD. Gli istanti di accensione degli switch sono determinati dall’intersezione della portante di tipo triangolare Up di frequenza fp e della modulante sinusoidale Umod. Figura 6.34: Modulazione bipolare. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 201 Se Up > Umod K1′-K2 vengono pilotati nello stato ON e si ha Vab = -VD; (6.49) Se Up < Umod K1 e K2′ vengono pilotati nello stato ON e si ha Vab = VD. (6.50) Lo sviluppo in serie di Fourier della tensione di uscita mostra che, in caso di p intero e dispari, sono presenti solo componenti armoniche dispari classificabili nelle seguenti famiglie: famiglia 1: armoniche alla frequenza fp, f p ± 2 ⋅ K ⋅ fmod ; (6.51) famiglia 2: armoniche alla frequenza 2 ⋅ f p ± (2 ⋅ K + 1) ⋅ fmod ; (6.52) e così via. 6.4.1.5. Modulazione unipolare Nel caso di modulazione unipolare, considerando la Figura 6.35, gli switch di ogni ramo del convertitore sono comandati in modo indipendente. Si hanno quindi i seguenti possibili stati di funzionamento: Figura 6.35: Modulazione unipolare. 202 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Vab = Vd se K1 e K2′ sono in stato di ON; (6.53) Vab = 0 se K1′ e K2′ sono in stato di ON; (6.54) Vab =- Vd se K1′ e K2 sono in stato di ON; (6.55) Vab = 0 se K1 e K2 sono in stato di ON. (6.56) La tensione di uscita può assumere quindi i valori Vd, 0 e –Vd. La modulazione viene detta unipolare in quanto la tensione di uscita varia fra Vd e 0 (nel periodo in cui la modulante è positiva) e fra -Vd e 0 (nel periodo in cui la modulante è negativa). Gli istanti di accensione e di spegnimento degli interruttori dei 2 rami sono determinati dalla intersezione della portante triangolare con 2 modulanti di tipo sinusoidale uguali in modulo, ma in opposizione di fase. Se Up < Umod si ha Van = Vd e K1 è pilotato nello stato ON; (6.57) Se Up > Umod si ha Van = 0 e K1 è pilotato nello stato OFF; (6.58) Se Up <- Umod si ha Vbn = Vd e K2 è pilotato nello stato ON; (6.59) Se Up >- Umod si ha Vbn = 0 e K2 è pilotato nello stato OFF; (6.60) ed in sintesi lo stato del convertitore è tale che: Vab = Vd se (Umod >- Umod) e (– Umod) < Up < (Umod); (6.61) Vab=- Vd se (Umod)<(- Umod) e (Umod)< Up <(- Umod); (6.62) Vab = 0 negli altri casi. (6.63) La frequenza di commutazione dei semiconduttori di ogni ramo è fp come nel caso della modulazione bipolare, ma la tensione di uscita presenta, a pari valore di Up, Umod, fp, fmod un numero di impulsi doppio e quindi un minor contenuto armonico (vedi Fig. 6.36). Lo sviluppo in serie di Fourier della tensione di uscita Vab mostra anche in questo caso la presenza di famiglie di armoniche, ma utilizzando la modulazione unipolare la famiglia 1 si trova centrata intorno alla frequenza 2 ⋅ f p , la seconda famiglia intorno alla 4 ⋅ f p e così via. Anche in questo caso si ha solo la presenza di armoniche dispari. Nel dettaglio, indicando con fmod la frequenza della modulante e con fp la frequenza della portante, famiglia 1: armoniche alla frequenza 2 ⋅ f p ± K ⋅ fmod ; (6.64) famiglia 2: armoniche alla frequenza 4 ⋅ f p ± K ⋅ fmod ; (6.65) Con la modulazione unipolare si realizza quindi una frequenza virtuale di commutazione doppia rispetto a quella dei semiconduttori. Un ulteriore vantaggio della modulazione unipolare è che la sequenza di commutazione è tale che la transizione da uno stato all’altro è realizzato tramite commutazione di un solo semiconduttore, contribuendo così a ridurre le perdite di commutazione. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 203 Figura 6.36: Contenuto armonico in base al tipo di modulazione. 6.4.1.6. Considerazioni sullo sfasamento fra portante e modulante Il caso ottimo considerato precedentemente comporta che la portante e la modulante non siano fra di loro sfasate. In tal caso se l’indice di modulazione in frequenza p è dispari si ha, oltre ad una antisimmetria rispetto a T ,anche una simmetria rispetto a T . 4 2 Nello spettro della tensione di uscita saranno presenti quindi solo armoniche dispari con componenti in seno ed in particolare lo sviluppo in serie sarà della forma: U′= ∑ i = 1U n ⋅ 2 ⋅ sin(n ⋅ w ⋅ t + fn ) con fn = 0, π n (6.66) Nel caso in cui si abbia uno sfasamento δ fra l’onda portante e modulanavremo sempre l’antisimmetria della Vab rispetto a T , ma non avremo 2 te, più la simmetria rispetto a T per cui lo sviluppo armonico sarà del tipo: 4 U′ = ∑ i = 1Un ⋅ 2 ⋅ sin(n ⋅ w ⋅ t + fn) con fn ≠ 0, π. n Per p sufficientemente elevato, la fondamentale della tensione Vab è in fase con la modulante Umod, mentre le armoniche centrate sulla frequenza m ⋅ p ⋅ fmod (con m pari) hanno fn =- m ⋅ p ⋅ δ . 204 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 6.4.1.7. Modulazione simmetrica e asimmetrica L’implementazione digitale della tecnica PWM descritta comporta la discretizzazione dell’onda modulante. La sinusoide di riferimento (modulante) sarà quindi rappresentata tramite dei valori discreti e si può scegliere se rappresentarla all’interno del periodo della portante tramite 1 solo campione o tramite 2 campioni. Nel caso in cui il campionamento venga effettuato con una frequenza pari alla frequenza della portante, la modulazione è detta simmetrica e in tal caso la modulante viene campionata ogni Ts. Nel caso in cui il campionamento venga effettuato con una frequenza doppia rispetto alla frequenza della portante la modulazione è detta asimmetrica (vedi Fig. 6.37), in tal caso la modulante viene campionata ogni Ts accensione non sono simmetrici rispetto a Ts 2 . 2 VIII e gli impulsi di Figura 6.37: Modulazione asimmetrica. In caso di modulazione asimmetrica si dimostra che i tempi di accensione e spegnimento (vedi Fig. 6.38) per i semiconduttori sono i seguenti: Interruttore K1 ON al tempo t1 = Ts U (a) IX ⋅ 1 - mod 4 Vp (6.67) Ts U (b) ⋅ 1 + mod 4 Vp (6.68) OFF al tempo t3 = Evidentemente si riesce in tal caso ad approssimare meglio la sinusoide di riferimento. VIII IX Si consideri che U mod (a) Vp = V4 (a) VD . Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 205 Fig. 6.38: Impulsi di comando dei rami del convertitore in caso di modulazione asimmetrica. Interruttore K2: ON al tempo t2 = Ts U (a) ⋅ 1 + mod 4 Vp (6.69) OFF al tempo t4 = Ts U (b) ⋅ 1 - mod 4 Vp (6.70) ove Ts è il periodo di commutazione, Umod(a) è il valore della modulante campionato nel primo Ts , Umod(b) è il valore della modulante campionato 2 nel secondo Ts . 2 La tensione di uscita V4 nel periodo Ts è caratterizzata da 2 impulsi di larghezza differente: 1° impulso di larghezza Ts ⋅ U mod (a) , simmetrico rispetto a Ts 4 2 Vp (6.71) 2° impulso di larghezza Ts ⋅ U mod (b) , simmetrico rispetto a Ts + Ts (6.72) 4 2 2 Vp 206 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Nel caso di modulazione simmetrica Umod(a) = Umod(b) = Umod, gli impulsi di accensione dei semiconduttori sono simmetrici rispetto a Ts e di lar2 T U T V ghezza s ⋅ mod =s ⋅ 4 (Fig. 6.39 e 6.40). 2 Figura 6.39: Modulazione simmetrica. Figura 6.40: Impulso di comando dei rami del convertitore in caso di modulazione simmetrica. Vp 2 VD Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 6.4.1.8. 207 Considerazioni sull’inter-allacciamento dei convertitori Come detto precedentemente è possibile spingere ulteriormente in alto la frequenza della prima armonica della corrente di linea interallacciando fra di loro i convertitori 4Q. Nel caso di 2 convertitori 4Q disposti come in Figura 6.41, l’interallacciamento si ottiene sfasando la portante del secondo convertitore di Ts 4 . Figura 6.41: Convertitori 4Q appartenenti ad uno stesso convertitore di trazione. Le armoniche della corrente secondaria dei 2 convertitori 4Q appartenenti alla prima famiglia (2fp ± Kfmod) sono in questo caso in opposizione di fase e la loro somma vettoriale è quindi nulla al primario. In particolare la fase per la prima famiglia di armoniche generata dal convertitore 4Q1 è pari a 0, mentre la fase di quelle relative al convertitore 4Q2 è πX, le fondamentali delle correnti sono invece fra di loro in fase. Indicata con Isi(h1f) una generica armonica di corrente secondaria appartenente alla prima famiglia e relativa al convertitore i e con Ip(h1f) la corrispondente armonica di corrente al primario, si ha infatti: I s1 (h1 f ) = - I s2 (h1 f ) = - V41 (h1 f ) Zts (h1 f ) V42 (h1 f ) Z ts (h1 f ) (6.73) (6.74) n2 n2 V41 (h1 f ) V42 (h1 f ) ⋅ ⋅ I s2 (h1 f ) + I s1 (h1 f ) = + I p (h1 f ) = 0 (6.75) = n1 n1 Zts (h1 f ) Zts ( h1 f ) ( ) X In base a quanto riportato al Paragrafo 4.1.5 la fase delle armoniche della prima fami- π glia generate dal convertitore 4Q2 è f n =- m ⋅ p ⋅ δ , da cui f n =-2 ⋅ p ⋅ 2 ⋅ =- p ⋅ π =π 4 se p è dispari. 208 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Da questa equazioni si evidenzia quindi come l’opposizione di fase delle armoniche della prima famiglia generate dai 2 convertitori ne determini la cancellazione al primario. Allo stesso modo la concordanza di faseXI delle armoniche di corrente appartenenti alla seconda famiglia generate dai 2 convertitori fa si che al primario si veda la somma delle due. Essendo a frequenza molto più elevata, queste armoniche sono più facilmente eliminabili con l’utilizzo di trasformatori con elevata tensione di cortocircuito Vcc. Nel caso di 4 convertitore interallacciati, le armoniche presenti in linea saranno quelle della 4° famiglia e dei suoi multipli, mentre tutte le altre famiglie saranno cancellate perché a risultante nulla. In generale nel caso di modulazione unipolare e N convertitori 4Q interallacciati, indicando con fmod la frequenza della modulante e con fp la frequenza della portante, le armoniche più significative presenti nello spettro della corrente al primario del trasformatore sono quelle a frequenza 2 ⋅ N ⋅ f p ± K ⋅ fmod ed a frequenza 4 ⋅ N ⋅ f p ± K ⋅ fmod . Con la modulazione unipolare e la tecnica dell’interallacciamento si realizza quindi una frequenza virtuale di commutazione pari a 2 ⋅ N volte quella di commutazione dei semiconduttori. 6.4.1.9. Applicazione del convertitore 4Q su ETR500 Ci focalizzeremo di seguito sull’applicazione del convertitore sulle locomotive E404 dell’ETR500, in Figura 6.42 si riporta lo schema elettrico dei Figura 6.42: Schema elettrico dei circuiti di alta tensione della locomotiva dell’ETR500. XI In questo caso la fase delle armoniche della seconda famiglia generate dal conver- titore 4Q è f n =- m ⋅ p ⋅ δ , da cui f n =-4 ⋅ p ⋅ 2 ⋅ π 4 =-2 ⋅ p ⋅ π =0 . Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 209 Figura 6.43: Schema elettrico dell’azionamento di trazione. circuiti di alta tensione, mentre in Figura 6.43 si riporta lo schema elettrico dell’azionamento di trazione. Per maggiori dettagli circa il funzionamento dell’equipaggiamento elettrico di locomotiva si rimanda al Capitolo 10. Ogni locomotiva ha 2 convertitori di trazione indipendenti ed ogni convertitore di trazione, nella configurazione a 25 kV 50 hz, ha il proprio stadio di ingresso realizzato tramite 2 convertitori 4Q in parallelo che raddrizzano la tensione disponibile ai secondari del trasformatore principale fornendo in uscita, sul circuito intermedio, una tensione continua (2400 V) per il funzionamento dell’inverter di trazione. I due 4Q appartenenti allo stesso convertitore di trazione sono fra di loro interallacciati ed in generale sono fra di loro interallacciati tutti i 4Q dei convertitori disponibili delle 2 locomotive, in modo che le prime armoniche di corrente significative in linea siano centrate intorno a 4000 hz (prima famiglia) e 8000 hz (seconda famiglia). 6.4.1.9.1. Architettura e implementazione del controllo del 4Q Lo schema a blocchi relativo al controllo di due 4Q appartenenti ad uno stesso convertitore di trazione è riportato in Figura 6.45. Si indentificano i seguenti moduli fondamentali: –– Un regolatore della tensione di circuito intermedio; –– Un regolatore di corrente per ogni corrente assorbita dai 2 secondari del trasformatore; –– Due modulatori PWM, uno per ogni convertitore quattro quadranti, che generano gli impulsi di commutazione dei GTO; Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 211 Il significato delle grandezze riportate in Figura 6.44 è specificato di seguito. –– Id: corrente di dc link (ingresso all’inverter); –– Is1: corrente al secondario 1 del trasformatore; –– Is2: corrente al secondario 2 del trasformatore; –– Vl: tensione di linea riportata al secondario del trasformatore; –– Vd: tensione di dc link; –– Vdref : riferimento per la tensione del dc link; –– V4d, V4q: componenti della tensione V4 generata dal convertitore 4Q lato alternata, rispettivamente in fase ed in quadratura con la tensione di linea. L’esecuzione dei task relativi al regolatore di corrente e modulatore PWM del 4Q2 è sfasata di Ts = 1 msec rispetto a quella dei corrispondenti task 4 relativi al 4Q1 in modo da realizzare l’interallacciamento. 6.4.1.10. Moduli fondamentali del sistema di controllo 6.4.1.10.1. Regolatore della tensione di circuito intermedio Scopo di questo regolatore è quello di mantenere costante la tensione del DC link al variare del carico e, in seconda istanza, della tensione di linea. Viene quindi controllato lo scostamento della tensione misurata sul filtro intermedio (Vd) da quella imposta come riferimento (Vdref), la tensione Vd viene tuttavia preliminarmente filtrata mediante un filtro passa-basso per eliminare il ripple dovuto alle commutazioni del convertitore. Il regolatore di tensione fornisce in uscita i valori di riferimento, nel riferimento rotante d-q, per la corrente secondaria del trasformatore. La componente in quadratura ISq della corrente che il convertitore deve complessivamente assorbire dal secondario è posta a zero per garantire che la corrente sia in fase con la tensione di linea ed ottimizzare il fdp. Il riferimento per la componente diretta ISd è invece la somma di due contributi. Il primo contributo tiene conto del valore che ISd assume quando a regime la Vd coincide con la Vdref ed è pari a 2 ⋅ VD ⋅ I D . Vl Il secondo contributo deriva dall’azione di un regolatore standard di tipo PI e corrisponde a quella quota di corrente che il secondario del trasformatore deve assorbire per compensare lo scarto fra il riferimento della tensione del filtro intermedio ed il suo valore misurato. 6.4.1.10.2. Regolatore della corrente del secondario del trasformatore Per ciascun secondario del trasformatore è presente un regolatore della corrente assorbita che ha l’obbiettivo di garantire che il carico venga equamente distribuito. Nel dominio di Laplace, rappresentando grandezze elettriche in un riferimento rotante (assi d e q) con una velocità angolare pari alla pulsazione della tensione di linea, le equazioni che governano il circuito sono le seguenti: (6.80) Vl - V4= Rt I S + jX t I S + Lt s I S 212 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata dove si è posto X t = ω Lt . Il controllo deve regolare la componente diretta ed in quadratura della corrente ai secondari in modo che Isq = 0 e Isd = Isdref, ove Isdref è dipendente dal punto di funzionamento ed è calcolato dal loop di regolazione più esterno relativo alla tensione del circuito intermedio. Posto: VL= VLd + j ⋅ VLq (6.81) = V4 V4q + j V4q (6.82) = I S I Sd + j I Sq (6.83) si hanno le seguenti equazioni: VLd - V4d = Rt I Sd - X t I Sq + sLt I Sd (6.84) VLq - V4q = Rt I Sq + X t I Sd + sLt I Sq (6.85) Per regolareXIII le componenti della corrente secondaria (IS), essendo ovviamente la tensione di linea imposta dall’esterno, si deve agire sulla tensione V4 generata lato alternata dal convertitore 4Q. Tenendo in conto che sia la ISd che la ISq dipendono da entrambe le componenti della tensione V4, è necessario ricorrere ad una rete di disaccoppiamento per regolare queste grandezze in maniera indipendente. 6.4.1.10.3. Sintesi della rete di disaccoppiamento Si riporta di seguito una possibile tecnica per la sintesi dei parametri della rete di disaccoppiamento. La relazione fra la tensione V4 e la corrente secondaria Is può essere rappresentata tramite le seguenti equazioni: V4d I sd = [ F (s)] V4q I sq (6.86) I sd V4d = [G(s)] I sq V4q (6.87) ove G(s) ed F(s) sono matrici di trasferimento e: = [G(s)] G= G= 11 22 -1 F (s)] [= G11 G12 G21 G22 Rt + s ⋅ Lt 2 Rt + (s ⋅ Lt )2 + 2 ⋅ s ⋅ Rt ⋅ Lt + X t 2 (6.88) (6.89) Rappresentando le grandezze elettriche in un riferimento rotante sincrono con la tensione di linea, in condizioni di regime sinusoidale con frequenza pari a quella caratteristica della linea, correnti e tensioni sono grandezze costanti. In tal modo si semplifica il controllo. XIII Capitolo 6 - Propulsione Elettrica Xt G12 = -G21 =2 2 Rt + ( s ⋅ Lt ) + 2 ⋅ s ⋅ Rt ⋅ Lt + X t 2 213 (6.90) Il controllore della corrente secondaria (vedi Fig. 6.45) può essere invece rappresentato tramite la matrice di trasferimento R p (s) che può essere posta nella forma: (s)] [ Δ(s)] ⋅ [ R(s)] [ RP= (6.91) dove [ Δ(s)] è la matrice di trasferimento relativa alla rete di disaccoppiaFigura 6.45: Schema a blocchi del controllore della corrente secondaria con rete di disaccoppiamento. mento ed [ R(s)] è una matrice diagonale tale che 0 R1 (s) R2 (s) 0 [ R(s)] = (6.92) Per rendere fra di loro indipendenti gli anelli di regolazione delle componenti diretta ed in quadratura di Is è necessario che Gd(s), prodotto delle matrici G(s) e Δ(s) (in Fig. 6.46 la relativa rappresentazione tramite schema a blocchi), sia una matrice diagonale. Figura 6.46: Schema a blocchi del sistema da controllare con rete di disaccoppiamento. 214 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Quindi: G [Gd (s)] = [G(s)] ⋅ [ Δ(s)] = G11 21 G12 Δ11 ⋅ G22 Δ 21 Δ12 Gd11 0 = Δ 22 0 Gd 22 (6.93) e posto Δ11 = Δ22 = 1 la condizione di matrice diagonale è soddisfatta se -X Δ12 = -Δ 21 = t Rt + s ⋅ Lt . Si ottiene quindi Gd11 0 1 0 Rt + s ⋅ Lt = Gd 22 0 1 Rt + s ⋅ Lt 0 (6.94) e se si tiene conto anche dal ritardo introdotto dalla modulazione PWM nella regolazione di correnteXIV, si ha 1 - s⋅Ts G' R + s⋅L ⋅e 0 t d11 = t 0 ' G d 22 0 4 0 1 e - s⋅Ts Rt + s ⋅ Lt 4 (6.95) Figura 6.47: Schema a blocchi complessivo sistema di controllo e regolatore. Lo schema a blocchi relativo a sistema di controllo e sistema da controllare di Figura 6.47 può quindi essere semplificato e rappresentato tramite 2 anelli di regolazione indipendenti, con le stesse caratteristiche, per la componente diretta e la componente in quadratura della corrente sul secondario del trasformatore (vedi Fig. 6.48), in cui i regolatori R1 ed R2 sono 2 regolatori standard di tipo PI. Il duty cycle può infatti essere variato, nel caso di modulazione asimmetrica, con un ritardo medio di Ts , mentre nel caso di modulazione simmetrica il ritardo 4 medio è pari a Ts . 2 XIV Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 215 Figura 6.48: Schema a blocchi complessivo con anelli di regolazione indipendenti. Per la rappresentazione finale dello schema di controllo della corrente secondaria del trasformatore (vedi Fig. 6.44) si consideri che il valore di riferimento per la componenti diretta della tensione V4 è, come nel caso della Isd, la somma di due contributi. Il primo contributo tiene conto del valore che V4d assume quando a regime la Isd coincide con la Isdref ed è pari a Vl D - Rt ⋅ I SD . Il secondo contributo deriva invece dall’azione del regolatore standard di tipo PI e si attiva per compensare lo scarto fra il riferimento ed il valore misurato della Isd. Analoghe considerazioni possono essere fatte per la V4q.XV 6.4.1.10.4. Sintesi del regolatore PI Di seguito si riporta una possibile tecnica per la sintesi dei parametri dei regolatori PI degli anelli di corrente. Con riferimento all’anello relativo alla IsdXVI, si consideri che la funzione di trasferimento relativa al sistema 1 ⋅ e - s⋅Ts 4 può essere semplificata prendendo da controllare pari a Rt + s ⋅ Lt in considerazione i primi termini dello sviluppo in serie di Taylor della funzione e - s⋅Ts 4 . Ne risulta quindi che la funzione di trasferimento può essere posta nella forma 1 1 1 G'd11= ⋅ e - s⋅Ts 4= ⋅ (6.96) T Rt + s ⋅ Lt Rt + s ⋅ Lt 1+ s⋅ s 4 XV In questo caso il primo contributo (che tiene conto del valore che V 4q assume quando a regime la Isq è pari a 0) è pari a VlQ - X t ⋅ I SD . XVI Analoghe considerazione valgono per l’anello di regolazione relativo alla rete Isq. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica Tabella 6.1: Parametri caratteristici del sistema regolato in funzione di a. 219 a Kp Ti fcr Ti(MO) Ti/Ti(MO) Fs/fcr ϕ mf 2 0.539 0.0040 79.5 hz 0.032 0.1250 3.14 40.5° 4 0.2695 0.0160 39.5 hz 0.5002 6.28 69.1° 6 0.1797 0.0360 26.1 hz 1.1254 9.42 81.9° 8 0.1347 0.0640 19.3 hz 2.0007 12.56 90.2° 16 0.0674 0.2560 9.9 hz 8.0030 25.12 114° La sintesi dei parametri dei 2 regolatori PI può essere eseguita evidentemente utilizzando anche altre tecniche, ad esempio tecniche che si basano su rilievi sperimentali delle caratteristiche dinamiche del sistema da regolare (Ziegler-Nichols, ecc.). Ad ogni modo i parametri Kp e Ti determinati a progetto devono essere evidentemente considerati come un riferimento e necessitano di essere affinati durante la fase di messa a punto per tenere conto, oltre che di tutte le semplificazioni che vengono introdotte nella fase di modellazione, anche degli ulteriori requsiti che risultano essere vincolanti per l’omologazione del rotabile (ad es.: il rispetto dei limiti delle correnti armoniche). Le prestazioni del regolatore dovranno quindi essere verificate nei differenti punti di funzionamento e nelle differenti configurazioni di esercizio. 6.4.1.10.5. Phase Locked Loop Il PLL svolge un ruolo fondamentale per il funzionamento del controllo in quanto governa tutte le tempificazioni interne al sistema ed assicura il sincronismo del controllo con la tensione di linea. L’ingresso a questo blocco è costituito dalla componente in quadratura della tensione di linea calcolata dal blocco DFT, componente mantenuta a zero da un regolatore PI in modo che nel riferimento rotante d,q la componente diretta della tensione VLd rappresenti l’intero fasore della tensione VL. La frequenza di questa tempificazione base viene aumentata o diminuita al fine di compensare l’errore di fase che è stato rilevato e mantenere quindi il sistema agganciato. Il blocco in oggetto rileva inoltre la frequenza della tensione di linea e tramite le funzioni cos e sin definisce la posizione dell’asse d e q del riferimento rotante in cui sono rappresentate le grandezze utilizzate dal controllo. 6.4.1.10.6. DFT Il modulo DFT implementa tutte le procedure che consentono la trasformazione delle grandezze sinusoidali nella loro rappresentazione nel riferimento rotante d-q. Tale operazione è basata sulla trasformata di Fourier discreta. In ingresso al modulo DFT sono inviate la tensione di linea riportata al secondario del trasformatore, la corrente nel primario del trasformatoreXXI e la corrente nei secondari del trasformatore. Le grandezze in ingresso venLa DFT di questa grandezza viene effettuata per poter attivare la protezione del primario del trasformatore e rilevare un cortocircuito anche durante le fasi di magnetizzazione. XXI 220 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata gono campionate ed inviate al modulo DFT ogni Ts XXII e vengono passate 48 quindi direttamente all’algoritmo DFT senza nessun filtraggio, l’azione operata da un algoritmo DFT è di per sé infatti una azione filtrante che risulta sufficientemente insensibile al rumore presente sulle grandezze acquisite. Il riferimento temporale per il calcolo della DFT è quello generato dal blocco PLL che mantiene tutto il sistema agganciato alla tensione di linea. In uscita da tale modulo abbiamo: –– componente diretta e in quadratura della tensione al secondario; –– componente diretta e in quadratura della corrente al primario; –– componente diretta e in quadratura della corrente al secondario 1; –– componente diretta e in quadratura della corrente al secondario 2. La DFT viene invece eseguita ogni Ts ed ha come periodo di calcolo 4 un intero periodo della fondamentale della tensione di linea. Gli algoritmi di calcolo implementati nel modulo DFT, con riferimento ad esempio alla tensione di linea, sono i seguenti: 12 Vc(k ) =⋅ ∑ Vl(n) cos (ψ (n)) n=1 12 Vs(k ) = ∑ Vl(n) ⋅ sin (ψ (n)) n=1 XXIII k= 120 k= 120 (6.103) (6.104) Vld = 2 20 ∑ Vs(k ) N k =1 (6.105) Vlq = 2 20 ∑ Vc(k ) N k =1 (6.106) dove N è il numero di campioni acquisiti all’interno di un periodo della tensione di linea. 6.4.1.10.7. Modulatore PWM Il modulatore PWM provvede a generare gli impulsi di commutazione dei GTO dei convertitori in base alla tensione V4 che il 4Q deve generare lato alternata. In Figura 6.54 è mostrato un diagramma di modulazione di un convertitore 4Q in cui sono evidenziati gli istanti di accensione dei GTO, pilotati secondo la tecnica della modulazione PWM unipolare e asimmetrica. Il duty cycle che caratterizza la modulazione è pari a: = δ V4 = VD ( V4d ⋅ sin(ψ ) - V4q ⋅ cos(ψ ) ) VD (6.107) 240 campioni acquisiti ogni periodo della tensione di linea ed una frequenza di campionamento pari a 12 khz. XXIII I valori corrispondenti a cos ψ (n) e sin ψ (n) sono estratti dalle tabelle del ( ) ( ) seno e del coseno che il controllo elabora sulla base delle informazioni in uscita dal modulo PLL. XXII Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 221 Figura 6.53: Diagramma di modulazione del convertitore 4Q. dove V4 è il riferimento per il valore medio della tensione lato alternata del 4Q nel periodo Ts . 2 6.4.1.10.8. Interallacciamento dei 4Q a bordo treno ed armoniche in linea Come già anticipato, in base ai convertitori di trazione disponibili il controllo provvede a sfasare opportunamente gli istanti di commutazione dei Figura 6.54: Disposizione dei convertitori di trazione e dei 4Q sull’ETR500. 222 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata convertitori 4Q in modo da realizzarne l’interallacciamento e da realizzare una frequenza di commutazione virtuale più elevata. Con riferimento alla Figura 6.54, i dettagli relativi agli sfasamenti nel caso in cui tutti i convertitori siano disponibili sono riportati in Tabella 6.2. Tabella 6.2: Inter-allacciamento dei 4Q dei convertitori di trazione. Convertitore Convertitore 1 Locomotiva A Convertitore 2 Locomotiva A Convertitore 1 Locomotiva B Convertitore 2 Locomotiva B 4Q Numero Convertitore Sfasamento temporale 4Q 11 - A t=0 1 4Q 12 - A t= Ts 4 4Q 21 - A t= Ts 2 2 = t 4Q 22 - A Ts Ts + 2 4 t= 4Q 31 - B 3 Ts 8 4Q 32 - B = t Ts Ts + 4 8 4Q 41 - B = t Ts Ts + 2 8 4 4Q 42 - B t= Ts Ts Ts + + 2 4 8 Il numero che identifica il convertitore di trazione per la gestione degli sfasamenti e dell’interallacciamento è assegnato al Controllo Azionamento dalla Logica di Veicolo al momento della configurazione del rotabile. Si noti che lo sfasamento fra i controlli dei due 4Q appartenenti allo stesso convertitore di trazione è sempre pari a Ts , mentre per i 2 convertitori di 4 trazione appartenenti alla stessa locomotiva lo sfasamento è pari a Ts e per 2 i convertitori corrispondenti appartenenti alle 2 locomotive lo sfasamento è pari a Ts . Riferendoci ai due 4Q appartenenti ad uno stesso convertitore di 8 trazione, la Figura 6.56 mostra i comandi che vengono generati dal controllo per i 4 rami che costituiscono i due convertitori quattro quadranti. Le forme d’onda in basso più marcate sono le risultanti concatenate che vengono applicate sui due secondari del trasformatore e che realizzano la sinusoide V4 sovrappostaXXIV. XXIV La tensione V4 è rappresentata con una scala differente. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica 223 Figura 6.55: Diagramma di modulazione dei due 4Q di un convertitore di trazione. Le Figure 6.56, 6.57 e 6.58 riportano rispettivamenteXXV: –– l’andamento della corrente assorbita da un secondario del trasformatore che alimenta un convertitore 4Q; –– l’andamento di tutte e 4 le correnti assorbite dai secondari di una locomotiva con i suoi 2 convertitori di trazione interallaciati; –– l’andamento della corrente al primario del trasformatore delle 2 locomotive e la risultante corrente in linea nel caso in cui tutti i convertitori di trazione di treno siano interallacciati. Figura 6.56: Forme d’onda tipiche di un singolo convertitore 4Q. Nel caso in cui tutti gli azionamenti delle 2 locomotive siano disponibili si realizza una frequenza virtuale di commutazione fv pari a 4000 hz, 16 2 ⋅ N 4Q ⋅ fsw = 16 ⋅ 250 hz = 4000 hz ). volte la frequenza di switching ( fv = XXV I grafici sono il risultato di simulazioni eseguite utilizzando Simulink. 224 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 6.57: Forme d’onda delle correnti di ingresso di 4 convertitori 4Q interallacciati. Figura 6.58: Corrente di linea e corrente al primario del trasformatore delle 2 locomotive. La corrente in linea ed al primario dei 2 trasformatori può essere quindi considerata con buona approssimazione sinusoidale. Le prime armoniche di corrente significative in linea sono quelle centrate intorno a 4000 hz (prima famiglia) e 8000 hz (seconda famiglia). Le Figure 6.60 e 6.61 riportano i risultati delle rilevazioni eseguite a bordo treno ed evidenziano, con scale differenti per i due grafici, le armoniche presenti nello spettro della corrente nel caso in cui: –– siano interallacciati i soli convertitori 4Q della singola locomotiva; –– siano interallacciati tutti i convertitori 4Q di treno. Da queste rilevazioni è evidente come l’interallacciamento dei convertitori delle 2 locomotive spinga in alto la frequenza della prima e delle successive famiglie di armoniche. Capitolo 6 - Propulsione Elettrica Figura 6.59: Spettro armonico della corrente di linea (convertitori 4Q di locomotiva interallacciati). Figura 6.60: Spettro armonico della corrente di linea (convertitori 4Q di treno interallacciati). 225 226 6.5. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata RIFERIMENTI [1] [2] [3] [4] [5] A. Steimel, Electric Traction - Motive Power and Energy Supply: Basics and Pratical Experience, Odenburg Indusrieverlact Spostare nelle references (non come prima). I. Boldea, S. A. Nasar, Electric Drives, Third Edition, 2016 CRC Press. N. Mohan, T. M. Undeland, W. P. Robbins, Power Electronics: Converters, Applications, and Design 3rd Edition, 2002 Wiley. K. Hasse, Zum Dynamischen Verhalten der Asynchronmachine bei Betrieb mit variable Standerfrequenz und Standerspannung, ETZ-A, Bd.89, H.4, pp.77-81, 1968. F. Blaschke, Das Prizip der Feldorientierung, Die Grundlage fur die TRNSVEKTOR-Regelung von Asynchnmachinen, Siemens Zeitschrift, 45, p.757, 1971. 7 SISTEMI DI ACCUMULO DELL’ENERGIA ELETTRICA Massimo Ceraolo Università di Pisa 7.1. L’ACCUMULO DI ENERGIA ELETTRICA Normalmente viene affermato che l’energia elettrica non può essere accumulata tal quale, ma per accumulare energia elettrica occorre prima convertirla in altra forma e poi ritrasformarla in elettrica quando serve come tale. In effetti nel Sistema Elettrico per l’Energia elettrica che serve agli utenti viene normalmente “generata” in forma elettrica nello stesso istante in cui essa viene utilizzata dai carichi. Questo, com’è noto, crea la necessità di allocare con cura le risorse di generazione sulla base di accurate previsioni del carico. Sbilanciamenti fra la produzione di energia elettrica e i carichi assorbiti dalla rete possono essere compensati immagazzinando temporaneamente parte dell’energia convertita in elettrica in sistemi di accumulo che la convertono in altra forma, ad esempio attraverso il sollevamento di grandi quantità di acqua da un serbatoio sito ad una quota sul livello del mare più bassa ad una più alta (nelle cosiddette centrali di pompaggio). La considerazione che l’energia elettrica non si accumula in forma elettrica richiede però qualche chiarimento. Possiamo intendere come accumulo dell’energia in forma elettrica l’energia accumulata nei campi elettrico e magnetico. Quindi, nel concreto, l’energia accumulata rispettivamente nei condensatori e negli induttori, pari, come è noto, rispettivamente a: = EC 1 1 2 = CU 2 E L LI 2 2 (7.1) con ovvio significato di simboli. Possiamo affermare che l’energia elettrica si accumula in forma elettrica in condensatori e induttori. Occorre però rilevare che le quantità di energia che si riescono a mettere in gioco in questo modo sono estremamente modeste rispetto alle necessità di un sistema elettrico per l’energia in generale e di un sistema di trazione in particolare, qualora si considerino condensatori e induttori ordinari. Le quantità di energia accumulate in forma elettrica divengono interessanti soltanto nei cosiddetti induttori superconduttivi e supercondensatori. Per le applicazioni delle dimensioni (in energia volumi e costi) di interesse per la trazione elettrica, di questi due solo i supercondensatori hanno interesse. In generale quindi in pratica (salvo, al più, il caso dei supercondensatori di cui si è appena accennato), l’accumulo di energia elettrica avviene per conversione in altra forma, e riconversione in elettrica al momento del bisogno. 228 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Nelle varie applicazioni l’energia elettrica viene convertita in diverse forme di energia potenziale: –– energia meccanica gravitazionale (accumulo idraulico), di cui si è parlato, tipicamente sollevando acqua a quote più elevate di quella di partenza quando si vuole accumulare energia, ed utilizzando energia elettrica per azionare le pompe di sollevamento. Quando serve energia elettrica, l’acqua viene lasciata ritornare alla quota più bassa recuperando energia attraverso una turbina idraulica ed un connesso generatore elettrico. Questo tipo di accumulo evidentemente non si adatta ai sistemi di trazione per le sue naturali caratteristiche, e non verrà quindi considerato nel seguito; –– energia meccanica di tipo cinetico (volani). In questo caso l’energia elettrica è convertita nell’energia cinetica di un rotore, che funziona quindi da volano, e riconvertita in elettrica quando necessario. Questo tipo di accumulo è ampiamente studiato per applicazioni stazionarie e veicolari. Alcune realizzazioni commerciali per uso veicolare esistono, e di questo tipo di accumulo si parlerà pertanto nel seguito; –– energia meccanica di compressione (aria compressa). La compressione dell’aria in bombole consente di convertire energia meccanica del compressore in energia di pressione, che può essere in seguito riutilizzata, ad esempio mediante riconversione in energia elettrica. Questo tipo di accumulo dell’energia è utilizzato nella trazione veicolare, esistono prototipi ed alcuni esemplari di veicoli che utilizzano questa tecnologia; –– energia chimica di celle elettrochimiche. Questo tipo di accumulo è particolarmente importante per applicazioni veicolari, in quanto presenta le necessarie caratteristiche di leggerezza, facilità di carica/scarica, efficienza energetica, costo. Questo tipo di sistema di accumulo è il più interessante, assieme all’accumulo in supercondensatori, anche per applicazione di trazione elettrica a guida vincolata, e pertanto sarà quello maggiormente trattato nel presente capitolo. 7.2. MISSIONE DEL SISTEMA DI ACCUMULO Nei sistemi di trazione la necessità di accumulare energia discende fondamentalmente da due necessità: –– Energia cinetica. Ogni qual volta un veicolo o un convoglio è dotato di velocità, esso possiede una certa energia cinetica. Ogni qual volta esso si ferma tale energia cinetica si annulla. Nella frenatura dissipativa tale energia è integralmente convertita in calore (ad esempio nei freni o nei reostati di frenatura). È invece in generale possibile convertire questa energia in altra forma, accumulandola per futuri utilizzi. Naturalmente la possibilità di recuperare quantità significative di energie è tanto maggiore quanto più il profilo di missione del veicolo o del convoglio considerato prevede frequenti frenate. Ad esempio per i veicoli stradali su gomma, questo accade per la marcia in ambito urbano (taxi, bus), per un convoglio di sistema di trazione a guida vincolata in tutte le applicazioni urbane (treni metropolitani, filovie, tramvie), nonché nel caso di traffico ferroviario di tipo regionale. –– Energia potenziale gravitazionale. Ogni qual volta un veicolo si trova in posizione più elevata (ad una quota più alta) rispetto ad un punto suc- Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 229 cessivo del suo percorso, esso possiede energia potenziale gravitazionale rispetto a tale punto successivo. Nella marcia in discesa oltre una certa pendenza è necessario trattenere il veicolo in qualche modo affinché esso non acquisti eccessiva velocità. La frenatura di trattenuta implica assorbimento di energia da parte del sistema che la attua. Essa può essere effettuata con dissipazione della energia necessaria alla trattenuta, o con conversione, a meno delle inevitabili perdite del processo, in energia da accumularsi per poi essere successivamente riutilizzata. Naturalmente la possibilità di recuperare quantità significative di energie è tanto maggiore quanto più il percorso considerato è dotato di discese significative per pendenza o lunghezza (sistemi funicolari, tranvie con pendenze regolari, ferrovie in tratti di valico). Occorre aggiungere una caratteristica unica dei sistemi di accumulo relativi alla trazione elettrica a guida vincolata: essi possono non essere installati a bordo ma, sfruttando la stessa linea di contatto, inviare l’energia generata per conversione di energia cinetica e/o gravitazionale ad un accumulo stazionario situato in uno o più punti del sistema di alimentazione della linea di contatto. Questa opzione, che non esiste per la trazione elettrica a guida non vincolata (auto elettriche, ad esempio) presenta vantaggi e svantaggi, che verranno discussi nel seguente Paragrafo 11. Viste queste due tipologie di utilizzo dei sistemi di accumulo, si possono enucleare alcune caratteristiche di interesse per i sistemi di accumulo per sistemi di trazione a guida vincolata: Elevato rapporto potenza/energia. La carica/scarica di un sistema di accumulo per trazione elettrica a guida vincolata avviene tipicamente in tempi dell’ordine di poche decine di secondi o poco più. Questo, rispetto ad altre applicazioni in cui la scarica e la carica avvengono in tempi più lenti, implica un rapporto potenza/energia più elevato. Ulteriori considerazioni su questo argomento saranno svolte nel Paragrafo 8.1. Elevato numero di cicli di carica/scarica. A differenza dei veicoli elettrici a batteria, per i quali si può ipotizzare un numero di cicli a scarica (profonda) approssimativamente pari ad uno al giorno, per un totale di poche migliaia di cicli nella vita del veicolo, ad un sistema di accumulo per veicolo a guida vincolata che deve integrare l’energia proveniente dalla linea di contatto, è invece richiesto di effettuare molti cicli a basso contenuto energetico al giorno, tipicamente uno per ogni frenata/ripartenza. Conseguentemente nel corso della vita utile il numero di questi cicli poco profondi può raggiungere agevolmente parecchie centinaia di migliaia. 7.3. ACCUMULO DI ENERGIA IN FORMA ELETTROCHIMICA 7.3.1. CARATTERISTICHE FONDAMENTALI Visto dai suoi morsetti esterni un accumulatore elettrochimico è un bipolo che scambia energia elettrica con un circuito esterno (Fig. 7.1) il quale opera in corrente continua. Il morsetto superiore, contrassegnato dalla riga più lunga e sottile nel simbolo della batteria all’interno del riquadro rettangolare, è il morsetto La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata ioni positivi ioni negativi Soluzione elettrolitica - - + a) separat. meccanico pila con separatore meccanico b) - + Cu 2 SO42 Zn 2 SO42 elettrodo negativo + flusso degli elettroni elettrodo positivo R (scarica) o E-R (carica) elettrodo negativo i elettrodo positivo Figura 7.2: Costruzione di principio di una cella elettrochimica. positivo, l’altro è negativo. Pertanto, rispetto ai riferimenti riportati in Figura 7.1 per l’accumu+ latore è sempre U > 0. L’espressione accumulatori elettrochimici U può fare rifermento a dispositivi elementari, detti celle elettro-chimiche reversibili, il cui funzionamento verrà descritto con un certo grado di dettaglio nei successivi paragrafi per alcune tipologie particolarmente utilizzate, o a sistemi più articolati, quali il modulo e il pacco-batteria di cui si parlerà nel prossimo paragrafo. Qualunque sia la tipologia di cella elettrochimica, essa è un sistema in corrente continua con un polo positivo ed uno negativo, avente una tensione dell’ordine di 1-2V. Una cella elettrochimica reversibile è in grado sia di erogare potenza elettrica (I > 0 secondo il riferimento riportato in Fig. 7.1), e in tal caso si dice che esso si scarica, sia di assorbirla (I < 0) e in tal caso esso si carica. In questo si differenziano dalle pile, che sono sistemi realizzati carichi che durante l’uso utile possono solo scaricarsi. Dal punto di vista terminologico, la terminologia elettrochimica, risalente ad Ampère prevede che l’elettrodo che eroga corrente sia denominato catodo, l’altro anodo. Pertanto il polo positivo di un accumulatore è catodico in scarica, anodico in carica. Dal punto di vista pratico, però, la maggior parte degli operatori considera come “catodo” sempre il morsetto positivo e “anodo” quello negativo a prescindere dal verso della corrente, utilizzando quindi la terminologia che sarebbe corretta solo per le pile (reattori elettrochimici non reversibili). Sebbene non sia fra gli scopi del presente capitolo fornire una trattazione esauriente dei fenomeni che si sviluppano internamente nelle celle elettrochimiche, ne verrà fornita una descrizione nel Paragrafo 4. Al fine di consentire una migliore comprensione degli schemi di principio, pur particolarmente semplificati, degli schemi riportati in tale sezione, si riassume qui il concetto elementare che sta dietro la realizzazione di un accumulatore elettrochimico elementare (cella). Uno schema di principio di un accumulatore elettrochimico, quindi molto semplificato, è riportato in Figura 7.2. I elettrodo negativo Figura 7.1: Rappresentazione di un accumulatore elettrochimico visto dai morsetti esterni. elettrodo positivo 230 pila Daniell (con separatore di soluzioni elettrolitiche) c) Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 231 Si osservano i seguenti elementi: –– un elettrodo positivo, che eroga corrente (flusso di cariche positive) durante la scarica; in realtà durante la scarica, essendo nei metalli il transito di cariche per elettroni, assorbe elettroni. Durante la carica la corrente è invece da esso assorbita. –– un elettrodo negativo che riceve la corrente positiva dal circuito elettrico durante la scarica (in realtà eroga a tale circuito elettroni in flusso continuo). –– un separatore che evita il contatto meccanico fra elettrodo positivo e negativo ma consente il passaggio degli ioni portatori di carica. In taluni casi (ad es. per la pila Daniell), il separatore ha anche la funzione di impedire il rapido mescolamento delle soluzioni presenti ai due lati, pur consentendo il passaggio degli ioni, cioè la continuità del circuito elettrico. Il flusso di cariche nel circuito elettrico è reso possibile soltanto dalla presenza di trasformazioni chimiche che avvengono nella zona di contatto fra gli elettrodi e una soluzione elettrolitica presente all’interno della batteria. Le trasformazioni sono diverse a seconda del tipo di cella considerata, ma in tutti i casi il flusso di cariche si chiude in circuito chiuso, essendo al transito di cariche elettroniche nel circuito elettrico associato un transito di ioni nella soluzione elettrolitica. Gli ioni possono essere positivi o negativi. Le frecce associate in Figura 7.2 alla corrente e al flusso di elettroni nel circuito, e ai flussi di ioni nella soluzione elettrolitica, sono relativi al processo di scarica. Durante la carica tutti i flussi si invertono. Nota terminologica La terminologia sulle celle elettrochimiche non è uniforme. Sono pertanto necessari alcuni chiarimenti. –– Anodo e catodo. Secondo la terminologia dell’elettrochimica, pare risalente a Faraday stesso, l’anodo è l’elettrodo dove avviene l’ossidazione, quindi quello attraverso il quale la corrente elettrica entra nella cella; il catodo quello dove avviene la riduzione, ovvero da cui esce la corrente elettrica il catodo. Secondo la terminologia dell’elettrochimica, quindi non si può fare una corrispondenza fra la parola catodo o anodo e la polarità del corrispondente elettrodo, variando la corrispondenza fra la carica e la scarica. Non si può però non rilevare che nella terminologia corrente molti operatori preferiscono chiamare catodo sempre il morsetto positivo, sia durante la carica che la scarica. Di conseguenza si raccomanda il lettore, per evitare ogni conduzione di usare sempre l’espressione “terminale positivo/negativo” invece di “catodo/anodo”. –– Elettrolita e soluzione elettrolitica. Secondo la terminologia della chimica l’elettrolita (o elettrolito) è una specie chimica che in soluzione si scinde totalmente o parzialmente in ioni; la soluzione contenente l’elettrolita è detta soluzione elettrolitica. Non si può però non rilevare che nella terminologia corrente molti operatori preferiscono usare il termine “elettrolita” in luogo del più lungo “soluzione elettrolitica”. 232 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 7.3.2. MODULO, CELLA, PACCO-BATTERIA L’entità molto modesta delle tensioni producibili con la singola cella elettrochimica fa sì che nelle applicazioni di potenza superiore a pochi watt, risulta indispensabile realizzare dei sistemi elettrochimici (o batterie elettrochimiche) in cui si connettono in serie più celle per realizzare sistemi con tensioni dell’ordine delle decine o centinaia di volt. Spesso accade che un numero limitato di celle viene posto all’interno di un contenitore per realizzare un componente meccanicamente omogeneo detto modulo; la batteria (o “pacco batteria”, come viene talvolta denominata) sarà poi in generale costituita da più moduli in serie, secondo lo schema riportato in Figura 7.3. Figura 7.3: Elementi costitutivi di una batteria di accumulatori elettrochimici. Nota terminologica Il termine batteria, secondo [27, sez. 1.1] consiste di uno o più celle, connesse elettricamente in serie/parallelo. Quindi fa riferimento sia alla cella che all’assieme di più celle È per questo che nell’uso corrente è invalsa la scelta di utilizzare l’espressione “pacco batteria” (traduzione dell’anglosassone battery pack) per indicare batterie composte da più celle, o anche da più moduli. Nello schema è riportata fra parentesi anche la terminologia internazionale. Sussiste la possibilità teorica di realizzare anche la Cella (cell) connessione in parallelo di più elementi in serie, anche se essa è raramente utilizzata per la difficoltà di ripartire uniformemente la corrente fra Batteria Modulo (battery i vari rami e non sarà conside(module) pack) rata oltre. In molti casi una batteria di accumulatori elettrochimiInvolucro ci è corredata di un sistema (contenitore di supervisione che ne legge meccanico) tensioni parziali di cella o di modulo, temperature di cella o di modulo, ed effettua delle elaborazioni per valutare lo stato di salute o di carica. Questo sistema viene normalmente detto Battery Monitoring System (BMS). In caso di temperature eccessivamente alte o basse, o tensioni eccessivamente alte o basse spesso questo tipo di sistema è in grado di interrompere l’esecuzione del processo di carica o scarica in corso e/o di inviare segnalazione del funzionamento ad altro apparato connesso. In alcuni casi, segnatamente per le batterie al litio (come si vedrà), il BMS ha anche la funzione di riequilibrare la carica fra le celle in serie che si fossero progressivamente sbilanciate. Questa funzione è detta dell’equalizza- Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 233 zione della carica; in tal caso il suo nome più propriamente sta per Battery Management System. In altri casi ancora la batteria è dotata anche di un sistema di condizionamento termico, per riscaldare la batteria se la temperatura ambiente è troppo bassa o raffreddarla in caso contrario. Vedremo che questo tipo di sistema è di vitale importanza per gli accumulatori cosiddetti caldi, fra cui la Sodio-Nickel-Cloro. Infine si introduce il concetto di Sistema di accumulo elettrochimico (detto in ambito internazionale Rechargeable Energy Storage System RESS): in generale è il sistema basato sugli accumulatori ma dotato di tutte le parti accessorie che si ritiene opportuno: eventuale BMS, eventuale involucro contenente i moduli, eventuale sistema di condizionamento termico. Si è visto come sia essenziale connettere più celle in serie per ottenere potenze ed energie accettabili per applicazioni di trazione, senza dover utilizzare correnti eccessivamente elevate e, di conseguenza, antieconomiche. È anche possibile realizzare dei RESS realizzando combinazioni serieparallelo di piccole celle. Con questa soluzione il RESS non solo avrà una tensione più elevata delle celle costituenti, ma anche una capacità equivalente più elevata. Pertanto sarà possibile usare celle di piccola capacità, ad esempio per sfruttare economie di quantità. Un caso particolarmente significativo di questo approccio si ha nel RESS del roadster Tesla, uno dei più famosi veicoli elettrici stradali al mondo. Secondo il costruttore, infatti [30] la batteria, dotata di una tensione nominale di 375 V, è composta da 6800 celle al litio, con il che è evidente che si è fatto ampio uso della connessione in parallelo delle celle. Gli accumulatori sono spesso studiati con riferimento alla carica elettrica in ingresso o in uscita; se, ad esempio si prende il verso positivo della corrente ai morsetti quello della corrente uscente (come alla Fig. 7.1), si può parlare della carica estratta Qe in un certo intervallo di tempo T: Qe = ∫ i(t )dt T Spesso viene introdotta anche la grandezza SOC (dall’inglese State-OfCharge, o stato di carica), che è un indicatore normalizzato del livello di carica della batteria pari a 0 a batteria completamente scarica e a 1 a batteria completamente carica. SOC può essere espresso immediatamente in funzione della capacità della batteria CQ e della carica estratta secondo la relazione: SOC= 1 - Qe CQ (7.2) Analogamente è molto importante anche la considerazione dell’energia scambiata con il circuito elettrico; con la solita convenzione dei segni, l’energia erogata in un certo intervallo di tempo T vale: E c = ∫ u(t )i(t )dt T Sperimentalmente si osserva che la carica che si riesce ad estrarre da una batteria (quanto meno per le due tipologie considerate nel presente capito- 234 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata lo) durante la scarica è solo una frazione di quella che era stata introdotta nella precedente carica. Si può pertanto introdurre il rendimento di carica come il rapporto fra le due quantità di carica; se la carica avviene nel tempo T1 e la scarica nel successivo tempo T2 si haI: Q Qscar Qcar i(t ) dt i(t ) dt T1 T2 Analogamente si definisce il rendimento energetico come segue: E scar E E car u(t)i(t) dt T1 u(t)i(t) dt T1 Nel caso di scariche a corrente costante l’energia erogabile durante la scarica può essere ovviamente calcolata moltiplicando la carica erogata per la tensione media durante l’erogazione: = E scar essendo: U m = 1 T2 (t )i(t )dt I= ∫T u= ∫T i(t )dt 2 2 (7.3) QU m ∫T u(t )dt . 2 A sua volta la tensione media di scarica è dipendente dalla corrente di scarica, seppur non molto fortemente; per esempio per batterie al Piombo - acido ad alta potenza (bassa resistenza interna) si può assumere in prima approssimazione una tensione media di scarica che va da 1,95 V per cella per scariche della durata di un’ora a 2,0 V/cella per scariche di 10 ore. Siccome la tensione durante la carica si mantiene mediamente superiore a quella che si ha durante la scarica, come mostrato qualitativamente nelle Figura 7.4 nel caso di carica e scarica a corrente costante, si ha invariabilmente: η E < ηQ . Figura 7.4: Andamento qualitativo delle tensioni di batteria durante carica e scarica a corrente costante. U Carica I Pausa Scarica U I I t A numeratore si è introdotto il modulo della corrente in quanto, con il segno preso a riferimento, durante la scarica il valore della corrente è negativo. I Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 237 dell’immagazzinamento per lunghi periodi esse vengano caricate a fondo; dall’altro che il tempo in cui esse rimangono disconnesse da qualsivoglia alimentazione non sia tale da portare, in conseguenza dell’autoscarica, le batterie a scaricarsi completamente. In pratica è opportuno che la carica scenda al di sotto del 50 % della capacità totale. Questo implica che prima di prolungati periodi di inutilizzo di sistemi di accumulo essi vengano ben caricati; inoltre è opportuno che i costruttori dei veicoli specifichino la massima inattività del veicolo compatibile con lo stato di salute delle batterie stesse. Questa considerazione è particolarmente significativa per applicazioni veicolari delle batterie, in quanto è condizione non infrequente che veicoli vengano mantenuti inattivi per lunghi periodi di tempo. In questi casi può risultare necessario mantenerli connessi ad una presa di energia per evitare una loro scarica a fondo, con conseguente danneggiamento irreversibile. 7.3.4. VITA UTILE Man mano che si prosegue nel tempo e nell’utilizzo di una batteria si assiste ad un cambiamento delle sue caratteristiche; dopo un iniziale possibile incremento della capacità, tipicamente di un 10 % (fenomeno cosiddetto di allenamento), si ha una sua progressiva riduzione. È prassi corrente assumere raggiunta la fine vita di un accumulatore elettrochimico quando la capacità erogabile in condizioni standard (corrente di scarica e temperatura pari ai valori nominali) si è ridotta all’80 % del valore nominale. Gli accumulatori elettrochimici tendono ad invecchiare sia in funzione del tempo trascorso dalla loro produzione (detta normalmente shelf life o calendar life) che del numero di cicli di carica/scarica a cui vengono sottoposte (cycle life). L’invecchiamento in funzione del tempo trascorso dalla produzione degli accumulatori è conseguenza dell’inevitabile progressione di fenomeni chimici indipendenti dalla reazione di carica e scarica. È ad esempio noto che per effetto di una non perfetta impermeabilità degli involucri delle batterie alle molecole dell’acqua l’elettrolita di batterie per le quali non è possibile reintrodurre ulteriore acqua (ad esempio le batterie al piombo ad elettrolita immobilizzato) perde progressivamente acqua, con deterioramento della capacità globale. L’invecchiamento in funzione del numero di cicli di carica/scarica è invece dovuto al fatto che alla fine di ognuno dei cicli la materia attiva presente ai due elettrodi non si deposita in maniera perfettamente uniforme; la disuniformità della deposizione della materia attiva comporta una progressiva perdita di capacità; inoltre i cicli di carica/scarica possono attivare (tipicamente in condizioni estreme di batteria molto carica o molto scarica) reazioni parassite indesiderate e irreversibili che tendono a ridurre la capacità della batteria di portare a termine la reazione principale di carica/ scarica, per la quale è progettata. In particolare si può dire che più profonde sono le scariche più si attivano reazioni parassite irreversibili, quindi la cycle-life varia molto in funzione della cosiddetta profondità di scarica, cioè quale percentuale della 238 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata capacità nominale viene erogata per ognuno dei cicli. Spesso la cycle-life è espressa in cicli di carica completa/scarica all’80 % della capacità nominale. Molte batterie hanno una shelf-life dell’ordine dei 10 anni; per quanto riguarda la cycle-life, si hanno i valori indicativi riportati nella seguente Tabella 7.1 Tabella 7.1: Esempio di vita utile in cicli per accumulatori elettrochimici. Batteria tipico cycle life (80 %) Piombo 300-500** Litio* 500-2000 3000 Litio*** * informazione tratta dall’articolo [29], pubblicato nel 2011. ** Ad es.: il costruttore [18] dichiara per la batteria “Professional deep Cycle AGM” 800 cicli al 50 % di profondità di scarica. *** da [16]. Occorre rilevare il numero di cicli che una batteria può sopportare prima del raggiungimento della condizione di fine vita utile (riduzione della capacità del 20 % rispetto al valore nominale), dipende fortemente dalla profondità di scarica. Ad esempio il costruttore [16] dichiara un numero di cicli con scarica fino all’80 % della capacità nominale pari a 3000, mentre i cicli divengono 5000 per scariche fino al 70 %. 7.3.5. VALORI NOMINALI Le batterie sono componenti che devono essere inseriti adeguatamente nel contesto di un sistema elettrico complesso. Come per gli altri componenti, quindi, è importante interpretare i dati nominali della batteria stessa, che in qualche modo ne costituiscono i “dati di targa”. I dati nominali prendono a riferimento una scarica della batteria in condizioni controllate, quindi con valori costanti della corrente e della temperatura dell’ambiente in cui è posizionata la batteria. Figura 7.7: Prova di scarica a corrente costante e tensione di fine scarica. I + U - U(t) Se I(t)=In e = n allora IxT=C n Ufs I(t) T t Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 239 Quando la batteria, inizialmente completamente carica e posta in ambiente alla temperatura nominale (θn), è scaricata con una corrente perfettamente costante pari alla corrente nominale (In), essa erogherà una carica pari alla sua capacità nominale (Cn; cfr. Fig. 7.7). Altri parametri nominali sono la tensione di fine scarica nominale (Ufs in Fig. 7.7) e il tempo di scarica nominale Tn = Cn/In. Il valore più diffuso per il tempo di scarica nominale è 10 ore (Cn = C10). Essendo capacità nominale, corrente nominale e tempo di scarica nominale legate dalla relazione Tn = Cn/In, è sufficiente specificare due di queste grandezze per ottenere la terza. La prassi corrente è di specificare Cn e Tn. Per quanto riguarda la tensione nominale di una batteria di accumulatori, essa viene assunta pari alla tensione nominale di cella, prefissata per ogni tipologia di batteria, per il numero di celle poste in serie. La tensione nominale di cella per gli accumulatori al Piombo-acido e Nickel-Idruri metallici è, ad esempio rispettivamente, di 2,0 e 1,2 V. In taluni casi può essere anche fornita l’energia nominale dell’accumulatore, non desumibile dalla capacità nominale, se non si è in possesso del profilo di tensione durante la scarica. Come già osservato in precedenza (Eq. 7.3), l’energia erogabile per scariche a corrente costante è pari alla carica erogata per la tensione media di scarica, e quindi: E n = QnU m 7.3.6. (7.4) PARAMETRI SPECIFICI Oltre alle grandezze nominali ricordate nel paragrafo precedente, sono spesso di interesse parametri specifici, ad esempio: –– energia massica (designata come specific energy in ambito internazionale), ad esempio in Wh/kg; –– energia volumica (designata come energy density in ambito internazionale), ad esempio in Wh/L; –– potenza massica (designata come specific power in ambito internazionale), ad esempio in W/kg; –– potenza volumica (designata come power density in ambito internazionale), ad esempio in W/L. Questi parametri sono di particolare interesse per applicazioni veicolari, nelle quali l’occupazione di volume, e la massa trasportata hanno un grandissimo impatto sulle prestazioni del veicolo: il volume riduce il volume disponibile, la massa riduce la capacità di carico e incrementa i consumi energetici per il moto. 7.3.7. TECNICHE DI CARICA Le tecniche di ricarica suggerite dai vari costruttori di accumulatori elettrochimici sono molto varie. Prima di descrivere le caratteristiche peculiari delle più importanti, si premette una definizione. Tensione di tampone: è il valore di tensione che può essere permanentemente applicato alla batteria, senza danneggiamento della stessa; nel seguito esso verrà indicato con il simbolo Ufloat. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 241 Di conseguenza le caratteristiche esterne della batteria, secondo questo modello, hanno l’aspetto riportato nella Figura 7.9 b. È da notare che il modello qui proposto è molto semplificato e non può essere utilizzato per simulazioni del comportamento della batteria che richiedano precisioni sui risultati relativamente elevate (pochi percento di scarto fra valori predetti e stimati). Figura 7.9: Modello semplificato di una batteria di accumulatori elettrochimici. R(SOC) E(SOC) I U E(SOC) + U SOC R(SOC) - a) 0 SOC 1 b) I Per analisi quantitative è indispensabile ricorrere a più complessi modelli dinamici. L’argomento è discusso nel seguente Paragrafo 5. Se si connette la batteria ad un alimentatore che abbia la caratteristica statica mostrata nella parte sinistra della Figura 7.9, il quale può essere immaginato come alimentatore a tensione costante limitato in corrente ovvero a corrente costante limitato in tensione, il sistema alimentatore - batteria andrà ad operare su dei punti di lavoro che possono essere individuati dall’intersezione della caratteristica esterna dei due dispositivi. Le due caratteristiche esterne andranno ovviamente valutate con gli stessi riferimenti di tensione e corrente. Se ad esempio si assumono come riferimenti quelli indicati in Figura 7.10 (corrente entrante dl morsetto positivo di batteria) le caratteristiche di batteria andranno riscritte rispetto ad essi, diversi da quelli già utilizzati in Figura 7.9, disegnata pensando ad una batteria operante in scarica. Figura 7.10: Accoppiamento alimentatore e batteria di accumulatori. I U U* U I I* I Alimentatore + U Batteria Prendendo ad esempio il grafico rappresentato nella Figura 7.11, si ha che il punto di lavoro si sposta inizialmente sul tratto a corrente costante della caratteristica (punto 1), raggiunge il confine con il tratto a tensione costante (punto 2), e poi si sposta verso le correnti decrescenti. Se si riporta questo comportamento in funzione del tempo, si ritrova proprio un andamento del tipo di quello desiderato per una carica di tipo I-U, già presentato nella Figura 7.11. L’istante t* in quest’ultima figura corrisponde al punto 2 242 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 7.11: Spostamento del punto di lavoro durante la carica I-U. in Figura 7.11. È da notare che nel comportamento osservato l’aumento della forza elettromotrice durante la carica ha prevalenza sulla riduzione della resistenza interna. Per quanto riguarda la scelta dei valori I* e U*, valgono le seguenti considerazioU ni: 3 2 1 –– I* non deve superare il massimo valore accettabile per la batteria in carica. I costruttori solitamente esprimono tale massimo come una frazione delle capacità I nominale della batteria; ad es. un valore tipico è I*max = 0,25 C10, intendendosi la corrente espressa in A e la capacità in Ah. –– U* deve essere tale da evitare eccessivi assorbimenti di corrente a fine carica, i quali potrebbero causare come già osservato reazioni parassite con conseguente potenziale danneggiamento. Due scelte di U* sono particolarmente usate e significative: –– usare U* = Ufloat. In tal modo la batteria alla fine della carica potrà rimanere sotto tensione indefinitamente nel tempo, prevenendo quindi anche fenomeni di autoscarica (v. oltre “carica in tampone”). –– usare un valore U* > Ufloat. Ad esempio per le batterie al piombo a ricombinazione tale valore potrebbe essere portato a 2,4 V/cella. Evidentemente in tal caso al raggiungimento della fine carica (individuata dal fatto che la corrente di carica è scesa al di sotto di una soglia prefissata) occorrerà disconnettere l’alimentatore, oppure commutare la tensione di alimentazione al valore Ufloat. 7.3.8. CARICA IN TAMPONE La cosiddetta carica tampone si ottiene mantenendo la batteria costantemente connessa alla tensione di tampone Ufloat. In tal modo se la batteria è già carica, essa manterrà la carica indefinitamente nel tempo. Infatti l’autoscarica tende ad abbassare la forza elettromotrice della batteria, ma questo causa un contestuale incremento della corrente assorbita dalla batteria stessa, che la ricarica. La carica in tampone è molto utilizzata per tutte quelle applicazioni in cui la batteria deve rimanere carica e pronta per l’uso per lungo tempo, ad es.: negli UPS. 7.3.9. DOCUMENTAZIONE FORNITA DAI COSTRUTTORI Da quanto sopra riportato risulta evidente che una batteria è caratterizzato da un grande numero di parametri: la sola indicazione della capacità nominale è insufficiente per la progettazione di un sistema di accumulo che non sia enormemente sovradimensionato. I costruttori di celle elettrochimiche, direttamente sui siti internet o a richiesta, forniscono normalmente, oltre ai parametri nominali (capacità nominali, dimensioni, pesi) le seguenti informazioni: Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 243 –– informazioni sulla carica erogabile a corrente costante in funzione della corrente di scarica e della temperatura ambiente. Spesso sono forniti i profili della tensione ai morsetti durante la scarica a corrente costante per varie correnti e temperature. –– (in alcuni casi) informazioni sulla carica erogabile per scarica a potenza costante. –– vita utile per cicli di carica/scarica a corrente costante in funzione delle profondità di scarica (ad es. per scariche al 100 %, 80 %, 70 %). –– massima vita utile di calendario (shelf life o calendar life). –– informazioni sull’autoscarica. Ad esempio in unità percentuali al mese. Curve di scarica in funzione di corrente di temperatura, ed autoscarica, sono ad esempio disponibile per un costruttore di celle litio LFP al sito [0]. 7.4. PRINCIPALI TIPOLOGIE DI ACCUMULATORI ELETTROCHIMICI Moltissime sono le tipologie di accumulatori elettrochimici che sono state studiate nel corso degli anni, e molte sono anche quelle che hanno dato vita a prodotti commercializzati. Ad esempio una lista non esaustiva di tipologie di accumulatori che hanno avuto una buona diffusione commerciale è la seguente: –– accumulatori al piombo. Hanno avuto e hanno larghissima diffusione. Sono presenti in quasi tutti gli autoveicoli per avviamento ed alimentazione degli ausiliari elettrici; –– accumulatori al Nickel Cadmio (Ni-Cd). Sono stati a lungo utilizzati come sostituti per le batterie al piombo in tutti i casi in cui servivano una maggiore energia e potenza massiche (cfr. Par. 3.6). Sono stati ormai quasi completamente abbandonati prevalentemente per la tossicità del cadmio contenuto, e perché essi sono molto simili agli accumulatori NiMH, che non hanno questo particolare problema ambientale e li hanno quindi sostituiti; –– accumulatori nickel-idruri metallici (NiMH). Questo tipo di accumulatori può essere immaginato come una variante degli accumulatori al nickelcadmio, rispetto ai quali hanno valori simili di energia massica e volumica. hanno però vantaggio di non contenere all’interno materiali tossiconocivi; –– accumulatori al litio. Rispetto a tutte le altre tipologie qui descritte sono caratterizzate dalla più alta energia massica, ma anche dal più alto costo. Pertanto essi sono molto utilizzati dove si dà un grande valore a bassi pesi e il corrispondente alto costo per unità di energia ha importanza modesta. Vedremo nel seguito che in realtà sul litio sono basati molti accumulatori anche molto diversi fra loro, e quindi quando si parla di accumulatori al litio occorre specificarne la famiglia; –– accumulatori Sodio-nickel cloro. Sono accumulatori caratterizzati dalla necessità di essere portati internamente ad una temperatura particolarmente elevata (intorno ai 300 °C) per funzionare correttamente. Hanno avuto in passato applicazioni sia veicolari che stazionarie, e sono tutt’ora in commercio. 244 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Nei seguenti paragrafi vengono riportate informazione di un qualche dettaglio di tutti gli accumulatori qui sinteticamente rammentati, ad eccezione di quelli al Nickel-cadmio che, come si è detto sono stati quasi completamente abbandonati nelle nuove installazioni. 7.4.1. ACCUMULATORI AL PIOMBO (ACIDO) Le batterie di accumulatori al piombo costituiscono la categoria di accumulatori ampiamente più diffusa per applicazioni che richiedono grosse quantità di energia, e sono utilizzate ad esempio nei gruppi di continuità, nelle centrali telefoniche che devono garantire la piena funzionalità del sistema telefonico anche in assenza di alimentazione da parte della rete in corrente alternata, nei sistemi di alimentazione di sicurezza delle centrali elettriche, come fonte di alimentazione ausiliaria in tutti i veicoli stradali. Essendo la soluzione elettrolitica acida, ed essendo gli accumulatori al piombo gli unici utilizzati industrialmente a soluzione acida, essi vengono spesso denominati anche accumulatori al piombo-acido. Esse sono disponibili a partire da capacità molto piccole (pochi Ah) fino a capacità di alcune migliaia di Ah, nel qual caso i moduli sono costituiti da celle singole. In particolare esse trovano ampia applicazione a bordo dei sommergibili nei quali, evidentemente, sono richieste grandissime quantità di energia e quindi moduli da moltissimi Ah. 7.4.1.1. Principio di funzionamento Questo accumulatore si caratterizza per la seguente struttura, valida in condizione di accumulatore completamente carico: –– elettrodo positivo costituito da diossido di piombo (PbO2); –– elettrodo negativo costituito da piombo spugnoso (Pb); –– soluzione elettrolitica costituita da soluzione acquosa di acido solforico (H2SO4). In un accumulatore la soluzione elettrolitica ha lo scopo di consentire il transito di cariche elettriche dall’anodo al catodo o viceversa, le quali cariche sono sostituite da ioni. Con il termine elettrolita in chimica si identifica il soluto di una tale soluzione. Nel linguaggio corrente dei libri applicativi sulle pile e sugli accumulatori, e nelle normative tecniche ad essi relative, il termine elettrolita (o elettrolito) viene utilizzato per designare l’intera soluzione elettrolitica. Esistono alcuni tipi di accumulatori elettrochimici in cui in luogo della soluzione elettrolitica è presente una membrana polimerica che possiede una elevata permeabilità ionica e consente quindi il transito di ioni. In questo caso si usa comunemente ancora, in analogia con gli accumulatori più diffusi, il termine elettrolita (più precisamente elettrolita polimerico) per designare tale membrana. Anche nel presente capitolo, qualora non sussista possibilità di confusione, si utilizzerà talvolta il termine elettrolita per indicare l’intera soluzione elettrolitica. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 245 Nella soluzione elettrolitica l’acido solforico, che è una molecola elettricamente neutra, si dissocia in ione solforico SO4- - e due ioni idrogeno H +. I processi di carica e scarica sono sintetizzati dalla seguente equazione. Batteria carica Batteria scarica PbO2 + Pb + 2H2SO4 ↔ PbSO4 + PbSO4 + 2H2O Elettr. positivo Elettr. negativo Acido Solforico Elettr. positivo Elettr. negativo Elettrolita diluito Sulla base di essa il funzionamento può essere spiegato con riferimento alla Fig. 7.12, che è realizzata con riferimento al processo di scarica (le frecce verdi in basso ovviamente non stanno ad indicare emissione di materia, ma in cosa le varie parti dell’accumulatore si trasformano durante la scarica). Figura 7.12: Funzionamento di principio della batteria al Piombo (processo di scarica). Si pensi di partire da batteria completamente carica. Se si chiude il circuito esterno, fluisce corrente dentro e fuori l’accumulatore. Internamente, in particolare, alcuni SO4- - si muoveranno verso l’elettrodo negativo, altri verso l’elettrodo positivo. Di conseguenza: –– all’elettrodo negativo al sopraggiungere degli ioni il Pb metallico cede due elettroni, e diventa lo ione Pb++ che si combina con lo ione solfato (SO4- -) formando solfato di piombo, ovvero PbSO4 . I due elettroni percorrono il circuito esterno alla cella nel verso opposto al verso convenzionale della corrente. –– all’elettrodo positivo il piombo cede O2, rimanendo con un eccesso di quattro cariche positive (Pb4+ (IV)), riceve due elettroni dal circuito eletIV Il piombo possiede i due stati di ossidazione Pb2+ e Pb4+. 246 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata trico e diviene Pb++. Quest’ultimo si combina a sua volta con lo ione solfato, ritornando neutro. L’ossigeno rilasciato si combina con gli ioni idrogeno liberi nell’acqua (derivanti dalla dissociazione dell’acido solforico) e forma acqua. È interessante notare come nella batteria al piombo, a differenza di altre tipologie, la soluzione elettrolitica non ha solo il compito di consentire il transito di ioni, ma partecipa attivamente alla reazione, e infatti compare nella formula chimica sopra riportata. In particolare si osserva che a batteria completamente carica la soluzione elettrolitica è ricca di acido solforico, il quale scompare durante la scarica, rendendo la soluzione più diluita e quindi più densa. Questo consente di misurare con una discreta precisione lo stato di carica delle batterie al piombo del tipo a soluzione elettrolitica liquida semplicemente misurandone la densità. A seconda del costruttore e dell’utilizzo della batteria, la sua densità quando è completamente carica, alla temperatura di 27 °C varia da 1,20 a 1,33. Le densità più basse di norma consentono prestazioni inferiori, ma una maggiore durata, soprattutto nei climi tropicali. La densità della soluzione elettrolitica di una batteria pienamente carica diminuisce leggermente al crescere della temperatura; tale variazione non può essere trascurata se si usa una lettura della densità per stimare lo stato di carica della batteria. Ad esempio una batteria di un costruttore nazionale con densità relativa di 1,25 a 20 °C varia da 1,264 alla temperatura di 0 °C a 1,243 alla temperatura di 30 °C. La batteria di un sommergibile classe Sauro ha soluzione elettrolitica con densità relativa di 1,28 alla temperatura di 20 °C; in condizioni di batteria scarica essa arriva intorno a 1,16 (dati ricavati da batterie analoghe, non da documentazione ufficiale del sommergibile). È quasi superfluo rilevare che nel processo di carica (almeno dal punto di vista di principio) le reazioni che si sviluppano sono le opposte di quelle del processo di scarica, con ioni SO4 che abbandonano gli elettrodi per ricombinarsi alla soluzione che nuovamente si raddensa arricchendosi progressivamente di molecole di H2SO4. 7.4.1.2. Tipologie e caratteristiche Le batterie al piombo vengono attualmente costruite secondo due tipologie costruttive: –– a soluzione elettrolitica liquidaV. –– a ricombinazione. Le batterie primo tipo hanno caratteristiche di grande robustezza ed affidabilità, ma richiedono una manutenzione particolarmente onerosa. Infatti nel normale funzionamento di questo tipo di batterie risulta inevitabile un certo prosciugamento della soluzione elettrolitica, prevalentemente per la dissociazione elettrolitica dell’acqua in esso contenuta in prossimità della fine del processo di carica, e quindi risulta necessario periodicamente introdurre nuova acqua distillata per ripristinarne la composizione ottimale. Questa operazione è detta di rabboccamento. Anche in V O, più compattamente, ad elettrolita liquido. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 247 taluni casi sono stati realizzati sistemi di rabboccamento automatico, molto spesso questa operazione viene effettuata manualmente. Sono normalmente utilizzate a bordo di sommergibili. Le batterie a ricombinazione, dette anche VRLA (Valve-Regulated Lead Acid) sono costituite da moduli realizzati in contenitore stagno, cioè non dotato di aperture per l’aggiunta dell’acqua alla soluzione elettrolitica. In queste batterie l’elettrolita (cioè la soluzione elettrolitica) non è in forma liquida ma è gelificato o adsorbito su microfibre di vetro. Questo ed altri accorgimenti consentono che durante la carica venga attivata una particolare reazione chimica, detta di ricombinazione, che consente all’idrogeno e ossigeno che si sviluppano per dissociazione elettrochimica di ricombinarsi a ricostituire acqua. In tal modo non si ha disseccamento della soluzione elettrolitica e non è mai necessario procedere al rabboccamento (che peraltro non è consentito per via della costruzione stagna). È comunque presente una valvola di sicurezza che si apre per fare fuoriuscire il gas che si dovesse produrre a seguito di una ricombinazione insufficiente, per evitare eccessive pressioni all’interno del modulo, e il conseguente rischio di esplosione. Il meccanismo della ricombinazione ha però anche effetti sfavorevoli. Infatti capita di norma che durante la carica di una lunga serie di celle alcune di esse vengano a caricarsi prima di altre. Essendo necessario riempire in maniera sufficiente tutte le celle, il processo di carica quindi continua anche in condizioni in cui alcune celle sono già completamente cariche. Può allora capitare che la corrente di ricarica superi la capacità di ricombinazione delle celle che si sono caricate per prime, e di conseguenza che idrogeno e ossigeno si accumulino all’interno dei moduli contenenti queste celle; di conseguenza può accadere che si superi la pressione di taratura della valvola di sicurezza, che si apre. L’apertura della valvola di sfiato causa l’emissione di ossigeno ed idrogeno, che quindi vengono sottratti alla soluzione elettrolitica che in tal modo vede ridursi la quantità di acqua rispetto a quella ottimale inizialmente presente, e quindi causa una riduzione delle prestazioni del modulo interessato. In definitiva si può dire che le batterie a ricombinazione se da una parte hanno il vantaggio di non richiedere il rabbocco, dall’altro hanno il difetto che, in caso di apertura della valvola di sfiato, interviene una disidratazione parziale e irreversibile della soluzione elettrolitica. Per le conseguenze sfavorevoli di disomogeneità nel processo di carica in caso di apertura della valvola di sicurezza le batterie a ricombinazione sono considerate meno affidabili di quelle ad elettrolita liquido, e quindi meno adatte a missioni critiche. Le batterie al piombo acido sono state usate a bordo di veicoli soprattutto negli anni ’80 e ’90, in quanto in quel periodo costituivano una soluzione particolarmente economica ed affidabile. In realtà la loro applicazione veicolare presentava grosse problematicità connesse con la bassa energia e potenza specifica di questo tipo di batterie, che rendeva i veicoli elettrici realizzati in quegli anni pesanti e dotati di scarsa autonomia. 248 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Oggi, gli accumulatori al piombo sono usati a bordo di veicoli essenzialmente per l’alimentazione del sistema ausiliario di bordo. La quasi totalità di autoveicoli a propulsione basata con motore a combustione interna adotta come sistema di accumulo a supporto del proprio sistema elettrico una batteria al piombo acido, dotata di notevole economicità, e maturità tecnologica. Peraltro soluzioni che fanno uso di batterie al litio incominciano ad essere proposte anche per questo tipo di applicazioni [29]. L’utilizzo delle batterie al piombo per alimentare l’azionamento di propulsione dei veicoli a propulsione elettrica, frequente in passato, è ormai quasi del tutto abbandonato in favore di sistemi di accumulo dotati di maggiore energia massica, prevalentemente del tipo al litio. 7.4.2. ACCUMULATORI AL NICKEL - IDRURI METALLICI 7.4.2.1. Generalità Una famiglia particolarmente importante di accumulatori è costituita dai cosiddetti accumulatori alcalini, nei quali, per l’appunto, l’elettrolita è una soluzione alcalina. Molto importante per ragioni storiche fra gli accumulatori alcalini sono gli accumulatori al Nickel Cadmio (Ni-Cd), i quali sono stati molto utilizzati nel recente passato sia nell’elettronica di consumo che a bordo di veicoli a propulsione elettrica, per le loro caratteristiche di elevata energia e potenza specifica, robustezza, vita. Esse tendono però oggi ad essere progressivamente abbandonate, in conseguenza dei timori connessi con la possibile dispersione nell’ambiente del Cadmio, materiale tossico e del fatto che esse possono essere adeguatamente sostituite dalle batterie Nickel-idruri metallici (Ni-MH), ad esse simili per costruzione e caratteristiche di utilizzo, ma prive del Cadmio. Esso sono però un poco più costose in conseguenza della maggiore quantità di Nickel che contengono. In conseguenza nel resto del presente paragrafo si tratterà della sola batteria Ni-MH. 7.4.2.2. Principio di funzionamento Gli accumulatori Nichel - idruro metallico hanno il medesimo elettrodo positivo delle batterie Nichel - Cadmio, ma diverso elettrodo negativo. Esse sono quindi composte da: –– elettrodo positivo costituito da ossi-idrossido di nichel (NiOOH o NiO(OH)). –– elettrodo negativo costituito un metallo nel quale viene incorporato dell’idrogeno a formare una lega MHx, dove con M si indica un generico metallo. –– elettrolita costituito da soluzione alcalina, normalmente soluzione acquosa di idrossido di Potassio (KOH). Anche per queste batterie è possibile descrivere il principio di funzionamento aiutandosi con uno schema di principio (Fig. 7.13). Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica Figura 7.13: Funzionamento di principio della batteria agli idruri metallici. i Due idrossidi di Nickel: R (scarica) o E-R (carica) + NiOOH OH- O2- - Ni2- Ni3- e e 249 OH- OHMHx O2 H H NiOOH Ni(OH)2 Ossidrossido di Nickel Idrossido di Nickel MHx-1 Ni(OH)2 La reazione che si realizza all’elettrodo positivo, la stessa delle batterie nichel-cadmio è la seguente (NiOOH o NiO(OH) è detto ossi-idrossido di nickel): Batteria carica Elettrodo positivo: NiOOH + H2O + Batteria scarica e- ↔ Ni(OH)2 + OH- All’elettrodo negativo la reazione è la seguente: Batteria carica Elettrodo negaitivo: MHx + OH- Batteria scarica ↔ MHx-1 + H2O + e- Pertanto durante la scarica l’elettrodo positivo consuma una molecola di acqua (prelevandola dall’elettrolita) ed un elettrone (prelevandolo dal circuito esterno), i quali vengono ceduti dall’elettrodo negativo. Questo accade attraverso il trasferimento dello ione ossidrile OH- dall’elettrodo positivo all’elettrodo negativo dove reagisce, prelevando un atomo di idrogeno dalla materia attiva del polo formando una molecola di acqua. Come per la batteria al nichel - Cadmio, e diversamente dalla batteria al piombo acido, l’elettrolita non entra nella reazione della batteria, e dunque non cambia la sua composizione durante i processi di carica/scarica. Le reazioni di carica e scarica possono essere ovviamente rappresentate anche simultaneamente, ottenendo la: Batteria carica Batteria scarica MHx + NiOOH ↔ MHx-1 + Ni(OH)2 La batteria NiMH ha una tensione a vuoto, a piena carica, di circa 1,4V. Vari tipi di metallo sono utilizzati in sostituzione del generico M riportato nelle precedenti formule. Spesso si hanno formule complesse, talvolta anche brevettate. La maggior parte dei metalli usati ha la forma: AB5 nella quale A è solitamente una terra rara (ad es.: il Lantanio), e B è costituito da Nichel o una lega di Nichel. Pertanto, a differenza della batteria Ni-Cd, la batteria Ni-MH contiene Nickel, materiale particolarmente costoso, anche all’elettrodo negativo, e questo è la principale causa del loro maggior costo. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 251 inizio di progressiva decadenza della tecnologia NiMH, in favore delle tecnologie di accumulo elettrochimico al litio. 7.4.3. ACCUMULATORI AL LITIO 7.4.3.1. Generalità La possibilità di utilizzare il Litio in celle elettrochimiche (inizialmente non reversibili) risale agli anni ’70. La ragione principale per l’interesse verso questo elemento risiede nel fatto che, per via della sua estrema leggerezza (massa atomica pari a 6,94) comporta una carica teorica massima che può essere messa in gioco dalla sua ionizzazione (Li - > Li+) di 3,86 Ah/g, ampiamente superiore a quella di molti altri componenti. Inoltre questo materiale presenta caratteristiche fisiche (punto di fusione, proprietà meccaniche, ecc.) che ne rendono abbastanza agevole l’utilizzo in celle elettrochimiche. A partire dagli anni ’90, batterie al litio hanno cominciato ad apparire sul mercato inizialmente come piccole batterie ricaricabili con elevate energie specifiche, da utilizzarsi in piccoli dispositivi elettrici di consumo quali telefoni cellulari laptop computer, ecc. Negli ultimi anni, peraltro, sono apparse sul mercato batterie di questa tipologia con energie e potenze per unità di cella tali da renderle utilizzabili anche per i veicoli elettrici, e oggi esiste, come verrà ampiamente discusso in seguito, un’ampia scelta di costruttori e modelli in grado di rispondere alle richieste di mercato di questo settore, sebbene esso sia in rapida evoluzione, con modelli che si succedono rapidamente, e con una dinamica dei prezzi sensibilmente in calo. I valori di energia e potenza massica e volumica sono oggi superiori a quelle di tutte le altre tipologie di accumulatori presenti sul mercato, e questo ne fa la soluzione di eccellenza per tutte le applicazioni nelle quali peso e volume hanno grande rilevanza, quindi anche nei sistemi per la trazione elettrica a guida vincolata. Occorre inoltre osservare che il costo di queste batterie per kWh accumulato, a seconda delle tipologie considerate, da 2 a 4 volte quello del piombo, è compensato in quasi tutte le applicazioni, anche stazionarie, dal maggior numero di cicli che queste batterie possono sopportare prima della fine della loro vita utile (cfr. Tab. 7.1 pag. 240). 7.4.3.2. Principio di funzionamento Il principio di funzionamento della batteria al Litio a temperatura ambiente può essere illustrato con riferimento alla Figura 7.15. La struttura del polo positivo è tipicamente costituita da un ossido litiato di un particolare metallo. Composizioni molto diffuse del polo positivo fanno rifermento come metallo al Co, Ni, Mn, e quelle sono riportate nella Figura 7.15. Esso si basa sulla caratteristica riscontrata di alcune sostanze di contenere atomi di Litio all’interno della struttura cristallina (Litio interstiziale). Utilizzando so- 252 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata stanze differenti per anodo e catodo si possono realizzare campi elettrici risultanti che hanno l’andamento, dentro la cella, dal polo negativo a quello positivo. L’elettrodo negativo è normalmente costituito da carbone o grafite che è in grado di ospitare litio interstiziale, in ragione, al massimo di un atomo di litio ogni 6 di carbone o grafite. Quando il circuito è chiuso all’esterno ad esempio su una resistenza, atomi di Litio, che si ionizzano in Li+, attraversano l’elettrolita per andare verso il polo negativo; contemporaneamente l’elettrone che si libera attraversa il circuito esterno. Al polo positivo elettrone e ione si ricombinano formando nuovamente una molecola di litio interstiziale. Se nel circuito esterno però si mette una forza controelettromotrice di valore superiore alla tensione di cella, il campo elettrico all’interno della cella ha verso opposto di quello naturalmente presente e il processo si inverte. Si realizza in tal modo il processo di carica. Per questa caratteristica del Litio di muoversi dall’anodo al catodo e viceversa questa batteria viene talvolta indicata come “batteria a sedia a dondolo” (rocking-chair battery con terminologia anglosassone)VIII. L’elettrolita è utilizzato solo come mezzo per il transito degli ioni, e non partecipa direttamente alle reazioni. Pertanto la sua densità non varia durante i processi di carica e scarica. Figura 7.15: Principio di funzionamento delle batterie agli ioni di litio. i R (scarica) o E-R (carica) + Liy MO2 e (M: Co, Ni, Mn) Liy Mn2O4 Liy FePO4 ecc. - e Li+ Li + Li + Liy+1MO2 ecc. Li x C 6 0 x 1 Lix-1C6 Le reazioni anodica, catodica e generale della batteria al Litio pertanto, posto: M = matrice realizzativa del polo positivo. N = matrice realizzativa del polo negativo. sono, molto semplicemente: scarica → Polo positivo: Li+ + M+ e- ← MLi carica Come si è già osservato nel relativo paragrafo, la stessa espressione è usata anche per le batterie NiMH, nelle quali è l’idrogeno a muoversi. VIII Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 253 scarica → Polo negativo: NLi ← Li+ + N + ecarica E, complessivamente: scarica → NLi ← MLicarica cioè il litio passa dall’essere incapsulato nella matrice M alla matrice N e viceversa. A titolo di esempio concreto, per la batteria con catodo a base di cobalto si ha: scarica → LiCoO2 Polo positivo: Li++CoO2+ e- ← carica scarica → ++ Polo negativo: LiC6 ← 6C + e Li carica Le batterie al litio, presentando alte densità volumiche e massiche di energia, presentano importanti problemi potenziali di sicurezza. In particolare esse non sopportano cariche di durata eccessiva (oltre il raggiungimento della condizione di piena carica), pena la possibilità di emissione di gas roventi, o addirittura esplosione. La temperatura deve essere tenuta sotto controllo in quanto il processo di carica diviene sempre più problematico al crescere della temperatura, e anzi va evitata oltre i 60 °C. Pertanto le batterie al litio devono essere dotate di dispositivi di supervisione e controllo che compiano le seguenti funzioni: –– mantengano la tensione delle varie celle in serie durante la carica, soprattutto a fine carica (cell balancing). –– tengano sotto controllo la temperatura attraverso misura della temperatura dell’involucro (overtemperature protection). –– evitino carica e scarica troppo profonde (overcharge and overdischarge protection). 7.4.3.3. Tipologie di batterie al Litio Le batterie al litio sono molto interessanti, studiate, e ne esistono molti tipi studiati nei laboratori e presenti sul mercato. Oggi quelle sul mercato appartengono sostanzialmente alle seguenti cinque famiglie: 1. Batterie “NCA” (Nickel-Cobalto-Alluminio). Hanno il catodo formato di Li(Ni0.85Co0.1Al0.05)O2. Queste hanno consentito una riduzione dei costi per via della riduzione delle quantità di Cobalto. 2. Batterie “NMC” (Nickel- Manganese-Cobalto). Hanno il catodo formato di Li(Ni1/3Co1/3Mn1/3)O2. Anche questa composizione consente migliori prestazioni e costi ridotti rispetto ad un a matrice M monolitica di soli Ni Co o Mn. 3. Batterie “LMO” (Lithium-Manganese Oxide). Hanno catodo formato da ossido litiato di manganese LiMn2O4, e anodo di grafite con litio inter- 254 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata stiziale. Sono caratterizzate da buona potenza ed energia specifica, ma costo elevato per via dei metalli preziosi che ne costituiscono il catodo. 4. Batterie “LFP” (Litio-Ferro-Fosforo). Sono caratterizzate da un catodo a base di LiFePO4. Rispetto alle precedenti tipologie presentano una maggiore robustezza di utilizzo in quanto più stabili alle altre temperature. Sono caratterizzate da una tensione tipicamente più bassa delle batterie dei precedenti tipi (finestra di tensione 1,5-2,8 V contro 2,7-4,2 V), e corrispondentemente da energia e potenza massica ridotta di circa il 25 %; ciononostante il più basso costo e la più elevata sicurezza le rende attualmente tra le più attraenti per l’impiego veicolare. Un particolare sottoinsieme delle LFP è costituito dalle cosiddette batterie LFP nanostrutturate. Si tratta di una tipologia commercializzata dal costruttore A123, caratterizzata da altissima potenza specifica sia in erogazione che in assorbimento: si arriva a valori dell’ordine di 2 kW/kg, che le rende quasi uniche, e in diretta competizione con un altro tipo di sistema di accumulo dell’energia elettrica caratterizzato da modesta energia massica e alta potenza massica: i cosiddetti supercondensatori (o ultracondensatori). 5. Batterie al titanato di litio (LTO). Per tutti i tipi sopra riportati (da 1 a 4) l’anodo, o, per meglio dire il polo negativo, è sempre costituito da una matrice di carbonio in forma di grafite. Le batterie LTO, invece, contengono all’anodo il titanato di litio (Li4Ti5O12) che, oltre ad eccellenti doti di sicurezza, hanno la capacità di accettare correnti di carica e scarica molto superiori a quelle di altre tipologie (correnti di breve durata anche 30 volte il valore relativo alla scarica in un’ora nominale contro 2-8 volte). Queste batterie sono in diretta competizione con le batterie LFP nanostrutturate sopra rammentate, e quindi anche con i supercondensatori. L’elettrolita delle batterie al litio può essere liquido oppure polimerico. Si può infatti mostrare come sia possibile una certa conduzione ionica attraverso sottili lamine di sostanze solide. In particolare, utilizzando lamine dello spessore di 10-100 µm, di materiali aventi conducibilità specifica dell’ordine di 0,01-0,1 S/m (il che è tecnicamente possibile con molti materiali), si realizzano con l’applicazione di tensioni di 10 mV transiti di correnti dell’ordine di 1 mA/cm2. Pertanto, nell’ipotesi di considerare tollerabile una caduta di tensione di 10 mV sull’elettrolita, validi elettroliti possono essere ottenuti con materiali aventi le citate conducibilità e i citati spessori. 7.4.3.4. Confronti Un confronto sistematico fra le varie tipologie di celle al litio deve tenere in conto parecchi parametri, alcuni dei quali sono stati discussi nel Paragrafo 3. Un confronto per fini progettuali va necessariamente effettuato sulla base delle informazioni fornite dai costruttori su specifici modelli, eventualmente integrate da specifiche prove sperimentali. Può apparire discutibile aver fornito il suggerimento di effettuare prove sperimentali per poter effettuare un corretto dimensionamento di applicazioni specifiche. In realtà questa indicazione è stata fornita scientemente. Le prestazioni delle celle elettrochimiche sono necessariamente fornite dai costruttori in condizioni standard di prova. In particolare normalmente essi Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 255 fanno riferimento a scariche a corrente costante, con diversi valori di profondità di scarica. In taluni casi essi forniscano anche le prestazioni per scariche a potenza costante (quindi a corrente crescente durante la scarica). In talune applicazioni di trazione, fra qui quella che verrà poi discussa nel Paragrafo 11, peraltro l’accumulo può essere soggetto a microcicli, durante il quali la carica fluttua di poche unità percentuali. Il ciclaggio non avviene quindi a partire da batteria carica per una certa profondità di scarica, ma invece avviene intorno ad uno stato di carica intermedio, ma per numeri di cicli di gran lunga superiori a quelli forniti dal costruttore per scariche profonde a partire da batteria piena. Quanti microcicli è in grado di sopportare una cella? Questo è un tema di grandissima importanza in molti casi, e una risposta a questa domanda non è ottenibile quasi mai da documentazione fornita dal costruttore. In casi come questo, quindi, una sperimentazione di laboratorio, per quanto lunga e costosa può risultare la soluzione migliore. Ciononostante poter disporre informazioni di larga massima di confronto fra le cinque famiglie di batterie al litio sopra considerate, può servire da primo orientamento. Diagrammi di tipo “radar” di confronto fra le varie tipologie di batterie sono disponibili in molti riferimenti bibliografici, ad esempio in [31]. Non si ritiene opportuno riportare qui il relativo diagrammaIX, in quanto i valori riportati non corrispondono all’esperienza di prima mano dell’autore di queste note, e riassunta nelle considerazioni riportate nella pagina precedente. A complemento di quanto detto si possono rammentare taluni valori numerici di primo orientamento: –– energia massica. Essa raggiunge per singole celle al litio particolarmente performanti valori intorno ai 180-200 Wh/kg (da confrontarsi con il dato tipico delle batterie al piombo di 30-35 Wh/kg. Questo tipo di valori sono facilmente ricavabili dai siti dei costruttori [15 - 17]. Occorre rammentare come occorra fare differenza fra energia specifica di cella e di pacco batteria. Il peso di involucro, connessioni, sistemi di gestione dello stato di carica e della temperatura fa sì che l’energia specifica di un pacco sia sensibilmente inferiore a quella della singola cella, ad esempio del 20 %. –– potenza massica. Valori di 1000-1500 W/kg sono ottenibili con batterie al litio “power oriented” (ad esempio NMC power oriented come documentato nell’articolo 26). –– energia volumica. Essa raggiunge valori per singole celle al litio particolarmente performanti valori intorno ai 400 Wh/L. Ovviamente anche per questo parametro valgono le considerazioni svolte per l’energia massica di confronto fra valori di singola cella e di pacco. –– potenza volumica. Valori di 2000-3000 W/kg sono ottenibili con batterie al litio power oriented. –– costo. I costi per cella e per pacco sono molto differenti. Ad esempio il riferimento [31] cita, rispettivamente per celle e pacchi in tecnologia NCA, 100 e 1000 $/kWh rispettivamente. Le celle LFP sono le più economiche celle al litio, pur mantenendo prestazioni accettabili, e molto superiori a IX Denominato nel riferimento “Exhibit 2”. 256 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata quelle delle celle non al litio. Costi di celle intorno ai 300 €/kWh per celle LFP sono stati osservati dallo scrivente in normali transazioni commerciali avvenute in Italia nel corso del 2013. 7.4.3.5. Sicurezza Gli accumulatori al Litio presentano significativi problemi di sicurezza in quanto in speciali situazione possono sviluppare fuoco o addirittura esplodere. Pertanto il loro esercizio richiede la presenza di un sistema di gestione e supervisione (Battery Management System - BMS) che effettui le seguenti funzioni: –– controlli la temperatura in modo da evitare che essa superi valori di sicurezza, intorno ai 60°, oltre i quali la corrente (che sia di carica o scarica) va immediatamente interrotta. –– faccia in modo che lo stato di carica sia uniforme fra i vari elementi in serie. Questo è ottenuto con metodi detti di equalizzazione della carica che possono essere realizzati in vario modo, ma tutti hanno la caratteristica di caricare selettivamente gli elementi che risultano più scarichi. –– eviti che la tensione e corrente di scarica non oltrepassino i valori massimo e minimo ammissibile rispettivamente. La presenza del sistema di gestione e supervisione ha un impatto non trascurabile sulla complessità e costo delle batterie al Litio, e va quindi tenuta adeguatamente in conto nei calcoli economici. Se il BMS è di solo monitoraggio (Battery Monitoring System), esso, per mezzo della misura di tutte le tensioni di cella, eviterà che ognuna di esse superi i valori limite previsti dal costruttore. Accade infatti che nel tempo la carica presente in ognuna delle celle in serie che costituiscono normalmente una batteria diverga da un valore comune. E questo accade nonostante la corrente che le attraversa, e quindi anche la carica immessa ed estratta, sia la medesima. Esiste però il fenomeno dell’autoscarica delle celle elettrochimiche: nel tempo celle anche mantenute disconnesse da qualunque carico perdono parte della carica per fenomeni chimici interni. L’autoscarica delle batterie al litio è dell’ordine di poche unità percentuali al mese, ma con forti differenze individuali fra le varie celle. In conseguenza della diversità dei valori di autoscarica la carica accumulata nel tempo si differenzia da cella a cella. Se le celle messe in serie sono particolarmente selezionate, la disomogeinizzazione può raggiungere valori elevati (quindi da correggere) anche dopo mesi di esercizio; in altri casi, invece, essa va corretta entro pochi giorni, pena riduzione eccessiva della capacità utilizzabile della batteria. Infatti, quando una batteria contiene celle in serie molto disomogenee in termini di carica accumulata, non si riuscirà a caricare completamente la batteria poiché la carica non può proseguire oltre al punto in cui la tensione sulla cella più carica raggiunge il massimo valore consentito (ad es.: 4,2 V, per le Li-NMC). Analogamente la scarica della batteria deve essere interrotta quando la più scarica fra le celle in serie raggiunge la tensione minima (ad es.: 2,8 V per talune celle Li-NMC). Il BMS si prende cura di monitorare le tensioni di tutte le celle e far sì che i valori limiti di tensione non siano superati. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 257 È evidente come sia fondamentale ripristinare, alla fine, un livello di carica omogeneo fra le celle, per riottenere la piena capacità della batteria. Questo processo è detto di equalizzazione. In taluni casi l’equalizzazione è eseguita durante la manutenzione periodica del veicolo, connettendo la batteria ad un sistema in grado di scaricare (o caricare) selettivamente le varie celle, in maniera da compensare ogni diversità. Oggi però si tende a dotare ogni batteria al litio di un sistema on-line che sia in grado di effettuarne l’equalizzazione senza necessità di connessione ad apparecchiature esterne. I BMS dotati oltre che di capacità di monitoraggio (Monitoring, sempre necessario) anche di equalizzazione (quindi gestione, Management) sono detti Battery Monitoring & Management Systems, o, talvolta BM2S. L’equalizzazione può essere di due tipi: –– passiva –– attiva L’equalizzazione passiva si ottiene predisponendo in parallelo ad ogni cella dei resistori di piccola potenza attivabili da interruttori allo stato solido (solid-state switch). Essi sono attivati per scaricare (con correnti di piccola entità) le celle più cariche, in maniera da raggiungere il bilanciamento della carica con le celle meno cariche. L’equalizzazione attiva si fa cercando di evitare di dissipare energia in eccesso, per migliorare l’efficienza globale del sistema-batteria. Essa può essere realizzata travasando direttamente dell’energia da celle più cariche a celle più scariche, o spostandola temporaneamente in un supercondensatore (che in tal caso fa da buffer energetico), prima di riversarla in altre celle. Sia l’equalizzazione attiva che passiva possono essere effettuate verso fine carica o verso fine scarica. Se ad esempio si effettua equalizzazione passiva a fine carica, quando il BMS si rende conto che una cella sta per raggiungere la sua massima tensione, incomincia a scaricarla, in maniera da poter mantenere più a lungo attiva nell’intera batteria la corrente di carica, e caricare ancora un po’ le celle che in effetti erano meno cariche. Se si esegue l’equalizzazione a fine scarica, invece, quando una delle celle in serie ha raggiunto la tensione minima, si attiva la resistenza di equalizzazione sulle celle ancora non completamente scariche, per scaricarle ulteriormente. Occorre notare che le correnti di equalizzazione sono sempre molto modeste rispetto alla corrente principale di carica/scarica della batteria. Questo consente di mantenere bassi i costi dell’hardware di equalizzazione, sebbene restino sempre delle aggiunte di costo significative per tutte le batterie al litio dotate di equalizzazione. Per quanto riguarda la scelta fra attiva e passiva si può osservare che il sistema di equalizzazione attivo è più costoso, ma consente risparmi energetici lungo la vita della batteria. Pertanto esso verrà scelto in caso di batterie che necessitano di equalizzazione molto frequente; batterie invece costituite con celle che per loro natura richiedono piccoli flussi energetici di equalizzazione saranno invece vantaggiosamente realizzate con sistemi di equalizzazione passiva. 258 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata In definitiva il costruttore può scegliere se realizzare le batterie con celle economiche (quindi poco selezionate dal punto di vista dell’autoscarica) e investire una parte del risparmio nell’adozione di un sistema di equalizzazione attiva, oppure celle di qualità e ben selezionate, da dotare di equalizzazione passiva. Avrà così modo, in funzione dei costi dell’elettronica e delle celle, di minimizzare il costo totale (primo acquisto ed esercizio durante la vita utile) dell’intero sistema. 7.4.4. ACCUMULATORI SODIO-NICKEL CLORO La reazione elementare di questo tipo di batteria converte cloruro di sodio (normale sale da cucina) e nickel in cloruro di nickel e sodio durante la fase di carica: scarica → (7.3) NiCl2 + 2Na ← 2NaCl + Ni carica L’elettrodo negativo è connesso a sodio liquido che si consuma durante la scarica e si ripristina durante la carica; l’elettrodo positivo è connesso ad una miscela di NaCl, NiCl2 e Ni, la cui composizione relativa cambia durante i processi di carica e scarica in accordo con la (7.3). La reazione (7.3) è attiva a temperature intorno a 300 °C, e genera una tensione di circuito aperto di 2,58 V. Non si riportano dettagli realizzativi di questo tipo di batteria in quanto sono particolarmente complessi. 7.5. MODELLI MATEMATICI DI ACCUMULATORI ELETTROCHIMICI E STIMA DEL SOC Modelli matematici di accumulatori elettrochimici possono essere realizzati descrivendo le equazioni elettrochimiche. Questo però ne rende scomodo l’utilizzo, soprattutto da parte degli ingegneri elettrici che devono combinare i modelli prodotti con i sistemi elettrici con cui essi si interfacciano, solitamente descritti attraverso circuiti equivalenti. Di conseguenza la letteratura scientifica si è orientata nella modellazione attraverso circuiti elettrici equivalenti. Semplici circuiti equivalenti di accumulatori elettrochimici sono stati già introdotti nel par.0, e rappresentati ad esempio nella Figura 7.9. Valutiamo ora la rispondenza di un modello di quel tipo ai risultati sperimentali. Riprendiamo le curve riportate qualitativamente in Figura 7.7 e estendiamole alla considerazione di quello che accade prima di t = 0 e dopo t = T, Figura 7.15. Si osserva che all’istante t = 0, in corrispondenza del fronte di crescita della corrente si ha un salto algebrico, correttamente modellabile con una resistenza in un circuito equivalente. Anche il salto algebrico finale è correttamente modellato come una resistenza elettrica. Essendo i due salti differenti, si può attribuire alla resistenza una dipendenza dallo stato di carica, come nella Figura 7.9. Un modello algebrico del tipo di quello raffigurato in Figura 7.9, però, non è in grado di riprodurre il transitorio “di rilascio” della Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica iniziale caduta algebrica transitorio di rilascio U(t) iniziale forza elettromotrice E(SOCi) 259 forza elettromotrice finale E(SOCf) salto algebrico Ufs I(t) T t Figura 7.16: Analisi qualitativa di alcuni elementi della forma della tensione di cella durante un transitorio di scarica, includendo anche le parti antecedenti e successive al transitorio. Figura 7.17: Circuito base per la modellazione dell’accumulatore elettrochimico. tensione: la tensione misurabile adi morsetti di un modello del tipo riportato in Figura 7.9 a raggiunge immediatamente il valore finale pari a E (SOC). Naturalmente i valori dello stato di carica ad inizio e fine carica sono differenti. Se si tratta di una scarica completa a partire da batteria inizialmente completamente carica, sarà SOCi = 1, SOCf = SOC(T) = 0. Perseguendo il fine di migliorare C1 la modellazione dell’accumulatore, im R0 i1 + uC possiamo valutare cosa accade se si R1 aggiunge nel circuito un blocco R-C + im come rappresentato in Fig. 7.16. Analizziamo in questo circuito + u cosa accade per t = T, allorquando E quindi la corrente, essendo inizialmente I, si annulla istantaneamente. Essendosi per t > T im = 0, è: 1 t 1 t uC (t ) = uC 0 + ∫ i1 (t)dτ = uC 0 uC (t)dt 0 C RC ∫0 da cui: duC 1 = uC dt RC (7.4) La (7.4) è, evidentemente risolta da: - t /τ = uC u= con τ RC C 0e e, di conseguenza: u =E uC (t ) =E uC 0e - t /τ L’andamento di u(t), quindi, includendo anche il tratto immediatamente prima la fine della scarica, ha l’aspetto riportato in Figura 7.18. 260 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 7.18: Andamento del transitorio di pausa del circuito di Figura 7.17. Figura 7.19: Circuito evoluto per la modellazione di accumulatore elettrochimico. Figura 7.20: Circuito elettrico equivalente di una cella elettrochimica. Tale andamento riproduce in maniera interessante il transitorio di pausa riportato in Figura 7.16. Si osserva E-uC0 E-uC0 -R0im però che sperimentale della tensione di rilascio non è im riprodotto in maniera molt to accurata da una forma di tipo esponenziale negativo, anche scegliendo i valori di R e C che consentono l’approssimazione migliore C2 C1 possibileX. R0 im Si osserva infatti che se R2 R1 i1 in im si sceglie un’esponenziale + (cioè un valore del prodot+ to RC) con andamenti che u E approssimano la parte terminale del transitorio, la parte iniziale sarà approssimata male, e viceversa. Una migliore approssimaCn C1 zione si ottiene sommando R0 i0 R1 Rn in i1 due esponenziali negative, im + di cui una con costante di tempo veloce, l’altra con co+ Rp u stante di tempo lenta. E(SOC) Un miglioramento della riproducibilità degli andamenti sperimentali si ottiene quindi arricchendo il circuito di Figura 7.18 con un secondo blocco R-C, ottenendo così il circuito rappresentato in Figura 7.19. Naturalmente, come già osservato più volte, gli elementi circuitali vanno intesi tutti dipendenti dallo stato di carica dell’accumulatore, nonché dalla sua temperatura interna. Fra tutti gli elementi riportati nel circuito di Figura 7.19 di gran lunga il più importante dal punto di vista della dipendenza dallo stato di carica è la forza elettromotrice E. In tutte le batterie la E cresce monotonamente al crescere della carica immagazzinata, e questo fatto, di fondamentale importanza, è usato anche dagli stimatori dello stato di carica più semplici: misurare la tensione a riposo della batteria, e correlarla, secondo una legge empirica precalcolata, allo stato di carica. Quest’argomento verrà sviluppato nel Paragrafo 5.4. Introduciamo ora un modello generale della batteria, valido prevalentemente in scarica ma utilizzabile anche in carica, che riassume quanto detto finora e lo completa. E secondo le tecniche illustrate nel seguito sotto il titolo “Valutazione dei parametri dei modelli”. X Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 261 Una rappresentazione generale di questo modello è riportata nello schema di Figura 7.20. Si fanno le seguenti osservazioni: –– il numero di blocchi in generale è n, che può essere zero se il circuito è ridotto alla sola f.e.m. E avente in serie il resistore R0, uno nel caso di presenza di un unico blocco R-C, due o anche più di due. Naturalmente al crescere dell’ordine n cresce sia la precisione che la difficoltà di trovare i valori numerici per tutti i parametri che si introducono. –– È presente il blocco algebrico Rp, che può essere immaginato come un resistore di valore variabile in funzione della tensione ad esso applicata. Questo elemento consente di modellizzare il fatto che l’efficienza coulombica è inferiore all’unità: infatti, nel circuito in cui è presente Rp, solo l’aliquota im, che entra nella forza elettromotrice E, determina fenomeni di accumulo di carica, mentre una parte i0-im viene bypassata da Rp e produce una dissipazione energetica. –– La forza elettromotrice E è posta funzione dello stato di carica della batteria SOC, essendo SOC, come già detto ricavabile da: SOC = 1- Qe 1 = 1CQ CQ t ∫0 im (t )dt –– Sebbene, per semplicità, in Figura 7.20 sia riportata esplicitamente la dipendenza dal SOC della sola E, tale dipendenza va in generale ipotizzata per tutti gli elementi circuitali, come già osservato. La resistenza Rp indica gli effetti delle reazioni parassite della batteria, cioè reazioni che si aggiungono a quella fondamentale del processo di scarica/scarica. In sostanza la corrente i0 si spezza in due rami. La componente im (m sta per “main” cioè principale) che entra in e modellizza gli effetti della reazione principale, e contribuisce quindi alla carica e scarica della batteria, e la corrente ip, invece è una corrente parassita che genera fenomeni indesiderati. Due esempi di reazioni parassite sono i seguenti: –– la reazione di elettrolisi dell’acqua, che si innesca alla fine della carica della batteria al piombo che determina scissione di una parte dell’acqua della soluzione elettrolitica in ossigeno e idrogeno. –– le reazioni che portano ad autoscarica della batteria. In effetti una batteria lasciata a riposo tende a scaricarsi più o meno lentamente, e se nel modello non fosse presente il ramo Rp, questo fenomeno non verrebbe modellizzato in alcun modo. Se Rp è utilizzato per modellizzare la sola autoscarica, il ramo che la contiene può essere riportato in alternativa in parallelo a e(t), senza differenze significative nella modellazione. Moltissimi articoli scientifici mostrano modelli matematici delle celle elettrochimiche riconducibili allo schema di Figura 7.20. Due fra i primi che hanno mostrato i vantaggi di questo tipo di approccio sono stati realizzati dallo scrivente e con la collaborazione dello scrivente, e sono citati in bibliografia [4,6]. Taluni autori, che utilizzano Rp solo per modellizzare l’autoscarica, la denominano Rsd (i pedici da self-discharge) e tracciano il circuito. La dif- 262 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 7.21: Rappresentazione alternativa del modello equivalente di cella elettrochimica. soc Rsd CQ C1 R0 It Cn R1 Rn - uRC1 + - u RCn + u OC= f(soc) It ferenza consiste nel fatto che il circuito della Figura 7.21 esplicita tramite il condensatore CQ la creazione del SOC. In sostanza integra, alle spese di una maggiore complessità strutturale, il circuito di Figura 7.20 e l’eq. (7.0). In questa figura, come d’uso, s’intendono positive le correnti di carica (quindi entranti dal morsetto positivo). È appena il caso di rammentare che la scelta dei riferimenti è arbitraria, ma ad una certa scelta riportata del circuito corrisponde un ben preciso set di segni nelle equazioni descrittive del circuito stesso. In effetti si può verificare facilmente, ancora una volta trascurando per un attimo gli effetti della resistenza Rsd, che il circuito di sinistra determina la relazione: 1 t soc = (t ) soc(0) + it (t )dt (7.5) CQ ∫0 che è equivalente alla (7.0). Infatti se si parte da batteria completamente carica essa diviene: Q 1 t 1+ 1- e soc(t ) = it (t )dt = ∫ 0 CQ CQ La tensione del nodo superiore della rete di sinistra del circuito, è quindi numericamente pari al SOC. Qualunque rappresentazione si utilizza, occorre scegliere il numero di blocchi Ci-Ri da inserire. tale scelta è legata al compromesso complessitàaccuratezza che si vuole realizzare. Nella maggior parte dei casi i ricercatori si limitano a n = 1 o n = 2. In casi estremi taluni utilizzano addirittura n = 0, con il che la dinamica del sistema è solo quella rappresentata dall’evoluzione dello stato di carica, cioè dalla parte sinistra della Figura 7.21. 7.5.1. LIMITI DEI MODELLI FINORA DISCUSSI Nella presente sezione sono stadi discussi modelli di accumulatori elettrochimici molto frequentemente illustrati in letteratura. La struttura di questi modelli è stata introdotta dallo scrivente, quando ancora non molti si interessavano della questione, nel lontano 2000 [4]. Questi modelli sono sufficientemente accurati per frequenze delle grandezze di batteria fino ad alcune centinaia di Hz. Oltre queste frequenze l’im- Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica Figura 7.22: Modello di cella elettrochimica utilizzabile per ampi campi di frequenza (dai mHz ai kHz). 7.5.2. 263 pedenza interna dell’accumulatore mostra un comportamento induttivo, e da circa 1000 Hz in poi l’induttanza normalmente domina rispetto alla parte resistiva dell’impedenza interna (cfr. dati sperimentali in [13] e [35]). Per questa ragione qualora abbia interesse valutare il comportamento dell’accumulatore anche a frequenze sa alcune centinaia di Hz in poi, occorrerà aggiungere al modello anche un induttore in serie. Un ragionevole compromesso può essere quello di limitare il numero di blocchi R-C a uno, ma aggiungere l’induttore in serie. Il modello che ne deriva, adatto per ampi spettri di frequenze, è riportato, con la simbologia usata nella Figura 7.20. Esempi di modelli con impedenza contenente anche parte induttiva sono riportati nei riferimenti [13] e [35]. È utile osservare che essendo Rp responsabile sostanzialmente della corrente di autoscarica, molto inferiore alle correnti di normale funzionamento dell’accumulatore, essa può essere derivata in maniera pressoché equivalente in diversi punti del circuito. Pertanto taluni autori la derivano ai morsetti della cella, altri più a monte, fino a trovarsi rappresentazioni in cui l’autoscarica è derivata direttamente a valle dei morsetti della forza elettromotrice E. Un’ulteriore discussione dell’inclusione dell’induttore in serie nel modello di cella è riportata nella sezione “Analisi spettroscopica” del presente paragrafo. Occorre infine notaC1 re che la modellazione L R i + 0 m i1 accurata di accumuR1 latori elettrochimici im + è attività complessa e oggetto tutt’ora di ricerRp + u che da parte della coE munità scientifica internazionale. Le reti proposte sono in grado di riprodurre i risultati accuratamente, soltanto considerando i vari elementi circuitali (forza elettromotrice, resistenze, capacità) come funzioni dello stato di carica e della temperatura interna della cella, che a sua volta normalmente non è misurata ma stimata sempre sulla base di modelli matematici. Modelli più completi dovranno quindi necessariamente tenere conto di queste dipendenze dei parametri elettrici. Per molte applicazioni si usano modelli semplificati che rinunciano a parte della precisione a favore della semplicità di utilizzo. In particolare il resistore Rp ha una dipendenza complessa da temperatura, stato di carica, nonché dalla tensione ai morsetti stessi della batteria. VALUTAZIONE DEI PARAMETRI DEI MODELLI Nelle pagine precedenti si sono introdotte delle architetture di modelli per accumulatori elettrochimici sotto forma di circuiti equivalenti e se ne sono mostrati gli andamenti che essi sono in grado di descrivere e come sono in grado di riprodurre andamenti sperimentali. Tutti i modelli, però, ed in particolare quelli qui discussi, sono caratterizzati dalla presenza di parametri numerici ossia da valori caratteristici di 264 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata ogni esemplare di accumulatore ma che possono variare da accumulatore ad accumulatore. Essi sono quindi valori numerici che non variano nel tempo durante le simulazioni. Se si usano i circuiti equivalenti sopra discussi considerando i relativi elementi circuitali (resistori, condensatori) come costanti per un dato accumulatore, i parametri sono proprio questi elementi circuitali. Se si usano invece delle funzioni di altre grandezze, ad esempio della temperatura della batteria o del suo stato di carica, essi divengono funzioni, descritte da relazioni a loro volta contenenti dei parametri. Ad esempio buoni risultati si ottengono introducendo una dipendenza del valore della resistenza dell’elemento circuitale denominato R0 dallo stato di carica dell’accumulatore, in modo la resistenza di R0 aumento man mano che la batteria si scarica. Si potrebbe allor in tal caso assumere: R0(SOC) = R00 - R01 ⋅ SOC In questo caso R00 e R01 sono dei parametri del modello. In particolare si può attribuire ad R00 il significato di valore che R0 assume a batteria completamente scarica e R00 - R01 il valore da esso assunto a batteria completamente carica. Al fine di analizzare la problematica dell’iParametri dentificazione dei parametri di un accumulatore elettrochimico in maniera sufficieni(t) temente rigorosa, generalizziamo i modelli Modello introdotti, mediante una rappresentazione u(t) di a(t) Batteria ingresso-uscita del tipo di quella riportata nello schema qui accanto. Secondo questo approccio la corrente e la temperatura ambiente del modello sono considerati i suoi ingressi, mentre la carica estratta Qe(t) e la tensione sono le uscite. Se il modello non contiene un modello termico dell’accumulatore elettrochimico, si può semplicemente assumere θ = θa assumendo quindi che all’interno l’accumulatore abbia la medesima temperatura dell’ambiente in cui esso è inserito; altrimenti il modello può contenere una parte in grado di stimare la temperatura interna a partire da θa(t) e i(t), e i valori degli elementi circuitali interni essere calcolati con riferimento alla temperatura interna θ invece che a quella dell’ambiente. Con un dato set di parametri, noto l’andamento i(t) e θa(t), il modello è in grado di determinare u(t), Qe(t), θ(t). I quali presenteranno una certa diversità dai valori sperimentali. Per comprendere come si può operare per trovare un set di parametri del modello che consentano una buona interpolazione di un certo set di dati sperimentali, indichiamo con p un vettore i cui elementi sono tutti i parametri del modello. Se um(t) indica la tensione misurata e u(t,p) la tensione ottenibile, in risposta del medesimo input del sistema reale (quindi degli stessi valori di i(t) e θa(t)) occorre trovare un indicatore dell’errore, che sia in grado di misurare la distanza fra il valore sperimentale e quello ottenuto dalla simulazione. Ad esempio potrà essere: Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 1 T err= ( x (t ), y (t )) err (= x (t ), y (t )) 265 t1 +T 2 ∫ ( x(t ) - y (t )) dt differenza quadratica media (7.6) t1 1 T t 1 +T ∫ | x (t ) - y (t )|dt differenza assoluta media (7.7) t1 A quel punto si potrà valutare erru ( um (t ),u(t, p)) (7.8) La (7.8) è una funzione nelle variabili p1, p2, … che può essere minimizzata con un algoritmo di minimo vincolato di funzioni a più variabili. L’ottimo dev’essere ovviamente vincolato in quanto sussistono molti vincoli sui valori dei parametri. Nell’esempio precedente in cui i parametri erano R00 e R01 ovvi vincoli sono: R00 >0 R01 > 0 R00 - R01 >0 La ricerca di questo minimo è normalmente iterativa e prevede l’esecuzione ripetuta di simulazioni, secondo lo schema riportato nella Figura 7.23. Ad ogni iterazione sulla base del valore calcolato dell’errore l’algoritmo di calcolo del minimo definisce un nuovo set di parametri che viene dato in pasto al modello per l’iterazione successiva. Il processo si arresta quando l’algoritmo ritiene di aver trovato il minimo dell’errore. Figura 7.23: Schema per la determinazione dei parametri del modello dell’accumulatore. parametri Simulatore del modello i(t) um(t) u(t) err() Algoritmo di calcolo di minimo vincolato a(t) dati sperimentali È comunque evidente che il finale, cioè il vettore p che risolve la: erru ( um (t ),u(t, p)) = min Dipende dalla struttura scelta per caratterizzare la funzione errore. 7.5.3. ANALISI SPETTROSCOPICA Una maniera efficace per caratterizzare il comportamento degli accumulatori elettrochimici è l’analisi dell’impedenza interna non nel dominio del tempo, come è stato fatto nelle precedenti sezioni del Paragrafo 5, ma nel dominio della frequenza, attraverso spettroscopia. I risultati che si ottengono oltre che essere congruenti con quanto finora esposto, si interpretano in maniera molto efficace in termini dei circuiti 266 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata equivalenti sopra introdotti, se le analisi spettroscopiche sono interpretate nel piano di Nyquist (cioè piano di Gauss dell’impedenza interna). Come punto di partenza nell’analisi di quanto ci si può attendere dal riportare sul piano di Nyquist l’impedenza interna di un accumulatore elettrochimico, così come descritta dal modello di Figura 7.20 o 7.21, consideriamo l’andamento in frequenza dell’impedenza Z del parallelo fra un resistore di resistenza R e di un condensatore di capacità C: = Z R( - j / ( ωC ) - jR = R - j / (ωC ) ω RC - j Consideriamo ora la seguente impedenza ausiliaria: Z' =Z - Figura 7.24: Diagramma di Nyquist di un’impedenza costituita da un parallelo R-C. Figura 7.25: Diagramma di Nyquist di un’impedenza costituita da due blocchi R-C e che R1C1 << R2C2. R R j + ω RC = 2 2 j - ω RC L’impedenza Z′ ha modulo costante al variare di ω e quindi il suo diagramma di Nyquist è costituito da una circonferenza di centro l’origine. Da queste semplici considerazioni discende il diagramma riportato in Figura 7.24, per un’impedenza costituita da un semplice parallelo R-C. Dalle considerazioni appena svolte si Im(Z) Z può anche desumere C l’andamento dell’imR/2 pedenza interna di R una rete caratterizzata da due blocchi Z() R-C, con la condizione che R1C1 << R2C2. Occorrerà infatti sommare sul piano di R Re(Z) Gauss i vettori Z1 e Z2, considerando che la condizione ora introdotta crea un certo disaccoppiamento fra le due semicirconferenze. Infatti per frequenze molto alte rispetto a 1/(R2C2) Z2 si comporta approssimativamente come un’impedenza nulla, mentre Z coincide approssimativamente con Z1; per frequenze molto più basse di questo valore, invece Z1 si comporta come un resistore (di valore R1) e Z è circa pari a Z2 + R1. La situazione diviene quindi quella rappresentata in Figura 7.25. Im(Z) R1/2 Z2 R2/2 Z1 Z2 R2 R2 C2 R1 Z1 C1 R1 Re(Z) Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 267 Infine, se si aggiunge R0, l’impedenza avrà un andamento simile a quello di Figura 7.25, ma traslato verso destra di R0. Queste considerazioni consentono di interpretare agevolmente i risultati sperimentali ad esempio quello riportato in Figura 7.26, ricavato, con qualche semplificazione dall’articolo [13]. Il diagramma si riferisce ad una batteria al litio di costruzione europea, 3.6 V, 5 Ah. Figura 7.26: Z2 Im(Z) (m) Diagramma di Nyquist sperimentale con interpretazione in termini circuitali (il diagramma è ottenuto semplificando analoga figura del riferimento [13]. Z1 C2 C1 R2 R0 R1 L 163 mHz -50 163 mHz -25 22 mHz 22 Hz 0 R0 2.1 mHz 50 100 2.1 mHz SOC=1.0 SOC=0.3 150 Re(Z)/m 200 Questo andamento può essere attribuito ad un’impedenza interna avente la rappresentazione circuitale del tipo di quella riportata nella medesima figura, e coincidente con quella presentata nelle Figura 7.20 e 7.21, con la sola aggiunta dell’induttore L. Infatti: –– alle frequenze più basse (sotto i 20 mHz) l’induttore non ha alcun effetto, e il blocco R1C1 si comporta sostanzialmente come un resistore puro pari a R1; –– alle frequenze intermedie il blocco R2C2 si comporta come un corto circuito (essendo per effetto di C2 la tensione ai suoi capi trascurabile rispetto a quella degli altri elementi in serie con essa) ma è ancora trascurabile l’effetto di L. L’impedenza si comporta quindi come la somma di R0 più l’impedenza complessa dovuta al blocco R1C1; –– alle frequenze di qualche decina di Hz l’impedenza di R2C2 è piccola in modulo ed essenzialmente immaginaria, e domina sull’impedenza il valore di R0; –– alle frequenze più alte L cresce progressivamente divenendo dominante oltre i 300 Hz e rendendo la caratteristica complessiva dell’impedenza ti tipo induttivo. A tali frequenze occorre ipotizzare inoltre un condensatore in parallelo anche su R0, in quanto si osserva che al di sotto di 22 Hz la parte resistiva dell’impedenza continua a diminuireXI. Si osserva come il diagramma sia fortemente modificato dal variare dello stato di carica dell’accumulatore. Questa differenza costituisce la base per ottenere stimatori di stato di carica dell’accumulo basati su misure di Questa forte riduzione della parte resistiva dell’impedenza al di sotto della semicirconferenza di sinistra non sempre è osservata (ad es.: il diagramma di Figura 6 del riferimento [35]). L’andamento di Figura 25 è ancora ben sipiegabile con i circuit presentati in questo paragrafo, se si ipotizza la presenza di tre blocchi R-C. in aggiunta alla R0. XI 268 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata frequenza, in alternativa alle tecniche basate sul dominio del tempo, e descritte nel Paragrafo 5.4. Si può quindi concludere questo sottoparagrafo affermando che anche la analisi spettroscopiche confermano la validità dei modelli. In più, esse consentono di avere un’indicazione chiara dell’andamento dell’impedenza complessa alle varie frequenze, e questo può essere utile nella valutazione nel dominio della frequenza dell’interazione accumulatore-invertitore. 7.5.4. STIMA DELLO STATO DI CARICA Uno dei problemi più sentiti per le applicazioni veicolari, consiste nella stima dello stato di carica della batteria presente a bordo. La stima del SOC non è essenziale per le batterie di alimentazione del sistema ausiliario di bordo, poiché esse sono gestite, come si dice in tampone, con il che la batteria se è scarica viene caricata, se è carica resta carica. La stima dello stato di carica è molto importante per una corretta gestione dei veicoli ibridi, poiché è opportuno che la batteria abbia sempre energia sufficiente per fornire assistenza nelle accelerazioni, e non sia completamente piena per esser in grado di accettare carica durante le decelerazioni a recupero di energia, ed infine non va mai sovrascaricata per evitarne un invecchiamento precoce. La stima dello stato di carica diventa addirittura critica per i veicoli a propulsione elettrica, per i quali un’errata valutazione porterebbe l’utente a dover abbandonare il veicolo, né è possibile utilizzare troppi margini di sicurezza poiché la limitata autonomia di questo tipo di veicoli richiede di sfruttarne una parte considerevole nell’uso quotidiano. La maniera più semplice per stimare lo stato di carica della batteria di bordo consiste nell’utilizzare la definizione del SOC; e quindi, partendo dall’eq. (7.0), fare: SOC = (t ) SOC(0) - 1 CQ t ∫0 im (t)dt (7.9) in cui im è la corrente così denominata in Figura 7.20. Quando si fanno integrali però, con l’integrazione si accumulano anche gli errori. Un errore anche piccolo nella misura di im, integrato per giorni e giorni può portare a valori completamente errati della stima di SOC. È quindi indispensabile provvedere ad un meccanismo di correzione di tale errore. Una tecnica particolarmente semplice consiste nel resettare periodicamente l’errore sulla base della correlazione fra la tensione e(t) e SOC. Quando la batteria sta a riposo per un tempo sufficientemente lungo, infatti, la tensione ai morsetti coincide con la e, (che possiamo indicare con il simbolo maiuscolo E, essendo ormai costante). Dalla conoscenza di E, e della relazione funzionale di legame fra E e il SOC si può aggiornare il valore del SOC calcolato durante il funzionamento attraverso la e(t). In molti casi l’aggiornamento può essere eseguito alla fine della giornata, quando il veicolo è inattivo. In effetti, molte batterie presentano fenomeni dinamici che si esauriscono molto lentamente, e pertanto per valutare la E occorre aspettare un tempo piuttosto lungo (ad es.: 30 min.). Pertanto la pausa serale appare idonea. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 269 Figura 7.27: Esempi di correlazione OCV-SOC: a) di batteria al piombo, b) di batteria al LFP; c) di batteria al Litio di tipo NMC. In Figura 7.27XII sono riportate alcune curve di correlazione OCV-SOC. Si osserva che le curve (a) e la (c) sono idonee alla determinazione del SOC, mentre la curva (b) avendo un tratto pressoché costante molto ampio, non consente tale determinazione. Per tale tipo di batterie la correzione dell’errore di valutazione del SOC con la sola correlazione con l’OCV non è utilizzabile, e occorre ricorrere ad altre tecniche su cui qui si sorvola. 7.6. I SUPERCONDENSATORI Il nome di questi dispositivi ricorda quello dei condensatori ordinari, ed in effetti il loro funzionamento li ricorda da vicino. La differenza più evidente consiste nel fatto che i supercondensatori hanno capacità enormemente superiore a quelle dei condensatori ordinari, ad esempio quelli elettrolitici, potendo raggiungere anche le centinaia o anche le migliaia di farad. Talvolta è usato, come sinonimo di supercondensatori, il termine ultracondensatori. In ambito internazionale, in effetti, sono parimenti comuni i termini Supercapacitor e Ultracapacitor. I supercondensatori vengono normalmente classificati in tre famiglie: i condensatori a doppio strato elettrico, i condensatori elettrochimici e quelli ibridi. I corrispondenti termini della letteratura internazionale sono electric double-layer capacitors (EDLC), Electrochemical capacitors, e hybrid capacitors. XII Per le sigle LFP e NMC (vedi Par. 4.3.3). 270 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata I supercondensatori sono polarizzati, e devono quindi essere utilizzati mantenendo ai morsetti la corretta polarità. I supercondensatori EDLC non si danneggiano se utilizzati a polarità rovesciata, sebbene il loro comportamento in tal caso non sia ottimale. Il rovesciamento della polarità deve essere eseguito con opportune cautele, su cui qui si sorvola. L’energia massima che un supercondensatore può accumulare, come ogni condensatore, è: 1 2 2 E max = CU max Quando un supercondensatore è utilizzato come accumulo di energia, peraltro, non tutta questa energia è in pratica utilizzabile: questo perché l’energia va assorbita ed erogata con un certo livello di potenza e quindi non è pratico utilizzare tensioni molto basse, che comportano quindi basse potenze massime di trasferimento: Pmax (U ) = I max U Essendosi indicata con Imax la massima corrente utilizzabile per via di limitazioni del supercondensatore stesso o del convertitore al quale esso è connesso. Una scelta molto frequente è quella di utilizzare il condensatore nella finestra di tensione (Umax/2-Umax), considerandolo quindi scarico quando la sua tensione raggiunge Umax/2. In tal caso l’energia utilizzabile dell’accumulo è quella erogata durante la transizione da Umax a Umax/2: 1 2 1 2 1 2 2 2 E u =CU max C(U max / 2)2 = 0,75E max = 0,75 × CU max 7.6.1. (7.10) CONDENSATORI A DOPPIO STRATO ELETTRICO (EDLC ) Una rappresentazione del modus operandi dei supercondensatori a doppio strato può essere dedotto prendendo a riferimento lo schema semplificato riportato nella Figura 7.28, ispirata ad analoga figura di [5]. Gli elettrodi sono costituiti da lamine di alluminio sopra i quali viene depositato un materiale poroso in modo che costituisce il cosiddetto substrato. La superficie costituita sommando le piccole superfici dei micropori del substrato diviene la superficie attiva equivalente del condensatore, ed è molto più elevata della superficie degli elettrodi metallici. Si raggiungono facilmente valori superiori a 1000 m2/g (oggi un valore comune è 2000 m2/g [24]). I due elettrodi sono immersi in una soluzione elettrolitica, ad es.: KOH o materiale organico, fra cui è usato l’acetonitrile [24, 33]. Se agli elettrodi è applicato un potenziale, gli ioni carichi positivamente sono attratti dall’elettrodo negativo e viceversa, posizionandosi nei pori del substrato. Il separatore ha una funzione meccanica come quello già citato nella Figura b relativo alle celle elettrochimiche, quindi di evitare il contatto elettrico diretto degli elettrodi. 272 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata in Tabella 7.2 (dati ancora da [5]). È riportata anche la densità del substrato in quanto, a parità di geometrie, ha un effetto determinante sulla capacità massica. massa volumica substrato (g/cm3) soluzione elettrolitica capacità massica (F/g) capacità volumica (F/cm3) Carbone 1 (carbon cloth) 0.35 KOH 200 70 Carbone 2 (carbon black) 1.0 KOH 95 95 Particelle di SiC 0.7 KOH 175 126 organico 100 72 RuO2 anidro 2.7 H2SO4 150 405 RuO2 idrato 2.0 H2SO4 650 1300 substrato Tabella 7.2: Alcuni dati caratteristici ottenibili dai supercondensatori in funzione della composizione interna. La tensione massima Umax correntemente in uso per i condensatori EDLC aventi acetonitrile come elettrolita è di circa 2,7 V. Valori più alti, fino a 5 V, sono considerati possibili [24], con i relativi vantaggi in termini di energia accumulabile (si ricordi la (7.10)). Sono usati anche supercondensatori EDLC con elettrolita acquoso, per i quali Umax è molto più modesta: circa 1.0 V. 7.6.2. PSEUDOCONDENSATORI Nei condensatori a doppio strato elettrico l’energia è immagazzinata sotto forma di campo elettrico, e il meccanismo di accumulo è simile a quello dei condensatori ordinari, sebbene le capacità ottenibili siano molto più elevate per effetto, come si è osservato della ridotta distanza equivalente interelettrodica e della aumentata superficie equivalente. In essi, quindi non avvengono fenomeni chimici di trasformazione nella materia. Di conseguenza la variazione della tensione durante il processo di carica è pressoché lineare con la carica accumulata dal condensatore, ed il comportamento è quindi assimilabile, dal punto di vista dei modelli elettrici equivalenti a quello dei condensatori con resistenza interna. Negli pseudocondensatori (talvolta denominati condensatori elettrochimici basati sulla pseudocapacità), invece, l’accumulo di energia avviane attraverso trasformazioni chimiche della materia negli elettrodi, secondo procedimenti tipici degli accumulatori elettrochimici (cfr. ad es.: gli articoli [3] e [38] pubblicati a grande distanza di tempo, sempre su questo argomento). Pertanto il rapporto fra tensione e corrente: C pseu = Q U Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 273 non è una vera e propria capacità di condensatore e viene pertanto spesso chiamata “pseudocapacità”. Tre processi elettrochimici sono stati utilizzati per realizzare l’accumulo di energia negli elettrodi di condensatori elettrochimici: –– adsorbimento di ioni provenienti dalla soluzione elettrolitica. –– reazioni redox che coinvolgono ioni presenti nella soluzione elettrolitica. –– drogaggio reversibile di materiale polimerico conduttivo entro gli elettrodi. I primi due processi sono essenzialmente superficiali e quindi il loro effetto dipende dall’area superficiale del materiale dell’elettrodo, mentre il terzo è di massa, e quindi meno dipendente dalla superficie elettrodica. La distinzione fra gli pseudocondensatori e gli accumulatori elettrochimici veri e propri è alquanto sottile, in conseguenza del fatto che in entrambi l’accumulo avviene attraverso processi elettrochimici e non il campo elettrico. Per questa ragione taluni autori (ad es.: [24]) non riconoscono gli pseudocondensatori come tipologia di supercondensatori a sé stanti, ma classificano i supercondensatori nelle sole due famigli di EDLC e condensatori ibridi. 7.6.3. CONDENSATORI IBRIDI I supercondensatori possono essere realizzati con uno degli elettrodi che sfrutta la capacità del doppio strato elettrico, l’altro che sfrutta la pseudocapacità. I condensatori ibridi hanno energie specifiche superiori a quelle dei condensatori EDLC, ma un comportamento della tensione molto più discosto alla linearità tipica dei condensatori ordinari e, con sufficiente approssimazione dei condensatori EDLC. Questo può essere osservato dai diagrammi di Figure 7.29 e 7.30, ricavate dal riferimento [5]. L’andamento qualitativo della tensione riportata in Figura 7.29 è applicabile anche ai molto più frequenti condensatori EDLC in elettrolita organico anche se in questo caso la tensione massima è di 2.5-2.7 V (a seconda di modello e costruttore). Figura 7.29: Tipico andamento di tensione e corrente durante carica e scarica di un supercondensatore EDLC (da [5]). Il valore della tensione è tipico di elettroliti acquosi, mentre la forma è la medesima anche per supercondensatori con elettrolita organico. 274 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 7.30: Tipico andamento di tensione e corrente durante carica e scarica di un supercondensatore ibrido. (da [5]). Appartengono alla famiglia dei condensatori ibridi i cosiddetti condensatori al litio (lithium-ion capacitors) che usano un elettrodo basato sulla tecnologia EDLC sull’elettrodo positivo e un elettrodo negativo costituito da carbone drogato con litio. In tal modo si ottengono energie massiche molto superiori a quelle dei normali supercondensatori EDLC, sebbene ampiamente inferiori a quelle dei normali accumulatori al litio. 7.6.4. MODELLI MATEMATICI DEI SUPERCONDENSATORI EDLC Al fine di prevedere il comportamento elettrico di sistemi contenenti supercondensatori occorre conoscere una descrizione del loro funzionamento, ad esempio in forma di equazioni. Peraltro, trattandosi di componente elettrico, risulta molto più comodo per le applicazioni rappresentare i modelli matematici che si propongono per i supercondensatori attraverso circuiti elettrici equivalenti. In letteratura esistono molte pubblicazioni riguardanti la modellazione attraverso circuiti elettrici soprattutto per condensatori operanti sulla base del doppio strato elettrico e su di essi si concentrerà l’attenzione di questo paragrafo. Il livello di accuratezza e di complessità di un modello adeguato alle varie circostanze dipende dagli obiettivi che con il modello si intendono perseguire. Molti modelli, ad esempio ricercano una corretta riproduzione della risposta in frequenza in campi di frequenza molto elevati, dall’Hz fino alle decine di kHz [Figura 7.2 di 22]. In questo paragrafo, invece si propone una semplice analisi di modelli matematici di supercondensatori EDLC basati sull’obiettivo di riprodurre nel dominio del tempo con sufficiente accuratezza l’andamento tensione/ corrente durante un semplice ciclo di carica/scarica. L’andamento sperimentale della tensione di un condensatore avente Umax = 15 V, come misurato nei laboratori dell’Università di Pisa e riportato nell’articolo [25] è riportato, assieme alla corrente (misurata positivamente quando entrante dal terminale positivo) in Figura 7.31. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 277 Modelli più complessi possono riprodurre ancora più accuratamente gli andamenti sperimentali, ma per molte applicazioni questo livello di dettaglio è sufficiente. Una disamina sufficientemente completa dei modelli proposti dai vari autori è riportata in [22]. In tutte le simulazioni proposte nel presente paragrafo la determinazione dei parametri di ogni modello considerato è stata effettuata secondo la tecnica illustrata nel sottoparagrafo “Valutazione dei parametri dei modelli” del Paragrafo 7.5. 7.7. ACCUMULO DELL’ENERGIA IN VOLANI Nel Paragrafo 7.1. è stata proposta una breve rassegna delle possibilità di accumulo di energia elettrica. In particolare si è osservato come l’accumulo possa venire realizzato mediante conversione dell’energia in forma non elettrica. Uno dei sistemi di questo tipo è costituito dagli accumulatori elettrochimici. Un’altra possibilità, già rammentata nel Paragrafo 7.1. riguarda l’accumulo di energia in forma di energia cinetica in volani. Questo tipo di accumulo dell’energia è stato studiato già da molti anni per applicazioni veicolari, e ben si può adattare a veicoli di grandi dimensioni come i veicoli per la trazione elettrica a guida vincolata. L’energia accumulabile in un volano è, ovviamente: 1 2 2 E max = C Ω max In cui con Ω si è indicata la velocità angolare del volano. Il volano vero è proprio è collegato ad una macchina elettrica la quale a sua volta è connessa con un convertitore elettronico (inverter) a frequenza variabile. Quando un volano è utilizzato come accumulo di energia, peraltro, non tutta quest’energia è in pratica utilizzabile. Infatti essa va assorbita ed erogata con un certo livello di potenza e quindi non è pratico utilizzare velocità molto basse, che comportano quindi basse potenze massime di trasferimento: Pmax (Ω ) = C max Ω Essendosi indicata con Cmax la massima coppia utilizzabile per via di limitazioni del volano stesso o della macchina elettrica alla quale esso è connesso. Una scelta ragionevole è quella di utilizzare il volano nella finestra di velocità (Ωmax/2-Ωmax), considerandolo quindi scarico quando la sua velocità raggiunge Ωmax/2. In tal caso l’energia utilizzabile dell’accumulo è quella erogata durante la transizione da Ωmax a Ωmax/2: 1 2 1 2 1 2 2 2 E u =C Ω max C(Ω max / 2)2 == 0,75E max 0,75 × C Ω max (7.11) Si può facilmente osservare l’analogia con la relazione (7.10). L’accumulo di energia in volani da installare a bordo di veicoli è argomento studiato da molti anni. Vedasi ad esempio la pubblicazione [2] del 1996 o, addirittura le applicazioni sperimentali di accumulo in volano proprio nel settore dei veicoli a guida vincolata di utilizzo urbano, risalenti fino al 1860 e al 1948, come riportato in [36]. 282 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata È questo ad esempio il caso dei veicoli elettrici ibridi stradali, per i quali normalmente si ha la marcia in modalità ibrida, ma in taluni casi si può richiedere la modalità di marcia puramente elettrica, ad esempio per l’attraversamento di centri storici cittadini, o per brevi percorsi in cosa in città o in autostrade molto congestionate. Nel caso dei veicoli a guida vincolata il sistema di accumulo può essere utilizzato in maniera analoga a quella dei veicoli ibridi stradali: normalmente è usato con microscariche per assistere alle accelerazioni e microcariche durante la frenatura rigenerativa, mentre scariche più profonde possono essere utile per fornire energia dli alimentazione di emergenza quando la fonte principale di energia venisse a mancare. In questo tipo di funzionamento del sistema di accumulo, che chiameremo “funzionamento ibrido” occorrerà dimensionare il sistema di accumulo in modo che: –– abbia sufficiente capacità di erogare potenza per le accelerazioni di breve durata (ad es.: per durate di 10 s). –– abbia sufficiente capacità di assorbire potenza per le frenate rigenerative, di breve durata (ad es.: per durate di 10 s). –– abbia sufficiente energia per affrontare le necessità di marcia solo con alimentazione da parte dell’accumulo previste da progetto (marcia in puro elettrico dei veicoli ibridi stradali, marcia di emergenza nel caso di veicoli a guida vincolata). Al crescere dello stato di carica aumenta la capacità di erogare potenza ma diminuisce quella di assorbirla, e viceversa. Pertanto, nota la potenza (ad es.: da erogare o assorbire per 10 s continuativi), la capacità di far fronte ad erogazione ed assorbimento con quella potenza individua un intervallo utile dello stato di carica dell’accumulo: ad esempio 30-70 %. All’interno di quello stato di carica occorrerà verificare poi che l’energia sia sufficiente al soddisfacimento delle specifiche di marcia veicolo con alimentazione proveniente dal solo sistema di accumulo. La valutazione del sistema di accumulo sulla base delle tre specifiche sopra riportate conduce alla scrittura di diagrammi di Ragone modificati, che consentono un’agevole analisi grafica della situazione. In questo documento questi diagrammi saranno denominati di Ragone-Stewart. L’aspetto visivo di tali diagrammi è simile a quello dei diagrammi di Ragone ordinari; differente è però l’interpretazione delle grandezze sugli assi: –– in ascissa di ha ancora la potenza massica, ma la potenza va intesa come la massima potenza P̂ continuativamente erogabile per un tempo prefissato T̂ (ad es.: 10s). –– in ordinata si ha ancora l’energia massica, ma l’energia va intesa come l’energia continuativamente erogabile ad una corrente prefissata (ad es. la corrente di scarica completa da carica completa in 1 h, la quale è spesso coincidente con la corrente nominale dell’accumulatore), con la condizione aggiuntiva che durante tale scarica deve essere possibile, in qualunque momento, attivare un’ulteriore scarica o carica a P̂ per un tempo T̂ . Per quanto riguarda il secondo punto, è importante specificare che il transito di P̂ va considerato sia in carica che in scarica. Il limite in carica determinerà il massimo SOC utilizzabile, quello in scarica il minimo. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 283 Per approfondimenti sul diagramma di Ragone Stewart si raccomanda il riferimento [24] in cui tale tecnica è illustrata in dettaglio ed utilizzata per valutazioni di confronto fra diversi sistemi di accumulo. 7.8.2. SELEZIONE DI UN SISTEMA DI ACCUMULO SULLA BASE DELLE SPECIFICHE TECNICHE La selezione di un sistema di accumulo, come di un qualsiasi sistema ingegneristico, deve partire dalle specifiche tecniche che il sistema deve affrontare. Come si è visto nel precedente paragrafo riguardante i diagrammi di Ragone, un buon punto di partenza consiste nelle richieste di potenza e di energia che sono richieste al sistema di accumulo. Funzioni che possono essere richieste al sistema di accumulo, nel campo della trazione elettrica a guida vincolata sono, tipicamente le seguenti: –– funzionamento di carica/scarica ad alta potenza/bassa energia (microcicli). Questo è il caso in cui al sistema di accumulo venga richiesta la capacità di assorbire energia elettrica durante le frenate ed erogarla per fornire un contributo aggiuntivo di potenza durante le accelerate. Il rapporto energia/potenza in questi casi varia da alcuni secondi ad alcune decine di secondi; –– funzionamento in marcia puramente elettrica. Nel caso di veicoli a guida vincolata questo tipo di funzionamento può essere ipotizzato per attraversamento di tratti urbani privi di linea di contatto, o per veicoli aventi scopi speciali, come ad esempio veicoli di manovra di stazione per uso notturno. In questi casi il rapporto energia/potenza varia da alcuni minuti ad alcune decine di minuti; –– funzionamento di alimentazione di riserva/emergenza. Questo tipo di funzione può essere ipotizzata sia con installazione del sistema di accumulo a bordo del mezzo di trazione, sia a terra, con alimentazione dei mezzi di trazione attraverso la linea di contatto. In questo caso il rapporto potenza/energia, rispetto al precedente caso è molto più basso. Anche in questi casi il rapporto energia/potenza varia da alcuni minuti ad alcune decine di minuti; –– una combinazione delle precedenti funzioni. Partendo dalle specifiche occorre procedere alla seguente sequenza di attività: a. scegliere la tipologia di accumulo; b. scegliere la famiglia all’interno della tipologia considerata; c. determinare la capacità e il numero delle celle; d. effettuare simulazioni numeriche del sistema comprendente l’accumulo; e. determinare l’ingegnerizzazione del sistema di accumulo. 7.8.2.1. Scegliere la tipologia di accumulo Dal diagramma di Figura 7.38 proviene il suggerimento naturale di considerare per la Funzione 1) sopra elencata dei supercondensatori; per tutte le altre funzioni sono adatte le batterie al litio o un sistema di accumulo ibrido batteria (non necessariamente al litio) - supercondensatore. Occorre Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 285 in caso di indisponibilità dell’alimentazione ordinaria, evitando così fenomeni di panico e altri tipi di disservizi. In questi casi può essere opportuno effettuare la valutazione del doppio servizio di potenza/energia su diagrammi di Ragone-Stewart. 7.8.2.3. Determinare la capacità ed il numero di celle Una volta determinata potenza ed energia del sistema di accumulo il problema immediatamente successivo è scegliere il numero e la capacità delle celle che lo comporranno. Si rammenta qui che un sistema di accumulo è normalmente costituito dalla composizione di un notevole numero di celle (potendo esse raggiungere le migliaia), secondo connessioni serie/parallelo per aumentare rispettivamente la tensione e la corrente ai morsetti. Il caso di gran lunga più frequente è quello della semplice connessione in serie in quanto le correnti erogabili dalle singole celle possono essere agevolmente di centinaia di ampere, adeguate quindi alle necessità, mentre le tensioni, dell’ordine di pochissimi volt (al massimo 3-4 per cella) sono sempre inadeguate alla realizzazione di sistemi di accumulo di potenza ed energia adeguate alla necessità dei veicoli. Pertanto, per semplicità ci si riferirà qui al semplice caso di sistema di accumulo costituito da n celle disposte in serie. Si può con buona approssimazione affermare che: E = nE1 P = nP1 (7.12) in cui E, P, E1, P1 sono potenza ed energia dell’intero sistema e della singola cella rispettivamente. Infatti la riduzione di potenza dovuta alla presenza della resistenza delle connessioni può essere normalmente trascurata e a maggior ragione può esserlo l’energia in essa dissipata. Stanti le (7.12), il problema della determinazione della capacità e del numero di celle per dati E e P appare indeterminato: si possono scegliere sistemi di accumulo con molte celle di grande potenza ed energia specifica o, viceversa, poche celle più piccole. La scelta del numero di celle viene quindi normalmente effettuata sulla base del livello di tensione che si vuole raggiungere del sistema di accumulo. Tre soglie di tensione massima sono particolarmente significative: –– 60 V. Questa soglia è particolarmente importante dal punto di vista della sicurezza in quanto caratterizza il valore massimo considerato accettabile, per applicazioni stazionarie, a realizzare sistemi a “sicurezza intrinseca” XIII, che consentono di ridurre fortemente le precauzioni contro i contatti diretti e indiretti. Anche a bordo dei veicoli questa soglia tende oggi ad essere assunta come riferimento di sicurezza intrinseca del sistema DC. –– 400-450 V. Questa soglia rende possibile realizzare i convertitori con i quali la batteria è interfacciata con tecnologia di componenti elettronici progettati per una tensione massima di 600 V. XIII Ci si riferisce qui alla soglia che definisce il sistema SELV nella norma CEI 64-8. 286 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– 800-900 V. Questa soglia rende possibile realizzare i convertitori con i quali la batteria è interfacciata con tecnologia di componenti elettronici progettati per una tensione massima di 1200 V. Pertanto per applicazioni di non grande potenza, e per le quali la semplicità della gestione della sicurezza è importante, si sceglieranno tensioni massime di sistema non superiori a 60 V. Per applicazioni di potenza media si utilizzeranno tensioni massime non superiori a 400 V, mentre per applicazioni di più alta potenza (ad es.: centinaia di kW) potrà risultare opportuno utilizzare sistemi di accumulo aventi tensione massima di 800 V. In tutti e tre questi casi la tensione massima verrà tenuta non di molto inferiore ai valori limite sopra riportati, per ridurre le correnti circolanti, e quindi le perdite e/o peso ingombro e costo dovuti alle connessioni conduttive fra celle e fra sistema di accumulo e convertitore. Una volta scelto il livello di tensione, il numero di celle n è agevolmente determinato. Se ad esempio si assume Umax = 400 V, e si considerano celle al litio NMC le quali a fine carica non superano mai tensioni di 4.2 V/cella, il numero di celle n sarà 94-96. Noto n, le (7.12) consentono di determinare E1 e P1. Per passare da energia e potenza della singola cella alla relativa capacità nominale, si può far uso della relazione (7.12) che mette in relazione la tensione media di scarica alla capacità erogata. I cataloghi dei costruttori forniscono andamenti della tensione di scarica a corrente costante a vari valori di corrente, sulla base dei quali di può agevolmente determinare Um (sia par scariche lente, che determinano E, che per scariche veloci, che determinano P) e quindi, infine: Q1E = E1 / U mE Q1P = P1Tsca / U mP Le celle da considerare per il passaggio successivo del processo di dimensionamento avranno quindi capacità tale da garantire l’erogazione di Q1E in un tempo di scarica paragonabile al tempo per il quale è stata valutata E1 e Q1P per un tempo di carica per il quale è stata valutata P1. Questo comporta normalmente capacità nominali Cn superiori sia a Q1E che a Q1P. Può ad esempio capitare che il requisito relativo all’energia è relativo ad una scarica della batteria in 20 m (caratteristico di un’alimentazione di emergenza o dell’attraversamento idi un tratto urbano privo di linea di contatto) mentre il requisito della potenza è relativo ad esempio ad un’accelerata, con un tempo di scarica quindi di 10-30s. La capacità nominale di un accumulatore elettrochimico è riferita, come si è già discusso nel Paragrafo 7.3.5, ad un tempo di scarica Tn. Per accumulatori moderni, spesso pensati ad applicazioni veicolari è spesso scelto dal costruttore Tn = 1h XIV. Ne consegue che, nel caso molto frequente in cui T1 < Tn e T2 < Tn La capacità nominale dell’accumulatore sarà superiore a Q1E > Q1P. In passato invece venivano considerati Tn di 5 o 10h, i quali, ovviamente implicano valori di Cn più elevati rispetto a quelli con Tn = 1h. XIV Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 287 Necessità combinate potenza/energia La scelta di una cella che sia in grado di erogare Q1E in un tempo TE e Q1P in un tempo TP comporta un sottodimensionamento dell’accumulo in casi, come si è detto molto frequenti in applicazioni veicolari, in cui a valle di un’erogazione di P1 per il tempo T1 deve ancora essere possibile erogare E1 prima di una ricarica, e viceversa. Questo è il caso del punto 4 della lista di funzioni nel precedente Paragrafo 7.8.2. In questi casi, prima di procedere alle simulazioni numeriche, può essere comodo tracciare il diagramma di Ragone-Stewart, delle celle candidate per la realizzazione del sistema di accumulo. 7.8.2.4. Effettuare simulazioni numeriche Prima di procedere alla fase di ingegnerizzazione del sistema di accumulo che viene progettato, è opportuno procedere a simulazioni numeriche del comportamento del sistema di accumulo inserito nel sistema di trasporto considerato, per verificarne necessità di potenza ed energia in casi realistici, e per valutare anche se la fluttuazione di stato di carica sia compatibile con la vita in cicli del sistema prospettato. 7.8.2.5. Determinare l’ingegnerizzazione del sistema di accumulo Il sistema di accumulo completo, o Rechargeable Energy Storage System (RESS) come è denominato nella normativa internazionale, come si è osservato nel Paragrafo 3.2, è molto di più che un set di celle. Esso consiste nelle seguenti voci, che devono essere tutte elettricamente e meccanicamente integrate: –– celle; –– collegamenti elettrici; –– involucro di contenimento delle celle costituenti i moduli ed eventuale struttura meccanica di supporto dei moduli per realizzare il paccobatteria; –– sistema di monitoraggio e gestione BMS; –– sistema di gestione termica. Per le applicazioni a bordo veicolo, particolare attenzione andrà dedicata alla robustezza meccanica dei componenti e degli assiemi e alla loro resistenza alle sollecitazioni tipiche dei componenti installati a bordo veicolo (sollecitazioni meccaniche impulsive, vibrazioni sostenute, ecc.). Tipicamente le celle e i moduli sono montati su supporti elastici smorzanti le oscillazioni. La gestione termica può richiedere il raffreddamento, per evitare che in estate e dopo un uso intenso si raggiungano temperature pericolose (per il litio tipicamente 60 °C entro le celle) che richiederebbero l’immediata interruzione dell’utilizzo del sistema sia il riscaldamento, che può essere indispensabile per le partenze a freddo di veicoli puramente elettrici in inverno e climi rigidi. 288 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata L’ACCOPPIAMENTO ACCUMULATORE-CONVERTITORE 7.9. Gli accumulatori elettrochimici sono utilizzati in trazione con lo scopo di assorbire ed erogare energia. Le capacità di controllare i flussi di potenza e di energia dipendono in maniera determinante dalla modalità con cui il sistema di accumulo si interfaccia con il sistema con cui deve scambiare energia. Gli schemi possibili sono una grande quantità, ma possono essere classificati in tre grandi famiglie: –– interfacciamento diretto (senza convertitore); –– interfacciamento con sistema DC mediato da convertitore DC/DC reversibile; –– interfacciamento con sistema AC mediato da convertitore DC/AC a commutazione forzata (inverter reversibile). L’interfacciamento diretto può essere interessante in alcune applicazioni stazionarie: vedasi ad esempio il caso studio discusso nel Paragrafo 7.11. Per il resto si rimanda alla discussione degli azionamenti elettrici svolta nel Capitolo 2 del presente volume. Un caso particolare dotato di interesse specifico, e non discusso nel Capitolo 2 è quello relativo a power train per veicoli ibridi. Essi sono stati studiati e realizzati prevalentemente per veicoli stradali (su gomma), ma applicazioni sono state studiate anche per sistemi a guida vincolata [9, 12, 23]. Si rammenta che un veicolo a propulsione ibrida è così definitoXV: Veicolo a propulsione ibrida: È un veicolo in cui l’energia di propulsione può essere prelevata da due o più fonti di energia, di cui almeno una reversibile ed almeno una non reversibile. Nella stragrande maggioranza dei casi le fonti di energia sono due, di cui una reversibile (ad es.: un serbatoio di combustibile fossile) ed una reversibile (ad es.: un sistema di accumulo elettrochimico). All’interno dei veicoli a propulsione ibrida, ci concentriamo qui sui veicoli ibridi-elettrici di tipo serie: Veicolo a propulsione ibrida-elettrica serie: È un veicolo a propulsione ibrida nel quale tutta l’energia di propulsione è convertita in forma elettrica prima di essere trasformata in meccanica. Lo schema più usuale di veicoli ibrido-elettrico serie è riportato in Figura 7.40. combust. MCI G + U DC - convertitore primario M azionamento propulsivo sistema di accumulo completo Figura 7.40: Di power train di veicolo ibrido elettrico serie con macchina elettrica a due flange. XV da CEN EN 13447. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 289 La fonte di energia non reversibile è convertita in elettrica attraverso il cosiddetto convertitore primario (convertitore di energia primaria) che la trasforma in elettrica. Nella realizzazione proposta in Figura 7.41 il convertitore primario è costituito da un motore a combustione interna, un generatore elettrico, un convertitore elettronico. In altri casi può essere basato su altre tecnologie di conversione, come ad esempio una turbina a gas o un sistema di generazione elettrica a celle a combustibile. Il sistema di accumulo completo è costituito dal RESS (cfr. Par. 3.2) e da un eventuale convertitore DC-DC di accoppiamento. Nei veicoli ibridi elettrici serie si genera un nodo elettrico su cui convergono il convertitore primario, l’azionamento propulsivo, il sistema di accumulo. Nel caso più generale tutte e tre le connessioni con il nodo elettrico sono realizzate con convertitore di interfaccia: questa soluzione dà la massima flessibilità in quanto la stessa tensione della sbarra in corrente continua UDC può essere dinamicamente modificata per seguire le esigenze di trazione e un criterio di ottimo economico. Ad esempio alle più alte velocità del veicolo essa può essere elevata. La soluzione a tre convertitori è però caratterizzata da una notevole complessità del controllo e da un costo relativamente elevato per via della presenza dei tre convertitori. Per questo in molte applicazioni si preferisce omettere il convertitore sul sistema di accumulo (che per questa ragione in figura è rappresentato tratteggiato) e mantenere il valore di UDC agganciato a quello del pacco batteria. Per completezza si cita anche un esempio di veicolo ibrido elettrico parallelo, premettendone la definizione: Veicolo a propulsione ibrida-elettrica parallelo: È un veicolo a propulsione ibrida nel quale esiste un canale di potenza interamente meccanica fra la fonte di energia non reversibile e le ruote. Un esempio di schema di veicolo ibrido parallelo è quello basato sulla macchina elettrica a due flange, secondo lo schema riportato in Figura 7.41. In questo caso la batteria è interfacciata con un convertitore a commutazione forzata, ovviamente reversibile. Aggiungiamo ora qualche considerazione sull’interfacciamento convertitore accumulatore. Macchina elettrica a due flange combust. MCI cambio Figura 7.41: Esempio di power train di veicolo ibrido elettrico parallelo con macchina elettrica a due flange. 290 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata È opportuno limitare molto il transito in batteria di ripple di corrente a frequenza elevata, che genera perdite per effetto Joule, e quindi peggiora l’efficienza del sistema ed innalza la temperatura della cella, con conseguente accelerazione dell’invecchiamento. Se la batteria è connessa a un inverter a tensione impressa, quest’ultimo è già dotato di un proprio condensatore lato DC dimensionato in modo che con la fluttuazione (ripple) di corrente dell’inverter la tensione residua su di esso sia molto modesta (ad es.: 1-2 V di picco per una batteria da 100 V). Questo è spesso sufficiente a far sì che la batteria stessa sia attraversata da ripple di corrente moderato perché la resistenza di batteria è grande rispetto all’impedenza interna del condensatore e delle connessioni, e perché l’induttanza propria delle connessioni fra condensatore lato DC dell’inverter e batteria asseconda l’azione di filtraggio. Può essere comunque opportuno aggiungere un piccolo induttore fra la batteria e il condensatore d’ingresso dell’inverter, per potenziare l’effetto filtrante del condensatore. È importante per gli scopi del presente volume anche il caso di batteria connessa a convertitore DC/DC elevatore, ad esempio per elevare la tensione prima della connessione con l’inverter dell’azionamento di un veicolo elettrico o perché si è adottato uno schema che lo prevede, come nel caso del convertitore DC/DC tratteggiato in Figura 7.40. Anche in questo caso, pur essendo la batteria interfacciata con un ingresso induttivo del convertitore DC/DC, è opportuno prevedere un condensatore di opportuna capacità all’ingresso del DC/DC, eventualmente integrato di un piccolo induttore fra condensatore e batteria, per ridurre il transito di ripple di corrente in batteria. Opportune tecniche di controllo possono ridurre di molto il ripple generato, e quindi anche il dimensionamento del condensatore da connettere all’ingresso del convertitore DC/DC. Merita infine ricordare che i moderni pacchi batterie al litio, essendo dotati di BMS, sono particolarmente suscettibili alle interferenze elettromagnetiche. È pertanto importante ridurre al massimo le correnti di modo comune circolanti in batteria, ad esempio facendo passare entrambi i conduttori di batteria, eventualmente realizzando alcune spire, attraverso un toroide di materiale ferromagnetico. Esistono dispositivi specializzati per questo scopo in commercio (vedere ad esempio “Cores for Common Mode Chokes” su [19]. Analogo toroide può essere previsto (in alternativa o in aggiunta a quello lato DC) anche lato AC, facendolo ovviamente attraversare da tutti e tre i conduttori di fase. Il riferimento [35] peraltro concentra l’attenzione sulla capacità filtrante dei condensatori ed induttori di cui qui si è parlato rispetto alle armoniche a frequenza doppia a quella della fondamentale, per sistemi batteria/convertitore contenenti un inverter monofase interfacciato con la rete industriale. 7.10. GLI ACCUMULI IBRIDI È stato osservato nel precedente paragrafo come la scelta del sistema di accumulo per applicazioni veicolari spesso verte sulla corretta valutazione del rapporto potenza/energia. È stato visto anche come i supercondensatori siano in linea di massima più orientati alla potenza piuttosto che all’energia rispetto agli accumulatori elettrochimici, sebbene accumulatori al litio oggi sono disponibili di po- Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 291 tenze specifiche dell’ordine di 1-2 kW/kg, assolutamente paragonabili alle potenze ottenibili con i moderni sistemi a supercondensatori. Gli accumulatori elettrochimici di alta potenza non sono però oggi sovrapponibili nelle applicazioni ai supercondensatori in quanto il numero di cicli di carica/scarica che essi possono effettuare è tipicamente di alcune migliaia, mentre i supercondensatori possono agevolmente superare il milione di cicli. Di conseguenza si può ancora affermare che i supercondensatori sono in qualche modo complementari rispetto alle batterie: essi consentono moltissimi cicli di carica/scarica ad alta potenza ma hanno modesta energia specifica. Per converso gli accumulatori elettrochimici hanno un’energia specifica molto superiore, e potenze specifiche più modeste, o comunque, a parità di potenze specifiche una ciclabilità più limitata. Di conseguenza può essere vantaggioso combinare supercondensatori e batterie al fine di ottenere migliori prestazioni globali. Accumuli che contengono due differenti tipologie di accumulatori sono detti sistemi di accumulo ibridi. Il caso di gran lunga più frequente degli accumuli ibridi, quanto meno per applicazioni veicolari, è costituito dall’abbinamento di supercondensatori ad accumulatori elettrochimici. Accumuli ibridi supercondensatori-batterie sono stati studiati a lungo in anni recenti, e sono ancora oggetto di ricerca attiva. Si vedano per esempio gli articoli [7,10] rispettivamente del 2003 e del 2005 (quest’ultimo relativo ad applicazione in trazione elettrica a guida vincolata) e [34] del 2012. L’accoppiamento fra batteria e supercondensatore può essere realizzato secondo diversi schemi. Una rassegna abbastanza completa dei possibili schemi è riportata in [34], alcuni di essi, particolarmente significativi, sono riportati in Figura 7.42 e qui rapidamente discussi. + + a) - b) - Sistema di accumulo ibrido + + c) - Figura 7.42: Alcuni schemi di connessione supercondensatore-batteria per realizzare sistemi ibridi di accumulo. d) - 292 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Nella figura, i simboli di condensatori e di cella elettrochimica sono rinchiusi in box rettangolare per rappresentare sistemi basati rispettivamente su condensatori e celle elettrochimiche (con connessioni interne di vario genere, serie, parallelo, ecc.). Si tratta insomma del “pacco batteria” (secondo la terminologia introdotta nel Par. 7.3.2.) e di qualcosa che potremmo qui chiamare “pacco-supercondensatori” (ultracap-pack). Il polo positivo e negativo di uscita del sistema di accumulo saranno nella maggior parte dei casi connessi ad un inverter di trazione, ma sussistono anche altre possibilità. Ad esempio nel Paragrafo 7.11.3 è discussa la possibilità di connessione diretta di un sistema di accumulo alla linea di trazione di un sistema a guida vincolata. Lo schema di Figura 7.42a è quello costruttivamente più semplice in quanto non necessita di convertitore elettronico. La ripartizione della potenza fra il supercondensatore e la batteria avviene in maniera naturale in conseguenza del differente comportamento elettrico dei due dispositivi. Il principio di funzionamento di questo schema può essere valutato utilizzando un semplice modello R-C per entrambi, conformemente con quanto discusso sulla modellazione di questi dispositivi nei Paragrafi 7.5 e 7.6.4. Occorre considerare che il supercondensatore ha sia resistenza interna che capacità è molto inferiori a quelle della batteria. Una semplice simulazione che mostra la ripartizione di corrente e potenza dei due dispositivi è riportata in Figura 7.43, nella quale CSC = 500 F, Cbat = 50000 F, RSC = 50 µΩ, Rbat = 3 mΩ. La tensione iniziale ai capi dei condensatori ideali del circuito è posta pari a 2.0 V. Figura 7.43: Semplice simulazione di accumulo ibrido in connessione diretta condensatore-accumulatore. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 293 Nella parte in alto a sinistra della figura è riportato il circuito simulato. Sia il supercondensatore reale che la batteria reale sono simulati attraverso coppie R-C. Sono presenti oltre a questi componenti blocchi di misura della potenza erogata (“pSC” e “pBat”) e il carico, simulato mediante un generatore di corrente imposta (“iSca”). Nella figura a) è mostrata la sollecitazione di corrente applicata, nella figura b) le corrispondenti potenze assorbite dal condensatore (rSC.i) e dalla batteria (rBat.i). Nella figura c) sono mostrate le rispettive potenze, che illustrano come il supercondensatore eroghi una potenza di picco di 200 W, mentre la batteria resta sempre ampiamente sotto gli 80 W; peraltro l’erogazione di potenza da parte della batteria dura molto di più nel tempo. Infine, nella figura d) sono riportate alcune tensioni. La curva verde (quella che si discosta poco dalla tensione iniziale pari a 2 V) rappresenta la tensione ai capi del condensatore “cBat” costituente la capacità del modello R-C della batteria; le altre due, praticamente sovrapposte, indicano la tensione ai capi del condensatore “cSC” (costituente la capacità del modello R-C del supercondensatore), e ai morsetti del parallelo dei due componenti. Lo schema di Figura 7.42a è adottato quando è ricercato il minimo costo di primo impianto e la massima semplicità gestionale. Esso però non è esente da difetti. Infatti: –– il supercondensatore è utilizzato solo parzialmente in quanto la massima scarica possibile si ha quando si ha la minima tensione di batteria, tipicamente inferiore solo del 20 % a quella massima; di conseguenza l’energia utilizzabile come accumulo è solo circa il 35 % di quella accumulata alla tensione massima. –– non è possibile stabilire con azioni di controllo esplicito la ripartizione della potenza fra i due sistemi di accumulo. Tutti e tre gli altri schemi ovviano ad entrambi questi difetti dello schema di Figura a). Lo schema di Figura b) è quello più frequentemente studiato. Lo schema di Figura c) presenta le seguenti differenze dimensionali e funzionali rispetto a quello di Figura b). Il convertitore DC/DC infatti è meno costoso in quanto va dimensionato per la potenza della batteria, per costruzione del sistema ibrido molto inferiore a quella del supercondensatore. Per contro per consentire il pieno utilizzo dell’energia accumulata nel supercondensatore la tensione DC del sistema di accumulo ibrido deve variare in un’ampia finestra, ad esempio fra Umax/2 e Umax. La convenienza dello schema b) o lo schema c) quindi, dipende da quello che è connesso a valle del sistema di accumulo ibrido. In molti casi si tratta di un azionamento elettrico trifase (inverter e macchina elettrica trifasi), e un dimensionamento integrato di tale azionamento con l’accumulo ibrido può portare alla valutazione di quale delle due soluzioni risulti essere la più vantaggiosa. Infine la soluzione di figura d), la più costosa fra le quattro considerate, consente la massima flessibilità, in quanto la tensione del bus DC è disaccoppiata in maniera pressoché integrale dalle tensioni della batteria e del supercondensatore. 294 7.11. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata ACCUMULI A BORDO E A TERRA: VALUTAZIONI SU UN CASO STUDIO Nei precedenti paragrafi i diversi sistemi di accumulo sono stati valutati in generale, e con riferimento all’applicazione veicolare, la più vicina a quella delle tematiche dell’accumulo nei sistemi di trazione elettrica a guida vincolata, oggetto del presente volume. In effetti negli ultimi 5-10 anni si è assistito ad un formidabile impulso nello studio dei sistemi di accumulo per applicazioni veicolari da tutti i punti di vista: evoluzione della chimica delle celle, dei modelli specifici in funzione delle applicazioni a parità di chimica nella composizione delle celle per ottenere i pacchi-batteria (e relative problematiche connesse con la necessità di disporre di BMS), della possibilità di realizzare accumuli ibridi. Tutto questo sviluppo è stato trainato dal nuovo impulso che gli autoveicoli a propulsione elettrica ed ibrida stanno avendo. Molti dei risultati ottenuti per applicazioni di autoveicoli sono applicabili ai casi di sistemi di trazione elettrica a guida vincolata. Peraltro questo tipo di sistemi presentano notevoli peculiarità che vanno analizzate. Le peculiarità dei sistemi di trazione elettrica a guida vincolata verranno nel seguito descritte in un caso studio particolarmente significativo, al cui sviluppo lo scrivente ha partecipato attivamente, e che è in grado di fornire una casistica sufficientemente ampia delle problematiche e delle opportunità offerte dai moderni sistemi di accumulo nei sistemi di trazione elettrica a guida vincolata. 7.11.1. L’ESEMPIO CONSIDERATO Si consideri una linea di trazione tranviaria a doppio binario. La linea considerata ha uno sviluppo complessivo di 12,5 km, è dotata di 10 SSE distribuite in maniera pressoché uniforme lungo la linea e 16 fermate, inclusi i capolinea. La linea ha limitazioni di velocità lungo l’intero percorso che nella maggior parte delle tratte sono comprese fra i 50 e i 70 km/h. La linea ha una tensione nominale di 750 V, e tensioni minima e massima rispettivamente di 500 e 900 V. 7.11.2. LA FRENATURA A RECUPERO SENZA SISTEMI DI ACCUMULO Nel funzionamento attuale, il sistema di trazione è privo di sistemi di accumulo. Ciononostante i convogli ferroviari sono dotati di capacità di frenatura a recupero, la quale può ovviamente essere espletata trasferendo parte dell’energia di frenatura proveniente dal convoglio in frenatura al/ai convogli in trazione. Questo tipo di operazione trova un limite nel raggiungimento della tensione massima di linea al pantografo. La frenatura avviene infatti con monitoraggio della tensione al pantografo, e la corrente che viene automaticamente limitata in modo che tale tensione non superi il massimo ammissibile. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 295 Questa legge di controllo consente la frenatura a recupero anche solo di una parte della corrente recuperabile, quando la recettività del sistema (linea più altri convogli) non è sufficiente ad assorbire tutta l’energia di frenatura. Questo accade tipicamente quando convogli in trazione e convogli frenanti sono significativamente distanti. Un miglioramento sensibile della quantità di energia recuperata durante le frenate è ottenibile con l’utilizzo di sistemi di accumulo. Possono essere ipotizzate diverse soluzioni. Le varie opzioni disponibili possono in particolare essere classificate nelle seguenti due famiglie: sistemi di accumulo stazionari e sistemi di accumulo a bordo treno. 7.11.3. L’INSTALLAZIONE DI SISTEMI DI ACCUMULO STAZIONARI La presenza di uno o più sistemi di accumulo connessi alla linea di trazione (quindi stazionari), può aumentare anche notevolmente la quantità di energia recuperata durante le frenate. Si consideri ad esempio lo schema di principio di Figura 7.44. Figura 7.44: Schema di principio della circolazione della corrente di frenatura in assenza di sistemi di accumulo. SSE1 SSE2 SSE3 I tram A tram B Quando un tram è in frenata, ad esempio il tram A, esso tenta di convogliare nella linea di contatto una corrente. Nel caso in cui vi siano nelle vicinanze tram in trazione, ad esempio il tram B in figura, esso può assorbire almeno in parte la corrente (e quindi l’energia) erogata dal tram A. Questo processo è in pratica limitato dalle seguenti due motivazioni fondamentali: –– la corrente necessaria al tram B può essere solo una frazione di quella erogabile da A, durante la frenata. Questo è un caso che occorre frequentemente: se il tram B sta funzionando a velocità costante esso ha bisogno di un’energia per la trazione molto piccola rispetto a quella in transito durante le accelerazioni e, con verso opposto, durante le frenate; –– la distanza fra i due tram può essere tale che la caduta di tensione nel tratto di linea interposto causa la necessità di limitare la corrente I per raggiungimento al pantografo del tram A della tensione massima di sistema. Se invece si installa un sistema di accumulo in linea, la situazione può essere grandemente migliorata. L’installazione in prossimità di una SSE è di solito preferita, perché in corrispondenza di essa sono disponibili normalmente adeguati spazi ed opere civili in grado di accogliere il sistema di accumulo, incluso il “balance-of-plant”. 296 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 7.45: Schema di principio della circolazione della corrente di frenatura in presenza di sistema di accumulo. SSE2 SSE1 SSE3 I tram A + - tram B Se ad esempio l’accumulo è installato in corrispondenza della SSE2, la situazione diviene quella riportata in Figura 7.45. In questo caso, si riescono ad affrontare efficacemente entrambi i problemi illustrati nel caso di assenza di recupero: –– la corrente che il tram A è in grado di recuperare e che B non è in grado di assorbire in quanto non ne ha necessità, può essere assorbita dal sistema di accumulo che viene sempre tenuto ad uno stato di carica tale da consentire tale assorbimento. –– il problema dello sfioramento della corrente da parte del tram A per superamento della tensione al pantografo è mitigato dal fatto che il sistema di accumulo evita, quanto meno in corrispondenza del suo punto di installazione, una eccessiva soprelevazione della tensione. Lo schema del sistema di accumulo riportato nella Figura 7.45 è privo di informazioni di dettaglio. Osserviamo qui esplicitamente che esistono quanto meno due opzioni possibili: –– installazione della batteria senza interposizione di convertitore DC/DC (connessione diretta); –– installazione della batteria con interposizione di convertitore DC/DC (connessione mediata). La connessione diretta presenta l’ovvio vantaggio di consentire il risparmio del costo di acquisto del convertitore DC/DC, e delle relative perdite durante l’esercizio. Essa però non consente un controllo della corrente assorbita dalla batteria: tale corrente è determinata dalle sole condizioni elettriche del circuito. Peraltro la piccola resistenza interna della batteria necessaria in questo tipo di applicazione fa sì che essa assorba consistenti correnti in frenatura, e le rilasci in momenti successivi, quando le condizioni elettriche del tracciato lo consentono, cioè quando vi sono in prossimità del sistema di accumulo treni in trazione, che stanno quindi assorbendo potenza dalla linea di contatto. Se il numero di celle da mettere in serie è scelto adeguatamente, il sistema è autoregolato: la tensione di linea sarà sempre intorno al valore nominale di 750 V, e si sarà fatto in modo che a tale condizione corrisponda uno stato di carica della batteria intermedio, ad esempio pari al 50 % (mezza carica). Quando vi sono treni in frenata la tensione ai morsetti della batteria tenderà ad innalzarsi e la batteria assorbirà corrente; l’opposto accadrà durante la trazione, o nelle condizioni di tensione prossima al valore nominale: necessariamente la batteria che si fosse caricata in precedenza, si riporterà allo stato di carica di riferimento, contribuendo a fornire energia ai treni che circolano in linea. Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 297 Una caratteristica peculiare della connessione diretta è che la capacità della batteria non può essere scelta ad arbitrio: la batteria dovrà essere dimensionata in corrente (e quindi in potenza) per tutta la corrente che le condizioni elettriche del circuito la porteranno ad assorbire. Tale corrente non dovrà portare la batteria in condizioni di stress termici eccessivi. Inoltre una considerazione speciale richiede la valutazione della vita del sistema di accumulo. L’installazione prevista prevede l’effettuazione di un gran numero di cicli di frenatura/ accelerazione. L’ordine di grandezza è di 105 di questi piccoli cicli, che chiameremo microcicli, per ogni anno di esercizio del sistema. Occorre quindi che il sistema di accumulo sia in grado di sopportare nel corso della vita stimata, ad esempio 10 anni, un numero di microcicli dell’ordine del milione. Questo può essere ottenuto essenzialmente in tre modi: –– utilizzando un sistema di accumulo di capacità tale che ogni microciclo comporti carica/scarica di piccolissima entità (dell’ordine dell’1-2 % della capacità nominale). La vita del sistema di accumulo, anche del tipo elettrochimico al litio, può essere anche tale da arrivare al milione di microcicli (cfr. [32]); –– utilizzando come sistema di accumulo invece di un accumulatore elettrochimico un sistema basato su supercondensatori, i quali, come è noto hanno vita utile dell’ordine del milione di cicli. In tale caso, però, la connessione alla linea di trazione deve essere necessariamente mediata, in ragione del fatto che il condensatore andrà necessariamente dimensionato per variare il proprio stato di carica di elevate quantità (ad esempio il 70 % della massima capacità) per ogni ciclo di frenata/riscarica, e questo comporta variazioni di tensione incompatibili con la connessione diretta al sistema di trazione; –– utilizzando un sistema di accumulo ibrido, che contemperi le caratteristiche degli accumulatori elettrochimici e dei supercondensatori. A titolo di esempio si riporta nella parte sinistra della Figura 7.46 l’andamento della corrente in batteria per il caso studio completo (quindi con la linea di 10 km e tutte le sottostazioni), prevedendo l’installazione di un unico Figura 7.46: Andamento di corrente in batteria (SX) e corrispondente SOC (DX) nel caso studio, orario feriale di morbida, una batteria posizionata nella SSE intermedia. In ascisse il tempo in s. 298 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 7.47: Andamento della posizione dei tram nel tempo (in ordinata l’ascissa chilometrica della linea, in ascissa il tempo). sistema di accumulo, costituito da una batteria in connessione diretta da 100 Ah e tensione nominale di 750 V durante una finestra temporale di 4000 s. Nella parte destra della figura è riportato il corrispondente andamento di SOC. Infine, nella Figura 7.47 sono riportati gli andamenti delle ascisse chilometriche dei cinque treni in esercizio nella fascia oraria considerata, durante la medesima simulazione e nel medesimo intervallo temporale della Figura 7.46. Si osserva che le correnti in batteria hanno dei picchi sempre inferiori ai 700 A, ben compatibili con una batteria al litio di alta potenza da 100 Ah nominali, come ipotizzato. Inoltre le fluttuazioni dello stato di carica nel singolo microciclo sono dell’ordine di poche unità percentuali. In linea di massima tali fluttuazioni potrebbero essere compatibili con la necessità, per una convenienza economica, di avere un numero di microcicli in batteria, prima di una sua sostituzione, di alcune centinaia di migliaia. È comunque estremamente raccomandabile in questi casi un’interazione con il costruttore della batteria per valutare la durata di vita della batteria con un profilo di corrente di questo tipo. Si rammentano a riguardo le considerazioni già svolte nel Paragrafo 7.4.3., sezione “Confronti”. Dettagli di questo tipo di applicazione sono riportati in [37] e [39], dove se ne mostra anche la forte convenienza economica. Quando si è discussa la tematica della frenatura a recupero in assenza del sistema di accumulo si è già osservato come al crescere della distanza fra il tram che frena e quello che riceve l’energia di frenatura l’efficacia dell’azione si riduce progressivamente. In particolare oltre una certa distanza occorre sfiorare l’energia di frenata per evitare che la tensione al pantografo del tram che frena superi il valore massimo ammissibile. Questa considerazione si ripete anche nel caso di presenza di sistema di accumulo; pertanto nei casi in cui il sistema è lontano dal tram che frena la quantità di energia recuperabile è modesta. Per massimizzare l’energia recuperata occorrerà quindi installare più stazioni di accumulo lungo la linea. Il numero di stazioni è in generale da ottimizzare attraverso simulazioni numeriche. Per calcoli di prima approssimazione si può però utilizzare la regola orientativa proposta in [39]: –– si definisce il campo d’azione di una stazione con accumulo come 1,5 volte la distanza che causa lungo la linea di contatto, quando transita la massima corrente di frenatura di un singolo treno, una caduta di tensio- Capitolo 7 - Sistemi di accumulo dell’energia elettrica 299 ne pari a Umax-Unom differenza fra la massima tensione ammissibile sulla linea di contatto ed il relativo valore nominale; –– la distanza fra due sottostazioni con accumulo che ne garantisca un buono sfruttamento deve essere pari al doppio del suo campo d’azione o più. La logica dietro questa regola pratica, verificata nell’articolo citato mediante simulazioni in un caso studio è evidente: oltre il campo d’azione (raddoppiato per considerare che treni in frenatura possono trovarsi sia a monte che valle del punto di installazione della stazione con accumulo) la necessità di limitare la tensione al pantografo del sistema in frenatura riduce fortemente l’energia recuperabile. Se vogliamo sfruttare al massimo l’energia cinetica disponibile nei convogli in linea occorrerà quindi installare ulteriori stazioni di accumulo. 7.11.4. L’INSTALLAZIONE DI ACCUMULO A BORDO TRENO L’installazione dei sistemi di accumulo stazionari presenta, come si è visto l’inconveniente che l’energia di frenatura deve attraversare tratti della linea di contatto, con corrispondenti cadute di tensione e perdite in linea. Questi inconvenienti possono essere progressivamente attenuati installando un numero crescente di stazioni lungo la linea. Un sistema alternativo a questa soluzione consiste nell’installare sistemi di accumulo direttamente a bordo treno. In questo caso il problema del transito della corrente in linea è completamente eliminato, e quindi anche la necessità di sfiorare la potenza di frenatura per raggiungimento della tensione limite lungo alla linea di contatto. Per converso però questo tipo di soluzione richiede maggiori costi di investimento in quanto ogni singolo treno che deve effettuare frenatura a recupero con accumulo deve essere equipaggiato di un sistema di accumulo a bordo treno, con il conseguente onere di costo, peso, ingombro. Inoltre l’aggravio di peso dovuto al sistema di accumulo installato a bordo, comporta un aggravio anche di energia necessaria per il moto, che va a detrarsi dai benefici ottenibili con la funzione del recupero di energia in frenata. Il confronto fra installazione a bordo o a terra va fatto caso per caso. Si può però affermare in generale che l’installazione a terra consente un approccio più flessibile o graduale in quanto si può scegliere di installare anche un solo sistema di accumulo, il quale contribuisce al recupero di energia di tutti i treni che frenano in prossimità della stazione, cosa invece svantaggiosa nel caso di installazione a bordo. 7.12. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Si è visto come i sistemi di accumulo dell’energia elettrica prevedono normalmente la conversione di energia in altra forma durante l’accumulo, e la conversione inversa durante l’erogazione. Per applicazioni in sistemi di trasporto, ed in particolare in sistemi di trazione elettrica a guida vincolata, nella pratica le applicazioni industrialmente mature prevedono l’accumulo in forma elettrochimica (batterie) o elettrostatica (supercondensatori). 300 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Si è visto che a seconda dei casi si può precedere un accumulo costituito da una sola batteria di celle elettrochimiche, o di supercondensatori, o un sistema che ne integra le caratteristiche, i cosiddetti accumuli ibridi (o misti). Si sono passate in rassegna le principali tipologie di supercondensatori e soprattutto di accumulatori elettrochimici a disposizione oggi sul mercato. Particolare attenzione si è dedicata alle celle al litio, che sono attualmente dominanti, e che a loro volta si sono ramificate in varie sottofamiglie, delle quali se ne sono individuate cinque, fra le più usate nelle applicazioni odierne. In funzione del tipo di applicazione considerata si sono tracciate le linee verso le quali si deve indirizzare la progettazione di un sistema di accumulo, illustrando anche i modelli matematici più usati per le simulazioni numeriche. Infine, quale esempio particolarmente significativo, si sono prospettati i principali risultati di un caso studio sviluppato con il contributo dell’autore in una situazione realistica che presumibilmente porterà a breve ad un’applicazione sperimentale. 7.13. RIFERIMENTI [1] P. Silvestroni, Fondamenti di Chimica, Decima edizione Masson 1996, Terza ristampa. Casa Editrice Ambrosiana 2002, www.ceaedizioni.it ISBN 978-8808-08401-9. [2] P.P. Acarnley et al., Design priciples for a flywheel energy store for road vehicles, IEEE Transactions on Industry Applications, Vol. 32, Issue 6 DOI 10.1109/28.556644. [3] B. E. Conway, V. Birss, J. 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CENNI STORICI SUI SISTEMI DI TRASPORTO URBANO Le prime reti di trasporto collettivo si svilupparono negli Stati Uniti e nell’Europa Centrale come servizio di trasporto facente uso di carrozze aperte di tipo ferroviario, trainate da cavalli. Nel XIX secolo nacquero le cosidette ippovie (Fig. 8.1). Il sistema, grazie alla presenza della rotaia che assicurava una certa stabilità durante la marcia, risultò subito conveniente. La prima tranvia a cavalli, lunga 10 km, venne aperta in Inghilterra l’11 Settembre 1795 a Crich, nel Derbyshire, per agevolare il commercio industriale. In America, invece, l’inaugurazione della prima tranvia a cavalli, avvenne il 26 Novembre 1832 nella città di New York. Per quanto riguarda l’Italia, si può affermare che negli anni successivi alla proclamazione del Regno d’Italia (1861), la maggior parte delle più importanti città, si dotò di servizio tranviario urbano a trazione animale. La prima città a realizzare la prima rete tranviaria fu Torino, attivandone il servizio nel 1872, seguita da Napoli (1875) e Trieste (1876). Tra le tranvie a cavalli extraurbane, si ricorda la Napoli-Portici-Torre del Greco (1875) e la Milano-Monza inaugurata nel 1876. I primi rotabili tranviari veri e propri vennero introdotti, però, solo con la nascita dell’alimentazione a vapore. La Germania fu la prima nazione in Europa a realizzare una linea tranviaria a vapore nel 1877 nella città di Kassel. Tuttavia l’elevata onerosità richiesta dalla gestione del sistema a vapore, fece ben presto abbandonare il suddetto sistema, aprendo le porte alla sperimentazione di nuove soluzioni di trazione, fino a portare alla costruzione delle tranvie con alimentazione elettrica. Risale al 16 Maggio 1881 e precisamente nella città di Lichterfelde (Berlino), l’entrata in servizio della prima tranvia elettrica a livello mondiale. Seguirono ben presto nuove realizzazioni in Austria (1883) e Svizzera (1888); in Italia, nel 1890 si elettrificò 304 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata la linea Firenze-Fiesole, in servizio a trazione ippica dal 1884 e a trazione a vapore dal 1886. All’inizio del XX secolo nacquero, in rapida successione, molte aziende tranviarie. Basti pensare che la Germania contava oltre 150 città provviste di tranvia mentre esistevano oltre 3000 aziende tranviarie sparse in tutto il mondo. Fu proprio intorno all’anno 1920 che si registrò in Europa, Nord America, Sud America e Australia il massimo dello sviluppo tranviario. Il tram divenne immediatamente un mezzo di trasporto di massa in grado di collegare i centri urbani con le periferie e il circondario (reti extraurbane), influenzando in modo determinante lo sviluppo e la crescita delle città e favorendo l’insediamento industriale nelle periferie. Tuttavia, verso la fine degli anni ’20, a causa dell’assenza di veri e propri piani urbanistici a cui si aggiungeva un rapido incremento della motorizzazione stradale priva di norme ben precise, la conflittualità con il traffico stradale divenne insostenibile. Il sopravvento del trasporto individuale, favorito da scelte politiche a vantaggio dell’impiego della gomma e il mancato aggiornamento tecnico in materia di trasporto su rotaia e materiale rotabile in genere, condusse alla chiusura di molte reti tranviarie. In Europa gran parte delle tranvie vennero così smantellate, fatta eccezione in alcune grandi città. Tra queste figuravano, per quanto concerne l’Italia: Milano, Torino, Roma e Napoli; per la Francia: Lille, Marsiglia, St. Etienne; Blackpool per l’Inghilterra; Lisbona per l’intera Penisola Iberica. La guerra contribuì, inoltre, al danneggiamento di molte tranvie ancora in funzione, parte delle quali non furono più ricostruite o rimesse in servizio. Fu così che, grazie all’impiego di motori endotermici in grado di ridurre i costi di esercizio, autobus e filobus sostituirono gran parte dei tram in circolazione. Il primo periodo di storia delle filovie italiane si aprì nel 1902 con la realizzazione, a cura della Società Anonima Elettricità Alta Italia, di un impianto sperimentale per l’Esposizione delle Arti Decorative di Torino. Nei due successivi decenni furono realizzate numerose linee filoviarie, urbane ed extraurbane, accomunate dalla breve durata dell’esercizio. Fra i motivi di questa scelta, è sicuramente da annoverare una certa immaturità tecnologica mentre, nel caso degli impianti per il trasporto merci nell’Italia nord-orientale, la stessa finalità militare che ne aveva motivato la realizzazione ne decretò il successivo abbandono a ostilità concluse. Dopo un decennio di stasi, l’apertura della rete di Vicenza nel 1928 e della linea extraurbana Torino - Cavoretto nel 1931 segnò l’inizio del secondo periodo della storia delle filovie italiane, nel corso del quale entrarono in esercizio reti urbane nelle maggiori città: Milano e Venezia (1933), Livorno (1934), Brescia e Trieste (1935), Roma, Firenze, Padova e Verona (1937), Genova (1938), Bari e Palermo (1939). A queste si aggiunsero anche alcune linee extraurbane. Parzialmente danneggiate durante la seconda guerra mondiale, queste reti filoviarie furono riattivate al termine delle vicende belliche; inoltre, dal 1947, nuove filovie sostituirono vecchi impianti tranviari in città di piccole e medie dimensioni e furono così attivate le reti di Avellino, Bergamo, Ancona, Modena, Chieti, Catania, La Spezia, Alessandria, Pavia, Pisa, Trapani, Cagliari, Parma, Bologna, Carrara, Fermo, Civitanova Marche. L’apertura della filovia extraurbana Napoli-Aversa nel 1964 segnò la fine della fase di espansione di questo sistema di trasporto nel nostro Paese. Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 305 Il terzo periodo si aprì con le prime soppressioni, a iniziare dal 1966, quando lo sviluppo delle linee filoviarie raggiunse i 1121 km. La maggior parte delle reti fu smantellata poiché l’autobus, libero dal vincolo rappresentato dalla linea aerea di alimentazione elettrica, fu ritenuto più adatto alle mutate condizioni del traffico; in alcune città, peraltro, la volontà di mantenere le filovie in esercizio si scontrò con la difficoltà di sostituire le esauste vetture del primo dopoguerra, giacché i costruttori nazionali non produssero più, per dieci anni (1966-1975), filobus nuovi. La rinascita delle reti tranviarie si ebbe a seguito della crisi energetica del 1973, con l’improvvisa ed inaspettata interruzione dell’approvvigionamento di petrolio da parte delle Nazioni appartenenti all’OPEC (Organizzazione Paesi Esportatori di Petrolio) che durò fino al Gennaio 1975. Le conseguenze della crisi energetica non tardarono a far sentire i loro effetti sull’intero sistema industriale, e in particolar modo su quello dei Paesi dell’Europa Occidentale, i più colpiti e, dunque, i più penalizzati dai rincari petroliferi. Il Governo Italiano, per fronteggiare la crisi, varò un piano nazionale di “Austerity Economica” avente a oggetto proprio il risparmio energetico e adottando provvedimenti mirati di immediata esecutività. Ci fu, inoltre, un forte interesse verso la ricerca di nuove fonte di energia alternative al petrolio. Parole come ecologia e risparmio energetico divennero ben presto i simboli del cambiamento della mentalità della società Europea. Il sistema di trasporto pubblico, in una prima fase, puntò alla costruzione di linee metropolitane che andavano così ad aggiungersi ai mezzi di superficie, rappresentati in grandissima parte solo dagli autobus. La diffusione e lo sviluppo delle metropolitane, in Italia, ebbe origine durante il regime fascista. A Napoli, nel 1925, entrò in funzione il primo passante ferroviario di penetrazione urbana sotterraneo, all’epoca noto come Metropolitana FS, parte della attuale Direttissima Roma-Napoli sulla quale venne istituito il primo esempio di servizio metropolitano italiano. Tuttavia in Italia per la costruzione di una vera metropolitana bisognerà attendere il 1955, anno in cui entrò in funzione la linea Termini-E42 cioè l’attuale linea B della metropolitana di Roma. In seguito, nel 1964 e successivamente nel 1969, anche Milano vide nascere le sue prime due linee. Undici anni dopo, nel 1980, anche Roma si dotò della seconda linea metropolitana con l’apertura al pubblico dell’attuale linea A. Negli anni ‘80 grazie allo sviluppo delle prime tecnologie per l’automazione, furono costruite le prime metropolitane automatiche su gomma (TGA, VAL), le prime progettate dalla società Giapponese Kawasaki nel 1981 con gli impianti di Kobe e di Rokko e le altre dalla società francese Matra nel 1983, per la realizzazione della metropolitana di Lilla. La tecnologia tradizionale della metropolitana su gomma, principalmente utilizzata per le metropolitane leggere, fu applicata per la prima volta a Parigi, dalla Michelin, che fornì i sistemi di guida in collaborazione con la Renault, fornitrice dei veicoli. La sperimentazione iniziò nel 1951, quando un veicolo sperimentale fu provato sul tracciato da Porte des Lilas e Pré Saint Gervais, una sezione della linea non aperta al pubblico. La Linea 11 Châtelet-Mairie des Lilas fu la prima a essere convertita dal sistema tradizionale su ferro al sistema su gomma nel 1956; seguì la Linea 1 Château de Vincennes-La Défense nel 1964, e la Linea 4 Porte d’Orléans-Porte de Clignancourt nel 1967. Infine, la Linea 6 Etoile- Nation fu convertita nel 1974 per diminuire il rumore del 306 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata suo tracciato sopraelevato. A causa degli alti costi di conversione delle linee esistenti, queste operazioni non vennero più svolte né a Parigi né altrove: oggi il sistema della metropolitana su gomma è realizzato solo su linee di nuova costruzione. L’aumento vertiginoso e non più sostenibile del traffico automobilistico, soprattutto nelle grandi città, sviluppatosi sul finire degli anni ‘70, avviò un processo di immediato cambiamento della politica dei trasporti. La Germania fu uno dei primi Paesi ad investire i propri capitali nuovamente nella costruzione di reti tranviarie, rendendole però più indipendenti dal traffico individuale su gomma attraverso la progettazione di sedi dedicate solo ed esclusivamente al trasporto su rotaia. Tutto ciò fu reso possibile mediante la costruzione di opere civili come sopraelevate e gallerie, che resero le tranvie più simili alle metropolitane evitando, in tal modo, intralci alla circolazione urbana automobilistica. Anche la Francia si collocò tra i Paesi che reintrodussero il tram come mezzo di trasporto di massa: fino al 1985 vi erano solo 3 piccole reti, ma nel giro di pochi anni si aggiunsero altre 13 città francesi medio-grandi. Negli anni ‘90 si svilupparono in Italia nuovi reti metropolitane; nel 1990 furono inaugurate: la linea gialla di Milano e la prima linea della metropolitana di Genova. Nel 1993 venne inaugurata la linea 1 di Napoli, mentre nel 1999 entrò in funzione la metropolitana di Catania. Per quanto riguarda le tranvie, la prima città italiana a reintrodurre i tram fu Messina nel 2003 seguita negli anni successivi da Bergamo, Cagliari, Firenze, Padova e Sassari. Non sono mai state chiuse, ma solo ridotte in estensione, le reti tranviarie delle grandi città come Milano, Roma, Napoli e Torino. Lo sviluppo delle metropolitane leggere automatiche su gomma ebbe diffusione solo recentemente; nel 2006 venne inaugurata la metropolitana automatica su gomma di Torino e l’anno successivo entrò in funzione un primo tratto della metropolitana leggera di Napoli. Nel 2013 a Milano venne inaugurata la linea M5 e a Brescia la metropolitana leggera su ferro completamente automatica. Figura 8.2: Tram ATM a trazione elettrica. Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 307 Oggi, a distanza di anni dalla chiusura delle vecchie linee filoviarie, si sta assistendo a una progressiva reintroduzione delle stesse, attraverso il potenziamento delle reti sopravvissute o al progetto d’impianti del tutto nuovi (Reggio Emilia, Pescara, Lecce, Avellino) e in altre (Roma, Genova, e Bologna). In Figura 8.2 è rappresentato un tram storico ATM a trazione elettrica, in Figura 8.3 un filobus in servizio nel 1957. Figura 8.3: Filobus in servizio nel 1957. 8.2. IL TRAM: SU FERRO E SU GOMMA Il tram è un veicolo di trasporto pubblico a guida vincolata su rotaia o su gommaI, dotato di sistema di propulsione elettrico che trasferisce l’energia necessaria al moto del rotabile e al funzionamento di tutti i dispositivi ausiliari di bordo. La produzione dei veicoli tranviari è incentrata, allo stato attuale, sulla realizzazione di tram con caratteristiche di modularità e componibilità in relazione alle dimensioni e alle prestazioni tecnologiche; è possibile infatti raggiungere lunghezze complessive che vanno dai 15 a 50 m con larghezze dell’ordine di 2.4 m. Con la norma UNI 8379 “Sistemi di trasporto a guida vincolata (ferrovia, metropolitana, metropolitana leggera, tranvia veloce e tranvia). Termini e definizioni”, il “sistema tram” è stato trattato con le differenti denominazioni di “tranvia” e “tranvia veloce” (metrotranvia) definite nei seguenti termini: –– tranvia: sistema di trasporto per persone negli agglomerati urbani costituito da veicoli automotori o rimorchiati dai medesimi, a guida vincolata, in genere su strade ordinarie e quindi soggetto al Codice della Strada, con circolazione a vista; I Sistema con rotaia centrale con funzione di guida. 308 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– tranvia veloce (metrotranvia): sistema di trasporto che mantiene le caratteristiche della tranvia, con possibili realizzazioni anche in tratte suburbane, ma che consente velocità commerciali e portate superiori grazie ad adeguati provvedimenti (per es.: delimitazioni laterali della sede, riduzione del numero di attraversamenti, semaforizzazione degli attraversamenti con priorità per il sistema, ecc.), atti a ridurre le interferenze del sistema con il restante traffico veicolare e pedonale. Per quanto riguarda il veicolo, la distinzione tecnica più significativa tra i modelli di tram presenti sul mercato, riguarda l’altezza del pianale rispetto al piano del ferro e in particolare si possono distinguere le seguenti categorie: –– pianale parzialmente ribassato (partial low floor car), con carrelli in rotazione rispetto alla cassa. Nei tram tradizionali il pianale sui carrelli motore può arrivare ad altezze fino a 900 mm, mentre in quelli di recente costruzione si è riusciti a limitare tale altezza intorno ai 600 mm. –– pianale completamente ribassato (full low floor car), in cui il pavimento interno ha mediamente altezza di 350 mm; grazie all’adozione di carrelli non convenzionali che non ruotano rispetto alla cassa e al frazionamento del tram in numerose casse, alcune delle quali poggiano su un carrello, mentre altre sono prive dello stesso. La prima categoria consente di massimizzare le prestazioni cinematiche e l’affidabilità, mentre la seconda privilegia l’accessibilità e la fruibilità degli spazi. In generale tutti i modelli commercializzati possono essere sia bidirezionali che monodirezionali. Occorre sottolineare che se da un lato quelli bidirezionali offrono una maggiore flessibilità di esercizio, dall’altro ciò comporta la riduzione dei posti interni a sedere rispetto a quelli monodirezionali, a causa della presenza delle porte su entrambi i lati del veicolo. Nella Tabella 2.1 viene riportata, a titolo esemplificativo, la minima capacità di trasporto dei passeggeri per senso di marcia per una tranvia veloce e una tranviaII. Portata potenziale minima per senso di marcia (posti/h)1) Distanziamento (min.) 1) Capacità convoglio (passeggeri) Tranvia veloce3) 2,700 4 180 350-500 15 60 Tranvia 1,080 10 180 200-350 10 30 2) Distanza Velocità media tra commerciale le stazioni (km/h) 1) (m) Lunghezza max convoglio (m) Tabella 2.1: Prestazioni Tranvia veloce e Tranvia. “Il sistema tram: stato dell’arte e prospettive” Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, 2004. II Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 309 1. prestazioni potenziali minime in condizioni di massima domanda di trasporto (ora di punta); 2. posti in piedi calcolati sulla base di 6 pass/m2; 3. è opportuno limitare il numero di attraversamenti di vario tipo mediamente a non più di 3 al km. Le prestazioni tecnologiche di un veicolo tranviario dipendono da diversi fattori quali: sistema di propulsione, peso e aerodinamica. Il sistema di propulsione maggiormente utilizzato è quello elettrico sia con motori in corrente continua sia con motori asincroni in corrente alternata, integrati tipicamente nei mezzi di ultima generazione, con dispositivi in grado di immagazzinare l’energia che, prodotta durante le fasi di frenatura, viene riutilizzata nelle fasi di accelerazione. Il sistema di accumulo, tipicamente adottato per questo tipo di applicazioni è di tipo a supercondensatori, sistemi caratterizzati da una elevata densità di potenza e una grande durata. La potenza richiesta al sistema di propulsione varia notevolmente con il peso e con il carico del veicolo. La potenza installata su ciascuna unità di trazione varia dai 200 ÷ 400 kW. Un parametro attraverso il quale è possibile valutare l’efficienza energetica del veicolo tranviario è il rapporto peso/carico. In Tabella 2.2 vengono riportati i pesi tipici per un tram semplice e per quello articolato con relativi valori del rapporto peso/carico passeggeri. Tabella 2.2: Pesi veicolari. Peso a vuoto (t) Peso per Passeggero Trasportato (kg) Tram semplice 16 ÷ 24 145 ÷ 260 Tram articolato 20 ÷ 50 115 ÷ 267 Veicolo Valori prestazionali accettabili dei veicoli tranviari presentano accelerazioni massime stimate intorno a 1.3 m/s2 e decelerazioni intorno a 1.1 m/s2, mentre, per il jerk (accelerazione di primo distacco) si fa riferimento ad un valore di 0.9 m/s3. Per quanto riguarda le caratteristiche strutturali, la normeIII assumono riferimenti europei e in particolare: –– la EN 12663, che impone requisiti per il dimensionamento strutturale delle casse del rotabile; –– la EN 13749, che impone requisiti per il dimensionamento strutturale dei telai dei carrelli, o strutture equivalenti. Per quanta riguarda gli apparati elettrici ed elettronici, questi devono essere conformi alla norma EN 50155 (apparecchiature elettroniche per il materiale rotabile) e alla norma EN 50207 (convertitori statici per l’installazione in materiale rotabile). A titolo esemplificativo in Figura 8.4 viene riportata una tipica configurazione dell’equipaggiamento di trazione elettrica relativa ad ogni singolo carrello motore (e servizi ausiliari), collocato all’interno di alloggiamenti posti nella zona tetto. III L’elenco completo delle normative è riportato nell’allegato 2. 310 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 8.4: Apparati elettrici nel veicolo tranviario. Figura 8.5: Trambus “Translhor”. In particolare, all’interno di tale alloggiamento sono presenti: –– un convertitore IGBT che alimenta i motori di trazione asincroni trifase e il freno de-accoppiatore associato ad esso; –– un convertitore che alimenta i servizi ausiliari: caricabatteria e inverter per servizi ausiliari; –– un gruppo batteria. I convertitori di trazione e degli ausiliari sono equipaggiati con unità di controllo, filtri, componenti elettromeccanici per il filtro pre-carica, componenti elettromeccanici di protezione BT/MT. Una valida alternativa alla tranvia classica su ferro può essere rappresentata dal sistema tranviario su gomma, il “Trambus”, che con la capacità di persone trasportate presenta i pregi di una tranvia e contestualmente presenta costi e impatto ambientale, nel contesto cittadino, minori. In Figura 8.5 si riporta l’immagine di un trambus modello Translhor. L’infrastruttura è caratterizzata da una piattaforma in cemento armato, larga circa 2.2 m (stessa larghezza del veicolo) sulla quale viene posta in opera un’unica rotaia centrale che ha la funzione di guida, e della linea aerea per l’alimentazione elettrica del veicolo (il ritorno della corrente è via rotaia). In generale il veicolo è dotato di pneumatici e di una serie di ruote metalliche disposte a V con angolo di 45° in alcuni modelli (Transl- Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 311 hor STE) e con angolo di 90° in altri (GLT), che insistono sulla rotaia consentendo al veicolo la guida vincolata. Le Figure 8.6a-b, riportano i particolari relativi ai modelli Translhor (Fig. 8.6a) e Bombardier (Fig. 8.6b). Figura 8.6a: Schema sistema di guida del modello Translohr (STE). Nella figura sono riportate le ruote di guida metalliche e la rotaia in grigio scuro e gli pneumatici in nero. a. Figura 8.6b: Schema sistema di guida del modello Bombardier (GLT). Nella figura è riportata la ruota di guida metallica e la rotaia in grigio scuro. b. Il contatto diretto ruota-rotaia viene evitato grazie a speciali materiali elastomeri con cui sono ricoperte le ruote metalliche. Ne derivano benefici in termini di silenziosità, di vibrazioni e di usura della stessa rotaia. Inoltre, il sistema di frenatura è provvisto di ABS (Antilock Braking System), ovvero del sistema di sicurezza che evita il bloccaggio delle ruote garantendone la guidabilità in fase di frenata. Attraverso la guida vincolata il veicolo non è in grado di circolare al di fuori della rotaia, pertanto non è necessario l’uso dello sterzo, presente, invece, nei sistemi a guida libera o a guida parzialmente vincolata. Le caratteristiche e le prestazioni del tram su gomma possono essere così riassunte: –– alte prestazioni su percorsi accidentati: grazie alla motorizzazione di cui è provvisto e all’aderenza degli pneumatici, è in grado di superare salite con pendenze fino al 13 % in condizioni di pieno carico; –– ingombri ridotti sulla sede stradale: il ridotto raggio di curvatura (10.5 m), indipendentemente dalla lunghezza del veicolo, permette un inserimento agevole anche nelle vie più strette che richiedono angoli molto piccoli. Ciò comporta anche la possibilità di costruzione di depositi di più piccole dimensioni rispetto a quelli tranviari. Grazie alla sagoma contenuta 312 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– –– –– –– –– –– –– Figura 8.7: Dispositivi di sicurezza dello STE. (larghezza 2.20 m, altezza 3.12 m), il Translohr permette l’ottimizzazione dello spazio disponibile per il transito degli altri mezzi di trasporto (marciapiedi, piste ciclabili, viabilità stradale). Inoltre l’ingombro di due Translohr affiancati è all’incirca di 5.41 m, quindi minore di quello di due tram affiancati (6.50 m); costi infrastrutturali ridotti: le opere di armamento ridotte, richiedono scavi meno profondi per la piattaforma che viene realizzata su uno spessore compreso tra i 24 ÷ 30 cm a fronte dei 70 ÷ 100 cm necessari per una tranvia classica. Essendo poi la piattaforma di calcestruzzo armato realizzata in continuo, il sottosuolo rimane accessibile in caso di lavori di manutenzione o di riparazione; accessibilità: il pavimento piano e ribassato a 25 cm dal suolo per tutta la lunghezza del veicolo, consente un accesso semplice e senza dislivelli con il piano della banchina; modularità: i modelli denominati Translohr di concezione modulare attualmente prodotti sul mercato sono denominati STE. Le sue possibili combinazioni sono: STE2 (2 moduli, 18 m), STE3 (3 moduli, 25 m), STE4 (4 moduli, 32 m), STE5 (5 moduli, 39 m), STE6 (6 moduli, 48 m); silenziosità: l’assenza del contatto diretto ruota-rotaia garantisce l’assenza di stridore soprattutto in curva, mentre il dispositivo di guida non trasmette vibrazioni alla rotaia. La norma di riferimento è la ISO 3095; autonomia: il veicolo è equipaggiato con batterie che permettono allo stesso di non avvalersi della linea elettrica per determinati tratti lungo l’intero percorso; elevata capacità di trasporto: i moduli sono comunicanti tra loro senza alcuna parete ed il largo corridoio facilita la circolazione dei passeggeri da un’estremità all’altra del veicolo. In funzione della lunghezza, lo STE è in grado di trasportare da 127 a 358 persone per convoglio; sicurezza: il veicolo è provvisto del dispositivo di espulsione degli oggetti (DDO). Quest’ultimo è complementare al “cacciacorpi” che troviamo installato alle estremità dei tram ed al “cacciapietre” presente invece su ogni coppia di ruotini. Il DDO monta direttamente i pattini di ritorno della corrente, scende nelle gole della rotaia da entrambi i lati e permette di espellere eventuali oggetti che potrebbero esserci finiti dentro. In Figura 8.7 viene descritto il dispositivo di espulsione oggetti DDO. Alcuni svantaggi di questo sistema sono venuti alla luce nel corso dell’esercizio di alcune linee. Si è infatti riscontrato che la rotaia centrale risultava essere pericolosa per i veicoli a due ruote che vi transitano di passaggio. Un altro difetto riscontrato è stata l’usura del Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 313 manto stradale al continuo passaggio del veicolo, causato dagli pneumatici che a lungo andare, creavano dei solchi sulla sede stradale. È stato pertanto necessario provvedere a rinforzare la stessa mediante uno strato in calcestruzzo. Una versione ottimizzata del modello Translohr è il Translohr Prime. Lo si annovera tra i sistemi di trasporto leggero unidirezionale guidato. Nella Figura 8.8 sono raffigurati i due modelli posti a confronto. Figura 8.8: I modelli STE e Prime a confronto. Il Translohr Prime ha configurazione modulare con lunghezze che vanno dai 25 m ai 39 m. Con l’aggiunta di un modulo passeggero o di un modulo intermedio il veicolo subisce un allungamento e dunque un aumento della capacità di trasporto. Tutto questo avviene con un ingombro inferiore rispetto al Translohr STE. Alcune caratteristiche del Translohr Prime sono: –– la semplificazione del rotabile con una sola cabina di guida, una sola catena di trazione, porte del veicolo da un solo lato e un sistema di guida unicamente nel senso di marcia; –– risparmio di tempo al capolinea mediante l’inversione a loop con assenza dei tempi di preparazione/de-preparazione. 314 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 8.9: Scambio a due rotaie. Figura 8.10: Incrocio rigido. Il sistema, è dotato di scambi e incroci realizzati o con una coppia di spezzoni rigidi di rotaia (uno per il corretto tracciato e l’altro per la deviata) o con un unico spezzone flessibile. Si riporta in Figura 8.9 un esempio di scambio a due rotaie. Gli incroci presentano un breve tratto di rotaia girevole che può allinearsi lungo l’uno o l’altro percorso a seconda delle esigenze. Un esempio di incrocio rigido è riportato in Figura 8.10. Rientrano nei sistemi tranviari su gomma anche i trambus con guida magnetica (sistema APTS - Advanced Public Transport Systems BV) e i tram a guida ottica (con la presenza di doppio tratteggio centrale dipinto lungo il percorso che viene letto da una telecamera a bordo del veicolo). 8.3. IL FILOBUS: DAL TRADIZIONALE AL BIMODALE Il filobus è, come il tram, un veicolo a trazione elettrica. Le dimensioni standard del veicolo sono pari a 2.5 m per la larghezza, mentre per lunghezze si possono realizzare vetture da 12 m per i veicoli a 2 assi (con l’unica eccezione di un piccolo gruppo di 4 vetture da 10.5 m) e di 18 m per i filosnodati a 3 assi. La tipologia a 3 assi e cassa unica è scomparsa. Per quanto riguarda i motori elettrici di propulsione, prima del 1996 si sono adottati azionamenti in corrente continua con controllo reostatico o a chopper, dopo il 1996 si è assistito a un progressivo cambiamento verso la soluzione con azionamento in corrente alternata con controllo a inverter. Il sistema di trazione è tipicamente monomotorico, della potenza di 150300 kW; fra gli impianti ausiliari è importante ricordare il motocompressore per la produzione dell’aria compressa necessaria per il circuito pneumatico di comando delle porte, dei freni, ecc. In Figura 8.11 viene schematizzato un tipico schema a blocchi del circuito di potenza presente a bordo di un filobus tradizionale. Negli anni ‘90 la possibilità di circolare, sia pure con prestazioni e autonomia limitate, indipendentemente dalla linea elettrica di alimentazione, è sempre stata considerata una prerogativa auspicabile per un filobus. Inizialmente, intorno agli anni ‘30, ci si accontentò di rendere possibile qualche breve movimento autonomo a bassissima velocità, ad esempio all’interno delle rimesse, facoltà che venne ottenuta con l’utilizzo di una batteria di accumulatori a bordo dei veicoli. Contemporaneamente si sperimentarono 316 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata particolare, per l’ingresso e l’uscita dalle rimesse. Il ricorso alla marcia autonoma per tali movimenti consente di semplificare gli impianti di linea, riducendo il numero degli scambi aerei che sono causa di rallentamenti e possibili scarrucolamenti delle aste, e di evitare la posa della linea di contatto all’interno delle rimesse. Infine, per le linee lunghe o che, in periferia, si diramano verso più direzioni, l’impiego di filobus bimodali consente di limitare la posa dei conduttori aerei di contatto alle sole sezioni ricadenti nel centro urbano, dove il traffico è più intenso, e di esercitare con marcia autonoma le sezioni estreme, dove il minor traffico non giustifica la spesa per la costruzione degli impianti di elettrificazione. In Figura 8.12 a-b si riporta un confronto di architetture tra un filobus bimodale a batteria e un filobus bimodale con motore endotermico e la schematizzazione del propulsore elettrico. Figura 8.12a: Equipaggiamento elettrico per un filobus bimodale. Figura 8.12b: Schematizzazione del propulsore elettrico. Nell’ultimo decennio, ci sono stati considerevoli miglioramenti nella progettazione dei veicoli filoviari. Ne è un esempio l’abbassamento automatico delle aste del trolley in caso di distacco dalla rete oppure sotto comando del conducente, senza che questo debba lasciare la plancia di guida. È stata realizzata anche la possibilità di un riposizionamento automatico delle aste, previa installazione di un’apposita attrezzatura. I progressi nella scienza dei Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 317 materiali e i miglioramenti della dinamica del movimento hanno permesso cospicui miglioramenti nel progetto della rete area nonché delle aste di captazione. Gli attuali sistemi di sospensione permettono al veicolo di viaggiare oltre gli 80 km/h senza creare alcun problema alla stabilità della linea di alimentazione. A questo fattore si aggiunge la struttura di sostentamento della catenaria tradizionale, ridotta al minimo, con conseguente miglioramento dell’impatto sull’ambiente urbano. Le sospensioni migliorate e nuovi innesti appositamente progettati consentono ai veicoli di procedere speditamente anche nell’attraversamento delle zone di intersezione con altre linee. L’utilizzo del motore di trazione a corrente alternata ha introdotto molti vantaggi rispetto ai tradizionali sistemi a corrente continua: grande affidabilità, minore manutenzione, grande efficienza, un controllo accurato delle accelerazioni e degli spunti. Il vantaggio principale è sostanzialmente quello di consumare un terzo dell’energia di un motore a corrente continua. Contrariamente a un autobus tradizionale con motore diesel e albero di trasmissione, un filobus ha generalmente un singolo motore elettrico di dimensioni paragonabili alla tradizionale scatola del cambio che è collegato direttamente agli assi di guida. Non c’è alcun cambio né frizione, mentre gli ingranaggi sono installati direttamente sull’asse che ha un rapporto di riduzione maggiore per fronteggiare il maggior numero di giri che caratterizza il motore elettrico di un filobus. Sul mercato, sono stati immessi recentemente veicoli con assi di guida in cui ogni ruota è motorizzata (motoruota). La Figura 8.13 illustra uno schema di principio di tale sistema. Ciascuna ruota è dotata di un motore di trazione propria, collegato o inserito direttamente nel cerchione del pneumatico. Questo permette l’eliminazione dei differenziali e degli alberi di trasmissione, consentendo ulteriori semplificazioni della tecnologia di funzionamento del veicolo e una grande flessibilità nella progettazione degli spazi interni (adozione del pianale ribassato su tutta la lunghezza del veicolo). Come per i sistemi tranviari, anche nei filobus l’energia generata dalla frenatura elettrica può essere dissipata da resistori appositi, reimmessa in linea o accumulata a bordo con i supercondensatori. Figura 8.13: Sistema motoruota. 318 8.4. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata LA METROPOLITANA: PESANTE E LEGGERA La metropolitana è un sistema di trasporto ad elevata capacita e regolarità i cui costi elevati di costruzione e gestione sono giustificati solo nei casi di domanda di trasporto molto elevata. Esistono due tipologie di metropolitane, che hanno ambiti di applicazione e costi diversi: –– Metropolitana leggera (Light Rall Transit - LRT) –– Metropolitana pesante (Rapid Rail Transit - RRT) Le Metropolitane leggere (LRT) sono considerate come un sistema intermedio tra quello tranviario e quello metropolitano classico. Prevedono la realizzazione delle opere civili prevalentemente in sede propria (sono consentite per brevi tratti commistioni con il traffico privato - intersezioni) e viaggiano in galleria nei centri storici urbani. Si distinguono principalmente dalle metropolitane pesanti esclusivamente per la capacità di trasporto che risulta più contenuta. I veicoli sono costituiti da 2 a 4 casse e hanno lunghezze fino a 35 m e capacità fino a 100 passeggeri per ogni cassa; la velocità commerciale arriva a 40 km/h con capacità fino a 10,000 - 15,000 pass./h. Le Metropolitane pesanti (RRT) sono esclusivamente in sede protetta e, nei centri urbani, prevalentemente in galleria. Richiedono elevati costi di investimento per cui si giustifica solo in corridoi metropolitani con domanda di trasporto molto elevata. La capacità di una linea metropolitana arriva fino a 35,000 pass./h. I convogli sono costituiti da più veicoli (vagoni) di lunghezza pari a 17 m e una capacità di carico fino a 250 posti; ogni convoglio ha almeno due vagoni. La velocità commerciale di questi sistemi arriva a 50 km/h con un intertempo tra due passaggi successivi che può arrivare fino a 90 s (frequenza di 40 convogli/h). Sia le metropolitane pesanti che quelle leggere generalmente utilizzano convogli ferroviari costituiti dall’insieme di più vetture rimorchiate e automotrici, tutte comandate dalla cabina di testa, collegata da accoppiatori automatici. Per aumentare la velocità media (fra 30 e 40 km/h) si tende ad aumentare le accelerazioni di avviamento (fino a 1.3 m/s2) e la decelerazione di frenatura (fino a 1.8 m/s2). Per ottenere queste prestazioni si aumenta la potenza e si diminuisce il peso, utilizzando strutture in lega leggera. I convogli possono avere un azionamento in c.c. o in c.a. a recupero di energia, con reostato di frenatura a bordo parzializzato attraverso chopper, abbinati a sottostazioni elettriche di alimentazione “reversibili” o con capacità di accumulo. Per azionamenti in c.c. gli elementi principali sono: –– chopper principale (conversione cc/cc); –– chopper di frenatura. Per azionamenti in c.a. gli elementi principali sono: –– inverter (versione a tensione impressa con GTO); –– chopper di frenatura (azionato dalla massima tensione in linea: utilizzato anche per proteggere dalle sovratensioni i motori). Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 319 Un convoglio tradizionale può essere composto da 2 unità di trazione costituite da 2 elettromotrici permanentemente accoppiate, ciascuna dotata di cabina di guida e da una rimorchiata. Il Sistema di trazione è di tipo tradizionale in c.c. munito di reostati per l’avviamento e dissipazione dell’energia di frenatura. Un convoglio moderno può essere composto da due unità motrici, ciascuna costituita con una configurazione con 4 motori asincroni a 4 poli con rotore a gabbia di scoiattolo realizzato in lega di alluminio, con tensione concatenata in uscita di 945 V, con potenza di 145 kW, funzionanti in parallelo a 2 a 2 con motori montati sullo stesso asse. Si riporta uno schema elettrico in Figura 8.14 di un treno composto da 3 unità di trazione costituite da due elettromotrici permanentemente acFigura 8.14: Schema di potenza di una unità di trazione di un convoglio della linea B di Roma. 320 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata coppiate di potenza pari a 540 kW ciascuna, con azionamento di tipo “fullchopper” (con possibilità recupero in linea energia prodotta in fase di frenatura). Alcuni degli equipaggiamenti elettrici rappresentati nello schema sono: –– i chopper di frenatura CHFA e CHFB, posti in parallelo; –– le resistenze RFA e RFB, necessarie per la dissipazione dell’energia di frenatura in assenza di ricettività della linea; –– il microprocessore che regola l’energia da dissipare su reostati, a partire dall’ energia disponibile ai morsetti del motore e dalla tensione al pantografo; –– i chopper CHA e CHB, insieme con i diodi di blocco DR, costituiscono il chopper innalzatore bifase; –– le tre resistenze tampone (RTF 1, RTF 2 e RTF 3) necessarie per la limitazione della corrente rotorica; –– il condensatore filtro CF; –– i contattori di frenatura F1-F2; –– gli invertitori per i motori INV1-2, INV3-4; –– l’interruttore extrarapido JR; –– l’induttanza filtro LF; –– le induttanze di spianamento LMA-LMB; –– i motori di trazione M1, M2, M3, M4; –– il pantografo PAN; –– i contattori di trazione T1 e T2 e il contattore di maglia TF. Appartengono alla categoria delle metropolitane leggere i sistemi su gomma completamente automatici AGT (Automated guideway transit), quali: –– AGS (Automated Guideway System) prodotto dalla Westinghouse Electric Corporation (USA). –– TGA (Transport Guideway Automated) prodotto dalla società Kawasaki (Giappone). –– VAL (Véhicule Automatique Léger) prodotto dalla società Matra (Francia) assorbita dalla Siemens (Germania). Nelle metropolitane automatiche su gomma la guida è interamente controllata da elaboratori che sostituiscono in tutto il guidatore. Pur viaggiando in sede completamente riservata hanno, in generale, ruote gommate e la rotaia è costituita da travi in acciaio (come nella città di Sapporo, Parigi e Città del Messico), cemento armato (come nella metropolitana di Montreal, di Lille, di Tolosa e di Santiago); alcune ruote sono portanti e altre svolgono la funzione di guida. La dimensione e la capacità di questi veicoli sono molto più modeste rispetto ai sistemi ordinari metropolitani; e sono usati soprattutto come navette negli aeroporti. Nella Tabella 4.1 è riportata una sintesi delle principali caratteristiche dei sistemi AGT. Il sistema TGA: I sistemi peoplemovers giapponesi sono così caratterizzati: –– gli impianti utilizzano ruote in gomma e guida laterale; –– i veicoli si muovono su piste in resina epossidica con sagoma a T; Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano Vettura Convoglio Largh. Lungh. Altezza Tara Val. 206 2.06 12.90 3.25 15.5 22 55 77 Val 256 2.56 13.80 3.25 - 12 80 92 Sistema AGT TGA AGS100 2.39 2.85 8.40 12.00 3.21 3.40 321 10.5 14.7 Lunghezza, altezza, larghezza in metri Tara e carico in tonnellate Posti In Sed. piedi 12 16 45 70 Tot. 57 86 N° vett. Lungh. Posti tot. Tara + carico 2 25.80 154 42.5 4 51.60 308 85.0 2 28.00 184 - 4 56.00 368 - 2 16.80 114 29.5 4 33.60 228 59.1 6 50.40 342 88.5 8 67.20 456 118.0 1 12 86 21.1 2 24 172 42.2 3 36 258 63.3 Carico = n posti * 75 kg. Standard posti in piedi = 4 pass/m2. Tabella 4.1: Dimensioni e capacità dei veicoli AGT. –– l’alimentazione è a 600 V trifase e l’azionamento è con motori in corrente continua; –– la potenzialità degli impianti in esercizio varia da 6,000 a 10,000 pass./h. Il sistema più utilizzato e commercializzato è quello denominato “Kawasaki AGT System”. Questo sistema, completamente automatico, utilizza veicoli su gomma che rotolano su una pista apposita; la guida avviene tramite ruote ausiliarie gommate. L’unità tipo, inscindibile, è composta da due veicoli e i convogli possono essere composti da 2 o 3 unità. Con un distanziamento di 60 sec. è possibile ottenere potenzialità di oltre 26,000 pass./h per direzione. I veicoli hanno strutture in lega leggera e sono montati su carrelli monoasse con dispositivi di sterzatura delle ruote. Le ruote su pneumatici sono del tipo normalmente impiegato sui veicoli industriali e nel loro interno è sistemato un cerchio in acciaio che consente di raggiungere la più vicina zona di ricovero anche in caso di sgonfiamento accidentale. La guida del veicolo avviene tramite coppie di ruote montate su asse verticale e su ciascun lato. Ogni semiunità è dotata di un impianto pneumatico che produce aria compressa per i servizi di bordo e per la frenatura meccanica. La frenatura è normalmente effettuata elettricamente con recupero di energia in linea; mediante l’aria compressa si può agire, in caso di guasto all’impianto elettrico, sui freni a disco. È previsto inoltre anche un freno di stazionamento. L’equipaggiamento elettrico di trazione e frenatura è costituito, per ciascuna unità, da due motori in corrente continua regolati da un azionamento 322 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata a chopper; l’alimentazione proviene da una terna trifase a 600 V, 50 Hz. I motori in corrente continua hanno una potenza continuativa per ciascuna unità pari a 2 × 110 kW. Con queste prestazioni, considerando soste ogni 600 m dell’ordine dei 15 s, si raggiunge una velocità commerciale di 32 km/h. I consumi, riferiti ad un carico intermedio, risultano di 2.7 kWh/ vett.km. II sistema di alimentazione elettrica è di tipo classico e non ha elementi di innovazione. Si ricorda solamente che essa avviene mediante sottostazioni di conversione rete primaria/rete trifase di alimentazione, nelle quali sono installate anche le cabine di alimentazione dei servizi di stazione. Le sottostazioni alimentano le vetture tramite le linee di contatto a terza rotaia. La captazione della corrente avviene mediante degli striscianti. Il sistema AGS La maggior parte delle realizzazioni si hanno per servizio di distribuzione negli aeroporti. Dal 1971, data di inizio del primo impianto, vi è stato un continuo incremento della utilizzazione del sistema. Tutti gli impianti sono completamente automatici e utilizzano veicoli su gomma (ruote gemellate) che si muovono su una pista; la guida è centrale ed utilizza ruote di gomma ad asse verticale. La scocca dei veicoli è in alluminio ad alta resistenza e acciaio a bassa lega (telaio). Il veicolo può funzionare singolarmente ed è accoppiato per formare convogli di 4 vetture. La captazione della corrente (trifase a 600 V) avviene mediante striscianti. I freni, del tipo a tamburo e ferodi, sono comandati ad aria compressa ed elettricamente per eseguire la frenatura di servizio comandata dalla postazione informatica centrale di controllo. Il sistema di frenatura di emergenza è separato dall’impianto di frenatura di servizio e consiste in freni azionati a molla comandata da valvole elettromagnetiche. È previsto anche il freno di stazionamento. Ogni veicolo è dotato di impianto per la produzione dell’aria compressa. La sospensione del veicolo è ottenuta mediante balestre semiellittiche (che costituiscono la sospensione primaria) e molle pneumatiche (sospensione secondaria). Fiura 8.15: Sezione sistema di guida AGS. Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 323 L’equipaggiamento elettrico di trazione e frenatura è costituito, per ciascun veicolo, da due motori in corrente continua comandati e regolati tramite un chopper (non sembra esistere negli impianti in esercizio la frenatura a recupero, peraltro facilmente realizzabile), i motori in corrente continua hanno una potenza continuativa totale di 2 × 75 kW. Con queste prestazioni la velocità commerciale, su linea con un distanziamento medio delle stazioni di 600 m ed una sosta di 20 s risulta di 28 km/h. I consumi, per il veicolo, risultano pari a 1.7 kWh/veicolo km. L’impianto di alimentazione elettrica è di tipo classico; sono prescritte sottostazioni di conversione trifase (tensione primaria 600 V) che alimentano le vetture mediante linee di contatto formate da terza rotaia. In Figura 8.15 è rappresentato il sistema di guida per i sistemi AGS. Il sistema VAL La caratteristica dei sistemi VAL è quella di utilizzare veicoli su gomma su piste di rotolamento, con guida laterale e scambi con imbocco centrale. Il distanziamento minimo ottenibile con questo sistema è di 60 secondi. La portata oraria può arrivare a 15,000 pass/h. Il veicolo VAL 206 è costituito da due vetture motrici indivisibili, interamente realizzate in alluminio, la cui cassa viene trattata con un sistema di finitura poliuretanica che protegge dalla corrosione. Il veicolo è provvisto di una batteria, caricata tramite un convertitore statico, che è dimensionata in modo da assicurare la continuità di alcune funzioni prioritarie in caso di mancanza di alimentazione primaria. La guida del veicolo avviene lateralmente mediante ruote di gomma ad asse verticale; gli scambi sono imboccati da una ruota posta al centro del veicolo. Tutti gli assi dei veicoli sono motorizzati grazie a due ruote portanti, dotate di freni a disco autoventilati. Le ruote portanti sono formate da uno pneumatico gonfiato con azoto e da un cerchione che alloggia una ruota ausiliaria montata all’interno del pneumatico. Essa agisce, in emergenza, in caso di sgonfiamento del pneumatico. Le vetture sono munite di frenatura di servizio elettropneumatica, la frenatura meccanica è del tipo a frizione. La captazione della corrente avviene mediante quattro contatti striscianti. L’equipaggiamento elettrico è costituito da quattro motori in corrente continua distribuito sui due veicoli che costituiscono l’unità; i due motori che azionano gli assi di una stessa cassa sono accoppiati elettricamente in serie in modo permanente. L’azionamento è a chopper e le caratteristiche di ciascun motore sono le seguenti: –– potenza continuativa a 1860 giri/min. 151 kW; –– corrente massima ammessa in trazione 600 A; –– corrente massima ammessa in frenatura 550 A. In Figura 8.16 viene riportata l’architettura di un veicolo e un dettaglio del carrello. Le prestazioni del veicolo risultano: velocità massima di 80 km/h, accelerazione 1.3 m/s², raggio minimo in linea 40 m e pendenza massima superabile del 10 %. La velocità commerciale che si può ottenere, su un percorso con soste mediamente poste ogni 750 m, della durata di 15 s, è di 34 km/h. I consumi, con veicolo a pieno carico sono valutabili in 4 kWh/unità.km. Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 325 Il sistema VAL non richiede la presenza di conducenti o assistenti a bordo o nelle stazioni. È sufficiente un numero esiguo di operatori nel posto di controllo centralizzato per sorvegliare l’intero sistema e i movimenti dei treni e dei passeggeri. Questi operatori comandano l’accensione e lo spegnimento del sistema e intervengono in caso di imprevisti, quali guasti o altre situazioni di emergenza. In Figura 8.17 sono riportati gli automatismi e le logiche di controllo del sistema Val. Figura 8.17: Sistema di automazione. Gli automatismi sono stati progettati per consentire la marcia automatica senza conducente, garantire la sicurezza degli utenti e fornire al gestore un controllo globale con i mezzi d’interventi necessari. In particolare è possibile: –– trasferire dati da treni/stazioni al Posto di controllo e comando; –– proteggere automaticamente i treni; –– guidare automaticamente i treni; –– supervisionare l’esercizio; –– utilizzare porte di banchina automatiche; –– installare sistemi di videosorveglianza in stazione e a bordo treno; –– supervisionare l’impianto antincendio e di rilevamento fumi; –– supervisionare il sottosistema per il rilevamento della posizione del treno per mezzo di barriere infrarossi (DN) e deflettori elettromagnetici (DP) per evitare collisioni. Ogni operatore dispone di una console che gli consente di comunicare con i passeggeri sui treni e nelle stazioni e di utilizzare i comandi a distanza 326 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata per intervenire sul funzionamento dei treni, sulla gestione dello stato delle stazioni e dell’alimentazione elettrica, nonché sulla gestione dei guasti. Oltre al normale modo operativo di conduzione dell’esercizio, il sistema consente l’utilizzo di modalità alternative che assicurano, qualora necessario, un servizio ridotto. A seconda delle esigenze, può operare con diverse modalità: percorso ad anello, bidirezionalità, modalità a navetta o a binario unico. Il sistema VAL possiede funzioni di ripristino automatico che non richiedono l’intervento del centro di controllo o degli operatori. Il VAL è in grado di adattarsi in tempo reale alle fluttuazioni del traffico mediante l’inserimento, ritiro dei treni in linea, secondo un determinato programma di esercizio o su semplice richiesta di un operatore del centro di controllo. Se un treno dovesse bloccarsi sulla pista, senza alcun intervento umano, può essere spinto automaticamente dal treno successivo fino alla stazione successiva. Su ogni porta dei vagoni è presente una leva per l’evacuazione di emergenza che ha la funzione di trasmettere immediatamente un segnale d’allarme al centro di controllo. 8.5. GLI ORGANI DI CAPTAZIONE Gli organi di captazione della corrente hanno la funzione di trasmettere l’alimentazione elettrica al veicolo. Le differenze strutturali sono dovute principalmente alle correnti da captare, alla disposizione della linea di contatto, e al conduttore utilizzato per il ritorno della corrente. Ogni sistema di trasporto, in relazione ai fattori sopracitati, prevede una particolare architettura dell’organo di captazione; i più diffusi sono: la presa ad asta, il pantografo asimmetrico e simmetrico, il pattino strisciante. 8.5.1. LA PRESA AD ASTA Le prese ad asta vengono impiegate soltanto per veicoli a bassa velocità e di potenza modesta come tram e filobus. Le aste sono montate sul tetto del veicolo e vengono tenute sollevate mediante un sistema di molle che, oltre a neutralizzare l’azione del peso, esercitano una forza sul filo di contatto Figura 8.18: Sezione della rotella posta all’estremità dell’asta. Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 327 Figura 8.19: a) Presa ad asta, b) pattino a gola. Figura 8.20: Movimento delle aste. 8.5.2 diretta verso l’alto, del valore di alcune decine di Newton. L’abbassamento viene ottenuto mediante una corda che si avvolge su un tamburo e rende possibile il bloccaggio dell’asta contro opportuni riscontri. L’organo a contatto con il conduttore è una rotella concava, rappresentata in Figura 8.18, o un pattino (cfr. Fig. 8.19b) montato sull’estremità superiore dell’asta. Nei veicoli filoviari, essendo alimentati da una linea bifilare, si usano due aste identiche isolate, rappresentate in Figura 8.20, una per il polo positivo e l’altra per il polo negativo. Nel caso di scarrucolamenti della presa ad asta, al fine di evitare che le aste vadano a urtare violentemente contro i conduttori aerei, il tamburo di ancoraggio della corda è provvisto di un dispositivo di richiamo che provoca l’abbassamento rapido dell’asta. Il sistema di captazione della corrente deve rispecchiare la normativa CEI 9-4 “Impianti elettrici nei filoveicoli: Requisiti di sicurezza e guida per la presentazione delle offerte”. I due captatori di corrente permettono al filobus di operare fino a una distanza di 3.5 m per parte, dall’asse della linea aerea di alimentazione (Fig. 8.20). IL PANTOGRAFO I veicoli tranviari sono alimentati in c.c. da due conduttori, collegati ai poli positivo e negativo della sottostazione elettrica; in particolare il conduttore positivo è costituito da una linea di contatto aerea, mentre il conduttore negativo è costituito dalle rotaie di corsa. Il tipo di presa di corrente, comunemente impiegato per i sistemi tranviari, è di tipo a pantografo asimmetrico formato da un quadro articolato deformabile rispetto al piano verticale. In Figura 8.21 si riporta l’architettura del pantografo asimmetrico. Il quadro, costituito dal quadro inferiore e braccio superiore (1,2) e montato mediante isolatori sul tetto del rotabile, sostiene l’archetto (3) che, provvisto di striscianti, va a diretto contatto con il conduttore aereo. 328 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 8.21: Il pantografo asimmetrico. I supporti dell’archetto sono molleggiati per consentire i piccoli spostamenti verticali; le estremità laterali (denominate corni) sono opportunamente sagomate, per facilitare l’accoppiamento con il filo di contatto. Il pantografo può assumere le seguenti posizioni: –– a riposo, quando è completamente abbassato e quindi distaccato dalla linea; –– a lavoro, quando è sollevato, a contatto con il filo. Le altezze di lavoro, possono variare dal valore minimo hmin al valore massimo hmax, a seconda dell’altezza della linea di contatto; per questa è fissata infatti una quota normale, per un determinato sistema di trasporto, ma si possono avere differenze di quota, in più o in meno, in corrispondenza di punti singolari (sottopassi, gallerie, passaggi a livello, ecc.) È necessario di conseguenza che il pantografo garantisca una soddisfacente captazione di corrente nella zona di lavoro (5.1): = ∆ h hmax − hmin (5.2) che risulta in genere molto ampia per i veicoli tranviari (≈ 1 m) e più restrittiva per i veicoli metropolitani; come ad esempio per la linea metro A di Roma (≈ 0.20 m) e la linea B-B1 (≈ 0.60 m). Gli striscianti sono costituiti da barre di materiale conduttore (rame, acciaio, alluminio, carbone, grafite). L’archetto e il quadro sono isolati rispetto alla cassa del veicolo, la corrente passa attraverso il telaio, fino agli elementi di base, ai quali fa capo il circuito di trazione; le articolazioni sono cortocircuitate da connessioni flessibili in rame, per evitare che i relativi cuscinetti vengano danneggiati dal passaggio della corrente. Per una soddisfacente captazione della corrente e una buona conservazione del filo e degli striscianti, è necessario che questi due elementi rimangano costantemente a contatto anche alla massima velocità, nonostante le variazioni di livello, le oscillazioni della linea aerea e gli spostamenti del pantografo dovuti ai moti del veicolo. Nello studio della dinamica del pantografo si considerano, dal punto di vista inerziale, le masse equivalenti riferite alla presa nel suo insieme oppure all’archetto: per una corretta captazione è essenziale minimizzare dette masse equivalenti. La presa di corrente è sottoposta in genere a due sistemi di molle: –– molle di lavoro, che contrastando l’azione del peso, determinano l’innalzamento del pantografo ed esercitano una forza o spinta verticale contro il filo (spinta statica Fs); essa si aggira intorno a 10÷100 N, a velocità Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 329 nulla, e deve rimanere costante al variare dell’altezza del pantografo entro la zona di lavoro; –– molle principali o di discesa, aventi azione contraria e prevalente rispetto alle precedenti, in modo da tenere abbassato il pantografo. L’azionamento del pantografo è di solito elettropneumatico (Fig. 8.22); l’aria viene immessa mediante una elettrovalvola in un cilindro di comando, nel quale si trovano le molle principali. In condizioni di riposo l’elettrovalvola, diseccitata, pone il cilindro in comunicazione con l’atmosfera; le molle principali sono libere e tengono abbassato il pantografo. Eccitando l’elettrovalvola, l’aria compressa entra nel cilindro e comprime le molle principali; le molle di lavoro vengono liberate e determinano il sollevamento del pantografo. Con questo sistema di comando, si ha il vantaggio che, in caso di mancanza accidentale di aria, la presa si abbassa automaticamente. Figura 8.22: Schema elettropneumatico di comando di un pantografo. a. b. c. d. e. f. g. h. i. Posizione dell’asta D di comando corrispondente a pantografo abbassato; Idem, a pantografo sollevato; Cilindro pneumatico a semplice effetto, contenente le molle principali; Asta di comando del cinematismo; Elettrovalvola; Valvola di strozzamento con scarico comandato; Interruttore di comando; Sorgente di aria compressa; Scarico. Completano il comando dispositivi accessori che rendono possibile: –– lo scarico repentino del cilindro, quando si comanda l’abbassamento, in modo da avere un rapido distacco del pantografo dalla linea; verso la fine della corsa di discesa il movimento viene opportunamente rallentato; 330 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– la salita lenta del pantografo, per evitare che l’archetto vada a urtare troppo violentemente contro il filo; –– il sollevamento iniziale del pantografo dopo un lungo stazionamento, quando i serbatoi dell’aria compressa sono ancora vuoti (motocompressore ausiliario alimentato dalla batteria, oppure pompa a mano). 8.5.3. Figura 8.23: Alimentazione a terza rotaia. Figura 8.24: Pattino installato nel carrello. Figura 8.25: Alimentazione da terza rotaia posta al centro della carreggiata. I SISTEMI A TERZA ROTAIA I sistemi si definiscono a terza rotaia quando l’alimentazione dei veicoli non è più svolta mediante linea aerea, bensì da terra, mediante l’utilizzo di un’altra rotaia che non ha funzione di guida. L’alimentazione elettrica mediante l’utilizzo di una terza rotaia classica è adottata principalmente in sistemi a corsia riservata o completamente protetta come ad esempio una metropolitana leggera. Il sistema classico a terza rotaia, rappresentato in Figura 8.23, presenta una terza rotaia situata lateralmente rispetto al binario; la superficie di contatto, orizzontale, si trova a una decina di centimetri rispetto al piano del ferro. Nella versione più comune la rotaia è appoggiata su isolatori, per cui la superficie di contatto è rivolta verso l’alto. In questo caso l’organo di captazione presente sul veicolo, raffigurato in Figura 8.24, è costituito da un braccio articolato, montato mediante isolatori su un fianco del carrello, e da un pattino, generalmente di ghisa, che si appoggia sulla terza rotaia. Poiché la presa è fissata al carrello, gli spostamenti relativi tra pattino e terza rotaia sono molto limitati; il braccio consente tuttavia i piccoli movimenti necessari. La pressione di lavoro è data, oltre che dal peso del pattino, dall’adozione di molle. In alcuni impianti la terza rotaia è sostenuta da isolatori e presenta la superficie di contatto rivolta verso il basso; è così più facile prevedere una protezione contro i contatti accidentali. La presa è di tipo analogo al precedente, con il pattino spinto verso l’alto da molle. Tra gli svantaggi di questo sistema, uno importante è l’interruzione della linea di alimentazione per la presenza di passaggi a livello, Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 331 scambi, e per la pericolosità nei depositi locomotive e officine data la presenza della tensione elevata ad altezza d’uomo. Un altro sistema di alimentazione adottato principalmente per linee tranviarie, prevede la linea di contatto installata internamente a una terza rotaia posta al centro del binario, raffigurata in Figura 8.25, la quale non ha funzione di guida del veicolo, ma solo quella di fornire alimentazione al passaggio del veicolo, attraverso l’ausilio di un captatore. Esistono due metodologie per attivare la captazione dal suolo per via conduttiva: la prima si basa sul principio dell’attrazione magnetica, la seconda utilizza un sistema codificato radio. Per quanto riguarda il primo sistema, la linea di contatto è installata all’interno della terza rotaia ed è composta da vari moduli consecutivi, che a loro volta sono costituiti da vari segmenti conduttori, isolati tra loro, lunghi 50 cm ciascuno. I segmenti rilasciano energia solo quando è presente il carrello del veicolo sopra di essi e perciò non costituisce un pericolo per le persone. In Figura 8.26 è possibile osservare l’attivazione di un segmento di linea di contatto; è evidente come la terza rotaia vada in tensione solo quando il captatore installato sotto il carrello del veicolo, per attrazione magnetica, porta la “striscia flessibile” da una posizione di riposo a una posizione di contatto con il “feeder positivo” e conseguentemente permette di attivare il segmento della linea di contatto. Nel secondo sistema la terza rotaia si compone di segmenti conduttori lunghi 8 metri separati da raccordi isolanti lunghi 3 metri. Figura 8.26: Principio magnetico di attivazione del segmento. 332 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 8.27: Principio di attivazione del segmento di alimentazione. L’alimentazione trasmessa attraverso questa terza rotaia viene catturata da pattini striscianti installati nel sottocassa del veicolo tranviario. I segmenti conduttori ricevono alimentazione grazie a un dialogo radio codificato tra tram e terra solo quando il segmento conduttore viene coperto dal tram garantendo la completa sicurezza dei pedoni. In Figura 8.27 è illustrato il principio di funzionamento di questo sistema: Alle due estremità della sezione della linea si trovano le due sottostazioni di alimentazione da ciascuna delle quali, in configurazione di alimentazione bilaterale, parte il tradizionale cavo di alimentazione alla tensione di +750 V (linea continua di colore nero). A tale cavo si collegano gli organi di congiunzione e sezionamento indicati con il simbolo CA (Contattori di potenza). Ogni CA è provvisto del contattore di alimentazione che pone in tensione un segmento della terza rotaia (circuito in linea a due tratteggi) in condizioni di presenza del radiosegnale attestante la “presenza rotabile”. Ogni CA è inoltre provvisto di un sezionatore disposto in chiusura verso il cavo di “terra” (indicato con la linea tratto e punto) in condizioni di assenza del radiosegnale di “presenza rotabile”. Una linea di controllo unica, rappresentata con la linea tratteggiata in grigio) collega le sottostazioni e i singoli CA, convogliando i segnali di permanente verifica della coerenza delle condizioni di funzionamento con quelle di sicurezza e funzionalità prescritte per il sistema; in caso di segnalazione di anomalia, e quindi di discostamento dalle condizioni di sicurezza e funzionalità, la linea di controllo segnala alla sottostazione di provvedere all’immediato distacco dell’energia e all’isolamento del CA all’origine della anomalia. Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 8.5.4. 333 IL RITORNO DELLA CORRENTE E LA QUARTA ROTAIA Il circuito di ritorno, al pari della linea di contatto, garantisce il regolare esercizio ferroviario. È costituito solitamente da una o entrambe le rotaie del binario. Il problema principale del ritorno della corrente mediante la rotaia è che parte della corrente si disperde nel terreno se non è previsto l’isolamento totale dei binari rispetto terra. La corrente dispersa potrebbe aggredire strutture metalliche presenti nelle vicinanze della sede ferroviaria causando fenomeni corrosivi che nel tempo porterebbero a cedimenti strutturali (cfr. Cap. 3). In ogni caso deve essere sempre verificata la continuità elettrica del circuito, assicurando un collegamento permanente tra i vari spezzoni di rotaia. Il conduttore negativo del circuito di trazione è quindi collegato alla cassa dei veicoli e, attraverso i carrelli e le sale, alle rotaie. Per evitare il passaggio della corrente attraverso i cuscinetti delle boccole, che ne verrebbero danneggiati, si collega elettricamente il telaio del carrello alla sala mediante un sistema di spazzole fisse, di solito a contatto con la superficie frontale del fusello. Qualora vi sia una quarta rotaia isolata di ritorno, come nelle metropolitane di Londra e Milano, s’impiegano prese negative, di caratteristiche analoghe a quelle positive per terza rotaia. La quarta rotaia, in questo caso, è isolata da terra e dal resto degli impianti. 8.5.5. TENSIONE DI ALIMENTAZIONE Nelle filovie, nelle tranvie e nelle metropolitane in generale, l’alimentazione della linea di contatto è ottenuta mediante sottostazioni di conversione la cui evoluzione ha seguito quella degli analoghi impianti per i sistemi di trasporto elettrificato su rotaia. Per la tensione della linea di contatto si adottò quasi in tutte le reti di superficie il valore nominale di 600 V soprattutto per filovie e tranvie, mentre solo alcune filovie e tranvie extraurbane, oggi scomparse, furono elettrificate anche a 1200 V. Tuttavia, per effetto dell’entrata in vigore di una recente direttiva Ue valida per le linee filoviarie e tranviarie, si trovano realizzazioni a 750 V in alcune città italiane (Genova e Cagliari). Modena ha subito recentemente la conversione a 750 V e Napoli è attualmente in fase di conversione a 750 V. La normativa vigente sulle tensioni di alimentazione, da rispettare per contenere le massime cadute di tensione per garantire una marcia regolare e secondo orario, è la CEI EN 50163 che impone le tensioni minime e massime da rispettare. Per una linea con tensione nominale a 750 V, si prevede: –– Tensione Massima: 900 V; –– Tensione Minima: 500 V. Per quanto riguarda le linee metropolitane, se la tensione nominale è di 1500 V, i valori da rispettare secondo la normativa sono i seguenti: –– Tensione Massima: 1800 V; –– Tensione Minima: 1000 V. 334 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 8.6. LE INFRASTRUTTURE DEI SISTEMI DI TRASPORTO URBANO 8.6.1. LA SEDE La sede destinata al transito di veicoli adibiti al trasporto collettivo urbano è una strada pavimentata se i mezzi sono dotati di ruote in gomma o prevede la presenza di binari se i mezzi sono dotati di ruote in acciaio. A. Le strade per il servizio su gomma Le larghezze standard e minime necessarie per le sedi dei servizi automobilistici sono rispettivamente di 3.60 m e 3.00 m, anche se si registrano fluttuazioni più o meno ampie da Stato a Stato. I veicoli gommati in servizio ordinario di trasporto collettivo circolano sulle stesse strade dei veicoli privati; in ambiente urbano possono essere previsti per essi delle corsie riservate o trattamenti privilegiati nelle regole di priorità di circolazione. Una corsia riservata deve avere una larghezza di almeno 3.75 m e non meno di 5.50 m ove si preveda la possibilità di sorpasso. Una via a due corsie riservata alle autolinee è larga circa 7.50 m ove le velocità siano moderate; per servizi a velocità più elevata sono necessarie larghezze maggiori e dispositivi di separazione fisica tra le singole corsie. B. Le infrastrutture ferroviarie Le caratteristiche fisiche di un’infrastruttura ferroviaria sono strettamente legate alla sua posizione verticale; in tal senso si distinguono infrastrutture: –– sopraelevate, attraverso rilevati, viadotti ponti; –– a piano campagna, con trattamento privilegiato (sede completamente o parzialmente protetta) o meno; –– in galleria, ovvero completamente sotterranee; esse possono essere più o meno profonde. L’armamento di tipo tradizionale è costituito da rotaie a scartamento ordinario, traverse (in legno, in conglomerato cementizio armato semplice o precompresso) e ballast (massicciata di pietrame come per alcune vecchie linee tipo la metro B di Roma); si va diffondendo, per le ferrovie metropolitane in galleria e in viadotto, il collegamento diretto delle rotaie alla struttura di appoggio, con l’interposizione di materiali gommosi antivibranti. La riduzione dello strato di appoggio conseguita con la rimozione del ballast, e in qualche caso anche delle traverse, consente d’altra parte una riduzione della sagoma di eventuali gallerie. Le rotaie in acciaio sono caratterizzate in base al loro peso per unità di lunghezza; esse sono saldate in opera e fissate su traverse in cemento armato precompresso mediante caviglie, piastre e bulloni; lo scartamento interno ordinario tra le due rotaie è di 1435 mm in rettilineo. Le traverse sono poste a interasse di 60-70 cm. Le scelte in materia di opere civili da realizzare, relative al sistema “sovrastruttura tranviaria” (binario e pavimentazione o altro rivestimento) sono determinanti, giacché da tale sistema dipendono in maniera decisiva: Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 335 –– la marcia regolare e silenziosa dei rotabili; –– la qualità estetica dell’infrastruttura. Per soddisfare le varie esigenze (contenimento delle emissioni sonore e di vibrazioni, gradevolezza estetica, stabilità geometrica, manutenibilità, contenimento dei costi, ecc.) e adattarsi alle diverse situazioni che possono presentarsi, è necessaria la scelta di una tipologia di armamento idonea. Negli attraversamenti cittadini, l’armamento dovrebbe essere realizzato nella versione antivibrante, con interposizione di uno strato resiliente fra la fondazione e la piastra in cemento armato, dando luogo a un sistema “massa-molla”. Per quanto riguarda il rivestimento del binario, sono disponibili varie soluzioni, che consentono di ottimizzare la coerenza dell’infrastruttura con l’ambiente circostante. È possibile realizzare perciò: –– un rivestimento con manto erboso; –– una pavimentazione in conglomerato bituminoso (in particolare nelle zone di intersezione veicolare); –– una pavimentazione solida (pietra, autobloccanti, lastre cementizie, ecc); –– una struttura classica di tipo ferroviario in ambito extraurbano. Binario inerbito Con questa soluzione i binari si presentano inseriti in un manto erboso. Le sedi protette a verde sono di due tipi: con rotaie a gola e con rotaie Vignole. Nel tipo di binario inerbito con rotaie a gola, le rotaie risultano completamente immerse nel manto erboso. Questo tipo di binario offre la massima resa estetica, ma pone qualche problema di possibile degrado dell’aderenza, di onerosità di manutenzione, di isolamento elettrico del binario. In considerazione di tutto ciò, se ne prevede l’adozione in tratti relativamente brevi e di particolare valenza urbanistica. Nel tipo di binario inerbito con rotaie Vignole, le rotaie risultano emergenti rispetto al manto erboso. Questa soluzione leggermente penalizzante dal punto di vista estetico, non presenta i problemi succitati. Di conseguenza se ne prevede l’adozione quando si tratta di grandi estensioni di binario, in zone a relativa incidenza architettonica. Il binario inerbito presenta una sovrastruttura che, per i suoi evidenti pregi dal punto di vista urbanistico ed estetico, ha già trovato applicazione su molte reti tranviarie europee. In Figura 8.28 a-b è rappresentato il binario inerbito a gola di Milano e il binario con rotaie Vignole di Bilbao. Figura 8.28: a) Tram di Milano; b) Tram di Bilbao. a. b. 336 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 8.29: Binario su calcestruzzo con rotaie a gola. Figura 8.30: Tram di Strasburgo con pavimentazione a finitura architettonica. Questa soluzione di sovrastruttura offre innegabili vantaggi, quali: –– gradevolezza estetica, a beneficio dell’aspetto urbanistico/ambientale in quanto il binario risulta pressoché invisibile; –– efficace assorbimento del rumore; –– solido posizionamento del binario; –– soluzione più economica rispetto a coperture massicce in conglomerato bituminoso o masselli; –– sostituzione delle rotaie non onerosa. Per contro, occorre ricordare che l’adozione del tappeto erboso richiede particolari cure (concimazione, innaffiatura, falciatura), con la necessità di rimuovere l’erba tagliata subito dopo averla falciata (onde evitare che l’erba stessa venga risucchiata dai tram), a meno che non si faccia ricorso a particolari tipi di erba a crescita molto lenta. La sede tranviaria a doppio binario inerbito occupa nel complesso 720 cm di larghezza. Binario su calcestruzzo con rotaie a gola con pavimentazione bituminosa (per attraversamenti carrabili in area urbana). L’armamento su piattaforma in calcestruzzo con rotaie a gola su supporto elastico, riportato in Figura 8.29, rappresenta attualmente l’armamento più innovativo e viene in particolare adottato nel caso di binari posti nelle immediate vicinanze di fabbricati. I binari sono alti 23 cm e sono inseriti nella pavimentazione stradale. Gli impianti di alimentazione sono posti a una altezza compresa tra i 420 e i 580 cm. L’ingombro di una sezione in singolo binario è di 300 cm, per un binario doppio di 580 cm. Binario su calcestruzzo con rotaie a gola di tipo antivibrante con pavimentazione a finitura architettonica (per evidenziare particolare punti di area urbana). Sostanzialmente uguale al binario con pavimentazione in conglomerato bituminoso sia per formazione del sottofondo che per la posa del rilevato, si differenzia per l’adozione di una copertura in materiale lapideo/cementizio che fornisce un inserimento architettonico/urbano gradevole in alternativa al binario inerbito. Questa tipologia, raffigurata in Figura 8.30, viene utilizzata nei tratti urbani dove, essendo in sede protetta, non c’è bisogno di realizzare una pavimentazione bituminosa, ma non sussistono le condizioni per ricoprire la sede con un inerbimento. La tipologia si adatta particolarmente bene nelle zone a Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano Figura 8.31: Metropolitana di tipo profondo. Figura 8.32: Metropolitana di tipo superficiale. 337 maggior rilevanza architettonica. La sede per singolo binario occupa nella sezione trasversale 400 cm, comprensivi di protezioni e cordoli, quella per doppio binario occupa 720 cm complessivi. Le varie possibilità di pavimentazione sono importanti soprattutto per trovare soluzioni appropriate per l’arredo urbano dei centri attraversati. Fra le rotaie a gola e la pavimentazione si prevede di interporre profili estrusi in materiale sintetico che forniscono un ulteriore contributo al contenimento delle emissioni sonore e delle vibrazioni. Inoltre, nel caso della pavimentazione in conglomerato bituminoso, questi profili assolvono anche un’importante funzione di separazione tra rotaie e pavimentazione, prevenendo l’ammaloramento di quest’ultima per effetto di cedimenti differenziali. Nel caso, invece, di pavimentazioni in masselli autobloccanti o lapidei, tale separazione previene la possibilità di urto dei cerchioni delle ruote con gli elementi della pavimentazione, con pericolo di danneggiamento degli uni e degli altri. Per quanto riguarda le metropolitane, in ambito infrastrutturale, è necessario fare distinzione fra due tipologie: una prima tipologia di metropolitana si definisce profonda quando per la sua esecuzione si richiedono le tecnologie classiche delle gallerie con avanzamento a foro cieco (Fig. 8.31); una seconda categoria si definisce superficiale quando la sua esecuzione può essere realizzata operando dalla superficie, cioè a cielo aperto (Fig. 8.32). I motivi che inducono ad adottare strutture profonde sono molteplici. In genere la scelta è subordinata alle seguenti esigenze: –– relazione con l’andamento altimetrico della superficie; –– vincoli del suolo: sottopassi di importanti manufatti come fabbricati, ponti, ferrovie, ecc.; –– natura del sottosuolo (caratteristiche dei terreni da attraversare, presenza di acqua, ecc.); –– sottosuolo con reperti archeologici (come ad esempio nel caso di Roma). Le linee delle ferrovie metropolitane di tipo tradizionale devono far riferimento alle Norme UNIFER UNI 7836, che fissano alcune delle caratteristiche principali per: 338 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– Andamento planimetrico: • i raggi di curvatura devono essere, in linea generale, i maggiori possibili e comunque, a meno che non sussistano gravi difficoltà locali, devono permettere la circolazione alla velocità caratteristica fissata dal materiale rotabile e dal segnalamento; • sui tratti percorsi dai treni con i viaggiatori, il raggio di curvatura non deve essere minore di 150 m; nei depositi e nei raccordi il raggio non deve essere minore del limite minimo ammesso dal materiale rotabile, solitamente 75 m; • nel passaggio da rettilineo a curva circolare, oppure tra due curve di senso opposto, oppure ancora da una curva circolare ad un’altra nello stesso senso, ma di raggio diverso, devono essere inseriti raccordi clotoidici oppure, quando la lunghezza del raccordo è minore di un terzo del raggio, a parabola cubica; • nel caso di due curve che si susseguono, di senso opposto, ove possibile, si deve ottenere un raccordo continuo o, quando necessario, va inserito un tratto rettilineo che deve essere lungo almeno 50 m. –– Accelerazioni trasversali e sopraelevazioni: • l’accelerazione trasversale non compensata non deve mai superare 0.9 m/s2, con la velocità massima ammessa in curva; la sopraelevazione non deve mai essere maggiore di 160 mm, con binario a scartamento ordinario; • se si prevede che, in un determinato tratto della linea, tutti i treni circolino per tutta la lunghezza del tratto all’incirca alla stessa velocità, la sopraelevazione deve essere scelta in modo che, a tale velocità, l’accelerazione trasversale non compensata sia nulla o almeno la minima possibile; • in generale, il raccordo di sopraelevazione va effettuato lungo i raccordi planimetrici e deve avere variazione altimetrica lineare; nei tratti in cui esistono problemi d’altezza, il raccordo può essere realizzato mantenendo l’asse del binario lungo il tracciato teorico, abbassando una rotaia e alzando l’altra in ugual misura rispetto all’asse; • variazione di sopraelevazione, e quindi il conseguente sghembo, non devono in alcun caso superare i 3 mm/m; in generale tale valore deve essere il più limitato possibile; • la variazione lungo il raccordo dell’accelerazione trasversale non compensata non deve in alcun caso superare il limite di 0.4 m/s2 per un treno che percorre il raccordo stesso alla massima velocità consentita. –– Andamento altimetrico: • la pendenza massima ammissibile fuori dalle stazioni deve essere fissata tenendo conto sia della velocità commerciale prevista e del tipo di materiale rotabile che si intende adottare, sia della situazione orografica del territorio attraversato; • di regola, tale pendenza massima non deve essere maggiore del 4 % e, solo quando le condizioni locali lo rendano necessario o lo consiglino, possono essere adottate pendenze maggiori; • il tracciato geometrico della linea, nelle tratte in pendenza, deve tener conto delle resistenze dovute alla presenza di eventuali curve, resi- Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 339 stenze che devono essere opportunamente compensate riducendo la pendenza rispetto a quella prevista in rettilineo, nonché delle eventuali condizioni particolari del coefficiente di aderenza, se la linea è soggetta a fattori che possono influenzare negativamente, come formazione di ghiaccio, caduta di foglie, ecc.; • per le linee in salita, con pendenza maggiore del 4 %, in uscita dalle stazioni deve essere prevista una tratta di lunghezza adeguata con pendenza non maggiore di quella della stazione; • tra due livellette successive dovrà essere disposto un raccordo altimetrico circolare di raggio non minore di 3,000 m. È ammesso un raggio minore, fino a un minimo di 1,800 m, per raccordi percorsi a velocità inferiori a 60 km/h e, in particolare, all’entrata e all’uscita delle stazioni. 8.6.2. IMPIANTI TECNOLOGICI PER I SERVIZI AL PUBBLICO Lo sviluppo di dispositivi e strumenti informatici avvenuto negli ultimi anni, accompagnato alla rapida diffusione dei sistemi di navigazione satellitare basati sul GPS (Global Positioning System), ha consentito che le informazioni relative alla mobilità possano essere inviate all’utenza in modo diffuso (es. con pannelli a messaggio variabile presso le fermate del trasporto pubblico locale), o che possa essere l’utente stesso ad accedervi in base alle proprie necessità o alla propria situazione specifica (es.: da casa attraverso il web, o in mobilità attraverso un dispositivo mobile, ecc.). La realizzazione di un sistema di trasporto pubblico locale intelligente per i servizi di trasporto di persone sfrutta una rete di dispositivi AVM (Automatic Vehicle Monitoring) installati a bordo dei mezzi e di dispositivi a terra presso alcune fermate (display a led comunemente chiamati anche paline elettroniche), tutti coordinati da una centrale operativa. Le paline elettroniche, forniscono indicazioni nelle fermate più frequentate sui tempi di attesa e di arrivo del veicolo per gli utenti, permettono di visualizzare inoltre anche messaggi personalizzati inviati dal centro operativo (in caso di sciopero, manifestazione, ecc.). Il tempo di attesa di ogni veicolo viene calcolato sulla base della sua posizione, dalla distanza percorsa, dalla distanza ancora da percorrere e dalla velocità media oraria. Quando la vettura è abbastanza vicina, il veicolo comunica direttamente con la palina tramite l’antenna CCR posta all’esterno; è possibile cancellare la previsione di arrivo solo quando il veicolo è effettivamente transitato. Considerato che non è possibile installare una palina intelligente su ciascuna fermata della rete urbana, è stato predisposto un sistema di “paline virtuali”. Collegandosi a internet o inviando un SMS con il codice della fermata, è possibile ottenere le previsioni di arrivo in tempo reale in qualunque punto della città. Le peculiarità di questo sistema sono: –– il monitoraggio dei veicoli attraverso i sistemi AVM installati a bordo dei mezzi, che consente di migliorare l’affidabilità del servizio (qualità del servizio erogato) e la sua programmazione; –– l’interfacciamento dei diversi enti preposti alla mobilità che forniscono uno strumento per poter valutare, adottare e misurare l’effetto di diversificate politiche di controllo e limitazione del traffico; 340 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– il miglioramento della fruibilità e l’efficacia del trasporto pubblico locale attraverso l’implementazione e lo sviluppo di un Travel planner in real time che superi la classica funzione “statica”, basata sugli orari programmati, per orientarsi a una funzione “dinamica” con generazione in tempo reale degli itinerari Origine/Destinazione in funzione del reale posizionamento dei mezzi e dei livelli di puntualità del servizio. I servizi al pubblico resi disponibili sono: –– la diffusione in tempo reale delle informazioni relative al servizio tramite canali telematici e attraverso paline elettroniche installate in corrispondenza delle fermate nelle aree urbane; –– la predisposizione all’implementazione del sistema per la bigliettazione elettronica, compatibilmente con gli attuali standard nazionali/internazionali per i micro pagamenti elettronici, in grado di gestire una prima carta interoperabile per utilizzare tutti i servizi di mobilità. Il sistema prevede una dotazione standard per i mezzi di trasporto, così composto: 1. unità logica di controllo; costituita dal computer di bordo che coordina il funzionamento di tutti gli altri apparati; 2. sistema GSM/GPRS che permette la trasmissione di voce/dati al centro di controllo 3. antenna GPS (Global Positioning System) che permette di determinare la posizione geografica mediante triangolazione con i satelliti; 4. antenna CCR (comunicatore corto raggio) che dialoga a breve distanza con le paline installate nelle fermate per annunciare l’arrivo del bus; 5. odometro che effettua il contametri che aiuta a definire la posizione lungo il percorso. Il sistema prevede un “ciclo di polling” che si traduce nell’invio al centro di controllo ogni 30 secondi, da parte dei veicoli in servizio di informazioni relative a: –– linea e direzione su cui svolgono servizio; –– posizione lungo la Linea; –– stato di anticipo/ritardo rispetto all’orario programmato; –– diagnostica degli apparati. 8.7. APPENDICE 1 8.7.1. LE RICARICHE PER CONDUZIONE E PER INDUZIONE Recentemente lo sviluppo della tecnologia a batteria per la trazione elettrica ha portato alla nascita di sistemi su gomma e su ferro che mediante operazioni di ricarica di accumulatori installati a bordo del veicolo riesce ad espletare i servizi di trasporto pubblico in assenza di alimentazione esterna. Le ricariche delle batterie presenti a bordo del veicolo possono avvenire sia per via induttiva che per via conduttiva. Il sistema di ricarica a induzione sfrutta il principio di induzione che, noto dal 1831, è attualmente alla base del funzionamento dei comuni motori elettrici, alternatori, generatori e trasformatori elettrici. Sulla base del prin- Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 341 cipio del trasferimento di potenza induttiva, è possibile trasferire energia tra equipaggiamenti interrati posti nell’infrastruttura stradale (funzionano come il primario di un trasformatore) e un dispositivo ricevente installato sotto il veicolo (funziona come il secondario di un trasformatore). Quando il veicolo si trova al di sopra di questi segmenti di ricarica posizionati sotto il livello stradale, mediante l’utilizzo di prefabbricati metallici o in calcestruzzo completamente stagni, avviene il trasferimento di energia in totale sicurezza. Esistono due tipi di ricarica, una statica e una dinamica. Nel primo tipo, il veicolo elettrico aziona semplicemente un punto di ricarica; una volta che il veicolo si posiziona sul segmento di ricarica, il trasferimento di energia può iniziare. Il sistema consente il trasferimento di energia a livelli elevati, riducendo al minimo sia il tempo e la frequenza di ricarica. Quando la carica è di tipo dinamica (in movimento), il veicolo ferroviario o stradale si ricarica scorrendo sopra i segmenti induttivi. Questi vengono abilitati automaticamente quando il veicolo viene riconosciuto dal sistema di rilevazione strada. I punti di ricarica generalmente vengono installati in prossimità delle fermate, dove è possibile perciò sfruttare le soste per la salita/discesa dei passeggeri, al fine di effettuare delle microricariche. Figura A.8.1: Architettura del sistema ad induzione. A livello stradale queste strutture dove è possibile effettuare le ricariche, rappresentate in Figura A.8.1, hanno dimensioni di 1.3*50*0.25 m; l’armadio elettrico interrato contenente l’inverter ha dimensioni 1.0*1.1*2.5 m. L’architettura del veicolo presenta al suo interno una piastra che, funzionando da avvolgimento secondario, permette di ricaricare la batteria. Il sistema del “segmento di controllo” permette al veicolo di controllare l’allineamento delle due piastre per assicurare una corretta ricarica, efficiente e sicura. Il sistema di captazione a conduzione, permette di ricaricare le batterie mediante l’innalzamento di un piccolo pantografo posizionato sull’imperiale del veicolo, rappresentato in Figura A.8.2. Con questo sistema è possibile ricaricare comunque le batterie del veicolo ai capolinea o alle fermate. 342 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura A.8.2: Pantografo per il sistema a conduzione. 8.8. APPENDICE 2 8.8.1. NORMATIVE DI RIFERIMENTO L’attività Normativa è in continua evoluzione, così da poter regolamentare al meglio tutti gli aspetti che di volta in volta si prospettano con l’avanzare della tecnologia, in modo da soddisfare le esigenze di tutti coloro che fanno parte del mondo dei trasporti (produttori, gestori, personale e utenti). Tra i tanti aspetti che, dunque, portano alla necessità di un’adeguata regolamentazione Normativa si citano: –– esigenze in termini di accessibilità, dimensioni, capacità di trasporto, comfort, prestazioni e impatto ambientale; –– nuove applicazioni urbane e suburbane; –– nuove generazioni di prodotti industriali; –– sviluppo di sistemi di propulsione innovativi. Gli Organismi di Normazione Europei ai quali si fa riferimento sono principalmente il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano), ed il CENELEC (Comitato Europeo di Normazione Elettrotecnica) i quali si occupano del settore del trasporto su ferro, inteso sia come trasporto ferroviario a lunga percorrenza che come trasporto urbano e suburbano, avvalendosi di due Comitati Tecnici: il CEN/TC 256 per il settore meccanico e civile e il CENELEC/TC 9X per il settore elettrico ed elettronico. A livello Nazionale, invece, interagiscono con i suddetti Comitati Tecnici altri due organismi di normazione: l’UNI ed il CEI. Il loro compito è quello di coordinare lo sviluppo dell’attività normativa in sede europea cercando di definire posizioni “nazionali” che possano essere condivise da parte di tutti i soggetti interessati nell’ambito tranviario. Comunque, l’attività volta alla determinazione di normative di valenza nazionale, prosegue su tutti i temi non trattati a livello comunitario Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 343 e sulle regolamentazioni di settore che non influenzano la libera circolazione dei prodotti. L’UNIFER (Ente di Unificazione nel settore Ferrotranviario) è un federato dell’UNI atto a rappresentare l’Italia nel TC 256 e quindi a evidenziare gli interessi specifici dell’Industria italiana e degli Esercenti del settore ferrotranviario nella preparazione dei progetti di Norma Europea. Di seguito si riportano le principali Norme di riferimento per la realizzazione sia delle opere civili che delle singole componenti tecnologiche per applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane (Pubblicazione di titoli e riferimenti di norme armonizzate ai sensi della direttiva). Rif. della norma sostituita Data di cessazione della presunzione di conformità della norma sostituita2 Cenelec EN 50119:2001 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Impianti fissi - Linee aeree di contatto per trazione elettrica Nessuno — Cenelec EN 50121-1:2000 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Compatibilità elettromagnetica - Parte 1: generalità Nessuno — Cenelec EN 50121-2:2000 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Compatibilità elettromagnetica - Parte 2: emissione dell’intero sistema ferroviario verso l’ambiente esterno Nessuno — Cenelec EN 50121-3-1:2000 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Compatibilità elettromagnetica - Parte 3-1: materiale rotabile - Treno e veicolo completo Nessuno — Cenelec EN 50121-3-2:2000 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie metropolitane - Compatibilità elettromagnetica - Parte 3-2: materiale rotabile - apparecchiature Nessuno — Cenelec EN 50121-4:2000 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane Compatibilità elettromagnetica - Parte 4: emissione ed immunità delle apparecchiature di segnalamento e telecomunicazioni Nessuno — Cenelec EN 50121-5:2000 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane Compatibilità elettromagnetica - Parte 5: emissioni ed immunità di apparecchi e impianti fissi di alimentazione Nessuno — OEN 1 Riferimento e titolo della norma Doc. di rif. 344 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Rif. della norma sostituita Data di cessazione della presunzione di conformità della norma sostituita2 Cenelec EN 50122-1:1997 Applicazioni ferroviarie - Installazioni fisse - Parte 1: provvedimenti di protezione concernenti la sicurezza elettrica e la messa a terra Nessuno — Cenelec EN 50124-1:2001 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie, metropolitane - Coordinamento degli isolamenti - Parte 1: Requisiti base - Distanze in aria e distanze superficiali per tutta l’apparecchiatura elettrica ed elettronica. Modifica A1:2003 alla EN 50124-1:2001 Nessuno3 — 1.10.2006 Cenelec EN 50124-2:2001 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filotranviarie, metropolitane - Coordinamento degli isolamenti - Parte 2: sovratensioni e relative protezioni Nessuno — Cenelec EN 50125-1:1999 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Condizioni ambientali per gli equipaggiamenti - Parte 1: equipaggiamenti nel materiale rotabile Nessuno — Cenelec EN 50125-3:2003 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Condizioni ambientali per gli equipaggiamenti - Parte 3: apparecchiature per il segnalamento e le telecomunicazioni Nessuno — OEN 1 Riferimento e titolo della norma Doc. di rif. Cenelec EN 50126:1999 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filotranviarie, metropolitane - La specificazione e la dimostrazione di affidabilità, disponibilità, manutenibilità e sicurezza (RAMS) Nessuno — Cenelec EN 50128:2001 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane Nessuno — Cenelec EN 50129:2003 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie metropolitane - Sistemi di telecomunicazione, segnalamento ed elaborazione - Sistemi elettronici in sicurezza per il segnalamento Nessuno — Cenelec EN 50149:2001 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Impianti fissi - Fili sagomati di contatto in rame e lega di rame Nessuno — Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano Rif. della norma sostituita Data di cessazione della presunzione di conformità della norma sostituita2 Nessuno3 — 1.9.2005 Cenelec EN 50159-1:2001 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Sistemi di telecomunicazione, segnalamento ed elaborazione - Parte 1: comunicazioni di sicurezza in sistemi di trasmissione di tipo chiuso Nessuno — Cenelec EN 50159-2:2001 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Parte 2: prescrizioni per comunicazioni di sicurezza in sistemi di trasmissione aperti Nessuno — Cenelec EN 50206-1:1998 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie, metropolitane Materiale rotabile - Parte 1: Pantografi: Caratteristiche e prove Nessuno — Cenelec EN 50238:2003 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Compatibilità tra il materiale rotabile ed i sistemi di rilevamento dei treni Nessuno — Cenelec EN 50317:2002 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Sistemi di captazione della corrente - Requisiti e convalida delle misure dell’interazione dinamica tra pantografo e linea aerea di contatto Nessuno — OEN 1 Cenelec 1 Riferimento e titolo della norma EN 50155:2001 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Equipaggiamenti elettronici utilizzati sul materiale rotabile Doc. di rif. 345 OEN (Organismi europei di normalizzazione): - CEN: rue de Stassart/De Stassartstraat 36, B-1050 Bruxelles, tel. (32-2) 550 08 11, fax (32-2) 550 08 19 (http://www.cenorm.be). - Cenelec: rue de Stassart/De Stassartstraat 35, B-1050 Bruxelles, tel. (32-2) 519 68 71, fax (32-2) 519 69 19 (http://www.cenelec.org). - ETSI: 650, route des Lucioles, F-06921 Sophia Antipolis Cedex, tel. (33-4) 92 94 42 00, fax (33-4) 93 65 47 16 (http://www.etsi.org). In genere, la data di cessazione della presunzione di conformità coincide con la data di ritiro («dow») fissata dalla organizzazione europea di normalizzazione, ma è bene richiamare l’attenzione di coloro che utilizzano queste norme sul fatto che in alcuni casi eccezionali può avvenire diversamente. 2 In caso di modifiche, la Norma cui si fa riferimento è la EN CCCCC:YYYY, comprensiva delle sue precedenti eventuali modifiche, e la nuova modifica citata. La norma sostituita (colonna 4) perciò consiste nella EN CCCCC:YYYY e nelle sue precedenti eventuali modifiche, ma senza la nuova modifica citata. Alla data stabilita, la norma sostituita cessa di fornire la presunzione di conformità ai requisiti essenziali della direttiva. 3 346 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Esempio: Per la EN 50155:2001, si applica quanto segue: OEN 1 Cenelec 8.9. Riferimento e titolo della norma EN 50155:2001 Applicazioni ferroviarie, tranviarie, filoviarie e metropolitane - Equipaggiamenti elettronici utilizzati sul materiale rotabile (La norma di riferimento è EN 50155:2001). Modifica A1:2002 alla EN 50155:2001 (La norma di riferimento è EN 50155:2001 +A1:2002 alla EN 50155:2001) Doc. di rif. Rif. della norma sostituita None (Non c’è norma sostituita)3 (La norma sostituita è EN 50155:2001) Data di cessazione della presunzione di conformità della norma sostituita2 — 1.9.2005 RIFERIMENTI [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] [10] [11] [12] [13] I. Angelini, Treni e ferrovie, edizioni Salani Firenze, 1975. G. Rosetti, A. Pendenza, F. Lopes, G. Campisano, D. Bonuglia Torna il filobus a Roma, Ingegneria Ferroviaria n.1, 2004. A. Spinosa, Il trasporto filoviario: la situazione in Italia, tecnologia, sviluppi futuri, Cityrailways, 2008. S. Vazquez, S. M. Lukic, E. Galvan, L. G. Franquelo, J. M. Carrasco, Energy storage systems for transport and grid applications, IEEE transactions on industrial electronics (Volume 57, Issue 12 ). Prof. R. Turri Appunti di sistemi di trasporto urbano, Università degli studi di Padova, 2005. Prof. D. Gattuso Classificazione e prestazione dei sistemi avanzati di trasporto collettivo, Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria, 2007. Ing. E. Molinaro 1° convegno nazionale Il sistema tram: stato dell’arte e prospettive, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, 2004. Ing. R. Emili 2° Convegno Nazionale sul Sistema tram, Luci ed Ombre dell’Innovazione Tecnologica e dei Processi Realizzativi, Sistemi innovativi di alimentazione Ministero dei Trasporti 2006. Ing. P. Donia, Dott. G. Serra Capitolato tecnico speciale Allegato n°1 La rete delle metropolitane di Roma, 2007. Ing P. Coppola Classificazione e prestazioni dei sistemi di trasporto collettivo Corso di Trasporti Urbani e Metropolitani II Università degli studi di Roma Tor Vergata, 2009. Prof. S. Leonardi Infrastrutture viarie nelle aree urbane e metropolitane, Università degli studi di Catania, 2013. A. Spinosa Metropolitane: Ferro o Gomma? Analisi dei sistemi di Metropolitana su gomma, distribuito da www.metropolitane.it, 2008. S. Scichilone Trasporto pubblico locale intelligente Un trasporto di qualità proiettato al futuro, 2013. Capitolo 8 - Sistemi di trasporto urbano 347 [14] Ing. M. Giunta, F. Arfuso, R. Marando, A. Morello, V. Polimeni, D. Vadalà, La tranvia Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria; 2013. [15] R. Genova Veicoli e sistemi per il TPl Centro Interuniversitario di Ricerca Trasporti Università degli Studi di Genova,2012. [16] Ing. B. Lo Casto Ing. G. Riotto Trasporti urbani e metropolitani Corso di Tecnica dei Trasporti, DIAT, 2005. [17] M. Losa, M. Lupi, I. Balderi, 17° convegno nazionale SIIV – Enna, Analisi di un sistema di trasporto pubblico a guida vincolata a servizio di un’area vasta 2008. [18] R. Turri Sistemi di trasporto urbano, Università degli studi di Padova, 2006. [19] Ing. R. Vitali TramWave Catenaryless power supply system Mass Transit Product Manager Ansaldo STS, 2013. [20] G. Inturri Sistemi di trasporto collettivo, Università di Catania, 2013. [21] F. Baronti, R. Roncella, R. Saletti, G. Pede, F. Vellucci, Smart LiFePO4 battery modules in a fast charge application for local public transportation Conf. AEIT, 2014. [22] S. Scarfone, D. Marinis, Primove: Una Soluzione innovative per la mobilità elettrica urbana Primove Italia,2014. [23] F. Perticaroli Sistemi elettrici per i trasporti trazione elettrica Masson, 1995. 9 SISTEMI DI TRASPORTO EXTRAURBANO Regina Lamedica♠, Paolo Masini♣, Enrico Mingozzi♦ ♠Sapienza - Università di Roma, ♣Trenitalia S.p.A., ♦Ferrovie dello Stato 9.1. L’EVOLUZIONE TECNOLOGICA Molto interessante e variato è stato il progredire nel tempo dello sviluppo della trazione elettrica per il susseguirsi di diverse soluzioni e conseguenti cambiamenti derivanti dalla evoluzione delle tecniche delle macchine e degli impianti. Le nuove scoperte dell’elettromagnetismo rendevano disponibili nella seconda metà dell’800 le nuove macchine elettriche che potevano essere utili per i mezzi di trasporto. L’attenzione si indirizzò verso i sistemi a via guidata, ove alla infrastruttura esistente si poteva affiancare un sistema di alimentazione distribuito lungo tutto il percorso (pile e accumulatori disponibili non consentivano infatti una sufficiente potenza e durata per alimentare i veicoli). Indubbiamente l’impiego dell’energia elettrica per la trazione si presentava particolarmente interessante per superare difficoltà esistenti nei sistemi di trasporti che si erano notevolmente sviluppati verso la metà dell’ottocento. La trazione a vapore che aveva contribuito fattivamente al successo della ferrovia aveva il grave problema dei fumi che la rendevano difficoltosa nei percorsi montani con lunghe gallerie ed era praticamente poco utilizzabile nei trasporti urbani ove per le tranvie ormai ampiamente diffuse restava possibile solo la trazione animale. La prima dimostrazione concreta fu operato da Siemens che presentò alla Fiera di Berlino del 1879 una piccola locomotiva, alimentata da un conduttore a barra posizionato poco distante dal piano del ferro (“terza rotaia”), che trainava su un circuito di 300 metri tre piccole vetture per passeggeri: ebbe un successo entusiastico e la provarono circa 90000 persone nel corso della fiera. Al successo della dimostrazione fece seguito nel 1881 la prima applicazione a una tranvia pubblica sempre a Berlino Lichterfeld, alimentata tramite le due rotaie e nel 1882 a Spandau con alimentazione aerea con due fili conduttori paralleli sui quali scorreva un carrello di presa corrente (trolley) collegato con un cavo al veicolo. Analogo sistema di alimentazione bifilare fu usato a Berlino Halensee in aprile 1882 per far muovere Electromote, una carrozza su strada azionata da motore elettrico : il primo trolleybus. Parallelamente analoghi sviluppi avvenivano negli stati Uniti da parte di Edison e Sprague. 350 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Il motore impiegato era quello a corrente continua a collettore con eccitazione serie che si prestava particolarmente per elevata coppia di avviamento, velocità variabile con il carico, possibilità di regolazione agendo su resistenza (reostato di avviamento), tensione (combinando più motori in serie o parallelo) e sulla eccitazione (indebolimento di campo). Per contro, per garantire una buona commutazione, era necessaria una bassa tensione di alimentazione (500-600 V) e quindi potenza limitata, con alte correnti e quindi linee di contatto, aeree o terza rotaia, di sezione elevata. La loro alimentazione era fornita da dinamo. In brevissimo tempo il sistema si diffuse in tutto il mondo per tranvie urbane e ferrovie metropolitane ed è tuttora quello più impiegato per questa applicazione. In Italia la prima tranvia elettrificata nel1890 fu la Firenze Fiesole che era stata inizialmente esercita a cavalli ma questi non resistevano alla fatica della salita. Fu quindi convertita a vapore, ma le proteste dei cittadini convinsero ad applicare il nuovo sistema realizzando una apposita centrale di alimentazione con dinamo azionate da macchine a vapore. Il problema di sostituire, anche nelle ferrovie, la trazione a vapore con quella elettrica fu affrontato in Italia già nel 1897 quando il Governo incaricò le due società private concessionarie: la Rete Adriatica e la Rete Mediterranea di eseguire gli studi ed esperimenti per la scelta del sistema più adatto per la trazione elettrica ferroviaria. Entrambe iniziarono con un esperimento con automotrici ad accumulatori, rispettivamente sulla Bologna - S. Felice (1899 - 1903) e sulla Milano - Monza (1900 - 1904), però l’esperimento ebbe vita molto breve, per la già citata inadeguatezza degli accumulatori. Nel 1901 la Rete Mediterranea attivò l’esperimento col sistema a corrente continua 650 V. terza rotaia sulle linee Varesine: Milano-Gallarate-VaresePorto Ceresio con elettromotrici di potenza 60 CV e velocità massima 60 km/h. Il sistema ebbe buoni risultati e le necessità del traffico sulle linee Varesine portarono nel 1923 anche alla costruzione di locomotori per rimorchio treni: le locomotive del gruppo E.321 della potenza di 1630 CV e velocità massima 95 km/h. L’unica locomotiva a terza rotaia superstite, la E.321.012, è ospitata nel Museo della scienza e della tecnica “Leonardo da Vinci” di Milano. Il sistema a terza rotaia non aveva particolari controindicazioni, se non quelle legate alla necessità di proteggere la terza rotaia dai contatti accidentali e ben si adattava al servizio “metropolitano” come quello delle linee varesine, ma non a servizi più impegnativi sulle linee difficili di montagna. Non ebbe quindi diffusione, salvo venir applicato nel 1925 al nuovo tratto Villa Literno-Napoli Gianturco, primo tronco attivato della Direttissima Roma Napoli, utilizzato per servizio metropolitano; rimase fino al 1950, quando fu sostituito da nuovo sistema. Il sistema di trazione elettrica a corrente continua fu comunque applicato anche in altre ferrovie e in particolare negli Stati Uniti, ove furono realizzate anche locomotive di potenza paragonabile a quelle a vapore, nonostante le difficoltà di alimentazione, puntando su ricerche per adeguare le macchine ad un aumento della tensione di esercizio. Nel frattempo si affermava per uso industriale il motore asincrono trifase, molto robusto e il suo uso fu sperimentato anche per trazione. La prima applicazione fu da parte di Brown Boveri nel 1896 con il tram di Lugano ali- Capitolo 9 - Sistemi di trasporto extraurbano 351 mentato a 400V 40 Hz da una linea di contatto bifilare: avviamento e regolazione di velocità a mezzo di reostato variabile inserito nel circuito di rotore. Analoga realizzazione fu attivata dalla ungherese Ganz a Evian nel 1898. Il sistema, che prevedeva una tensione compresa fra 500 e 700 V, fu felicemente applicato da Brown Boveri nelle ferrovie di montagna a cremagliera, dove permetteva anche il recupero automatico in discesa. Fra l’altro fu impiegato nel 1898 nelle spettacolari ferrovie del Gornergrat e della Jungfrau in Svizzera e nel 1910 in quella del Corcovado a Rio de Janeiro. Queste tre ferrovie sono ancora in servizio e sono le uniche mantenute ancora con il sistema trifase. Anche in Germania furono compiuti esperimenti di trazione trifase raggiungendo nel 1903 con una motrice su linea sperimentale MarienfeldeZossen la velocità di 210 km/h, ma non ebbero seguito pratico. In Italia la Rete Adriatica si orientò verso questo sistema e sottoscrisse nel 1899 un contratto con la Ganz di Budapest per un esperimento a corrente trifase a tensione più elevata, 3000 V - 15 Hz sulle linee Valtellinesi, con l’intendimento di trovare un sistema in grado di sostituire in tutti i servizi, la trazione a vapore con quella elettrica. Nel corso del tempo la frequenza sarà poi portata a un terzo della nuova frequenza industriale (16 2/3 Hz) e la tensione a 3600 V, valori che si è soliti indicare per il sistema trifase italiano classico. L’esercizio pratico iniziò nel 1902, impiegando elettromotrici con potenza 620 CV e velocità di regime di 30-60 km/h e locomotive a 4 assi motori. Visti i primi ottimi risultati, furono ordinate dalla Rete Adriatica nuove locomotive, a tre assi motori accoppiati, che costituirono i gruppi E.36 ed E.38, con potenza 1250 CV e con tre velocità di regime 25-42-60 km/h, ottenute utilizzando due motori con differente numero di poli, collegati insieme in cascata o singolarmente uno per volta. È noto che per questo sistema, le velocità di regime ottenibili erano legate alle velocità di sincronismo dei motori. L’avviamento e il passaggio fra le varie velocità si otteneva inserendo nel circuito di rotore il reostato che era ad acqua sodata e produceva il caratteristico pennacchio di vapore. Nel 1905 vennero istituite le Ferrovie dello Stato, che continuarono il piano di sviluppo del trifase. Anche le Ferrovie Federali Svizzere elettrificarono con questo sistema la nuova galleria del Sempione, aperta nel 1906, e per l’inizio di questo servizio furono utilizzate le locomotive E.36 della Valtellina. L’ottimo risultato avuto sulle linee Valtellinesi indusse le FS ad estendere con la massima sollecitudine la trazione elettrica trifase alle linee di valico a grande traffico, quali la linea dei Giovi, quella del difficilissimo valico del Frejus e, successivamente, anche alle linee di pianura in tutto il Piemonte e la Liguria. Per il servizio merci fu sviluppata la locomotiva a cinque assi accoppiati della potenza di 2040 CV e due velocità di regime 25-50 km/h, con i due motori uguali e collegati rispettivamente in cascata o in parallelo, in grado di produrre l’elevato sforzo di trazione necessario. Per le esigenze dei treni viaggiatori, vennero costruite varie serie di locomotori a quattro velocità di regime 37,5-50-75-100 km/h fino alle locomotive E.432 da 3000 CV, con motori con complessi avvolgimenti in grado di realizzare tre diversi valori di coppie polari su statore e rotore. Le elettrificazioni col sistema trifase si estesero su altre linee di valico, come la linea del 352 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Brennero di nuova acquisizione e sui valichi appenninici della Porrettana (Bologna-Firenze) e sulla Pontremolese fino a Livorno, rimanendo in servizio fino alla definitiva conversione delle linee al nuovo sistema a corrente continua, che si concluderà solo nel 1976. Infatti, il sistema trifase, che all’inizio del secolo aveva consentito grazie alla elevata potenza e robustezza dei motori e alla elevata tensione di alimentazione, un grande progresso della ferrovia, presentava però diversi inconvenienti. Le velocità obbligate, che pure consentivano la frenatura a recupero in discesa, erano un vincolo agli orari; la frequenza di rete speciale, richiesta dalla riduzione dei disturbi elettromagnetici alle linee telefoniche e dall’accoppiamento diretto dei motori alle ruote, richiedeva una serie di centrali e linee di trasmissione unicamente dedicate alla ferrovia, e soprattutto la linea di contatto era estremamente complicata. Si cercò nello stesso periodo anche di studiare la possibilità di alimentare le linee in corrente alternata monofase sfruttando ugualmente tensioni elevate, riducibili a bordo tramite un trasformatore e utilizzando dei motori alimentati direttamente in monofase. Il motore a collettore con eccitazione serie, alimentato in corrente alternata, produceva una coppia unidirezionale pulsante, ma con tali problemi di commutazione da renderlo praticamente inutilizzabile per le potenze elevate richieste dagli impieghi di trazione. In Germania e in Svizzera si svilupparono gli studi per migliorarne il funzionamento e solo nel 1904, grazie agli studi di Behn Eschenburg, che mise a punto e brevettò un sistema di compensazione della tensione trasformatorica, fu possibile rendere accettabile il funzionamento di questi motori alimentandoli a frequenza ridotta e bassa tensione, sia pure con uno scintillio residuo. Parallelamente furono fatti anche tentativi di utilizzare linee monofasi per azionare motori asincroni alimentandoli tramite convertitori rotanti monotrifasi installati a bordo, gestendo i motori analogamente a come avveniva nel caso della linea trifase. Questi tentativi non ebbero all’epoca seguito sembrando più complessi del sistema con motori a collettori. Nel 1906 la sperimentazione del sistema con motore monofase diretto in Baviera, sulla Murnau-Oberammergau, dimostrò la sua pratica utilizzabilità, arrivando a definire le caratteristiche del sistema di alimentazione a 15 kV e 16.2/3 Hz e del trasformatore di bordo a prese multiple commutabili sotto carico mediante un graduatore per la regolazione dei motori. Nonostante la necessità di una frequenza speciale, l’uso di motori a collettore, meno performanti di quelli in corrente continua ma di facile regolazione per effetto della presenza del trasformatore con prese multiple che consentiva, tra l’altro, l’eliminazione del reostato, permetteva la riduzione delle cadute di tensione in linea mentre la tensione elevata rendeva efficiente il trasferimento di potenza. Il sistema divenne il preferito per nuove elettrificazioni e fu scelto, e utilizzato finora, nei Paesi del centro Europa, quali Svizzera, Germania e Austria, e poi adottato anche nei paesi Scandinavi e nel sud della Francia. La frequenza speciale rese necessario per le ferrovie produrre l’energia con proprie centrali e, con l’espansione delle reti elettriche industriali, si realizzarono nodi di conversione con rapporto 1:3. Capitolo 9 - Sistemi di trasporto extraurbano 353 La Francia sperimentò in alcune tratte il sistema monofase, ma al termine della prima guerra mondiale, decise di utilizzare un sistema diverso da quello dei tedeschi e, tenuto conto dei progressi fatti soprattutto negli Stati Uniti nell’ottimizzazione delle macchine elettriche e delle apparecchiature che avevano consentito di raggiungere valori di tensione di esercizio più alti, adottò la corrente continua alla tensione di 1500 V. Lo stesso sistema fu adottato successivamente anche da altri stati come l’Olanda e il Giappone. Le Ferrovie Italiane cercarono nuove soluzioni alternative al trifase in uso. Sulla linea Roma-Sulmona nel 1927 si sperimentò la trazione elettrica trifase a 45 Hz -10000 V. I risultati di questo esperimento non furono però incoraggianti e fu abbandonato. Nel 1928 sulla linea Benevento-Foggia si attivò un esperimento con un sistema a corrente continua a 3000 V, livello di tensione utilizzabile anche gli ulteriori progressi nella costruzione delle macchine elettriche e di interruttori di potenza. Nelle sottostazioni di conversione, inizialmente dotate di gruppi rotanti costituiti da due dinamo in serie, fu sperimentato il nuovo convertitore statico polianodico a vapori di mercurio che fu un successo e venne immediatamente adottato, pur costringendo a rinunciare alla frenatura a recupero. L’esperimento ebbe successo: i motori in corrente continua eccitati in serie erano molto elastici, di buon funzionamento a queste tensioni e di facile regolazione, sia tramite i sistemi delle combinazioni (serie, serie-parallelo, parallelo) che consentivano di ottenere diverse tensioni d’alimentazione (500, 1000, 1500 V), sia con la regolazione del flusso di eccitazione (indebolimento di campo). Per l’avviamento e per il passaggio fra le varie combinazioni era usato un reostato di adeguate caratteristiche e dimensioni. Il sistema venne quindi subito esteso alle linee principali veloci MilanoFirenze e Roma-Napoli, sviluppando nuovi elettrotreni che conseguirono significativi primati di velocità. La velocità di punta di 201 km/h fu raggiunta il 6 dicembre 1937 fra Campoleone e Cisterna, i 214 km da Roma a Napoli furono percorsi in 83’ alla media di 154,7 km/h, la Firenze-Bologna in 39’, la Firenze-Milano in 1h 55’, con una punta di 203 km/h. Il sistema a corrente continua 3000 V divenne quindi il nuovo sistema di elettrificazione ferroviaria italiana e fu successivamente adottato in Spagna, Belgio, Polonia, Cecoslovacchia e Unione Sovietica. Nel frattempo furono continuati in Ungheria da parte di Kando i tentativi di impiego di motori trifase con alimentazione da linea monofase, ma utilizzando la frequenza industriale, eliminando l’esigenza di una frequenza ferroviaria. Le locomotive erano attrezzate con un convertitore rotante monotrifase che alimentava il motore di trazione trifase a tre polarità. L’impiego della frequenza industriale fu di particolare interesse anche per la Germania che la sperimentò nella Hollental nella foresta Nera, provando diversi tipologie di azionamento delle locomotive. Una, con motori monofase dotati di speciali sistemi di compensazione della commutazione e connessioni resistive degli avvolgimenti al collettore, un’altra con convertitore rotante trimonofase e motori asincroni e altre due con motori a collettore alimentati in corrente continua mediante mutatori polianodici al mercurio, di tipologie diverse. 354 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata A causa degli eventi bellici questo esperimento non fu proseguito dai tedeschi ma fu ripreso dai francesi per elettrificare le linee del nord del Paese. Anche in questo caso vi furono diverse versioni di azionamenti: una con motori monofase diretti con graduatore e trasformatore; una seconda con motori a corrente continua con convertitore rotante tipo Ward-Leonard; una terza con motori di trazione asincroni trifase con rotore in corto circuito controllati in frequenza, prima applicazione di questa tecnica in trazione. L’azionamento consisteva in un convertitore monotrifase rotante che alimentava lo statore di un convertitore di frequenza anch’esso rotante e dal suo rotore si alimentavano i motori di trazione. Controllando la velocità di rotazione del rotore tramite un gruppo simile al Ward-Leonard, si otteneva una frequenza da 0 a 135 Hz regolando così in maniera continua la velocità senza uso di reostati. Questi tre sistemi risultarono nel complesso meno convenienti di un ulteriore quarto tipo di azionamento che utilizzava motori in corrente continua alimentati tramite i nuovi raddrizzatori compatti al mercurio ignitron, che ebbe notevole successo e determinò l’affermarsi del sistema a 50 Hz che, fissando la tensione di linea a 25 kV, ha poi avuto un’ampia diffusione mondiale. L’avvento dei diodi raddrizzatori al silicio ha ulteriormente migliorato l’efficienza dei sistemi di conversione, sia a bordo per il sistema a 50 Hz sia a terra per i sistemi a corrente continua. Un vero salto di qualità si ebbe con i tiristori che a bordo dei veicoli a 50 Hz hanno permesso di eliminare il graduatore, regolando la tensione ai motori con il ritardo di fase nell’accensione. Questa soluzione fu provata anche dalle ferrovie tedesche alla frequenza ferroviaria, ma il fattore di potenza sulla rete monofase ferroviaria risultava troppo basso, minacciando di disturbare l’efficienza della rete e quindi non ebbe successo. Anche per i sistemi a corrente continua questi componenti nuovi portarono a radicali innovazioni, infatti, mediante i circuiti per lo spegnimento forzato, si realizzarono gli azionamenti a chopper che consentivano di regolare in maniera continua il valore della tensione ai motori, eliminando i reostati e migliorando le prestazioni dei mezzi. Sempre grazie ai tiristori furono realizzati gli inverter trifase in grado di convertire una tensione continua in un sistema di alimentazione trifase con frequenza e tensione variabile per azionare motori di trazione trifase. Inizialmente, per le difficoltà di controllo dello spegnimento, in Francia vennero usati circuiti con commutazione comandata dal carico usando motori sincroni; in Germania proseguirono invece con gli asincroni, alimentandoli con un convertitore di ingresso a quattro quadranti. Si eliminava così il graduatore e si prelevava la corrente dalla rete monofase a fattore di potenza unitario, consentendo anche il recupero di energia. Le applicazioni si sono poi ulteriormente semplificate con l’impiego dei GTO e IGBT e questo schema è ora di impiego universale Si può quindi concludere che le reti ferroviarie dei diversi Paesi hanno seguito sviluppi differenti basati principalmente sulle esperienze nazionali e sulle esigenze del trasporto locale. Solo quelli che hanno realizzato, nel corso degli anni, sistemi di alimentazione diversi, come ad esempio la Francia, hanno avvertito la necessità prima degli altri di renderli elettricamente interoperabili. Di fatto, solo la necessità di realizzare collegamenti ferroviari tra i diversi Paesi, come ad esempio in Europa, ha evidenziato tutte le problematiche legate alla presenza di incompatibilità, di natura elettrica, mec- Capitolo 9 - Sistemi di trasporto extraurbano 355 canica e fisica, che nascono nei punti di frontiera dove i sistemi di trazione ferroviaria elettrificati hanno caratteristiche morfologiche e fisiche diverse. Le soluzioni adottate sono state: –– le stazioni di scambio “bicorrente”, i cui piazzali sono realizzati in modo a poter ricevere i rotabili su linee o tronchi di linee separati; ovvero su sezioni alimentate dall’uno o dall’altro sistema di elettrificazione (linee commutate). In tal caso, le locomotive raggiungono il confine senza superarlo. Tale soluzione, già adottata in Francia, risulta accettabile solo per stazioni relativamente semplici, mentre non appare perseguibile per stazioni con un numero elevato di diramazioni; –– i locomotori policorrente, equipaggiati in modo tale da poter circolare sotto due o più sistemi di alimentazione, cioè a tensioni e/o a frequenze diverse. Indipendentemente da problemi di natura economica, appare evidente che l’uso di rotabili policorrente consente di ridurre i perditempo dovuti al cambio del locomotore o addirittura, nel caso di elettrotreni, al trasbordo dei viaggiatori. L’assenza di una pianificazione sul tipo di elettrificazione ferroviaria a livello europeo, ha comportato una integrazione difficile tra le varie ferrovie, soprattutto in relazione all’intenso scambio di viaggiatori e merci. Pertanto, a partire dalle tensioni e frequenze utilizzate in Europa, sono state studiate e successivamente realizzate le locomotive policorrente. Un mezzo di trazione policorrente presenta, a pari potenza, massa, costo ed oneri di manutenzione più elevati e crescenti con il numero dei sistemi previsti; si cerca quindi, di volta in volta, di adeguare le predisposizioni alle effettive necessità di esercizio, anche in termini di prestazioni garantite. In molti casi uno solo è il sistema d’alimentazione “principale” per il quale viene resa la potenza nominale continuativa e raggiunta la velocità massima di marcia; mentre, con le altre alimentazioni potenze e velocità massime risultano inferiori. È questo il caso di molti elettrotreni ad alta velocità. Le locomotive policorrente possono distinguersi in: bifrequenza, bitensione, bicorrente, tri e quadricorrente. In particolare, le bifrequenza hanno motori alimentabili in corrente alternata monofase a 25 o 15 kV, alle frequenze rispettivamente di 50 e 16 2/3 Hz. Le induttanze di livellamento, presenti nel caso si adottino motori in corrente continua, ne aumentano la dimensione; il progetto del trasformatore, eseguito per i due livelli di tensione, se tiene conto della frequenza più bassa di 16 2/3 Hz, definisce una macchina di peso e ingombro maggiori (cfr. Par. 2.1). Le bitensione hanno motori alimentabili in corrente continua a 1500 e 3000 V. Pur necessitando di isolamento rinforzato e apparecchiatura supplementare per l’accoppiamento delle macchine, che comportano (a parità di condizioni) un supplemento di peso, le bitensione restano comunque l’esempio di bivalenza più facile e meno costoso. Le bicorrente sono state realizzate con l’introduzione di ponti raddrizzatori. Sono in grado di funzionare sia con uno dei sistemi in corrente continua sia con uno in corrente alternata monofase. È francese la prima bicorrente, 25 kV 50 Hz + 1500 V c.c., rimasta unica fino al 1979. Una bicorrente può ovviamente realizzarsi per sistemi 25 kV, 50 Hz + 3000 V c.c., 15 kV, 16 2/3 Hz + 3000 V c.c. oppure15 kV 16 2/3 Hz + 1500 V c.c. le tri e quadri corrente sono l’associazione di una bicorrente e una bitensione. Rientrano in questa categoria le loco- 356 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata motive che, ad esempio, effettuano il servizio Parigi-Bruxelles-Amsterdam, le cui tratte sono alimentate a 25 kV, 50 Hz in Francia, a 3000 V in corrente continua in Belgio e a 1500 V in corrente continua in Olanda. Le stesse locomotive potrebbero essere utilizzate per andare dalla Francia, via Marsiglia, in Italia. Il parco dei treni TGV Parigi Sud-Est è stato costituito in modo tale da utilizzare unità tricorrente 25 kV, 50 Hz + 15 kV,16 2/3 Hz + 1500 V. Tra i vari problemi che devono essere affrontati in fase di progettazione, se ne ricordano in particolare i seguenti: –– la scelta del tipo di linea di trazione; –– la scelta del pantografo (specializzato o non); –– la scelta dei sistemi di sicurezza per l’interruzione dell’alimentazione “non idonea” di parti di circuiti elettrici (tipo o livello di tensione, livello di frequenza). 9.2. GENERALITÀ Il problema delle incompatibilità elettriche, meccaniche e fisiche che impediscono il transito dei rotabili sulle interconnessioni nasce nei punti di frontiera dove differenti sistemi di trazione ferroviaria elettrificati hanno caratteristiche morfologiche e fisiche diverse. Le soluzioni possibili sono: –– stazioni di scambio “bicorrente”, i cui piazzali sono realizzati in modo da poter ricevere i rotabili su linee o tronchi di linee separati; ovvero su sezioni alimentate dall’uno o dall’altro sistema di elettrificazione (linee commutate). In tal caso, le locomotive raggiungono il confine senza superarlo. Tale soluzione, già adottata in Francia, risulta accettabile solo per stazioni relativamente semplici, mentre non appare perseguibile per stazioni con un numero elevato di diramazioni; –– locomotori policorrente equipaggiati in modo tale da poter circolare sotto due o più sistemi di alimentazione, cioè a tensioni e/o a frequenze diverse. Indipendentemente da problemi di natura economica, appare evidente che l’uso di rotabili policorrente consente di ridurre i perditempo dovuti al cambio del locomotore o addirittura, nel caso di elettrotreni, al trasbordo dei viaggiatori. È da notare comunque che la realizzazione delle locomotive policorrente, giudicata estremamente difficile fino al 1958, è stata possibile solo con l’uso dei raddrizzatori al silicio. A livello europeo, le reti ferroviarie sono state elettrificate differentemente, in relazione alle esigenze di ciascun Paese. L’assenza di una pianificazione sul tipo di elettrificazione ferroviaria a livello europeo, ha comportato una integrazione difficile tra le varie ferrovie, soprattutto in relazione all’intenso scambio di viaggiatori e merci. Pertanto, a partire dalle tensioni e frequenze utilizzate in Europa, sono state studiate e successivamente realizzate le locomotive policorrente. Un mezzo di trazione policorrente presenta, a pari potenza, massa, costo ed oneri di manutenzione più elevati e crescenti con il numero dei sistemi previsti; si cerca quindi, di volta in volta, di adeguare le predisposizioni alle effettive necessità di esercizio, anche in termini di prestazioni garantite. In Capitolo 9 - Sistemi di trasporto extraurbano 357 molti casi uno solo è il sistema d’alimentazione “principale” per il quale viene resa la potenza nominale continuativa e raggiunta la velocità massima di marcia; mentre, con le altre alimentazioni potenze e velocità massime risultano inferiori. È questo il caso di molti elettrotreni AV. L’evoluzione tecnologica internazionale ha imposto nel tempo l’impiego di motori per la trazione in corrente continua, in corrente alternata monofase e successivamente trifase, adottando contestualmente le apparecchiature più idonee per la regolazione: variazione dei poli di commutazione, nel caso di asincroni monofase, o della frequenza, tramite ponti controllati, nel caso di motori in corrente continua o asincroni trifase. I locomotori policorrente possono distinguersi in: bifrequenza, bitensione, bicorrente, tri e quadricorrente. In particolare, le bifrequenza hanno motori alimentabili in corrente alternata monofase a 25 o 15 kV, alle frequenze rispettivamente di 50 e 16,7 Hz. Le induttanze di livellamento, presenti nel caso si adottino motori in corrente continua, aumentano di dimensione; il progetto del trasformatore, eseguito per i due livelli di tensione, se tiene conto della frequenza più bassa di 16,7 Hz, definisce una macchina di peso e ingombro maggiori (cfr. Par. 2.1). Le bitensione hanno motori alimentabili in corrente continua a 1500 e 3000 V. Inizialmente sono stati impiegati motori di trazione a 1500 V, in serie o in parallelo in funzione del livello di tensione, con isolamento di ciascun motore per la tenuta alla tensione più alta. Successivamente, come nel caso delle bifrequenza, sono stati adottati motori trifasi in alternata con azionamento ad inverter. Pur necessitando di isolamento rinforzato e apparecchiatura supplementare per l’accoppiamento delle macchine, che comportano (a parità di condizioni) un supplemento di peso, le bitensione restano comunque l’esempio di bivalenza più facile e meno costoso. Le bicorrente sono state realizzate con l’introduzione di ponti raddrizzatori. Sono in grado di funzionare sia con uno dei sistemi in corrente continua sia con uno in corrente alternata monofase. È francese la prima bicorrente, 25 kV 50 Hz e 1500 V c.c., rimasta unica fino al 1979. Una bicorrente può ovviamente realizzarsi per sistemi 25 kV, 50 Hz e 3000 V c.c., 15 kV, 16,7 Hz e 3000 V c.c. oppure15 kV 16,7 Hz e 1500 V c.c. le tri e quadri corrente sono l’associazione di una bicorrente e una bitensione. Rientrano in questa categoria le locomotive che, ad esempio, effettuano il servizio Parigi - Bruxelles - Amsterdam, le cui tratte sono alimentate a 25 kV, 50 Hz in Francia, a 3000 V in corrente continua in Belgio e a 1500 V in corrente continua in Olanda. Le stesse locomotive potrebbero essere utilizzate per andare dalla Francia, via Marsiglia, in Italia. Il parco dei treni TGV Parigi Sud-Est è stato costituito in modo tale da utilizzare unità tricorrente 25 kV, 50 Hz e 15 kV, 16,7 Hz e 1500 V. Tra i vari problemi che devono essere affrontati in fase di progettazione, se ne ricordano in particolare i seguenti: –– la scelta del pantografo (specializzato o non); –– la scelta dei sistemi di sicurezza per l’interruzione dell’alimentazione “non idonea” di parti di circuiti elettrici (tipo o livello di tensione, livello di frequenza). 358 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 9.3. LE APPARECCHIATURE DI BORDO 9.3.1. I PANTOGRAFI L’intensità delle correnti captate dai treni variano in relazione al sistema di alimentazione, pertanto il dimensionamento sia delle linee di contatto sia dei pantografi deve essere, a parità di qualità del servizio, differenziato. La caratteristica di non unificazione europea introduce, come già detto, incompatibilità che possono verificarsi anche nell’ambito di stessi sistemi di elettrificazione adottati in Paesi diversi. È noto, ad esempio, che le dimensioni e la forma del pantografo sono fortemente influenzate dalla geometria della catenaria, dalla poligonazione e dalle distanze d’isolamento. Viceversa può accadere che differenti sistemi di elettrificazione possano sopportare senza particolari stress il medesimo pantografo, come nel caso delle linee a 3000 V in c.c. italiane e quelle a 25 kV, 50 Hz francesi. Le incompatibilità possono essere non superabili, come nel caso del modello della catenaria, oppure superabili, come nel caso della corretta captazione, se non si eccede nel livello di assorbimento della corrente o in quello della velocità. Nel caso dell’alimentazione in corrente continua, infatti, le più forti intensità di correnti captate conducono ad aumentare le superfici dei piani di contatto e la pressione del pantografo sulla catenaria. Tale condizione non è apparsa particolarmente vincolante per cui si è osservata una certa attenuazione della specializzazione del pantografo “continuo” e “monofase”, come mostrano alcune realizzazioni francesi di bicorrente utilizzate sulla Digione-Neufchateau o sulla Le Mans-Rennes oppure sulla MarsigliaVentimiglia. Inoltre il secondo pantografo del locomotore, identico al primo e comunque necessario per la captazione in corrente continua, può essere utilizzato anche per il soccorso in caso di avaria del primo anche se, come è ovvio, in condizioni di degrado il convoglio subisce limitazioni di velocità. 9.3.2. IL SISTEMA DI SENSORI L’alimentazione di un azionamento con una tensione non corrispondente a quella di progetto comporta danneggiamenti alle apparecchiature. Pertanto si rende necessario l’uso di un dispositivo automatico che, riconoscendo il tipo di corrente captata dal pantografo, inserisca nel circuito in tensione solo la parte di equipaggiamento idonea all’alimentazione stessa. Tale dispositivo è quello che viene chiamato dispositivo di sensori (in francese “palpage”). La Figura 9.1, riporta lo schema di principio adottato per una locomotiva bicorrente dotata di pantografi non specializzati (entrambi possono captare sia la corrente continua sia la corrente alternata monofase). Come può notarsi dalla figura, il dispositivo sensoriale è costituito da: –– un trasformatore; –– un relè sensibile alla corrente continua (c); –– un relè sensibile alla corrente alternata monofase (m). Capitolo 9 - Sistemi di trasporto extraurbano 359 Se l’alimentazione è in corrente continua l’eccitazione del relè “c” provoca la chiusura del sezionatore S e quella dell’interruttore C; se l’alimentazione è in corrente alternata, l’eccitazione del relè “m” permette la chiusura dell’interruttore M (in SF6) ed impedisce contestualmente quella del sezionatore S. Come norma di sicurezza, non si può alzare un pantografo se i due interruttori C e M sono chiusi e se il sezionatore S è collegato a terra. Figura 9.1: Dispositivo di sensori nel caso di pantografi non specializzati. Se i due pantografi sono specializzati e distinti (uno per la continua e l’altro per l’alternata monofase), lo schema si semplifica ulteriormente come è indicato in Figura 9.2. Figura 9.2: Dispositivo di sensori nel caso di pantografi specializzati. 360 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Il pantografo per la c.c. ha un collegamento diretto al reostato, mentre il pantografo per la c.a. è collegato al trasformatore. L’assenza del collegamento tra i due pantografi a monte degli interruttori permette di sopprimere il sezionatore S presente nello schema precedente. Il dispositivo sensoriale, lato alternata monofase, impedisce la chiusura dell’interruttore monofase in presenza di corrente continua. Il consenso per la chiusura dell’interruttore C è dato solo se l’interruttore M è aperto. In Figura 9.3 i due pantografi specializzati hanno possibilità di reciproco soccorso in caso di avaria di uno dei due. Figura 9.3: Dispositivo di sensori nel caso di pantografi specializzati, con possibilità di interscambio. 9.4. SCHEMI ELETTRICI DELLE POLICORRENTI 9.4.1. MEZZI DI TRAZIONE CON MOTORI IN CORRENTE CONTINUA Bicorrente La Figura 9.4, fa riferimento a un locomotore realizzato con motori in corrente continua, con avviamento reostatico e regolazione di campo. Dalla figura, si può evidenziare: a. il complesso trasformatore-graduatore della tensione-raddrizzatore che alimenta a 1500 V i motori in c.c.; b. i gruppi ausiliari (gruppi compressori, ventilatori dei motori di trazione) alimentati a 25 kV, 50 Hz a partire dal secondario mediante l’interposizione di un ponte di raddrizzatori; c. le induttanze di livellamento all’uscita dei ponti raddrizzatori per lo spianamento del ripple di tensione; Capitolo 9 - Sistemi di trasporto extraurbano 361 d. il reostato di avviamento su ciascun motore; e. l’eccitazione serie della macchina con resistenza in parallelo per regolazione velocità/indebolimento di campo. Figura 9.4: Schema di principio del circuito di trazione di una bicorrente. Bifrequenza L’attenzione maggiore, in queste locomotive, è posta nel trasformatore che deve essere adatto a funzionare ai due livelli di tensione. Se, indipendentemente dalla tensione primaria, si vuole la stessa potenza apparente A e la stessa tensione secondaria U2, ed il trasformatore ha un unico avvolgimento primario con N1 spire, con la tensione di alimentazione di U′1 = 25 kV ed f ′ = 50 Hz si ha: –– corrente primaria I′1 = A/U′1; –– tensione di spira e′ = 4,44 f ′Φ ′ = U′1/N1. Con un’alimentazione di U”1 = 15 kV ed f ” = 16,7 Hz si ha: –– corrente primaria I”1 = A/U”1 = I′1 (U′1/U”1) = I′1 (25000/15000) = 5/3 I′1 = 1,67 I′1; –– tensione di spira e” = 4,44 ⋅ f ′Φ” = U”1/N1 = e′ (U”1/U1) = e′ 3/5. Il rapporto tra i flussi è: Φ”/Φ′ = (e”/e′) ⋅ (f ′/f ”) = (3/5) (50/16,7) = 1,8. 362 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Si deduce quindi che, a causa dell’alimentazione a 16,7 Hz, il circuito magnetico deve essere dimensionato per un flusso dell’80 % maggiore e l’avvolgimento primario per una corrente del 67 % maggiore di quanto non sia necessario nel funzionamento a 50 Hz. Se si considerano le spire secondarie N2 necessarie per ottenere il medesimo valore U2, si ha: –– alimentazione a 25000 V, N′2 = U2/e′ –– alimentazione a 15000 V, N”2 = U2/e” = N2 (e′/e”) = 5/3 N’2 = 1,67 N′2; N′2/ N”2 = 0,6. Dall’espressione del rapporto spire secondarie si deduce che il secondario deve avere una presa intermedia in corrispondenza del 60 % di tali spire per il funzionamento a 25 kV. Per ridurre l’incremento di massa del trasformatore si può accettare, per percorsi non lunghi (come ad esempio la Strasburgo - Kehl, Sale Muttenz), una minore potenza e una tensione secondaria ridotta. Infatti è: U”2 = N′2 e” = (U2/e′) (3/5) e′ = 0,6 U2. Questa riduzione a frequenza di 16,7 Hz è accettabile. Quadricorrente La quadricorrente nasce dalla “composizione” delle bicorrente e bifrequenza. Se sono alimentate in corrente alternata monofase, il gruppo trasformatore-raddrizzatore fornisce una tensione raddrizzata a 1500 V ai motori. Tale schema è stato inizialmente scelto per quelle locomotive destinate ad assicurare il servizio internazionale per treni rapidi ed espressi. Queste locomotive hanno assicurato il servizio internazionale in Belgio, in Germania e nel nord della Francia. La presenza di due prese sul secondario del trasformatore principale consente il funzionamento con alimentazione a 15 kV a 16,7 Hz. 9.4.2. LE POLICORRENTI CON EQUIPAGGIAMENTO A TIRISTORI L’evoluzione dell’elettronica di potenza ha consentito l’uso dei ponti a tiristori che costituiscono i mezzi per la regolazione dei motori. Pertanto, nel corso degli ultimi anni, si è assistito ad una lenta ma totale modifica degli schemi delle policorrenti. La Figura 9.6 riporta lo schema di una bicorrente a chopper. Nella figura viene indicato con: –– –– –– –– –– –– –– M la corrente alternata monofase; C la corrente continua; TS il tiristore per l’indebolimento di campo; DS il diodo di blocco; R il resistore di scarica; K il commutatore c.c./c.a; X l’alimentazione del motore 2. La regolazione di ciascun motore viene effettuata mediante il chopper, integrato da un dispositivo per la regolazione continua del campo che permette di estendere la regolazione della velocità. Capitolo 9 - Sistemi di trasporto extraurbano 363 Figura 9.6: Azionamento bicorrente a chopper. In corrente alternata il trasformatore a rapporto fisso ed un raddrizzatore a diodi alimenta a circa 1500 V i chopper. Una soluzione di questo tipo è stata adottata per i primi TGV equipaggiati con motori da 535 kW che erano in servizio sulla linea Parigi Sud Est (collegamento Parigi -Lione). 9.4.3. MEZZI DI TRAZIONE CON AZIONAMENTO TRIFASE SINCRONO In questo tipo di azionamenti, in generale, la configurazione dello schema di potenza a valle del circuito intermedio a corrente o tensione impressa non cambia. L’adattamento ai diversi sistemi di alimentazione è effettuato con opportune configurazioni degli stati d’ingresso. Azionamenti trifasi a motori sincroni sono stati realizzati esclusivamente nell’ultimo decennio, in Francia, per mezzi di trazione di elevata potenza (> 4 MW) e del tipo bicorrente (25 kV, 50 Hz ed a 1,5 kV c.c oppure a 3 kV c.c). Una più recente realizzazione riguardato il TGV-Atlantique con una potenza totale di 8800 kW (8 assi motori), il cui schema è riportato in Figura 9.7. I motori sincroni sono a 6 poli, fissati alla cassa della motrice e sviluppano la potenza di 1,1 MW alla massima velocità di rotazione, corrispondente alla velocità di 300 km/h con l’alimentazione a 25 kV, 50 Hz. I circuiti d’ingresso comprendono: –– (C) alimentazione a c.c (potenza ridotta): l’interruttore principale IPC, il filtro di rete LF/CF ed un chopper abbassatore, costituito dal ramo T11 a tiristori a spegnimento forzato e dal ramo di ricircolo D11, D12, D21, D22. –– (M) alimentazione a c.a (potenza nominale): l’interruttore principale IPM montato sul tetto, ed il trasformatore TP, con due avvolgimenti seconda- 364 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 9.7: Schema di principio degli stadi di ingresso di una motrice del TGV-A. –– –– –– –– ri; questi alimentano i ponti misti PM1 e PM2, controllati in sequenza. Per migliorare il fattore di Potenza, ai morsetti di ciascun secondario viene inserito un filtro FA per l’assorbimento delle armoniche. K1, K2 e K3, i commutatori e contattori. PMA il ponte misto per l’alimentazione degli ausiliari a 1500 V, con CHA il frazionatore 1500/500 V per l’alimentazione degli ausiliari (X). (Y) collegamento a 25kV fra le due motrici. (Z) tetto della motrice. La Figura 9.8 riporta lo schema di una bicorrente, la BB26000, della SNCF di grande potenza che, contrariamente al TGV, sviluppa la prestazione nominale con entrambi i sistemi di alimentazione. Capitolo 9 - Sistemi di trasporto extraurbano 365 Figura 9.8: Schema di principio dei circuiti di ingresso di una bicorrente. In particolare in figura si sono indicati con: –– (M) il funzionamento in c.a. monofase; –– (C) il funzionamento in c.c.; –– IPM e IPC gli interruttori principali; –– LF con CF il filtro in c.c.; –– TP il trasformatore principale; –– PM i ponti monofasi misti (due ponti in parallelo); –– K il commutatore c.c./c.a.; –– CH1, D1 il frazionatore principale (motore 1); –– Ld1 l’induttore (motore 1); –– X1 l’alimentazione del motore 1; –– X2 l’alimentazione dei circuiti del motore 2; –– Y l’alimentazione degli ausiliari. 9.4.4. MEZZI DI TRAZIONE CON AZIONAMENTO TRIFASE ASINCRONO La progettazione di queste motrici è derivata da esperienze francesi e inglesi ed hanno seguito due filoni. In particolare, il primo filone ha prodotto le Z 20500 a due piani della SNCF (25 kV,50 Hz, 1500 V c.c.) ed il nuovo TGV-Transmanche per il collegamento Parigi - Londra - Bruxelles; alimentato in Francia a 25 kV-50 Hz, a 3000 V c.c. in Belgio e a 750 V c.c. a terza rotaia in Gran Bretagna (rete BR a sud di Londra, a nord l’elettrificazione è a 25 kV, 50 Hz). Il secondo filone riguarda principalmente le locomotive alimentate a 3000 V c.c destinate ai collegamenti con Italia, Svizzera e Austria. Gli elementi caratterizzanti sono: –– convertitori di ingresso 4Q per l’alimentazione in c.a. (sia a 50 Hz che a 16,7 Hz) –– collegamento in serie dei convertitori con alimentazione a 3000 V c.c. In Figura 9.9 è riportato a titolo di esempio, lo schema di una bicorrente della OBB (serie 1822), con convertitore a tre livelli, destinata al traffico su 366 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 9.9: Schema di principio del semiazionamento di una locomotiva a 15 kV 16 2/3 Hz-3 kV c.c. linee di valico molto acclivi (25 %), di massa pari a 83 t, massima velocità di 140 km/h e potenza di 4,4 MW. In figura si è indicato con: 1. l’alimentazione condotta a 1000 V - 16,7 Hz, 2. l’alimentazione del carrello n. 2, 3. l’alimentazione in A.T., a 3 kV in c.c. 4. l’alimentazione dei convertitori degli ausiliari. Poichè la locomotiva è una bicorrente (15 kV ,16,7 - 3 kV c.c) con motori asincroni trifase sono presenti due stadi di conversione (c.a-c.c e c.c-c.a). L’impiego dei GTO consente notevoli vantaggi rispetto ai tiristori tradizionali, per la semplificazione dei circuiti e la riduzione della massa e dell’ingombro. Il convertitore a 4Q funziona come raddrizzatore attraverso i suoi rami a diodi e viceversa da invertitore fornendo potenza reattiva al circuito a corrente alternata, prelevandola dal circuito intermedio a corrente continua. Quando i motori di trazione funzionano in frenatura, può essere effettuato il recupero, in quanto il convertitore 4Q è reversibile. Questo convertitore di conseguenza funziona in tutti e quattro i quadranti in funzione del segno delle grandezze elettriche ai morsetti e degli impulsi di commando. Capitolo 9 - Sistemi di trasporto extraurbano 367 Nelle reti a 3000 V sorge il problema del collegamento in serie di due GTO, pertanto negli azionamenti di grande potenza si preferisce la soluzione dell’invertitore a tre livelli dove ciascun GTO sopporta la tensione Ud/2. Con convertitori a 2 livelli ciascun ramo deve commutare la piena tensione Ud del circuito intermedio pertanto è necessario contenere detta tensione entro i valori, sopportabili da un solo GTO. 9.5. RIFERIMENTI [1] [2] [3] [4] [5] [6] F. Perticaroli Sistemi elettrici per i trasporti. Trazione elettrica, ed. Masson, 1994. G. Vicuna, Organizzazione e tecnica ferroviaria, ed. CIFI, 1986. M. Tessier, Traction électrique et Thermo-électrique, ed. Riber, 1978. Raoul J.C, L’interoperabilità ferroviaria in Europa. Ferrovie italiane e estere, Ingegneria Ferroviaria, 2002, pag. 757. G. Bonora, L. Focacci, Funzionalità e progettazione degli impianti ferroviari, ed. CIFI, 2002. F. Romano, Il materiale rotabile politensione, Direzione Sicurezza e Qualità di Sistema, 2008. 10 I MODERNI MEZZI DI TRAZIONE POLICORRENTE DELLA FLOTTA TRENITALIA Paolo Masini, Salvatore Rizzo Trenitalia S.p.A. 10.1. INTRODUZIONE Tale capitolo si pone l’obiettivo di illustrare i più moderni sistemi di propulsione impiegati nei mezzi di trazione policorrente di punta della flotta Trenitalia. Saranno descritte le prestazioni, le architetture elettriche e i principi di funzionamento dei sistemi di propulsione di ETR 500, ETR 600 e ETR 1000 evidenziando le peculiarità che caratterizzano le varie soluzioni tecniche implementate, nonché i vantaggi che derivano dal loro utilizzo e le particolarità architetturali distintive. Si ritiene inoltre necessario spiegare come il sistema ERTMS (“European Railways Train Management System”) consenta ai mezzi di trazione policorrente di configurare in maniera automatica il proprio sistema di propulsione al variare della tipologia della tensione di catenaria, riducendo al minimo le operazioni a carico del Personale di Macchina. Di seguito verrà fornita una descrizione sui moderni sistemi di captazione della corrente elettrica implementati nei rotabili AV illustrando l’applicazione specifica su ETR 500 PLT. Verrà spiegato come tale sistema sia stato messo a punto mediante l’implementazione di efficaci sistemi di controllo della forza di spinta del pantografo sulla catenaria al variare del mezzo di trazione. Il corpo del capitolo proseguirà poi con il focus su alcuni dei principali componenti elettrici caratterizzanti il cuore dell’azionamento di trazione ferroviario policorrente: il convertitore elettronico a 4 quadranti (convertitore 4Q) e il trasformatore. Per quanto riguarda il convertitore verranno forniti degli elementi significativi sul funzionamento di tale apparecchiatura e sul proprio controllo, corredati da risultati di simulazioni in ambiente “SIMULINK” di Matlab. Nel caso del trasformatore, ne verrà descritto l’aspetto costruttivo e verrà illustrato il tema rilevante delle sollecitazioni termiche dovute alle condizioni operative specifiche di tale macchina, evidenziando le differenze che vi sono rispetto ad un regime di funzionamento sinusoidale tipico dei trasformatori di distribuzione dell’energia. Gli ultimi paragrafi descrivono, attraverso degli esempi e delle applicazioni pratiche, importanti strumenti di ausilio finalizzati a programmare in maniera ottimale la gestione e l’impiego del mezzo di trazione in tutta la durata del suo ciclo di vita. Dunque verranno illustrati validi simulatori 370 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata termici dell’azionamento dei mezzi di trazione policorrente e verrà affrontato il tema della manutenzione applicata in ambito ferroviario, spiegando l’evoluzione degli approcci manutentivi con l’integrazione del CBM (Condition based maintenance). L’utilizzo degli strumenti citati e della loro opportuna integrazione con modelli di calcolo dei tempi di percorrenza consente la valutazione in modo completo degli impatti e delle potenzialità relative all’utilizzo del mezzo di trazione policorrente su profili di missione e scenari operativi differenti da quelli per i quali è stato progettato. Oltre al vantaggio sopra citato, l’impiego di algoritmi CBM introduce un miglioramento dell’approccio manutentivo al materiale rotabile ottimizzando la velocità, il numero e l’efficacia degli interventi manutentivi e abbattendo dunque i costi impliciti di una manutenzione di tipo “programmato”. 10.2. I MEZZI DI TRAZIONE POLICORRENTE “AV” DEL PARCO TRENITALIA Trenitalia ha sempre investito nel continuo sviluppo tecnologico dei propri mezzi di trazione richiedendo ai fornitori di rotabili requisiti prestazionali, di sicurezza e di impatto ambientale sempre migliorativi ai fini di soddisfare le esigenze mutevoli del mercato e della società. Tali scelte strategiche hanno portato come risultato alla realizzazione di mezzi di trazione che rappresentano uno standard di eccellenza nell’attuale panorama del mercato ferroviario. 10.2.1. ETR 500 PLT “FRECCIAROSSA” L’ETR 500 PLT è un treno a composizione bloccata e trazione concentrata concepito per svolgere servizio commerciale sia con alimentazione in alternata (25 kV c.a. 50 Hz), sia con alimentazione in continua (3kV c.c. e 1,5 kV c.c.). L’equipaggiamento elettrico di treno è stato quindi progettato in modo da ottimizzare il numero dei componenti necessari al funzionamento con alimentazione in alternata e continua. A tal scopo la catena e l’azionamento di trazione si adattano, mediante un’opportuna riconfigurazione dei circuiti in alta tensione, alle caratteristiche della tensione di catenaria, mentre l’equipaggiamento elettrico di carrozza ha una configurazione indipendente dal tipo di alimentazione ed è sempre alimentato con una tensione continua in ingresso di 600 V. Si descrive ora a livello generale l’architettura del sistema di trazione e alimentazione dei servizi ausiliari (riferirsi a Fig. 10.1). Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 371 Partendo dalla catenaria troviamo i circuiti di protezione e sezionamento, tramite i quali è fornita l’alimentazione al trasformatore di trazione. Quest’ultimo prevede due configurazioni di funzionamento, ognuna relativa alla tipologia della catenaria (25 kVc.a, 3 kV c.c.). In alternata la macchina svolge la vera e propria funzione di trasformazione della potenza e provvede ad abbassare la tensione per garantire l’alimentazione dei due azionamenti di locomotiva. In continua, sono sfruttati solamente gli avvolgimenti secondari in serie ad avvolgimenti aggiuntivi con lo scopo di realizzare i valori di induttanza necessaria per il filtro LC (lato rete) dell’azionamento. A valle del trasformatore vi sono due azionamenti identici e indipendenti, ciascuno composto da: Convertitore Lato Linea (CLL), Inverter trifase di trazione, Chopper servizi ausiliari e 2 motori di trazione. Un ruolo fondamentale per il funzionamento del sistema di propulsione è ricoperto dai chopper dei servizi ausiliari. Essi provvedono alla conversione della tensione continua, che in d.c. è prelevata direttamente dalla linea e in a.c. è prelevata dallo stadio intermedio all’uscita del convertitore CLL, in una tensione pari a 600 V, regolata e controllata per l’alimentazione dei convertitori dei servizi ausiliari della locomotiva e, delle linee treno che provvedono a loro volta all’alimentazione dei convertitori dei servizi ausiliari delle carrozze, completi dei propri filtri di rete. Si descrive ora con maggior dettaglio l’architettura elettrica e il principio di funzionamento del mezzo di trazione per le varie tipologie di catenaria. I circuiti AT realizzano il riconoscimento, la misura, la selezione e la protezione della tensione di rete che insiste sulla catenaria e forniscono l’a- Figura 10.1: Schema a blocchi del sistema di propulsione e alimentazione dei servizi ausiliari. 372 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 10.2: Schema elettrico dei circuiti di alta tensione della locomotiva dell’ETR 500 PLT. limentazione al trasformatore ed ai circuiti di precarica (Fig. 10.2). A meno dei palpatori di tensione (PL1 e PL2), i componenti dei circuiti AT (sezionatori, scaricatori, interruttori) sono sdoppiati in modo da consentire il funzionamento del treno con le diverse tensioni di catenaria. In configurazione 25 kV l’alimentazione del treno è garantita utilizzando un solo pantografo disponendo il sezionatore STL in posizione 2; è possibile quindi alimentare i convertitori di trazione della motrice remota (con pantografo basso) tramite la linea treno a 25 kV. In tale configurazione i sezionatori S3 e SEQ sono disposti verso massa, il sezionatore CEQ è in posizione aperto. L’interruttore principale IR25 della motrice a pantografo basso è comandato chiuso in modo da garantire localmente la disponibilità della protezione da sovratensione di linea treno a 25 kV. Con alimentazione in continua, disponendo il sezionatore STL in posizione 1, è possibile realizzare il collegamento equipotenziale delle due motrici a pantografo alto; non è comunque consentito alimentare i convertitori di trazione dal pantografo della motrice remota mediante linea treno a causa dei limiti di dimensionamento della stessa. In tale configurazione i sezionatori S3 e SEQ sono disposti fuori massa (chiusi) e il CEQ è chiuso. Il trasformatore di trazione è costituito da: –– –– –– –– n 1 avvolgimento primario TR1; n 4 avvolgimenti secondari di trazione TR2-11/12, TR2-21/22; n 2 avvolgimenti aggiuntivi FR1/2; n 4 induttanze a tre morsetti LFi11.1/2, LFi12.1/2, LFi21.1/2, LFi22.1/2. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 373 Gli avvolgimenti del trasformatore, immersi nello stesso fluido di raffreddamento, sono utilizzati sia nel funzionamento in alternata che nel funzionamento in continua. Con alimentazione in continua, gli avvolgimenti secondari ed ausiliari del trasformatore (tipo TR2 e FR) sono utilizzati per realizzare l’induttanza del filtro rete dei due azionamenti (vedi Fig. 10.3). Le quattro induttanze costituiscono i due filtri di uscita del primo stadio del convertitore di trazione. Il solo avvolgimento primario rimane inattivo con questo tipo di alimentazione. Con alimentazione in alternata, il trasformatore realizza la propria funzione classica di adattare il livello di tensione della linea di contatto ad un valore inferiore compatibile con le caratteristiche elettriche dei convertitori di trazione. Assieme all’avvolgimento primario e ai secondari vengono inoltre impiegate due reattanze che costituiscono la parte induttiva di due filtri risonanti a 100 Hz (vedi Fig. 10.4). Le rimanenti due reattanze e i due avvolgimenti aggiuntivi (tipo FR) restano inattivi. L’azionamento di trazione provvede all’alimentazione dei servizi ausiliari di treno ed alla conversione della tensione di linea o della tensione secondaria del trasformatore, a seconda del tipo di alimentazione, in terne trifase di tensione alternata a frequenza e ampiezza variabili regolate e controllate per l’alimentazione dei motori asincroni di trazione. A bordo sono presenti per ogni motrice due azionamenti di trazione completi, ognuno dei quali alimenta i due motori asincroni su ciascun carrello. La potenza continuativa netta erogata al cerchione, per velocità superiori a 164 km/h, è per ogni motrice pari a 4,4 MW. Le parti che compongono l’azionamento di trazione sono: –– Convertitore di 1° stadio. Esso svolge la funzione principale di adattare la tensione di catenaria (o quella dei secondari del trasformatore) al valore necessario per il bus DC dell’inverter di trazione. Tale convertitore prevede, analogamente al trasformatore, la variazione della propria configurazione di funzionamento al variare della tensione della catenaria. In 3 kV c.c. esso funziona da chopper abbassatore a 3 livelli di tensione (vedi Fig. 10.3), ovvero abbassa la tensione da un valore di 3 kV (tensione di catenaria) a un valore di circa 2.4 kV (tensione del bus DC). Con catenaria a 25 kV c.a. si ha il funzionamento da raddrizzatore alzatore a quattro quadranti (vedi Fig. 10.4). In quest’ultima configurazione il convertitore raddrizza e aumenta la tensione ai capi dei secondari del trasformatore da un valore di 1.3 kV (valore efficace su un secondario del trasformatore) a d un valore di 2,4 kV (valore medio sul bus DC dell’inverter). In entrambe le configurazioni tale convertitore garantisce in uscita una tensione di 2,4 kV. –– Inverter. A valle del convertitore di 1° stadio vi è l’inverter trifase di trazione che converte la tensione continua al suo ingresso in una terna di tensioni alternate necessarie al funzionamento dei motori, regolate in ampiezza e frequenza, secondo una strategia di controllo predeterminata ed implementata nella elettronica di bordo. –– Chopper di frenatura. Subito a valle del bus DC e a monte dell’inverter è inserito un chopper bifase con resistenze di frenatura in grado di dissipare l’energia derivata dai motori asincroni durante la fase di frenatura quando la linea non è di tipo ricettivo. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 375 idraulico alimentato ad aria compressa. Il combinatore CS1 (vedi Fig. 10.5) spostando i suoi 11 contatti (A-M) adatta la configurazione circuitale dell’azionamento a seconda della tensione di catenaria (25 kV o 3 kV). Di seguito il dettaglio della posizione dei contatti del combinatore AT per ciascuna configurazione. Configurazione 3 kVcc CS1 (A): 1-3; CS1 (B): 1-3; CS1 (C): 1-3; CS1 (D): 1-3; CS1 (E): 1-3; CS1 (F): 1-3; CS1 (G): 1-3; CS1 (H): 1-3; CS1 (I): aperto; CS1 (L): aperto; CS1 (M): chiuso. Configurazione 25 kVca CS1 (A): 1-2; CS1 (B): 1-2; CS1 (C): 1-2; CS1 (D): 1-2; CS1 (E): 1-2; CS1 (F): 1-2; CS1 (G): 1-2; CS1 (H): 1-2; CS1 (I): chiuso; CS1 (L): chiuso; CS1 (M): aperto. Dalla Figura 10.5 è possibile comprendere il dettaglio della posizione dei vari contatti del combinatore CS1 nello schema elettrico di azionamento ed è possibile capire come essi agiscono per cambiare la configurazione circuitale dell’azionamento. Figura 10.5: Schema elettrico dell’azionamento in configurazione 25 kV con evidenza dei contatti del combinatore CS1. 10.2.2. ETR 600 “FRECCIARGENTO” L’ETR 600 è un treno pendolante a potenza distribuita e composizione bloccata composto da 7 veicoli. Tale rotabile è configurato per funzionare con i sistemi di alimentazione 3 kV cc e 25 kV 50 Hz. Il treno è provvisto di un sistema attivo di rotazione della cassa che permette di affrontare la marcia in curva ad una velocità maggiore di un treno convenzionale assicu- 376 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata rando un livello di comfort comparabile. Questa particolare caratteristica lo distingue dall’ ETR 500. Il pantografo è connesso direttamente al tetto del veicolo ed è previsto di un sistema attivo di controrotazione. Tale mezzo, in grado di sviluppare una potenza continuativa al cerchione pari 5,5 MW, è costituito da 2 unità di trazione (ciascuna costituita di tre elementi, di cui due motorizzati e uno con trasformatore) ed un elemento rimorchio. Si veda la Figura 10.6. Figura 10.6: Distribuzione delle unità di trazione nei veicoli. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 377 Per la descrizione del sistema di propulsione e alimentazione ausiliari ci si riferisce alla Figura 10.7. Ogni unità di trazione è equipaggiata di due azionamenti, indipendenti, con 1 inverter (INV-TRAZ1 e INV-TRAZ2) per ciascun motore di trazione (M1-M2) sistemato sugli assi 2 e 3 dei veicoli 1, 2, 6 e 7. Il convertitore ausiliario (CH-INV AUX) viene sempre alimentato in parallelo agli inverter di trazione. Nei veicoli 4 e 5 della composizione sono situati 2 pantografi per l’alimentazione a 3 kV e 2 pantografi per l’alimentazione a 25 kV. I due pantografi di ciascuna unità di trazione sono collegati tra loro “praticamente” in parallelo attraverso un collegamento di linea tetto (primario). Con pantografo comandato in presa, avviene la lettura della tensione di linea da parte di un particolare sensore di tensione attivo (TPM) atto a “riconoscere” il “tipo” (frequenza) ed il valore della tensione di catenaria captata. Se il “tipo” ed il valore della tensione di catenaria captata rientra nel rango previsto la tensione viene connessa ai quattro azionamenti e convertitori ausiliari del complesso attraverso un collegamento di linea tetto e le relative induttanze di filtro rete. Il passaggio cassa-cassa del collegamento di linea tetto, è realizzato mediante connettori. La tensione di linea viene inviata ai due trasformatori di trazione del treno, collegati tra loro praticamente in parallelo attraverso un ulteriore collegamento di linea tetto (secondario). La connessione avviene, mediante opportuna commutazione di alcuni telesezionatori, con modalità differenti a seconda del tipo di tensione sulla catenaria. Si descrivono ora maggiormente in dettaglio le configurazioni del sistema elettrico per entrambe i sistemi di catenaria (25 kV c.a. e 3 kV c.c.). Ci si riferisce sempre alla Figura 10.7. 25 kV Nel caso di tensione alternata viene chiuso il disgiuntore “DJ” e vengono alimentati di conseguenza i due avvolgimenti primari dei trasformatori principali delle unità di trazione. Tale configurazione è caratterizzata dai seguenti stati dei telesezionatori e contattori: –– KSAZ, KCONTPRE, KCON in stato chiuso; –– KAC, KPRE, in stato aperto; –– KCA in posizione 25. In tale configurazione circuitale il trasformatore svolge la propria funzione nel trasformare la tensione in ingresso e adattarla all’alimentazione dei convertitori 4Q (4 quadranti), in figura rappresentati come “4QC1/2”. Questi ultimi raddrizzano la tensione che ricevono dagli avvolgimenti secondari del trasformatore e la rendono stabilizzata per l’alimentazione degli inverter di trazione (INV-TRAZ1/2) e del convertitore per i servizi ausiliari (CH-INV AUX). 3 kV Nel caso di tensione continua viene chiuso l’interruttore extra rapido “IR” e vengono alimentati direttamente gli avvolgimenti secondari dei trasformatori collegati in serie tra di loro ed in serie a due induttori supple- 378 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata mentari (TR1 + TR2 + La + Lb), per realizzare l’induttanza di filtro rete. La tensione di conseguenza giunge direttamente nel filtro intermedio (condensatore Cdc) da dove prendono alimentazione gli inverter di trazione e il convertitore per i servizi ausiliari. Tale configurazione è caratterizzata dai seguenti stati dei telesezionatori e contattori: –– KSAZ, KCONTPRE, KAC in stato chiuso; –– KPRE, KCON, in stato aperto; –– KCA in posizione 3. Una differenza significativa funzionale dall’ETR 500 consiste nella tipologia di utilizzo del convertitore del primo stadio di conversione del sistema di propulsione, in particolare per quanto riguarda la configurazione a 3 kV. Nell’ETR 600 il convertitore non viene utilizzato per abbassare la tensione di catenaria a 3 kV ma questa giunge direttamente tramite le induttanze di filtro all’ingresso dei convertitori dei motori e dei servizi ausiliari. In configurazione a 3 kV dunque si ha uno stadio di conversione in meno rispetto all’ETR 500 con vantaggi legati ad un miglior rendimento generale del sistema ma svantaggi che possono derivare ad esempio da una maggior sensibilità del sistema di propulsione alle variazioni della tensione di catenaria. Figura 10.7: Architettura elettrica di 1 azionamento di trazione. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 10.2.3. 379 ETR 1000 “FRECCIA 1000” L’ETR 1000 è un convoglio bidirezionale a singolo piano a composizione bloccata e potenza distribuita, composto da 8 veicoli, con 2 carrelli per cassa con il 50 % degli assi motorizzati, comprendente una cabina di guida ad ogni estremità. Il rotabile è predisposto al funzionamento sulle linee dei principali corridoi europei, in particolare accetta le seguenti tensioni di alimentazione: 25 kV c.a. 50 Hz, 15 kV c.a. 16.7 Hz, 3 kV c.c., 1,5 kV c.c. È necessario premettere che i treni attualmente posseduti da Trenitalia sono stati configurati solo per i sistemi di catenaria italiani, ovvero 25 kV c.a e 3 KVcc, tuttavia ciò non esclude che, tramite l’aggiunta di pochi componenti AT, tale rotabile sia destinato in futuro al mercato internazionale. L’architettura del sistema di distribuzione di energia e della trazione/ frenatura elettrica è realizzata considerando 2 unità di trazione, ciascuna costituita da 4 veicoli (semitreno), speculari tra di loro. In caso di guasto critico ad una delle 2 unità di trazione il treno può continuare a funzionare ed è in grado di terminare il proprio servizio senza degradi sulle prestazioni e sul comfort ai passeggeri. Figura 10.8: Struttura speculare del treno ETR 10000 e denominazione dei veicoli. Nella descrizione dell’architettura elettrica di treno ci si riferisce alla Figura 10.9. Essa rappresenta solamente 4 veicoli in quanto l’altra metà treno è speculare. Vi sono due sistemi AT separati per i due sistemi di catenaria Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 381 Si descrivono ora il sistema di alimentazione in alta tensione (AT) sia in 25 kV c.a. che in 3 kV c.c e le funzioni dei principali componenti in alta tensione. Sistema elettrico AT di treno È necessario premettere che i due sistemi AT di treno (25 kV e 3 kV) sono separati elettricamente tra di loro e i componenti che li caratterizzano sono ridondati per garantire un’affidabilità generale del rotabile in caso di guasto. Si descrivono ora tali sistemi, prendendo come riferimento le Figure 10.10 e 10.11. Figura 10.10: Architettura elettrica di alta tensione in configurazione 25 kV c.a. Figura 10.11: Architettura elettrica di alta tensione in configurazione 3 kV c.c. A valle del pantografo vi è un disconnettore (“AC/DC pantograph disconnector”) e si trova in stato di aperto quando il pantografo è basso ai fini di garantire isolamento tra il pantografo e il resto del sistema elettrico di treno. A valle di tale disconnettore vi è il punto di misura per 382 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata il dispositivo di rilevazione del sistema di alimentazione (System detection) il quale rileva e identifica il sistema di tensione della linea e informa il sistema di comando e controllo di treno ai fini della corretta configurazione del sistema elettrico del rotabile. Nella catena di alimentazione vi sono poi i dispositivi di misura dei parametri elettrici di linea (tensione, corrente) come il trasformatore di misura “CMT”, il “current sensor” e il “VMT” i quali monitorano continuamente le correnti assorbite dal treno e le tensioni di funzionamento e sono necessari per funzioni di protezione e regolazione dei sistemi di propulsione. Seguono i dispositivi di isolamento e messa a terra del sistema AT (“System isolation switch” e “AC ES”) e gli interruttori principali (AC/DC LCB) utilizzati per connettere/disconnettere il circuito di alimentazione AT dai sistemi di propulsione e ausiliari; tali dispositivi sono in grado di proteggere automaticamente gli apparati elettrici di treno da condizioni di sovraccarico/cortocircuito e da altre condizioni di anomalia. Del circuito AT fanno parte anche i sezionatori della linea treno (“AC/DC system disconnector”); essi sono utilizzati per separare fra di loro i due sistemi AT dei 2 semi-treni. Tali sezionatori vengono aperti in automatico dal sistema di controllo in caso di guasto critico ad uno dei 2 sistemi AT presenti e consentono quindi di isolare il guasto medesimo e di proseguire il servizio con la metà treno rimasta efficiente. Infine sia nel sistema a 25 kV che in quello a 3 kV sono presenti opportuni scaricatori (SA) atti a proteggere l’equipaggiamento elettrico da sovratensioni sulla catenaria. Nel sistema AT a 25 kV, a valle dell’LCB viene connesso il primario del trasformatore principale che garantisce l’isolamento galvanico tra il sistema ad alta tensione e il sistema di propulsione e ausiliari, inoltre trasforma l’alta tensione in valori idonei per il funzionamento di detti sistemi. Nel sistema AT a 3 kV invece a valle dell’LCB vi è la connessione con le induttanze di linea che provvedono a filtrare opportunamente le correnti armoniche generate dai convertitori chopper CC. Sistema di propulsione Si descrive ora con maggior dettaglio il sistema di propulsione, rappresentato in Figura 10.12. Esso è composto principalmente dai seguenti apparati elettrici: –– Circuiti di carica AC (configurazione 25 kV) e DC (configurazione 3 kV); –– DC link; –– Modulo convertitore di linea (LCM), comprensivo di condensatore DC link; –– Modulo convertitore chopper (CCM), comprensivo di condensatore DC link; –– Modulo convertitore motore (MCM), comprensivo di condensatore DC link; –– Reostato di frenatura; –– Motore di trazione. Sia in configurazione 3 kV che 25 kV sono previsti i circuiti di precarica dei filtri in ingresso ai convertitori CCM e LCM. Tali circuiti sono caratterizzati da contattori e resistenze (in figura segnati come 600, 601, 604, 605, 606,607 e 510) necessari anche a connettere e disconnettere in caso di guasto o esclusione comandata dal personale di macchina i convertitori LCM e CCM dalla loro alimentazione (trasformatore e induttore di linea rispettivamente). 384 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata In confronto agli ETR 500 e 600 tale tipologia di rotabile garantisce prestazioni in potenza superiori essendo in grado di erogare 9,8 MW di potenza continuativa massima al cerchione. Inoltre per il carattere intrinseco dell’architettura elettrica sono garantiti standard di affidabilità significativamente superiori rispetto all’ETR 500. Una differenza architetturale evidente tra i due rotabili è possibile notarla per i convertitori del primo stadio di conversione nel sistema di propulsione. Nell’ETR 500 tale convertitore è unico per entrambe le tipologie dei sistemi della catenaria (in 3 kV funziona da chopper abbassatore a 3 livelli, in 25 kV funziona da convertitore 4Q) mentre nell’ETR 1000 abbiamo due tipologie di convertitori ben distinti, ovvero l’LCM (utilizzato in 25 kV e funzionante da convertitore 4Q) e il CCM (utilizzato in 3 kV e funzionante da chopper abbassatore). Nell’ETR 500 in caso di singolo guasto ad un convertitore di 1° stadio (4 presenti sul treno) vi è una perdita del 25 % della potenza di trazione nominale per entrambe le alimentazioni 3 kV e 25 kV, mentre nell’ETR 1000 in caso di singolo guasto ad 1 CCM (8 presenti sul treno) o 1 LCM (8 presenti sul treno) si perde solamente il 12,5 % della potenza nominale di trazione e tale perdita è limitata ad un solo sistema di alimentazione della catenaria. I vantaggi prestazionali e affidabilistici dell’ETR 1000 rispetto agli altri rotabili sono dunque evidenti. 10.3. LA GESTIONE AUTOMATICA DELL’EQUIPAGGIAMENTO ELETTRICO DEI MEZZI DI TRAZIONE POLICORRENTE TRAMITE ERTMS Dopo aver fornito una descrizione dei principali rotabili policorrente AV di Trenitalia si ritiene necessario fornire degli elementi utili che descrivono come tali mezzi di trazione si interfacciano a livello funzionale con l’infrastruttura ferroviaria e siano in grado di gestire “quasi” in automatico la propria configurazione al variare del sistema di alimentazione della catenaria. 10.3.1. GENERALITÀ SUL SISTEMA DI ALIMENTAZIONE DELLE LINEE AC/AV E CENNI SU ERTMS Le caratteristiche proprie del sistema di alimentazione della catenaria delle linee AC/AV (alimentazione in alternata, monofase a 25 kV 50 Hz) impongono ai mezzi di trazione AV policorrente la necessità di eseguire le funzioni di cambio fase e di cambio tensione. In corrispondenza delle zone di confine delle linee AC/AV con le linee ordinarie a 3 kV c.c. (linee storiche) è prevista infatti la separazione dei due diversi sistemi di elettrificazione della catenaria mediante un tratto neutro di lunghezza pari a circa 110 metri, connesso elettricamente a terra. Questo punto singolare dell’infrastruttura di potenza prende il nome di Posto di Origine Catenaria (POC). Il sistema di alimentazione in alternata monofase richiede inoltre, allo scopo di attuare una corretta distribuzione dei carichi sulla rete trifase a monte, la presenza di Posti di Cambio Fase (PCF) in corrispondenza dei quali è realizzato il cambio della fase della tensione di alimentazione della linea di contatto. Per la protezione della rete elettrica di alimentazione è richiesto al rotabile di percorrere le linee AC/AV con un solo pantografo in presa e, in particolare, Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 385 di percorrere il tratto neutro corrispondente ad un PCF con gli interruttori IP (interruttori di protezione generali) di treno aperti ed il tratto neutro corrispondente ad un POC con il pantografo basso. L’introduzione del sistema ERTMS (European Railways Train Management System) ha comportato una innovazione nella gestione dell’equipaggiamento elettrico di treno. Oltre che essere effettuata manualmente, la riconfigurazione dei circuiti di treno al cambio tensione di alimentazione può essere infatti effettuata in automatico riducendo al minimo le operazioni a carico del Personale di Macchina. L’implementazione di questa funzione, come anche l’implementazione della funzione di cambio fase, ha richiesto lo sviluppo dell’interfacciamento ed il coordinamento tra il sistema ERTMS e il sistema di comando e controllo di treno. Il sistema ERTMS è stato adottato in Italia per la gestione ed il controllo della marcia del treno su linee AV. Esso consiste di due sottosistemi, il Sottosistema di Bordo (on-board subsystem), o SSB, ed il Sottosistema di Terra (trackside subsystem), o SST, fisicamente collocati rispettivamente a bordo del treno e lungo la linea ferroviaria. 10.3.2. IMPLEMENTAZIONE DELLE FUNZIONI AUTOMATICHE DI CAMBIO FASE E DI CAMBIO TENSIONE NELL’ESERCIZIO AV DELL’ETR 500 PLT Ai fini di una maggior comprensione dell’argomento legato alle funzionalità di cambio fase e cambio tensione implementate nei mezzi di trazione policorrente AV di Trenitalia si fornisce la descrizione dell’applicazione specifica sul mezzo ETR 500 PLT. La gestione dell’equipaggiamento elettrico di treno ed in particolare la configurazione dei circuiti di motrice in base alla tensione di catenaria è affidata ai sottosistemi di controllo Logica di Veicolo (LV) e Controllo Azionamento (CA). La Logica di Veicolo gestisce direttamente il funzionamento dei circuiti AT di ingresso ed opera la commutazione dei sezionatori STL, S3, S25, SEQ, CEQ e degli interruttori principali di treno IR3 e IR25 (si veda Fig. 10.13). Figura 10.13: Schema elettrico dei circuiti di alta tensione della locomotiva dell’ETR500 PLT. 386 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata La Logica di Veicolo sovrintende al funzionamento della motrice in tutte le condizioni operative e si interfaccia direttamente o indirettamente (attraverso il SIB, Sistema Informativo di Bordo) con altri sistemi, quali la centralina del freno, l’antipattinante, la centralina antincendio, il controllo dei gruppi statici di locomotiva. Si fa inoltre carico della importante funzionalità di telecomando della motrice di coda, delegando al SIB soltanto il trasporto delle informazioni diagnostiche (stati ed allarmi) tra i due veicoli. Il Controllo Azionamento gestisce la configurazione del convertitore di trazione (tramite il combinatore AC/DC “CS1” ed i sezionatori IL e SLA, vedi Fig. 10.14) ed implementa gli algoritmi di regolazione e protezione del CLL (o convertitore di 1° stadio), dell’inverter trifase di trazione e del chopper servizi ausiliari. Figura 10.14: Schema elettrico dell’azionamento di trazione. Con il SSB ERTMS funzionante in modalità full supervision (modalità nella quale il sistema ERTMS si fa interamente carico della gestione della marcia del treno in relazione alle funzioni di segnalamento) è possibile effettuare in modo automatico le operazioni necessarie al rotabile per superare un PCF oppure un POC, riducendo al minimo le operazioni a carico del Personale di condotta (PdM). Il sistema ERTMS (SST e SSB) è infatti in grado di fornire al sistema di comando e controllo di bordo, le informazioni necessarie per svolgere tali operazioni, tenendo anche conto dei tempi necessari alla modifica della configurazione del treno. Tali informazioni sono contenute nei pacchetti di dati che il SSB riceve dal SST nell’approccio del treno ai tratti neutri di un PCF o di un POC. Il SSB si interfaccia mediante Figura 10.15: Sottosistemi coinvolti nelle funzioni di cambio fase e cambio tensione. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia Figura 10.16: Segnali di interfaccia fra Sottosistema di Bordo ERTMS e Logica di Veicolo. Figura 10.17: Segnali di interfaccia fra Logica di Veicolo e Controllo Azionamento. Figura 10.18: Segnali di interfaccia fra Logica di Veicolo Master e Slave. 387 il bus di veicolo (bus di tipo MVB) con la Logica di Veicolo che, coordinandosi con il Controllo Azionamento, attua le funzioni di cambio fase e di cambio tensione. La Figura 10.15 fornisce una rappresentazione a livello treno di tali sottosistemi. Le Figure 10.16, 10.17 e 10.18 riportano i principali segnali che gli stessi si scambiano per la gestione automatica delle sequenze di cambio fase e cambio tensione. 388 10.3.2.1. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Gestione automatica della sequenza di cambio fase Interfacciamento fra SST e SSB Nell’approccio al tratto neutro di cambio fase, viene inviato dal SST al SSB un pacchetto contenente una autorizzazione al movimento (Movement Autority) che lo informa dell’approssimarsi di un tratto neutro. Assieme ad ogni Movement Authority che contenga un tratto neutro, il SSB riceve un pacchetto (packet n.68 SRS-subset-026-V 230) di track condition che indica: –– distanza del punto di inizio del tratto neutro riferita ad un punto noto al SSB (LRBG: Last Relevant Balise Group è l’ultimo riferimento di posizione certo del veicolo); –– lunghezza del tratto neutro; –– eventuale necessità di abbassare i pantografi (dipende dal tipo di track condition comunicata); –– estensione zona con divieto di arresto (“non stopping area”). 10.3.2.2. Segnali di interfaccia fra SSB e LV Ricevute le informazioni dal SST, il SSB invia in sequenza alla Logica di Veicolo della motrice master (la motrice di testa che ha il banco abilitato mediante l’apposita chiave) i seguenti comandi: –– taglio trazione via Bus MVB; –– apertura dell’interruttore principale; –– attivazione del paracadute di apertura dell’interruttore principale (che consiste nell’apertura diretta dell’interruttore principale da parte del SSB per via cablata); –– consenso chiusura IR; –– consenso trazione. Il SSB si interfaccia con la Logica di Veicolo ad anello aperto, cioè senza effettuare la verifica dell’avvenuta esecuzione dei comandi impartiti. I primi tre comandi della sequenza sono distanziati temporalmente in base ai tempi propri di risposta del rotabile, impostati nel SSB mediante un file di configurazione (Data Preparation) specifico per ogni applicazione. L’ETR500 PLT richiede 5 secondi per completare l’attuazione del comando di taglio trazione, che avviene secondo una rampa prestabilita, e 4 secondi per aprire l’interruttore principale. Gli ultimi due comandi della sequenza costituiscono per la Logica di Veicolo un consenso alla chiusura dell’interruttore principale ed al ripristino della trazione. Questi sono di conseguenza memorizzati dalla Logica di Veicolo e attuati non appena lo stato del treno lo consente. La gestione automatica del cambio fase realizzata non richiede al PdM di porre a zero le leve dei comandi di trazione. Al termine della sequenza automatica di cambio fase, la Logica di Veicolo provvede e impostare lo sforzo di trazione in base alla posizione della leva di trazione che può essere anche diversa da quella in cui è stata lasciata all’inizio della sequenza stessa. Il SSB può consentire la gestione non ottimizzata oppure la gestione ottimizzata del tratto neutro: in caso di gestione non ottimizzata, il SSB non tiene conto di quale pantografo è in presa e considera in maniera conservativa che il pantografo in presa, in avvicinamento al tratto neutro, sia quello della locomotiva di testa e che il pantografo in presa in uscita dal Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 389 tratto neutro sia quello della locomotiva di coda. In caso di gestione ottimizzata del tratto neutro, il SSB considera il pantografo effettivamente in presa, allo scopo di minimizzare il tratto percorso in coasting o con IR aperto e frenatura di mantenimento. La gestione automatica del cambio fase sulle linee AC/AV dell’infrastruttura nazionale avviene in modalità ottimizzata. Il SSB è in grado di discriminare su quale delle due locomotive il pantografo è in presa in virtù dei due segnali relativi allo stato dei pantografi che riceve dalla Logica di Veicolo. I tempi di risposta del rotabile, configurati mediante la Data Preparation, sono trasformati dal SSB in distanze ed utilizzati nell’algoritmo di generazione dei comandi per la Logica di Veicoli, nel modo seguente (vedi Fig. 10.19): –– dal momento in cui SSB riceve il messaggio da RBC, calcola la distanza Dt dall’inizio del tratto neutro (TN) alla quale impartire il primo comando della sequenza (comando di taglio trazione). La distanza Dt è calcolata in base alla velocità attuale del convoglio mediante la formula Dt = v ⋅ T, dove T è il tempo necessario per l‘attuazione del taglio trazione e per aprire l’interruttore principale; –– ad ogni ciclo di calcolo, il sistema calcola la distanza reale del mezzo con il pantografo in presa dal tratto neutro TN (distanza Dtn). Se la distanza Dtn è maggiore di Dt, l’inizio della sequenza è rimandato al ciclo successivo. Se la distanza Dtn è minore di Dt, il SSB invia il comando di taglio trazione e, con il ritardo indicato, anche il comando di apertura dell’interruttore principale e di attivazione del paracadute (apertura dell’IR/IP per via cablata, eseguita direttamente dal SSB); –– una volta che la locomotiva con il pantografo in presa ha superato completamente il tratto neutro, i comandi di taglio trazione ed apertura dell’interruttore principale sono revocati contemporaneamente dal SSB. Figura 10.19: Gestione dell’ingresso al PCF da parte del SSB di bordo ERTMS. Taglio trazione Apertura IR MSG da RBC Parach TN 5s LRBG 4s Dt Dtn 10.3.2.3. Ruolo della LV nella esecuzione della sequenza di cambio fase La Logica di Veicolo, una volta ricevuto il comando di taglio trazione dal SSB, attiva la sequenza di cambio fase procedendo attraverso una successione di stati sequenziali rappresentabile mediante un diagramma stati/ transizioni (vedi Fig. 10.20). In tale rappresentazione i cerchi costituiscono gli stati del sistema (nodi). Questi sono connessi tra loro in senso logico da rami (transizioni), percorsi in modo unidirezionale al verificarsi di determinate condizioni, durante l’evoluzione del processo. Per una descrizione di dettaglio delle varie sequenze si veda la Tabella 10.1. 390 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 10.20: Stati sequenziali di attuazione della funzione di cambio fase. 10.3.2.4. Gestione automatica della sequenza di cambio tensione 10.3.2.4.1. Interfacciamento fra SST e SSB Nell’approccio al tratto neutro di cambio tensione viene inviato dal SST al SSB un pacchetto contenente una autorizzazione al movimento (Movement Autority) che lo informa dell’approssimarsi di un tratto neutro. Assieme ad ogni Movement Authority che contenga un tratto neutro, il SSB riceve un pacchetto di track condition (packet n.68 SRS-subset-026-V 230) che indica: –– distanza del punto di inizio del tratto neutro riferita ad un punto noto al SSB (LRBG: Last Relevant Balise Group è l’ultimo riferimento di posizione certo del veicolo); –– lunghezza del tratto neutro; –– eventuale necessità di abbassare i pantografi (dipende dal tipo di track condition comunicata); –– estensione zona con divieto di arresto (“non stopping area”). Nel caso di tratto neutro di cambio tensione, il SSB riceve, oltre al pacchetto di track condition di “tratto neutro” da percorrere a pantografi bassi, un pacchetto di cambio tensione (packet n.39 SRS-subset-026-V 230) alimentazione che indica: Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 391 –– la distanza del punto di inizio della nuova alimentazione riferita ad un punto noto al SSB (LRBG); –– tipo della nuova alimentazione. 10.3.2.4.2. Figura 10.21: Schema elettrico funzionale del POC. Segnali di interfaccia fra SSB a LV Ricevute le informazioni dal SST, il SSB invia alla Logica di Veicolo della motrice Master (motrice di testa con banco abilitato) i seguenti comandi in sequenza: –– taglio trazione; –– apertura dell’interruttore principale via Bus MVB; –– attivazione del paracadute di apertura dell’interruttore principale (che consiste nell’apertura diretta dell’interruttore principale da parte del SSB per via cablata); –– comando di abbassamento pantografo; –– consenso alzamento pantografo; –– consenso chiusura IR; –– consenso alla trazione. Il SSB inoltre informa la Logica di Veicolo del tipo di catenaria atteso dopo il cambio tensione. Si conferma, anche in questo caso, quanto detto per la sequenza di cambio fase in relazione all’interfacciamento tra SSB e Logica di Veicolo, all’impiego della Data Preparation per configurare il SSB con i tempi di risposta del rotabile e alla interpretazione della revoca dei comandi come consensi, memorizzati dalla Logica di Veicolo e attuati non appena lo stato del treno lo consente. In fase di messa a punto del sistema è stato stabilito, allo scopo di evitare la richiusura delle correnti di trazione di natura opposta sui rispettivi tratti di binario in uscita dal POC (il giunto POC, come evidente in Fig. 10.21, interrompe anche il binario oltre che la catenaria), che la revoca contemporanea dei comandi sia fornita dal SSB quando la coda del treno ha completamente superato il tratto neutro di cambio tensione. Ciò comporta l’adozione della gestione non ottimizzata del cambio tensione. L’integrazione fra il sistema ERTMS ed il rotabile garantisce in tal modo il rispetto dei requisiti di protezione imposti dalle caratteristiche della rete di alimentazione e la riduzione al minimo del tempo 392 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata in cui non si ha erogazione dello sforzo di trazione. La Figura 10.22 illustra la relazione tra i tempi propri del rotabile e le distanze calcolate dal SSB in modo analogo a quanto sopra descritto per il cambio fase. Figura 10.22: Gestione dell’ingresso al POC da parte del SSB di bordo ERTMS. Apertura IR Taglio trazione Abbass panto Cambio tensione MSG da RBC Parach TN 5s 4s 8s d LRBG d1 10.3.2.4.3. Ruolo della LV nell’ esecuzione della sequenza di cambio tensione La Logica di Veicolo, una volta ricevuto il comando di taglio trazione dal SSB, attiva la sequenza di cambio tensione procedendo attraverso la successione di stati sequenziali rappresentata mediante il diagramma stati/ transizioni di Figura 10.23. Per una descrizione di dettaglio si rimanda alla Tabella 10.2, mentre in Figura 10.24 è rappresentata in forma grafica l’evoluzione dei principali se- Figura 10.23: Stati sequenziali di attuazione della funzione di cambio tensione. 394 10.3.2.5. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata La diagnostica del cambio fase e del cambio tensione La complessità dell’attuazione delle sequenze di cambio fase e, soprattutto, di cambio tensione rende arduo analizzare a posteriori, senza un adeguamento della diagnostica di bordo, le eventuali sequenze non andate a buon fine allo scopo di individuare l’anomalia intervenuta. È stato quindi definito, anche traendo spunto dalle esperienze del periodo di pre-esercizio, un nuovo evento diagnostico denominato “DDS REPORT CF/CT” che evidenzia come sono evoluti durante la sequenza gli stati di Logica di Veicolo, i segnali di interfaccia con il Controllo Azionamento e con il SSB ERTMS. Tale evento diagnostico, generato dalla Logica di Veicolo ad ogni cambio fase e cambio tensione e memorizzato dal sistema diagnostico di treno (Nuova Consolle Diagnostica), evidenzia, in caso di sequenza non terminata correttamente, in quale stato il processo si è arrestato e quale condizione di transizione non si è attuata. Nelle pagine seguenti sono esposte in dettaglio le sequenze di cambio fase e cambio tensione implementatesul rotabile ETR 500. Gli azionamenti hanno annullato lo sforzo erogato Comanda l’apertura dell’IP della Master e dell’IP Attiva all’apertura dell’IP la della Slave (in tale caso il comando viene trasfe- frenatura di mantenimento rito sia attraverso il telecomando sia attraverso per l’alimentazione dei serun filo treno) vizi ausiliari di treno3 Consenso chiusura Attesa IP Consenso al ripri- LV acquisisce il consenso alla chiusura IP da stino della trazione ERTMS Fine della sequenza di gestione cambio fase. Fornisce alla LV il consenERTMS ha revocato tutti i comandi impartiti per so alla chiusura degli IP di l’approccio al PCF. LV avvia la procedura per la treno. chiusura IP ed il ripristino della trazione: Eroga lo sforzo di trazione - verifica che siano presenti tutti i consensi in- congruentemente ai riferiterni di treno per comandare la chiusura degli menti di trazione impartiti dalla LV IP di treno; - comanda la chiusura IR/IP; - fornisce agli azionamenti il riferimento di trazione, in base ad una rampa prefissata, congruentemente allo stato della leva di trazione Taglio trazione Stato di treno Consenso alla chiusura IP da parte di ERTMS Consenso da parte di ERTMS al ripristino della trazione Chiusura IP Ripristino della trazione Comando di apertura IP da ERTMS (via MVB)2 LV verifica che gli IP di treno siano Apertura aperti ir/ip Coasting Condizione di transizione Apertura IP CA Taglio trazione da ERTMS (input cablato) Comanda a tutti gli azionamenti di treno la ridu- Gli azionamenti annullano La LV verifica che lo sforzo di traziozione dello sforzo di trazione secondo una rampa gradualmente lo sforzo di ne erogato da tutti gli azionamenti prefissata (circa 5 s dal valore massimo a zero)1 trazione erogato di treno sia nullo Stato iniziale di attesa LV Taglio trazione SSB Solo se la velocità di treno supera i 60 km/h. Tabella 10.1: Descrizione della sequenza di cambio fase. (Fare riferimento a Fig. 10.20). 3 2 Il comando di apertura IP proveniente dal SSB ERTMS viene eseguito dalla logica di veicolo quando sono nulli tutti gli sforzi erogati dagli azionamenti delle 2 motrici. In ogni caso dopo 2 secondi dal comando di apertura IP, l’ERTMS comanda l’attivazione del paracadute di apertura IP. In tal modo viene garantito che il treno affronti il tratto neutro di cambio fase con gli IP di treno aperti. 1 Il comando viene sempre eseguito sia dalla locomotiva Master sia dalla locomotiva Slave, attraverso il telecomando, a meno che il commutatore CEA non sia in posizione di “escluso” oppure nel caso in cui il banco sia disabilitato. Il taglio trazione non influenza lo sforzo di frenatura e, pertanto, la frenatura elettrodinamica resta disponibile. 0 5 4 3 2 1 0 Stato Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 395 8 7 6 4 3 2 1 0 Stato LV CA Taglio trazione (input cablato) + avviso cambio tensione (input MVB) da ERTMS Condizione di transizione Verifica del tipo di alimentazione attesa dopo il POC Taglio trazione Stato di treno Attivazione elettrovalvole di Abbassamenabbassamento pantografo to pantografo Comando di abbassamento pantografo da ERTMS (via MVB) Attiva all’apertura dell’IP LV verifica che gli IP di treno Apertura ir/ip la frenatura di manteni- siano aperti mento per l’alimentazione dei servizi ausiliari di treno. OPZIONE A: La sequenza passa allo stato 9 se il segnale “tipo di catenaria atteso” da ERTMS ha un valore determinato; OPZIONE B: La sequenza passa allo stato 12 se il segnale “tipo di catenaria atteso” da ERTMS non ha un valore determinato Comanda agli azionamenti di treno la disattiva- Gli azionamenti di treno I Controlli di Azionamento zione a rampa della frenatura di mantenimen- disattivano la frenatura restituiscono un feedback di to4 di mantenimento “frenatura di mantenimento OFF” Comanda l’abbassamento di tutti i pantografi di treno Comando di abbas- Attesa samento pantografo Comanda l’apertura dell’IP della Master e dell’IP della Slave (in tale caso il comando viene trasferito sia attraverso il telecomando sia attraverso un filo treno) Comando di apertura IP da ERTMS (via MVB) Comanda a tutti gli azionamenti di treno la ri- Gli azionamenti annulla- La LV verifica che lo sforzo di duzione dello sforzo di trazione secondo una no gradualmente lo sfor- trazione erogato da tutti gli rampa prefissata (circa 5 s dal valore massimo zo di trazione erogato azionamenti di treno sia nullo a zero) Stato iniziale di attesa Comando di aper- Coasting tura IR/IP Taglio trazione ERTMS 396 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata CA Condizione di transizione Consenso alla chiusura IR/IP Verifica che gli azionamenti di treno si siano configurati congruentemente alla prossima catenaria attesa LV attende che si sia attuata la riconfigurazione I Controlli di Azionamendegli azionamenti di trazione di treno to informano la Logica di Veicolo che i combinatori AC/DC hanno terminato la commutazione Consenso alla chiusura IR/IP da parte di ERTMS I tastatori di tensione rilevano la presenza della tensione di linea sulla Master o sulla Slave Comanda l’alzamento del pantografo Attesa ERTMS fornisce il consenso all’alzamento pantografo Attesa Alzamento pantografo Stato di treno 6 5 Si attende quindi che il PdM abbia fornito il consenso all’alzamento del pantografo ed alla riconfigurazione dei circuiti AT ruotando il selettore sul BdM. La Logica di Veicolo prima di effettuare la transizione di stato, verifica che il selettore sia stato effettivamente mosso in modo da riconfigurare correttamente i circuiti AT di treno anche in caso di eventuali ritardi da parte del PdM. 4 15 14 Consenso alzamento pantografo opzione B 12 opzione B 13 Comanda agli azionamenti locali e remoti di I Controlli di aziona- LV verifica che il PdM ha mosconfigurarsi in base alla posizione del selettore mento di treno pilotano so il selettore di catenaria6 di catenaria i combinatori AC/DC per configurare i convertitori di trazione in base al tipo di catenaria attesa Posizione del Selettore di Catenaria coerente con il tipo di catenaria attesa da ERTMS5 Comanda agli azionamenti locali e remoti di I Controlli di aziona- Consenso all’alzamento pantoconfigurarsi in base al valore di catenaria atteso mento di treno pilotano grafo da parte di ERTMS i combinatori AC/DC per configurare i convertitori di trazione in base al tipo di catenaria attesa LV Verifica la coerenza fra la posizione del selettore di catenaria sul BdM e il valore del tipo di catenaria attesa Consenso alzamento pantografo ERTMS opzione A 10 opzione A9 Stato Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 397 LV acquisisce il consenso alla chiusura IR/IP da ERTMS e comanda la chiusura IR/IP; LV verifica la congruenza fra stato di configurazione degli azionamenti, posizione del selettore di catenaria e tensione rilevata dai tastatori; configura i sezionatori STL, S3, S25, SEQ, CEQ in base alla nuova tensione di alimentazione; verifica che siano presenti tutti i consensi alla chiusura ir/ip; comanda la chiusura ir/ip Consenso al ripristino della trazione Fine della sequenza di gestione cambio catenaria. ERTMS ha revocato tutti i comandi impartiti in l’approccio al POC. LV avvia la procedura per il ripristino della trazione: - ordina agli azionamenti la precarica dei filtri7; - sblocca gli impulsi ai convertitori di trazione ed ai convertitori ausiliari8; - configura la rete MT per alimentazione ausiliari di treno; - comanda la magnetizzazione dei motori9; - fornisce agli azionamenti il riferimento di trazione congruentemente allo stato della leva di trazione LV ERTMS I Controlli di Azionamento, in base agli ordini della LV, una volta avvenuta la chiusura ir/ip, provvedono al posizionamento degli altri organi elettromeccanici di loro competenza (IL, SLA), effettuano la carica dei filtri ed impulsano i convertitori, fornendo la potenza richiesta dai carichi ausiliari di treno e lo sforzo di trazione richiesto dalla Logica di Veicolo in base alla posizione della leva di trazione CA Stato di treno Ripristino della trazione Consenso da Chiusura ir/ip parte di ERTMS al ripristino della trazione Condizione di transizione Tabella 10.2: Descrizione della sequenza di cambio fase. (Fare riferimento a Figura 10.23). 9 A partire dall’istante in cui il CA segnala che il DC-link è carico, la LV può dare l’ordine di magnetizzazione motori. Dal momento in cui i motori sono magnetizzati, il CA prende in considerazione il riferimento di sforzo richiesto da LV. 8 Questo comando attiva la sequenza di accensione del convertitore lato linea (CLL) e del convertitore linea treno (CLT). La tensione sul DC-link viene portata a quella di riferimento (2400 V) e la Linea Treno viene portata a 600 V. 7 Questo comando è inoltrato dalla LV quando l’IR è chiuso ed è presente la tensione di linea. Il CA esegue la precarica dei filtri di ingresso nel caso di configurazione in corrente continua oppure del filtro intermedio nel caso di configurazione in corrente alternata.La sequenza di precarica termina con la chiusura dei sezionatori ILx1 e ILx2. 0 5 Stato 398 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 10.4. 399 IL SISTEMA DI CAPTAZIONE DELLA CORRENTE ELETTRICA DALLA CATENARIA NEI ROTABILI DELLA FLOTTA AV: L’ETR 500 PLT Il pantografo è il dispositivo che permette di alimentare i circuiti di treno, essendo l’interfaccia fisica interposta tra il treno e la catenaria. Tale dispositivo è costituito da un archetto dotato di portastriscianti che vengono movimentati da un sistema pneumo-meccanico comandato mediante due interruttori a leva CAP1 e CAP2 posti sul banco di manovra della vettura abilitata (utilizzati rispettivamente per il pantografo della locomotiva locale e della locomotiva remota). La Logica di Veicolo comanda l’alzamento del pantografo coerentemente con il tipo di alimentazione selezionata mediante il selettore catenaria. Le motrici E404 per l’elettrotreno ETR 500 PLT sono dotate di due pantografi di tipo asimmetrico con archetto atto alla captazione di corrente, uno con catenaria a 25 kV (corrente alternata) e uno per catenaria a 3 kV (corrente continua). Ogni pantografo è montato su di un basamento isolato dall’imperiale della locomotiva per mezzo di 3 isolatori. L’innalzamento ed il controllo della spinta statica che il pantografo esercita sulla linea di alimentazione avviene immettendo aria compressa disponibile in condotta principale ad una pressione compresa nell’intervallo di pressione compreso tra 7 e 10 bar nella molla del pantografo. L’abbassamento avviene per effetto gravitazionale una volta che è stato depressurizzato il sistema. L’alimentazione del circuito pneumatico del pantografo avviene attraverso una centralina pneumatica che permette l’innalzamento e il controllo della spinta che il pantografo esercita sulla catenaria, in modo da garantire una adeguata qualità di captazione in tutte le condizioni operative. È perciò sufficiente variare in modo opportuno all’interno della molla pneumatica la pressione dell’aria di alimentazione, con pressione crescente all’aumentare della velocità del convoglio e condizionata alla configurazione ed al numero di pantografi in presa a livello treno. Per ottenere questo in entrambi i pantografi è presente una centralina dotata di quattro regolatori di pressione che combinandosi tra loro permettono di ottenere le spinte desiderate, come visibile nello schema sottostante. Prendendo in esame il funzionamento dell’ETR 500 PLT nella configurazione a 3 kV, esso è predisposto per il funzionamento con due pantografi in presa, ognuno dei quali è demandato ad alimentare la locomotiva locale. 400 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Vengono riportati a titolo esemplificativo le elettrovalvole comandate in relazione alla velocità del treno e sulla base del numero di pantografi in presa, sia per la locomotiva anteriore che per quella posteriore. Loco anteriore –– Con 2 pantografi in presa: • EV1 (prima spinta - EP1-DC) da 0 a 210 Km/h; • EV2 (seconda spinta - EP2-DC) oltre 210 Km/h; –– Con 1 pantografo in presa: • EV1 (prima spinta - EP1-DC) da 0 a 160 Km/h; • EV2 (seconda spinta - EP2-DC) da 160 a 220 Km/h; • EV3 (terza spinta - EP3-DC) oltre 220 Km/h. Loco posteriore –– Con 2 pantografi in presa: • EV1 (prima spinta - EP1-DC) –– Con 1 pantografo in presa: • EV1 (prima spinta - EP1-DC) L’elettrovalvola EP4-DC (corrispondente alla EV4) viene attivata anche a velocità nulla per 5 secondi a partire dall’attivazione del comando al pantografo T1 per facilitarne l’alzamento. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 10.4.1. 401 IL SISTEMA DI REGOLAZIONE DELLA SPINTA CONTINUA DEL PANTOGRAFO SULLE MOTRICI DELL’ETR 500 PLT CON L’INTRODUZIONE DELLA CENTRALINA DI CONTROLLO DEL PANTOGRAFO (PCU ) A seguito dell’esigenza di rispettare i limiti legati alla qualità di captazione ed alla forza di contatto tra il pantografo e la catenaria imposti dalla normativa europea (CEI EN 50367, richiamata all’interno delle Specifiche Tecniche di Interoperabilità) in relazione alla circolazione del rotabile nell’infrastruttura europea ed in particolare per poter elevare la velocità di esercizio in doppia captazione a 3 kV (da 220 a 250 km/h) è stato studiato ed introdotto sulle locomotive della flotta il pantografo ATR95 TSI 3 kV con il relativo sistema di comando e controllo (costituito dalla centralina PCU). Il pantografo ATR95 TSI 3kV si differenzia dal pantografo ATR95 3 kV per l’assenza delle appendici aerodinamiche, per l’utilizzo di un ammortizzatore differenziato e per la presenza di deceleratori meccanici fissati al telaio del pantografo per evitare urti sugli appoggi fissi nella fase di abbassamento rapido, oltre che per la predisposizione dei condotti del sistema di abbassamento rapido del pantografo (ADD). In funzione dei parametri di velocità e del senso di marcia del treno, la centralina PCU (Pantograph Control Unit) regola e controlla la spinta del pantografo consentendo di ottimizzare la captazione di corrente, riducendo i distacchi dei pantografi dalla linea di contatto a vantaggio della regolarità di marcia e dell’usura del sistema pantografo-catenaria. Il sollevamento e l’abbassamento dei pantografi è comandato quindi sia in modo tradizionale (con la struttura impiantistica descritta nel paragrafo introduttivo) e sia con il nuovo sistema a controllo automatico. Il nuovo sistema, costituito essenzialmente dalla centralina elettronica e dalla valvola proporzionale, è installato in parallelo al pannello di comando elettropneumatico tradizionale. Un relè di bypass, montato sul pannello relè, permette di commutare la configurazione da comando con centralina elettronica a comando con pannello elettropneumatico tradizionale. Sono inoltre state introdotte le funzioni di abbassamento automatico ADD e controllo usura per il pantografo 3 kV, come visibile dallo schema pneumatico riportato. Il gruppo Valvola Proporzionale permette di regolare la pressione di comando del pantografo all’interno del range 0-5 bar. Attraverso tale regolazione è possibile realizzare il controllo continuo della forza di contatto dello strisciante del pantografo sulla catenaria, e quindi assicurare il contatto corretto tra striscianti e catenaria. Il gruppo Valvola Proporzionale riceve in ingresso il segnale di pilotaggio in corrente (pilotaggio 4-20 mA), e lo converte in uscita in un valore di pressione regolato compreso tra 0 e 5 bar. In caso di malfunzionamenti la regolazione della spinta può essere eseguita dal pannello tradizionale sempre in funzione della velocità (con i quattro gradini di pressione) by-passando il sottosistema mediante valvole. Il pannello del sistema ADD svolge sia la funzione di indicare il raggiungimento dell’usura massima dello strisciante che di comandare l’abbassamento rapido in caso di rottura o il raggiungimento dello spessore oltre il quale non è più possibile la captazione. Anche questo sistema è bypassabile mediante il selettore SEADD che comanda l’elettrovalvola EV2. 402 10.4.2. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata LE CURVE DINAMICHE DI PRESSIONE REALIZZATE DALLA CENTRALINA PCU La centralina di controllo della spinta continua del pantografo è interfacciata attraverso il bus MVB alla Logica di Veicolo della locomotiva, con cui interscambia segnali relativi al comando, controllo e diagnostica del sistema di spinta e dei componenti presenti nelle centraline ellettro-pnematiche. La Logica di Veicolo, in funzione dello stato del banco di manovra abilitato, invia alla centralina PCU il comando su bus MVB di sollevamento o abbassamento del pantografo che deve essere attivato. La centralina PCU provvede a comandare la valvola proporzionale del pantografo 3kV ed, in base ai segnali prelevati dal bus MVB, definisce il tipo di comando in corrente della valvola in funzione della velocità, della direzione del treno e del numero di pantografi in presa. La direzione del treno viene letta su bus MVB dalla centralina PCU. Il comando in corrente della valvola proporzionale tiene conto della caratteristica dinamica del tipo di pantografo selezionato (curva sopravento o sottovento) messe a punto nel corso delle prove di certi- 404 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata si ripercuote nell’utilizzo di un valore di pressione minore (inferiore al valore di pressione statica per entrambi i pantografi fino a velocità inferiori ai 160 km/h) rispetto al caso di captazione singola per il medesimo pantografo. 10.5. TRASFORMATORE DI TRAZIONE NEI MEZZI POLICORRENTE E FENOMENI TERMICI CARATTERISTICI I trasformatori di trazione, installati a bordo del materiale rotabile destinato alla circolazione su linee con alimentazione in corrente alternata, sono macchine elettriche speciali che, essendo parte della catena di trazione, alimentano carichi non lineari (convertitori elettronici di potenza quali il convertitore 4Q visto al paragrafo precedente) e funzionano di conseguenza in regime non sinusoidale bensì “deformato”. Il dimensionamento termico del componente deve quindi tener conto degli effetti indotti da tale modalità di funzionamento che causa un incremento delle perdite nel rame generato dalle armoniche di corrente che circolano negli avvolgimenti. Tali perdite, note come perdite addizionali, si generano in virtù dell’effetto pelle e dell’effetto prossimità e si traducono, se confrontate con le perdite proprie del regime sinusoidale ed a parità di valore della corrente fondamentale, in un incremento della temperatura media e nella insorgenza di “punti più caldi” chiamati anche “hot spot” all’interno degli avvolgimenti. Le prove di riscaldamento eseguite in regime sinusoidale e le prescrizioni previste dalla normativa internazionale non possono quindi essere considerate esaustive per la verifica del corretto dimensionamento termico del componente. Il trasformatore di trazione dei moderni mezzi di trazione con azionamenti in corrente alternata deve essere quindi sottoposto, in complemento alle prove in regime sinusoidale, ad una campagna di prove in cui si riproduce il reale ambiente di lavoro (regime deformato delle forme d’onda di corrente), in modo da testare il componente nelle condizioni di esercizio più gravose. Inoltre, al fine di rilevare la presenza e la corrispondente temperatura di “punti più caldi” chiamati anche “hot spot” negli avvolgimenti, è lecito applicare un sistema di misura innovativo che, mediante fibre ottiche, consente il monitoraggio sia puntuale che continuo della temperatura dei conduttori. In tale paragrafo, verrà fatto un focus sul trasformatore dell’ETR 500 PLT ove si descriveranno le caratteristiche di funzionamento e il relativo impianto di raffreddamento; ci si focalizzerà di conseguenza sull’esecuzione delle prove di riscaldamento a bordo della locomotiva, analizzandone i risultati e confrontandoli con i risultati delle prove eseguite in regime sinusoidale. 10.5.1. PREMESSA Il trasformatore in oggetto è installato sulle motrici dei treni ETR500 Politensione progettati per la circolazione sulle linee ad alta velocità italiana e predisposti per funzionare con le seguenti alimentazioni di catenaria: 3 kV dc, 1.5 kV dc, 25 kV ac, 50 Hz. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 405 Figura 10.25: Trasformatore. 10.5.2. TRASFORMATORE DI TRAZIONE DELLA LOCO E404PLT 10.5.2.1. Caratteristiche costruttive Dal punto di vista costruttivo il trasformatore è caratterizzato da 1 avvolgimento primario e da 2 coppie di avvolgimenti secondari di trazione (Fig. 10.26), oltre agli avvolgimenti ausiliari che svolgono funzioni di filtraggio in base alla configurazione di esercizio. Sia gli avvolgimenti primari Figura 10.26: Disposizione degli avvolgimenti sul trasformatore. 406 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 10.27: Dettaglio di parte dell’avvolgimento primario. Figura 10.28: Dettaglio dell’avvolgimento secondario. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 407 che secondari sono multistrato e fra i differenti strati sono realizzati canali in cui scorre l’olio di raffreddamento. Ogni bobina dell’avvolgimento primario (Fig. 10.27) è realizzata da un conduttore (piattina) a sezione rettangolare, mentre ogni avvolgimento secondario (Fig. 10.28) è costituito da due fasci di conduttori in parallelo, ognuno dei quali è a sua volta realizzato da piattine a sezione rettangolare trasposte ed in parallelo, in modo da condurre l’elevata corrente secondaria limitando le perdite. 10.5.2.2. Condizioni di funzionamento in corrente alternata (25 kV ) Con alimentazione in corrente alternata a 25 kV, il trasformatore adatta il livello di tensione dell’energia prelevata dalla linea di contatto, prima del suo utilizzo, alla componentistica degli azionamenti. Ogni coppia di avvolgimenti secondari è collegata a due convertitori 4 Quadranti (4QS) (Fig. 10.29) che alimentano in parallelo un filtro intermedio alla tensione nominale di 2400Vdc da cui viene prelevata energia per la trazione e per i servizi ausiliari. Figura 10.29: Collegamento degli avvolgimenti secondari dei trasformatori su ETR 500 PLT. Tutti questi avvolgimenti sono immersi e raffreddati dal medesimo fluido (estere sintetico). Ogni convertitore elementare 4QS è caratterizzato da una frequenza di commutazione dei semiconduttori (GTO) è di 250Hz. Al fine di elevare l’ordine della prima armonica significativa di corrente in linea, gli impulsi di accensione dei semiconduttori corrispondenti di due convertitori di uno stesso azionamento sono opportunamente sfasati tra di loro in modo che la reazione armonica totale sulla linea di alimentazione sia quindi equivalente a quella di un unico convertitore con frequenza di commutazione pari a 2kHz. 408 10.5.2.3. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Dati elettrici del trasformatore Di seguito si riportano i principali dati elettrici del trasformatore, facendo riferimento al funzionamento in corrente alternata. –– Tensione nominale primario 25000 Vca –– Frequenza fondamentale di funzionamento 50 Hz –– Tensione nominale del secondario 1300 Vca –– Potenza nominale totale 6 MVA –– Tensione primaria per la potenza nominale 25000-27500 Vca –– Corrente nominale del primario 240 A –– Massa 8200 Kg La potenza di dimensionamento del trasformatore (6 MVA) è calcolata sulla base di simulazioni in modo tale che, su qualunque tratta ed in qualunque situazione di degrado di prestazioni del convoglio, non si renda necessaria alcuna limitazione di prestazione conseguente ad una limitazione di potenza del trasformatore. Il caso più sfavorevole che ha determinato la taglia di dimensionamento della potenza continuativa del trasformatore si ha quando sono attivi solo gli azionamenti di una delle 2 locomotive del treno, infatti al trasformatore è in tal caso richiesto di trasferire dalla linea sia la piena potenza di trazione sia la potenza necessaria per il funzionamento degli ausiliari di tutte le carrozze e dell’altra locomotiva che non partecipa alla trazione. È evidente che, al fine di poter opportunamente dimensionare il componente, è necessario tenere in considerazione, oltre alla potenza nominale trasferita dalla fondamentale della corrente di linea, anche le armoniche di corrente che, in virtù delle modalità di funzionamento descritte, circolano negli avvolgimenti e concorrono in modo rilevante ad incrementare le perdite per effetto Joule da smaltire (perdite addizionali). 10.5.2.4. Descrizione dell’Impianto di Raffreddamento Il sistema di raffreddamento è di tipo a flusso forzato e guidato (KDAF). Il fluido caldo (estere sintetico tipo “MIDEL 7131”) viene prelevato da due condotti simmetrici mediante due pompe e spinto verso gli scambiatori situati in due torri di raffreddamento, ove il calore dell’olio è asportato da aria di raffreddamento. Ciascuno dei due scambiatori è in grado di dissipare una potenza massima di 140 kW se attraversato da un flusso di olio di 600 l/min. a 115°C e con una temperatura di aria ambiente di 45°C. Nel caso di guasto di uno dei due circuiti di raffreddamento (pompa, motoventilatore o completo intasamento del radiatore) il trasformatore ha la possibilità comunque di funzionare ad una potenza ridotta. 10.5.2.5. Differenze fra un trasformatore di distribuzione e un trasformatore di trazione La misura armonica delle correnti assorbite dal convertitore di trazione ETR 500 Politensione evidenzia un notevole contributo delle correnti di 9a e di 11a armonica. Nella Figura 10.30 viene presentato il contenuto armonico delle correnti ricavato durante le prove su circuito del locomotore. Come 410 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 10.5.2.6. Prove di riscaldamento su Banco a Rulli 10.5.2.6.1. Necessità di una metodologia di prova innovativa e confronto fra misura a fibre ottiche e misura voltamperometrica Come descritto nei paragrafi precedenti, il trasformatore monofase dell’ETR 500 PLT fa parte della catena di trazione ed ognuno dei suoi secondari alimenta un carico non lineare costituito da un convertitore 4Q. La corrente che attraversa quindi i suoi avvolgimenti non è sinusoidale, ma presenta, sovrapposta alla sua componente fondamentale a 50 hz (che trasferisce la potenza attiva), componenti armoniche ad alta frequenza le quali causano un aumento consistente delle perdite per effetto Joule (perdite addizionali) molto superiore a quello che si potrebbe prevedere utilizzando i valori di resistenza in continua degli avvolgimenti e producono perdite localizzate per effetto joule differenti secondo la posizione dello strato all’interno dell’avvolgimento stesso. L’entità del fenomeno dipende, oltre al modulo ed alla fase di tali armoniche di corrente, dalle caratteristiche costruttive del trasformatore ed in particolare dalla modalità di realizzazione dei conduttori. Le prove di tipo previste dalla normativa internazionale ed una prova termica condotta in regime sinusoidale sul componente con estrapolazione della temperatura media dell’avvolgimento tramite metodo voltamperometrico, non sono quindi sufficienti per verificare il corretto dimensionamento termico del componente e del suo impianto di raffreddamento. È necessaria una prova termica condotta in regime deformato, che riproduca l’ambiente di lavoro del trasformatore e consenta di verificare lungo tutto il percorso del conduttore che le temperature del rame non superino i limiti previsti dal materiale dielettrico utilizzato che si trova a contatto del conduttore stesso. La verifica della rispondenza del trasformatore a specifica ha quindi previsto l’esecuzione di una campagna di prove sul primo esemplare che, per essere quanto più vicini alla reale situazione di impiego, è stata svolta su una locomotiva completa nella sala prove su rulli. In aggiunta alle tradizionali misure di sovratemperatura media raggiunta dagli avvolgimenti BT ed eseguite mediante lettura della variazione di resistenza con metodo Voltamperometrico, il trasformatore è stato attrezzato con un sistema di misura innovativo che, mediante fibre ottiche, consente il monitoraggio puntuale e continuo della temperatura dei conduttori lungo tutta la loro lunghezza. I vantaggi di questo innovativo sistema di misura sono evidenti. –– È possibile rilevare l’eventuale presenza ed entità, anche al variare del carico e del suo contenuto armonico, di “hot-spot” (punti caldi) generati da una non idonea distribuzione del fluido refrigerante all’interno degli avvolgimenti e dalla localizzazione delle perdite Joule per effetto pelle ed effetto prossimità. Un andamento di temperatura privo di picchi denota la bontà del progetto e l’ottimizzazione della geometria interna della macchina elettrica. –– È possibile il controllo continuo in tempo reale della temperatura durante il funzionamento della macchina senza la necessità di manovre o commutazioni sul circuito collegato al trasformatore per eseguire la misura. Al contrario, la realizzazione della misura voltamperometrica richiede la riconfigurazione, in assenza del carico, del circuito di potenza e la succes- Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 411 siva ricostruzione mediante estrapolazione grafica della temperatura media assunta dall’avvolgimento durante il funzionamento in condizioni di regime termico. Ovviamente in tal caso non è possibile rilevare i punti caldi eventualmente presenti all’interno dell’avvolgimento ed i quali portano al cedimento o all’invecchiamento del dielettrico che si trova a contatto del conduttore. In dettaglio l’avvolgimento primario è stato equipaggiato con sensori a fibra ottica puntuali, mentre l’avvolgimento secondario TR-4 (morsetti 4M1 - 4M2, lato uscita olio) e ausiliario sono stati equipaggiati con sensori a fibra ottica continui. Il posizionamento dei sensori per il primario è stato determinato dai risultati ottenuti dalla modellazione agli elementi finiti eseguita dal fornitore che ha dimensionato il trasformatore. Con riferimento alla Figura 10.31, la parte di fibra ottica proveniente dallo strumento di acquisizione è collegata nei punti 4M1 - 4M2 alla fibra interna al trasformatore e misura la temperatura del conduttore dell’avvolgimento secondario TR-4 per tutta la sua lunghezza. Figura 10.31: Disposizione dei sensori a fibra ottica negli avvolgimenti del trasformatore. 10.5.2.6.2. Sistema di misura a fibra ottica Di seguito alcuni cenni sul principio di funzionamento del sistema a fibra ottica per il rilievo della temperatura. Innanzitutto il vantaggio di base di un sistema che utilizza fibre ottiche per trasmettere informazioni dal dispositivo di misura (ad esempio sonda di corrente o tensione, termoresistenza ecc.) al sistema di acquisizione e conversione (accessibile all’utente) è dato dall’isolamento galvanico: è possibile eseguire misure su parti in tensione garantendo un disaccoppiamento elettrico del sistema di acquisizione e un assoluto grado di sicurezza. Durante le prove descritte sono stati utilizzati due diversi sistemi: sistema a “fibre ottiche puntuali” e sistema a “fibre ottiche continue”. Il primo sistema consta in una o più fibre ottiche alla cui estremità viene saldato un “frammento” di elemento sensibile alla temperatura: la sua caratteristica è quella di modificare lo spettro dell’emissione luminosa che riceve e riflette. Lo strumento di misura collegato all’estremità opposta della fibra trasmette ad intervalli discreti un fascio luminoso e in 412 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata base allo spettro del segnale ricevuto (quello riflesso dall’elemento sensibile all’altra estremità della fibra) ricava la temperatura del “frammento sensibile” e quindi del materiale a contatto di quest’ultimo. Nel caso delle prove qui descritte l’estremità sensibile della fibra ottica era posta in contatto col rame dell’avvolgimento primario. Nel secondo sistema il rilievo di temperatura viene fatto dalla fibra stessa che in base alla modifica anche in questo caso dello spettro della luce immessa ad una estremità della fibra permette di risalire alla temperatura alla quale si trova la fibra (vedi Fig. 10.32). In questo caso l’informazione è più approfondita in quanto si può risalire alla temperatura lungo tutta la lunghezza della fibra e non di un solo punto di misura. Collocando questo particolare tipo di fibra sulla superficie del conduttore secondario è possibile monitorare con continuità spaziale e temporale l’andamento di temperatura di tutto il conduttore. Figura 10.32: Principio delle fibre ottiche continue. L’applicazione sul conduttore di questa fibra viene realizzato praticando sul conduttore una cava (“intaglio”) in senso longitudinale di dimensioni inferiori al millimetro. Una volta che la fibra è stata posta nell’intaglio si procede all’isolamento del conduttore e infine alla costruzione della bobina. La scelta di applicare il sistema a fibre ottiche “puntuali” sul primario del trasformatore e il sistema a fibre ottiche “continue” sul secondario del trasformatore è imposto dalla delicatezza della fibra ottica continua che mal sopporta le sollecitazioni meccaniche presenti durante le operazioni di costruzione e assemblaggio (“pressaggio”) delle bobine. La sezione del conduttore del primario, sensibilmente inferiore a quella del secondario, non protegge la fibra ottica dalle sollecitazioni meccaniche applicate durante la costruzione, anzi le trasmette integralmente alla fibra determinandone lo schiacciamento e l’interruzione. La piattina secondaria presenta invece una sezione al limite dell’applicabilità della fibra. 10.5.2.6.3. Segnali acquisiti Oltre alle grandezze acquisite tramite fibre ottiche ed a quelle registrate per mezzo dei sensori installati di serie nella locomotiva (ad esempio temperatura dei motori, temperatura dei riduttori, temperatura di ingresso ed uscita olio di raffreddamento trasformatore) durante le prove sono monitorate mediante apposita strumentazione le seguenti grandezze: –– Tensione di linea al pantografo; –– Velocità; –– Fondamentale della corrente a primario del trasformatore; –– Armoniche di corrente sui secondari del trasformatore; –– Potenza a primario del trasformatore; –– Temperatura aria all’uscita della torre di raffreddamento destra e sinistra. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 413 10.5.2.6.4. Modalità di esecuzione delle prove Le prove eseguite consistono nell’assorbire dalla linea di alimentazione, ad una tensione di 25000 Vca, una potenza pari alla potenza nominale continuativa del trasformatore (6 MVA) e sviluppando alle ruote una potenza netta pari alla potenza continuativa di trazione (4.4 MW). La potenza che in una configurazione normale di esercizio viene erogata, mediante i 2 chopper a 600 V di locomotiva, agli ausiliari di treno (ausiliari delle 12 carrozze ed eventualmente della locomotiva con pantografo basso), viene ottenuta mediante l’accensione forzata del reostato di locomotiva in quanto in sala prove è ovviamente possibile provare la locomotiva singola. Tale prova viene effettuata a differenti velocità al di sopra della velocità di 164 km/h, che rappresenta la velocità al di sopra della quale la locomotiva entra nella condizione di funzionamento a potenza continuativa. Al variare della velocità il contenuto armonico della corrente negli avvolgimenti secondari si modifica in virtù della differente modulazione degli inverter di trazione, ma il contributo a livello termico è trascurabile, come sarà confermato dai risultati delle prove. La prova può considerarsi conclusa se la variazione della sovratemperatura dell’olio rispetto all’aria di raffreddamento è minore di 1 K per ora e può considerarsi superata se le temperature rilevate, riportate ad una temperatura dell’ambiente di riferimento di 45°, rientrano nei limiti previsti dalla classe del trasformatore: –– temperatura massima ammessa del rame: 180 °C; –– temperatura massima ammessa per l’olio: 115 °C. A completamento di quanto sopra è stata eseguita inoltre l’analisi gascromatografica dei gas disciolti nell’olio (estere sintetico) che consente di rilevare eventuali surriscaldamenti localizzati non rilevati dalle fibre ottiche. A tale scopo i risultati di tale analisi verranno confrontati con quelli ottenuti prima dell’inizio delle prove. Alla fine della prova è stata eseguita comunque la misura della resistenza degli avvolgimenti secondari, tramite metodo voltamperometrico, in modo da calcolare la temperatura media raggiunta dagli stessi. 10.5.2.6.5. Riepilogo dei risultati delle prove eseguite Nella Tabella 10.3 si riassumono le grandezze più significative rilevate durante le prove di regimazione. Velocità [km/h] Temp. max rame primario Temp max rame secondario DT rame secondario medio-olio max (prova volt-amperometrica) Olio uscita trafo Aria ambiente Sovratemp. hot spot rame olio (°°) Sovratemp. olio aria (°°°) 1 185 104,8 133,3 28,3 94 30,7 39,3 63,3 2 203 106,3 133,9 31,9 96 34 37,9 62 3 258,4 104,9 135,7 nd 94 30,9 41,7 63,1 4 280-253 96,6 125 29,1 85,5 21,1 39,5 64,4 5 220 94,5 124,3 28,9 84,5 20 39,8 64,5 Tabella 10.3: Riepilogo dei risultati delle prove. 414 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata In Figura 10.33 si riporta la distribuzione della temperatura lungo l’avvolgimento secondario TR4, rilevato tramite fibra ottica continua. Tale grafico è composto da una numerosa famiglia di curve, la quale rappresenta l’evoluzione temporale del fenomeno di riscaldamento. La curva più bassa è relativa al momento in cui la temperatura è ancora bassa, ma in crescita. La curva più alta è la curva più importante in quanto riporta le temperature massime assunte durante la fase di regime termico. Su quest’ultima curva si individua il valore di hot spot per tutto l’avvolgimento. Figura 10.33: Andamenti della temperatura in funzione della posizione di rilevamento lungo l’avvolgimento e del tempo di prova. 10.5.2.6.6. Valutazione dei risultati delle prove eseguite Per una corretta valutazione dei risultati è necessario riportare i valori di temperatura ottenuti ad una temperatura ambiente di 45° (vedi Tab. 10.4). Velocità [km/h] Temp max rame secondario DT rame secondario medio-olio max (misura volt-amperometrica) Olio uscita trafo Trame Aria Sovratemp. medio ambiente hot spot rame - olio (°°) 185 151,6 29,43 110,8 140,23 2 203 147,9 32,87 108,9 141,77 3 258,4 153,8 nd 110,5 nd 4 280-253 155,8 31,09 113,7 144,79 5 220 156,6 30,97 114 144,97 1 Tabella 10.4: Risultati delle prove riportati a T = 45°. 45 Sovratemp. olio - aria (°°°) 40,8 65,8 45 39 63,9 45 43,3 65,5 45 42,1 68,7 45 42,6 69 Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 415 Si dettaglia di seguito, a titolo di esempio, il calcolo per il caso della prova 5 di Tabella 10.4. –– Temperatura aria ambiente media: 20 °C –– Differenza aria max a 45 °C - aria ambiente: 45 – 20 = 25 °C –– Temperatura dell’olio rispetto all’aria a 45 °C: 84,5 + 25 = 109,5 °C –– Temperatura di hot-spot del rame rispetto aria ambiente: 124,3 °C –– Sovratemperatura di hot-spot del rame: 124,3 – 84,5 = 39,8 °K –– Temperatura del rame rispetto aria a 45 °C: 109,5 + 39,8 = 149,3 °C –– Sovratemperatura dell’olio rispetto all’ambiente: 84,5 – 20 = 64,5 °K –– Correzione di sovratemperatura secondo la norma IEC354 per l’olio: 64,5 ((235 + 149,3)/(235+124,3)) = 69 °K –– Temperatura massima dell’olio rispetto a 45 °C di aria: 69 + 45 = 114 °C –– Correzione di sovratemperatura secondo la norma IEC354 per il rame: 39,8 ((235 + 149,3)/(235 + 124,3)) = 42,6 °K –– Temperatura di hot-spot del rame rispetto a 45 °C di aria: 42,6 + 114 = = 156,6 °C. In base a quanto riportato in Tabella 10.6, è evidente che, pur tenendo in conto gli errori di misura introdotti dalla strumentazione utilizzata, le temperature dell’olio e le temperature di hot spot del rame, misurate mediante sistema a fibra ottica continua, sono ampiamente al di sotto di quelle massime ammesse. I risultati dell’analisi dell’olio del trasformatore mostrano inoltre che i tenori di gas disciolti nell’olio sono pressoché invariati e denotano quindi l’assenza di surriscaldamenti localizzati. 10.5.2.6.7. Confronto con le prove in regime sinusoidale Si confrontano i risultati ottenuti nelle prove con la locomotiva sui rulli con le temperature rilevate durante la prova di riscaldamento eseguita con alimentazione sinusoidale presso la sala prove del fornitore del trasformatore. Ci si riferisce ovviamente all’avvolgimento secondario TR4 equipaggiato con fibra ottica continua. Tutte le misure sono state riportate alla temperatura massima dell’olio di 115 °C per comune riferimento e immediatezza di confronto. Tabella 10.5: Confronto tra temperature con alimentazione sinusoidale e temperature con alimentazione “deformata”. Regimazione con alimentazione SINUSOIDALE con riporto olio a 115 °C Regimazione n° 5 parte 1 in sala prove rulli su LOCOMOTIVA con riporto olio a 115 °C Regimazione n° 5 parte 2 in sala prove rulli su LOCOMOTIVA con riporto olio a 115 °C Rame medio da misura VI con olio medio 138,4 144,5 146,6 Hot-spot da fibra ottica 142,6 157,7 158,2 A partire dai risultati riportati nelle Tabelle 10.4 e 10.5 è possibile effettuare le seguenti considerazioni: Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia Figura 10.36: Effetto prossimità. 417 Effetto prossimità La Figura 10.36 illustra una corrente sinusoidale i1(t) con frequenza f2 che fluisce attraverso un conduttore posto in prossimità di un secondo non connesso ad alcun circuito. Si ipotizza che i 2 conduttori hanno uno spessore maggiore dello spessore di penetrazione corrispondente alla frequenza f2. Il conduttore 2, in quanto non facente parte di un circuito chiuso, porta una corrente netta nulla, ma il flusso magnetico generato da i1(t) induce per la legge di Lenz, sul lato opposto ad 1, una corrente che tende ad impedire che il campo magnetico penetri nel conduttore 2. Poichè la corrente in 2 è nettamente nulla, sul lato opposto si genera la corrente + i(t). Se le perdite per effetto Joule in 1 sono: h P1= Irms2 ⋅ Rdc ⋅ δ le perdite indotte da 1 in 2 per effetto prossimità sono: P2 =( 2 ⋅ Irms ) ⋅ Rdc ⋅ 2 h δ La Figura 10.35 illustra la distribuzione della corrente ad alta frequenza per effetto prossimità negli avvolgimenti di un trasformatore con 3 strati per il primario ed il secondario aventi spessore h >> δ . In tal caso le perdite addizionali per i vari strati dell’avvolgimento primario sono: strato 1: P1= Irms2 ⋅ Rdc ⋅ strato m: P= Irms2 ⋅ Rdc ⋅ m Le perdite totali sono P= Irms2 ⋅ Rdc ⋅ tot h δ h 2 ⋅ ( m - 1) + m2 δ h M ⋅ 1 + 2 ⋅ M 2 3 δ 2 Se le perdite in continua sono Pdc = Irms ⋅ Rdc ⋅ M , l’incremento dovuto alle perdite addizionali è caratterizzato dal parametro: ( 2⋅ M2 + 1 Ptot Fr= = h⋅ Pdc 3⋅δ ) Stima delle perdite addizionali nel caso di h ≈ δ Per spessori dello stesso ordine di grandezza della profondità di penetrazione, una stima della resistenza in alternata e delle perdite, per avvolgimenti concentrici, si può avere utilizzando le formule di Dowell. 418 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Consideriamo un avvolgimento costituito da m strati ed n spire con campo magnetico: = H H (x ) ⋅ y Ove: –– a spessore piattina; –– b altezza piattina; –– h altezza avvolgimento; –– s spessore avvolgimento. Definite le seguenti grandezze: a ε= δ ⋅ n⋅b h sin h ( 2 ⋅ ε ) + sin ( 2 ⋅ ε ) cos h ( 2 ⋅ ε ) - cos ( 2 ⋅ ε ) φ1 ( ε )= ε ⋅ sin h ( ε ) + sin ( ε ) cos h ( ε ) - cos ( ε ) φ2 ( ε ) = 2 ⋅ ε ⋅ la resistenza in alternata dello strato di ordine p e la resistenza media dell’avvolgimento sono rispettivamente: ( ) Rac p = Rdc ⋅ φ1 ( ε ) + p2 - p ⋅ φ2 ( ε ) φ (ε ) Racmoy = Rdc ⋅ φ1 ( ε ) + M 2 - 1 ⋅ 2 3 ( ) È possibile quindi stimare le perdite per effetto Joule: = Ptot ∞ ∑ Rac ( n ⋅ f0 ) ⋅ Irms2 ( n ⋅ f0 ) n =1 ove: –– f0 è la frequenza fondamentale della corrente; –– Rac ( n ⋅ f0 ) è la resistenza in alternata valutata alla frequenza ( n ⋅ f0 ) ; –– Irms ( n ⋅ f0 ) è il valore efficace della armonica di ordine n. È quindi evidente che: –– la resistenza media in regime deformato del trasformatore è notevolmente più alta di quella in DC e le perdite in regime deformato sono notevolmente superiori a quelle previste utilizzando i parametri in continua del trasformatore; –– la resistenza dei singoli strati è differente a seconda del campo magnetico che li interessa, generando così perdite localizzate per effetto joule differenti seconda la posizione dello strato; Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 419 –– in condizioni ideali (campo magnetico con componente radiale nulla) gli strati sede di perdite localizzate maggiori sono quelli più esterni (campo magnetico più elevato). Nel caso del trasformatore in oggetto, lo sfasamento fra le correnti armoniche che percorrono gli avvolgimenti può causare campi magnetici radiali spostando così il valore massimo delle perdite addizionali dallo strato più esterno verso l’interno. 10.6. SIMULATORE TERMICO DELL’AZIONAMENTO POLICORRENTE ESEMPIO DI APPLICAZIONE SU ETR 500 PLT Dopo una descrizione dettagliata degli elementi principali dell’azionamento policorrente si ritiene necessario illustrare un esempio applicativo di un simulatore termico finalizzato a valutare l’impiego dello specifico mezzo di trazione su nuovi scenari di esercizio, differenti da quello di origine. Tale esigenza nasce dal fatto che il mercato è in continua evoluzione e l’impresa ferroviaria, per essere competitiva, è tenuta a gestire al meglio l’impiego e lo sfruttamento dei propri mezzi. La progettazione degli orari di un mezzo di trazione policorrente è strettamente legata alla caratteristica di trazione del mezzo stesso e al dimensionamento termico dei componenti della catena di trazione (azionamento); se da una parte l’esigenza commerciale è di minimizzare i tempi di percorrenza, dall’altra, la definizione del profilo di velocità e degli sforzi di trazione richiesti al materiale rotabile deve tenere conto anche della necessità di non ridurre la vita utile di componenti fondamentali, quali ad esempio motore di trazione, convertitore di trazione e trasformatore. Se nel passato il dimensionamento della catena di trazione era riferito a valori di potenza continuativa, oraria o semioraria, nei moderni mezzi di trazione policorrente, in particolare nei treni ad alta velocità, il dimensionamento termico dei componenti della catena di trazione, anche per motivi di ottimizzazione sia dei costi che dei pesi, è effettuato generalmente in riferimento agli specifici profili di missione, definiti per i servizi commerciali previsti dal cliente in fase di acquisto del rotabile. Con tali criteri di dimensionamento si ha che, nella zona a potenza costante della caratteristica di trazione, i componenti della catena di trazione lavorano generalmente in regime di sovraccarico. Se il funzionamento in sovraccarico, nell’effettuazione dei servizi commerciali previsti dal profilo di missione definito, è comunque progettato in modo tale da garantire la durata di vita del componente, sorge l’esigenza di verificarne l’impatto nel programmare i regimi di funzionamento del treno anche per nuovi scenari di esercizio, su tratte differenti o per servizi differenti (es.: servizi navetta, servizi no-stop a lunga percorrenza, ecc.) da quelli previsti dal profilo di missione originario. La valutazione del giusto compromesso fra tempi di percorrenza, sollecitazioni termiche e durata di vita dei principali componenti della catena di trazione, richiede l’utilizzo di un simulatore che, oltre al calcolo degli orari, consenta di riprodurre in maniera realistica il comportamento termico della catena di trazione durante il funzionamento del treno. Lo scopo di tale paragrafo è quello di illustrare un metodo valido per la realizzazione di modelli termici dei principali componenti della catena di trazione dei mezzi policorrente: motore di trazione, inverter, convertitore relativo al 1° stadio di conversione (4Q) e trasformatore 420 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata di trazione. In particolare verrà illustrata a titolo di esempio l’applicazione sul mezzo ETR 500 PLT. Nella realizzazione di ogni singolo modello è stato seguito tale procedimento: –– Realizzazione della rete termica. –– Implementazione di un metodo di calcolo delle perdite nelle varie parti attive dell’apparecchiatura, oggetto del modello. –– Implementazione di sottosistemi che consentono al modello di interfacciarsi con le variabili in input, fornite dal software “simulatore di tratta”. –– Esecuzione di simulazioni finalizzate a confermare la validità del modello realizzato. Il paragrafo, dunque, è strutturato come segue: inizialmente sono illustrati i principi teorici, nei quali si descrive l’utilizzo di reti circuitali (reti termiche) per rappresentare il comportamento termico delle macchine elettriche; nel seguito è descritto brevemente il sistema di raffreddamento del sistema di propulsione di ETR 500; nella parte centrale dell’articolo è affrontata la descrizione vera e propria dei modelli termici, inoltre, sono esposte le validazioni degli stessi, seguite da simulazioni di tratte reali percorse dal treno. 10.6.1. PRINCIPI TEORICI SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE 10.6.1.1. Generalità Le perdite nel ferro, negli avvolgimenti e quelle per attriti e ventilazione si trasformano in calore e determinano gli incrementi di temperatura delle macchine elettriche. La naturale tendenza all’equilibrio termico provoca, all’interno delle stesse, il passaggio del calore dalle parti ove è prodotto verso le superfici esterne, lambite da un fluido a contatto, a temperatura necessariamente più bassa di quella delle superfici da raffreddare. Nel periodo iniziale di funzionamento della macchina elettrica, che aveva la temperatura dell’ambiente, soltanto una parte del calore è ceduto al fluido a contatto: il resto, accumulandosi nella massa della macchina, determina il crescente dislivello termico fra le superfici limiti e il fluido. Raggiunto il necessario salto di temperatura, tutto il calore prodotto è ceduto e non si verificano ulteriori aumenti di temperatura nella macchina, la quale ha raggiunto il regime termico. Ogni qual volta varia uno dei fattori dell’equilibrio termico (perdite, temperatura e portata del fluido a contatto, temperatura ambiente) si determina un fenomeno termico transitorio. 10.6.1.2. Reti termiche (in regime stazionario) Le macchine elettriche sono costituite da materiali attivi, in cui si genera energia termica, e da materiali inerti. Se una parte attiva possiede superfici terminali diversamente raffreddate, e quindi a temperature disuguali, si stabilisce un flusso termico interno. Le pareti inerti attraversate dal flusso termico sono principalmente i materiali isolanti e le superfici strutturali lambite dal fluido a contatto. Il comportamento termico delle macchine elettriche può essere esplorato costruendo degli schemi di reti analoghe a Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 421 quelle elettriche. Una rete termica contiene delle sorgenti di calore (Pa, Pb, …) e delle resistenze termiche (R1, R2, …). La resistenza termica “Rn” attraversata dal flusso termico di potenza “Pn”, determina la caduta di temperatura θn = RnPn. Alla rete termica si applicano le seguenti regole (a regime): –– È nulla la somma algebrica delle potenze termiche di un nodo. –– La somma delle potenze termiche generate è uguale alla somma delle potenze termiche emesse dalle superfici di raffreddamento. –– La temperatura in un punto è la stessa qualunque sia la via che si percorre per raggiungerlo. Per maggior generalità, si deve ritenere che le temperature del fluido refrigerante che lambisce le superfici emittenti siano localmente diverse. Un esempio di rete termica in regime stazionario è rappresentato in Figura 10.37. Figura 10.37: Generico esempio di rete termica a regime. Si ha una rete termica con tre sorgenti di calore Pa, Pb e Pc, con quattro superfici emittenti, e quindi quattro resistenze di emissione e cinque resistenze di conduzione. Le sorgenti sono rappresentate da cerchi, le resistenze di conduzione da rettangoli e le resistenze di emissione da segmenti in grassetto. Le quattro superfici di emissione raggiungono le sovratemperature di θ2, θ3, θ5 e θ8 rispetto al fluido refrigerante. Si ha: –– θ2 = R2 P2; –– θ3 = R3 P3; –– θ5 = R5 P5; –– θ8 = R8 P8. 10.6.1.3. Resistenze termiche La resistenza termica di conduzione di una parete di macchina inerte è espressa dalla seguente relazione: –– R = l/λA [K/W]; Dove “l” è lo spessore della parete espresso in metri, “λ” è la conducibilità termica espressa in Watt/metro*Kelvin, “A” è la sezione della parete attraversata dal flusso di calore, espressa in metri quadrati. La “R” perciò, 422 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata è espressa in Kelvin/Watt. Le resistenze in serie (attraversate dallo stesso flusso) si sommano; ugualmente si sommano le conduttanze in parallelo (soggette alle stesse differenze di temperatura). Le resistenze di emissione hanno la forma: –– R = 1/α A [K/W]; includendo in “α” sia il fattore di convezione “αc” che quello di irraggiamento “αi”. “A” è l’area della superficie emittente. La contemporanea emissione per convezione e per irraggiamento è rappresentata, nella rete, da due resistenze in parallelo. La resistenza totale di emissione è: –– R = 1/(αc + αi ) A [K/W]. Nel caso, assai frequente, in cui l’area “Ac” della superficie interessata dalla convezione è diversa da quella interessata all’irradiazione “Ai”, la resistenza complessiva di emissione della parete considerata è: –– R = 1/(αc Ac + αi Ai) [K/W]. Una resistenza di conduzione attraverso una superficie “A” in serie con una di convezione sulla stessa superficie, determina la resistenza risultante “R”, che è la somma delle due: –– R = (1/A)(l/λ + 1/ αc) [K/W]; essendo “l” e “λ” rispettivamente lo spessore e la conducibilità termica dell’isolamento, “αc” il fattore di convezione ed “A” l’area della comune superficie [m2]. 10.6.1.4. Fenomeni termici transitori Si verifica un fenomeno termico transitorio quando le perdite prodotte differiscono dalla quantità di calore emesso in 1 secondo. Supponiamo che i materiali che costituiscono la macchina abbiano conduttività termiche infinitamente grandi, tali da poter ritenere che tutti i punti della stessa siano alla stessa temperatura. Tale ipotesi identifica le macchine a dei corpi omogenei, e ciò semplifica notevolmente la trattazione dei fenomeni termici transitori. Indichiamo con: –– P: le perdite totali, in W; –– A: la somma delle aree di tutte le superfici emittenti in m2; –– α: il coefficiente totale di emissione (convezione ed irradiazione), in W/m2K, relativo alle superfici di area A; –– C: la capacità termica della macchina, cioè la quantità di calore necessaria per elevarne di 1 °C la temperatura; C è espressa in J/K; –– ϑ2: la temperatura assoluta dell’ambiente (o del fluido refrigerante), espressa in °C; –– t: il tempo, in secondi; –– θ: la sovratemperatura istantanea, rispetto all’ambiente, delle superfici emittenti (e quindi, per le ipotesi fatte, di tutta la macchina), in K; –– θr: la sovratemperatura a regime della macchina, in K. Si raggiunge il regime termico quando si verifica la seguente condizione: P = α A θr; (10.1) cioè quando, come si è detto, le perdite sono uguali alla quantità di calore emesso in 1 secondo. Se l’emissione è nulla (perché α = 0), le perdite P Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 423 sono totalmente accumulate nella macchina, che nel tempo t raggiunge la sovratemperatura θ: θ = (P/C) t. Trattasi della pura accumulazione termica. Poniamo: T = (C θR)/P = C/ α A; (10.2) essendo “T” la costante di tempo, cioè il periodo di tempo necessario perché la macchina, in fase di pura accumulazione termica, raggiunga la sovratemperatura di regime “θr”. La costante di tempo è tanto più piccola quanto più efficace è il raffreddamento e quanto minore è la capacità termica. Poiché è α ≠ 0, durante il transitorio si verificherà contemporaneamente un accumulo di calore, ed una emissione (nel presupposto che l’ambiente sia a temperatura più bassa di quella della macchina). Si potrà scrivere la seguente equazione differenziale: Pdt = Cdθ + αAθdt; dividendo ambo i membri per “αA” e tenendo conto delle equazioni (10.1) e (10.2) si ottiene: (1/T)(θr – θ)dt = dθ, cioè: dθ/dt = (θr – θ)/T; Separando le variabili e integrando otteniamo: t = - T ln(θr – θ) + C1; (10.3) La costante di integrazione “C1” è determinata dalle condizioni ai limiti; se al tempo t = t0 la macchina ha la sovratemperatura “θ0”, la costante di integrazione è: C1 = t0 + T ln(θr – θ0). Più spesso, all’inizio del periodo transitorio (t = 0), la macchina è a temperatura ambiente, cioè a sovratemperatura θ0 = 0; in tali casi si ha: C1 = T ln θr. Se invece per t = 0, la macchina ha sovratemperatura θ0 ≠ 0, si ha: C1 = T ln(θr – θ0); Con questo valore della costante la (3) diventa: t = T ln (θr – θ0)/(θr – θ); ovvero: θ = θ0 + (θr – θ0) (1 – e – t/T). Nel caso di t0 = 0 e θ0 = 0, l’equazione del regime transitorio diventa: θ = θr(1 – e – t/T ) (10.4) La relazione esponenziale (10.4) è rappresentata dalla curva di riscaldamento di Figura 10.38. 424 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Curva di riscaldamento Figura 10.38: Curva di riscaldamento. Per t = ∞ è θ = θr, cioè: la retta θ = θr è un asintoto della curva. Il coefficiente angolare della retta tangente in un punto qualsiasi della curva è fornito dalla relazione già vista in precedenza: - dθ/dt = (θr – θ)/T Finora abbiamo considerato la macchina come un corpo omogeneo di grande conduttività termica interna, in tale modo abbiamo potuto parlare di una singola sovratemperatura della macchina. Sappiamo che ciò non corrisponde alla realtà: le macchine sono costituite da materiali di diversa natura e diversa conduttività termica (ferro magnetico, conduttori, isolanti, olio, materiali strutturali). Sia nel funzionamento a regime che durante i transitori termici, le sovratemperature interne sono generalmente diverse da punto a punto. La trattazione rigorosa dei fenomeni transitori nelle macchine reali deve tener conto degli scambi interni di energia, e quindi delle potenze delle correnti termiche e delle resistenze attraversate; ci accontenteremo di raggiungere risultati approssimati, utilizzando le espressioni ricavate per la macchina omogenea. La somma delle capacità termiche delle singole parti che compongono la macchina permette di ottenere la capacità “C” nel caso reale: C = g1c1 + g2c2 + … = Σgc [j/K]; Essendo “g” e “c” il peso e il calore specifico, rispettivamente, di una parte omogenea. 10.6.2. CARATTERISTICHE TECNICHE PRINCIPALI DEL SISTEMA DI RAFFREDDAMENTO DELL’AZIONAMENTO DEL TRENO ETR 500 Per una descrizione sull’architettura elettrica del sistema di trazione dell’ETR 500 PLT e dei componenti di costituzione si rimanda al Capitolo 1.1. In Figura 10.39 sono illustrati a livello schematico i principali sistemi di raffreddamento della catena di trazione dell’ETR 500. In Figura 10.39 è possibile notare: –– Le due torri di raffreddamento di locomotiva hanno il compito di smaltire, per scambio forzato con aria ambiente in circuito aperto, le perdite provenienti dai convertitori dei due azionamenti di locomotiva e le perdite del trasformatore. –– I due circuiti di raffreddamento relativi ai convertitori dei due azionamenti di locomotiva sono caratterizzati dalla circolazione forzata del Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 425 Figura 10.39: Rappresentazione schematica degli impianti di raffreddamento del trasformatore, dei convertitori e del reostato di frenatura. fluido refrigerante (acqua/glycole) attraverso le apposite tubazioni e i dissipatori di ogni modulo dei convertitori. Il fluido refrigerante è raffreddato dall’apposito scambiatore di calore situato all’interno della torre di raffreddamento. –– Il circuito di raffreddamento del trasformatore è caratterizzato dalla circolazione forzata dell’olio all’interno dei vari canali assiali situati tra gli avvolgimenti del trasformatore. L’olio caldo è poi raffreddato dagli appositi scambiatori di calore, situati nelle torri di raffreddamento. –– I due reostati (1 per azionamento). Occorre specificare che, quando ci si riferisce al circuito di raffreddamento del convertitore di trazione, vengono raffreddati i seguenti componenti: –– –– –– –– –– Moduli dell’inverter di trazione; Moduli del convertitore di 1° stadio; Moduli del chopper ausiliari; Induttanze di spianamento dei chopper ausiliari; Moduli del chopper di frenatura. Inoltre, occorre precisare che lo scambiatore del convertitore e quello del trasformatore sono realizzati in un unico monoblocco in alluminio, tuttavia, i 2 circuiti di raffreddamento relativi all’estere e all’acqua/glicole rispettivamente, sono separati e indipendenti. Essi sono solamente uno in serie all’altro rispetto al flusso dell’aria di raffreddamento. Il sistema di raffreddamento dei motori di trazione è indipendente e non rientra nei sistemi visti per il trasformatore e il convertitore. La ventilazione del motore è forzata. Per ogni motore è presente un motoventilatore. 426 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 10.6.3. MODELLI TERMICI DELLA CATENA DI TRAZIONE 10.6.3.1. Introduzione Nel presente paragrafo è affrontata la descrizione dei modelli termici dei principali componenti della catena di trazione (motore, convertitori, trasformatore), inoltre, è esposto il procedimento generale adottato per la realizzazione delle reti termiche e il calcolo dei relativi parametri circuitali. L’ambiente di simulazione ritenuto più idoneo per l’implementazione degli stessi modelli è l’ambiente “SIMULINK” di “MATLAB”. 10.6.3.2. Procedimento generale per la realizzazione delle reti termiche Una rete termica esaustiva nella rappresentazione dei fenomeni termici coinvolti all’interno del componente modellato è composta dai seguenti parametri circuitali: –– Resistenze termiche di conduzione; –– Resistenze termiche di convezione; –– Capacità termiche. Ognuno dei parametri sopra citati è stato calcolato a partire da dati geometrici e costruttivi disponibili dalle tabelle e dai disegni tecnici delle apparecchiature oggetto del modello. Per rendere più chiara ed efficace la descrizione dell’approccio generale utilizzato si rappresenta, di seguito, il calcolo della rete termica del motore. Lo stesso procedimento è utilizzato naturalmente anche per le reti termiche degli altri modelli sviluppati (trasformatore, convertitori di trazione). Dai disegni tecnici del motore e dalle tabelle fisiche dei materiali costruttivi sono stati raccolti i dati (alcuni dei quali esposti in Tab.10.8), necessari al calcolo dei parametri circuitali della rete termica. Tabella 10.6: Dati geometri e fisici degli elementi costruttivi del motore. DATI MOTORE N barre rotoriche VALORE 72 Altezza barra 0.01815 m Larghezza barra 0.00765 m Lunghezza barra 0.457 m L’aria barra 0.0001 m Spessore traferro 0.00209 m Diametro est rotore 0.4259 m Spessore corona rotorica 0.1048 m Altezza dente rotorico 0.02315 m Numero canali rotore 36 Diametro canali rotore 0.025 m N cave statoriche 60 Lunghezza pacco lamellato statore 0.375 m Diametro interno statore 0.4308 m Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia DATI MOTORE 427 VALORE Numero canali maggiori statore 24 Numero canali minori statore 8 Altezza cava 0.0469 m Larghezza cava 0.0093 m Lunghezza conduttori attivi 0.405 m Spessore corona statorica Diametro medio corona Sporgenza testata Lunghezza testata/spira Diametro interno statore/lamierino testa Altezza cava/lamierino testa 0.1076 m 0.6315 m 0.130 m 0.90344 m 0.431 m 0.047 m Spessore rientro di cava 0.0036 m Altezza bobina di testa (con isolamento) Larghezza bobina di testa (con isolamento) Fill factor testate Larghezza anello rotorico Altezza anello rotorico Raggio medio anello rotorico Larghezza piattina rame (statore) 0.01996 m 0.0082 m 0.3895 0.0205 m 0.05745 m 0.1792 m 0.0071 m Altezza piattina rame (statore) 0.0019 m Spessore smalto piattina 0.00011 m Spessore isolante bobina 0.00072 m Spessore impregnate cava 0.00027 m Spessore isolante bobina (testata) 0.00024 m Spessore nastro vetro (testata) Conducibilità termica aria Conducibilità termica ferro 0.0002 m 0.027 W/ mK 28 W/mK Conducibilità termica rame Conducibilità termica mica 386 W/mK 0.2 W/mK Conducibilità termica resina siliconica Conducibilità termica vetro 0.2 W/mK 0.2 W/mK Calore specifico lamierino 460 j/KgK Calore specifico rame Densità lamierino Densità rame 400 j/KgK 7800 Kg/m3 8954 Kg/m3 Utilizzando ed elaborando opportunamente i dati di Tabella 10.6 ed inserendoli nelle formule seguenti, si ottengono i valori dei parametri circuitali della rete termica: 1 [K/W]; (formula valida per le resistenze di conduzione); –– Rcond = λ* A 428 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 1 [K/W]; (formula valida per le resistenze di convezione); α* A –– C = G ⋅ c [j/K]; (formula valida per le capacità termiche). –– Rconv = Il processo finale nella progettazione della rete termica consiste nell’affinare per processi iterativi i valori di alcuni parametri circuitali, in particolare ci si riferisce alle resistenze termiche per convezione forzata dovuta ai flussi dell’aria di raffreddamento sul motore. Agendo sul valore dei fattori di convezione “α”, si cerca di allineare i valori di temperatura forniti dal modello con i valori di temperatura disponibili da prove di tipo condotte sul motore. In questa maniera si rende il modello realistico. Tale procedimento è schematizzato di seguito (Fig.10.40): 430 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata In particolare si ha: –– Sottosistema 1. Ha il compito di rendere interfacciabile il modello con le variabili in input provenienti dal simulatore di tratta. In particolare esse vengono manipolate e trasformate con lo scopo di ottenere altre tipologie di variabili direttamente utili al sottosistema 2, adibito al calcolo delle perdite. –– Sottosistema 2. Implementa al suo interno un metodo di calcolo che consente di ottenere le perdite nelle varie parti attive della macchina simulata. (Es.: per il motore si hanno le perdite negli avvolgimenti di statore, nelle barre di rotore, nei denti, ecc.). –– Sottosistema 3. Costituisce la rete termica dell’apparecchiatura simulata. La rete implementata tiene conto dei principali flussi di calore coinvolti nel funzionamento, nonché della dinamica dei fenomeni termici (reti termiche dinamiche). I valori delle perdite (nelle varie parti attive delle apparecchiature), calcolate dal sottosistema 2, sono inseriti in ingresso nei generatori di corrente controllati della rete termica. –– Sottosistema 4. Nel presente sottosistema vengono visualizzati i risultati della simulazione, ovvero gli andamenti temporali delle temperature nelle varie sezioni costruttive dei dispositivi simulati. Le temperature fornite, in particolare, sono quelle misurate in tutti i nodi circuitali della rete termica implementata nel modello (sottosistema 3). Infine, va precisato che i valori di temperatura forniti in uscita dai modelli in oggetto sono in realtà i salti termici con l’aria esterna. Questo fatto trova giustificazione nella struttura topologica delle reti termiche implementate (i potenziali dei nodi della rete si riferiscono al potenziale di terra, ovvero al potenziale nullo). Dunque, per risalire alla temperatura assoluta di un generico elemento costruttivo è necessario sommare la temperatura dell’aria esterna al valore fornito in uscita dalla simulazione (visualizzato all’interno del sottosistema 4). 10.6.4. MOTORE 10.6.4.1. Premessa A differenza degli altri elementi della catena di trazione, per i quali è stata eseguita l’implementazione dei modelli in SIMULINK, nel caso del motore è stata effettuata una prima implementazione impiegando un software professionale adibito all’analisi termica delle macchine elettriche rotanti: “MOTORCAD”. Questo passaggio è risultato necessario per ottenere una rete termica sufficientemente rappresentativa dei fenomeni termici coinvolti nella macchina e utilizzare tale rete come riferimento per la successiva realizzazione del modello in SIMULINK. 10.6.4.2. Implementazione in MOTORCAD Il procedimento adottato nella realizzazione della simulazione in MOTORCAD è il seguente: Impostazione delle caratteristiche geometriche e costruttive del motore (Fig. 10.42). Tale fase è stata svolta con l’obiettivo di rappresentare nella maniera più fedele possibile la particolare geometria del motore di trazione Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 431 Figura 10.42: Finestra relativa alle impostazioni geometriche del motore. in oggetto, sono state impostate anche le caratteristiche degli avvolgimenti di statore e rotore. –– Impostazione delle opzioni di raffreddamento. Oltre alla tipologia di raffreddamento e fluido refrigerante, sono state impostate le opzioni relative al raffreddamento assiale del motore e le opzioni relative al raffreddamento di testata (nel quale interviene la rotazione del rotore). –– Impostazione delle perdite. Sono stati fissati determinati valori per i vari contributi di perdite (perdite nel rame, nel ferro, per attrito dei cuscinetti). In particolare tali valori si riferiscono alle condizioni operative del motore. Terminata la fase relativa alle impostazioni, è stata avviata la simulazione e il software ha fornito in uscita una rete termica dettagliata (Fig. 10.42), rappresentativa dei fenomeni termici all’interno della macchina, sulla quale è stato possibile esaminare i valori dei vari parametri circuitali nonché gli andamenti di temperatura. Tale rete ha consentito di evidenziare i compo- Figura 10.43: Rete termica fornita dalla simulazione in MOTORCAD. 432 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata nenti costruttivi del motore maggiormente sollecitati da un punto di vista termico. Nella rete termica sono distinti i vari componenti costruttivi del motore, in particolare si ha: –– GRIGIO = albero motore; –– AZZURRO = pacco lamellato rotorico; –– ROSSO = pacco lamellato statorico; –– MARRONE = carcassa esterna; –– GIALLO = avvolgimenti statorici e barre rotoriche. Inoltre, nella rete vi sono: resistenze termiche (rappresentate da rettangoli), nodi (rappresentati da un cerchio), sorgenti di potenza termica e flussi di potenza termica smaltiti dall’aria di raffreddamento (rappresentati da due cerchi sovrapposti). Le capacità termiche non sono visualizzate poiché sono incluse nei nodi. 10.6.4.3. Implementazione in “SIMULINK” 10.6.4.3.1. Rete termica Il modello del motore, realizzato in SIMULINK, ha una struttura come quella rappresentata in Figura 10.41. La prima fase della realizzazione è stata quella di costruire una rete termica prendendo spunto da quella fornita dalla simulazione in MOTORCAD, di conseguenza, è stato implementato un metodo di calcolo delle perdite nelle varie parti attive del motore e infine è stato realizzato il blocco relativo alla visualizzazione delle temperature nei vari nodi della rete. È stata effettuata un’analisi della rete termica di MOTORCAD, in particolare, come è possibile vedere in Figura 10.44, sono stati selezionati i rami interessati dai flussi di potenza termica di maggior entità. La struttura selezionata è stata presa come riferimento per generare la rete termica in SIMULINK. Figura 10.44: Processo di semplificazione della rete termica in MOTORCAD. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 433 Poiché la simulazione in MOTORCAD verifica l’indipendenza da un punto di vista termico tra rotore e statore, allora, in SIMULINK sono state create due reti termiche separate; esse sono rappresentate in Figura 10.45. Il calco- Figura 10.45: Reti termiche di rotore e statore (SIMULINK). lo dei parametri circuitali (resistenze termiche, capacità termiche), è stato condotto già in precedenza in maniera rigorosa impiegando le caratteristiche geometriche e fisiche del motore, oggetto del modello. 434 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Nelle seguenti tabelle (Tabb. 10.7 e 10.8) sono descritti i parametri circuitali delle reti termiche del motore. Tabella 10.7: Parametri circuitali della rete termica di rotore. Tabella 10.8: Parametri circuitali della rete termica di statore. ROTORE Parametro Significato R anel Resistenza termica dovuta alla convezione forzata nelle superfici degli anelli esposte al flusso d’aria R barra_ferro Resistenza termica dovuta alla conduzione dello strato di aria tra le barre rotoriche e le superfici di cava R dente_corona Resistenza termica di conduzione tra la corona rotorica e i denti di rotore R forir Resistenza termica dovuta alla convezione forzata nelle superfici dei canali rotorici assiali di raffreddamento R dente_suptraf Resistenza termica di conduzione tra i denti di rotore e la superficie rotorica affacciata al traferro R sup_trafr Resistenza termica dovuta alla convezione sulle superfici rotoriche affacciate al traferro C rame rotore Capacità termica delle barre di rotore C denti rotorici Capacità termica dei denti di rotore C corona rotore Capacità termica della corona di rotore Pcu rotore Generatore di potenza termica rappresentante le perdite nel rame rotorico STATORE Parametro Significato R ewdg_f Resistenza termica della testata frontale composta dalla serie della resistenza di conduzione dovuta allo strato isolante di testata e della resistenza dovuta alla convezione nelle superfici esterne di testata esposte all’aria R a_EWfront Resistenza termica di conduzione tra la testata frontale e la parte attiva degli avvolgimenti statorici R a_EWrear Resistenza termica di conduzione tra la testata posteriore e la parte attiva degli avvolgimenti statorici R ewdg_r Resistenza termica della testata posteriore composta dalla serie della resistenza di conduzione dovuta allo strato isolante di testata e della resistenza dovuta alla convezione nelle superfici esterne di testata esposte all’aria R cave corona Resistenza termica data dalla serie tra la resistenza termica di conduzione dello strato isolante della parte superiore degli avvolgimenti statorici e la resistenza termica di conduzione del volume di ferro compreso tra la superficie superiore delle cave di statore e il diametro medio della corona Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 435 STATORE Parametro Significato R foris Resistenza termica dovuta alla convezione sulle superfici dei canali assiali di raffreddamento del pacco lamellato di statore R corona_denti Resistenza termica di conduzione tra corona e denti di statore R cave denti Resistenza termica di conduzione dovuta allo strato di isolante nelle superfici di interfaccia tra avvolgimenti e denti di statore R denti_super- Resistenza termica di conduzione tra denti di statore e traf superficie statorica affacciata al traferro R suptrafs Resistenza termica dovuta alla convezione nella superficie di statore affacciata al traferro R carc_int Resistenza termica dovuta alla convezione nelle superfici interne della carcassa soggette al flusso dell’aria di raffreddamento R esterna Resistenza termica dovuta alla convezione naturale sulle superfici esterne della carcassa del motore R fori_carcassa Resistenza termica dovuta alla convezione nelle superfici dei canali di ingresso e di uscita dell’aria di raffreddamento C EW front Capacità termica degli avvolgimenti della testata frontale C rame attivo Capacità termica degli avvolgimenti attivi di statore C EW rear Capacità termica degli avvolgimenti della testata posteriore C corona statore Capacità termica della corona statorica C denti Capacità termica dei denti di statore PcuEWfront Generatore delle perdite negli avvolgimenti della testata frontale Pcu attiva Generatore delle perdite negli avvolgimenti attivi; PcuEWrear Generatore delle perdite negli avvolgimenti della testata posteriore 2/3 Pfe denti Generatore delle perdite nella parte interna dei denti Pfe corona statore Generatore delle perdite nella corona di statore 1/3 Pfe denti Generatore delle perdite nella parte esterna dei denti (affacciata al traferro) Di seguito, in Figura 10.46, è descritta, in maniera generale, la geometria costruttiva del motore. 436 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 10.46: Geometria assiale del motore e geometria della cava statorica. 10.6.4.3.2. Calcolo delle perdite I generatori di potenza termica nelle due reti esprimono le perdite nelle parti attive di statore e rotore. Tali perdite sono stimate attraverso un determinato sottosistema, che implementa un metodo di calcolo basato su un’analisi del funzionamento del motore. Il sottosistema in oggetto riceve in ingresso alcune tra le variabili fornite dal simulatore di tratta (ovvero lo sforzo di trazione e la velocità del treno) e restituisce in uscita i vari contributi delle perdite. Il metodo di calcolo implementato è strutturato come segue: Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 437 1. Dai valori dello sforzo di trazione e della velocità del treno si ricava il valore della potenza erogata all’albero dal singolo motore e si calcola inoltre la frequenza di statore (sia in regime di flusso nominale, sia in deflussaggio), lo schema di calcolo è rappresentato in Figura 10.47. 2. Dai valori della potenza all’albero e della frequenza statorica, calcolati al punto precedente, si stimano i valori di rendimento e perciò il valore globale delle perdite. 3. Infine, le perdite totali sono separate nei vari contributi tramite dei coefficienti proporzionali (stimati sulla base della ripartizione delle perdite, riferita ad una specifica condizione operativa del motore). Si approfondisce ora il punto 1, ritenuto di maggior interesse. Figura 10.47: Schema rappresentante il calcolo della potenza all’albero e della frequenza statorica. Il valore della potenza all’albero è calcolato ottenendo i valori di coppia e velocità angolare del motore dai valori dello sforzo di trazione e della velocità del treno. Il metodo implementato per il calcolo della frequenza statorica sia in regime nominale, sia in regime di deflussaggio, merita un approfondimento. Calcolo della frequenza statorica in regime di flusso nominale Figura 10.48: Caratteristiche meccaniche del motore al variare della frequenza di alimentazione. Ipotesi semplificativa: si suppone che la frequenza rotorica sia legata da una proporzionalità lineare alla coppia all’albero approssimando ad una retta il tratto discendente della caratteristica meccanica del motore asincrono (tale ipotesi è valida solamente in regime di non deflussaggio). In Figura 10.48 si nota la “linearizzazione” del tratto discendente delle caratteristiche meccaniche in regime di flusso nominale. Il coefficiente di proporzionalità tra coppia e frequenza rotorica è stato ricavato con i valori nominali delle stesse: Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 439 In conclusione, dopo tali approssimazioni si ottiene una proporzionalità diretta tra scorrimento e potenza all’albero. Il coefficiente di proporzionalità è stato ricavato utilizzando i valori nominali delle grandezze: K = s_nom/P_nom; Quindi dai valori della potenza resa si ricava lo scorrimento e di conseguenza, con la frequenza meccanica si ottiene la frequenza di statore: fs = fm/(1 - s); [Hz]. 10.6.5. GRUPPO DI CONVERSIONE In tale paragrafo è descritto il modello relativo al gruppo di conversione. In particolare si analizzano l’inverter e il convertitore di 1° stadio. Il software scelto per l’implementazione è l’ambiente “SIMULINK” di “MATLAB”. 10.6.5.1. Rete termica In Figura 10.50 è possibile notare la struttura della rete termica dei convertitori (inverter e convertitore di 1° stadio. Figura 10.50: Rete termica del gruppo di conversione. 440 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Tuttavia, nella rete è stata considerata anche la potenza dissipata dal chopper ausiliari e dalle relative induttanze di livellamento poiché anch’essi sono interessati dal circuito di raffreddamento del gruppo di conversione. Un’altra fondamentale caratteristica di tale rete è quella di riuscire a rappresentare, da un punto di vista termico, entrambe le configurazioni del convertitore di 1° stadio. Nel fare ciò, si tiene conto delle differenti sollecitazioni alle quali sono sottoposte le giunzioni degli 8 GTO del convertitore al variare del tipo di configurazione del convertitore. Di seguito (Tab. 10.9), sono descritti i parametri circuitali della rete termica del gruppo di conversione. Tabella 10.9: Parametri circuitali della rete termica del gruppo di conversione. Parametro Significato Rj/sink Resistenza termica globale tra le giunzioni dei 6 GTO dell’inverter e il fluido di raffreddamento Rj/sink1 Resistenza termica globale tra le giunzioni dei 6 diodi di ricircolo dell’inverter e il fluido di raffreddamento Rj/sink2 Resistenza termica globale tra le giunzioni dei 6 diodi di snubber dell’inverter e il fluido di raffreddamento Rj/sink3 Resistenza termica globale tra le 3 resistenze di snubber dell’inverter e il fluido di raffreddamento Rj/sink4 Resistenza termica globale tra le giunzioni dei 4 GTO più sollecitati termicamente del convertitore di 1°stadio e il fluido di raffreddamento Rj/sink5 Resistenza termica globale tra le giunzioni dei 4 GTO meno sollecitati termicamente del convertitore di 1°stadio e il fluido di raffreddamento Rj/sink6 Resistenza termica globale tra le giunzioni dei 4 diodi di ricircolo più sollecitati termicamente del convertitore di 1°stadio e il fluido di raffreddamento Rj/sink7 Resistenza termica globale tra le giunzioni dei 4 diodi di ricircolo meno sollecitati termicamente del convertitore di 1°stadio e il fluido di raffreddamento Rj/sink8 Resistenza termica globale tra le giunzioni degli 8 diodi di snubber del convertitore di 1°stadio e il fluido di raffreddamento Rj/sink9 Resistenza termica globale tra le 4 resistenze di snubber del convertitore di 1°stadio e il fluido di raffreddamento R_scambiatore Resistenza termica tra fluido di raffreddamento e aria, (tale resistenza rappresenta lo scambiatore di calore del circuito di raffreddamento del gruppo convertitori) C_acqua Capacità termica dell’intera massa di fluido refrigerante contenuta nel circuito di raffreddamento del gruppo convertitori Pcu GTO Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle 6 giunzioni dei GTO dell’inverter Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 441 Parametro Significato Pcu DR Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle 6 giunzioni dei diodi di ricircolo dell’inverter Pcu DS Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle 6 giunzioni dei diodi di snubber Pcu RS Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle 3 resistenze di snubber Pcu GTO(ext) Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle 4 giunzioni dei GTO più sollecitati termicamente del convertitore di 1°stadio Pcu GTO(int) Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle 4 giunzioni dei GTO meno sollecitati termicamente del convertitore di 1°stadio Pcu DR(int) Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle 4 giunzioni dei diodi di ricircolo più sollecitati termicamente del convertitore di 1°stadio Pcu DR(ext) Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle 4 giunzioni dei diodi di ricircolo meno sollecitati termicamente del convertitore di 1°stadio Pcu DS1 Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle 8 giunzioni dei diodi di snubber del convertitore di 1°stadio Pcu RS1 Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle 4 resistenze di snubber del convertitore di 1°stadio I parametri circuitali trattati, in particolare le resistenze termiche tra le giunzioni dei componenti elettronici e il fluido refrigerante sono calcolati sfruttando dati derivanti da prove di laboratorio sul sistema di propulsione. In particolare, dalle coppie di valori della potenza dissipata dalla giunzione e del salto termico giunzione/fluido refrigerante (entrambe rilevati dalle prove) si ricava il valore della resistenza termica con la nota relazione: Rgiunzione/fluido = (∆Tgiunzione/fluido)/(Pdissipata/giunzione). 10.6.5.2. Calcolo delle perdite I generatori di potenza termica rappresentati in Figure 10.51 si riferiscono alle perdite sulle varie giunzioni degli interruttori elettronici dell’inverter e del convertitore di 1° stadio. In “SIMULINK”, è stato realizzato uno specifico sottosistema adibito al calcolo di tali perdite, rappresentato in Figura 10.51. Occorre specificare che il metodo di calcolo delle perdite implementato in fig.86 tiene conto di come variano le sollecitazioni termiche sulle giunzioni del convertitore di 1° stadio al variare della configurazione di funzionamento di quest’ultimo (raddrizzatore/chopper). Per una descrizione tecnica più dettagliata sul funzionamento del convertitore 4Q si rimanda al Capitolo 6. Ora si descrive, in maniera sintetica, l’impostazione del metodo di calcolo delle perdite nelle giunzioni dell’inverter. 442 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 10.51: Sottosistemi adibiti al calcolo delle perdite nel gruppo di conversione. A rigore, la relazione teorica che esprime le perdite in un generico interruttore elettronico è la seguente: P = Pcond + Pcomm = δ ⋅ ∆v ⋅ I + fc ⋅ k ⋅ V ⋅ I ⋅ 2 ⋅ tcomm; dove: Pcond = perdite di conduzione; Pcomm = perdite di commutazione; δ = duty cicle dell’interruttore; ∆v = caduta di tensione sull’interruttore durante la conduzione; I = corrente di conduzione; fc = frequenza di commutazione; k = parametro; V = tensione ai capi dell’interruttore durante l’interdizione; tcomm = tempo che impiega l’interruttore a commutare. Tuttavia, è una relazione molto complessa e sensibile agli eventuali errori commessi sulla stima dei parametri che la caratterizzano. Allora, pur con qualche approssimazione, si decide di utilizzare un’altra relazione semplificata: P = Pcond + Pcomm = K1 ⋅ I + K2 ⋅ fc; In pratica si suppone che una quota delle perdite di giunzione (relativa alle perdite di conduzione) sia proporzionale alla corrente efficace erogata dall’inverter e la restante parte (relativa alle perdite di commutazione) sia proporzionale alla frequenza di commutazione dello stesso. In questo modo si esprime la potenza dissipata sulla giunzione in funzione di due variabili facilmente ricavabili da quelle disponibili in input e fornite dal simulatore di tratta. I coefficienti K1 e K2 sono stimati attraverso una valutazione di dati derivanti da prove di laboratorio condotte sul sistema di propulsione. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 443 Per quanto riguarda il calcolo delle perdite nel convertitore di 1° stadio si utilizza la seguente relazione semplificata: P = K3 ⋅ I; L’utilizzo della relazione è giustificato dal fatto che il convertitore lavora ad una frequenza di commutazione costante (250/260 Hz) durante il funzionamento del sistema di propulsione, perciò è lecito esprimere le perdite di giunzione in funzione della sola corrente di conduzione. In tale paragrafo è descritto il modello del trasformatore di trazione. Il software scelto per l’implementazione è ancora l’ambiente “SIMULINK” di “MATLAB”. 10.6.6. TRASFORMATORE 10.6.6.1. Rete termica In Figura 10.52 è rappresentata la rete termica del trasformatore monofase di trazione. È necessario specificare che tale rete è in grado di rappresentare da un punto di vista termico entrambe le configurazioni operative del trasformatore, ovvero sia con catenaria in 25 kV c.a. sia con catenaria in 3 kV c.c. Figura 10.52: Rete termica del trasformatore. 444 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Di seguito (Tab. 10.10), sono descritti i parametri circuitali della rete termica del gruppo di conversione. Tabella 10.10: Parametri circuitali della rete termica del trasformatore. Parametro Significato R_primario Resistenza termica data dalla serie tra resistenza termica dell’isolante dell’avvolgimento primario e resistenza termica di convezione nelle superfici a contatto con l’olio R_secondario Resistenza termica data dalla serie tra resistenza termica dell’isolante degli avvolgimenti secondari di trazione e resistenza termica di convezione nelle superfici lambite dall’olio R_secondarioDC Resistenza termica data dalla serie tra resistenza termica dell’isolante degli avvolgimenti secondari aggiuntivi (utilizzati come filtro lato rete in configurazione 3 kV c.c.) e resistenza termica di convezione nelle superfici lambite dall’olio R_induttanzeAC Resistenza termica data dalla serie tra resistenza termica dell’isolante degli avvolgimenti delle induttanze utilizzate in entrambe le configurazioni (3 kV e 25 kV), e resistenza termica di convezione nelle superfici lambite dall’olio R_induttanzeDC Resistenza termica data dalla serie tra resistenza termica dell’isolante degli avvolgimenti delle induttanze utilizzate solo in configurazione 3 kV c.c. (utilizzate per accoppiare il chopper 3-level al bus dc dell’inverter) e resistenza termica di convezione nelle superfici lambite dall’olio R_olio/aria Resistenza termica globale dei due scambiatori di calore (olio/aria) riferita al salto termico tra la temperatura media dell’olio lungo lo scambiatore e la temperatura dell’aria in ingresso dello stesso C_primario Capacità termica del rame dell’avvolgimento primario C_secondario Capacità termica del rame degli avvolgimenti secondari di trazione C_secondarioDC Capacità termica del rame degli avvolgimenti secondari aggiuntivi utilizzati in c.c. C_induttanzeAC Capacità termica del rame delle induttanze utilizzate in entrambe le configurazioni (3kV e 25 kV) C_induttanzeDC Capacità termica del rame delle induttanze utilizzate solo in configurazione 3 kV c.c. C_olio Capacità termica dell’olio contenuto nell’intero circuito di raffreddamento del trasformatore P_primar. Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nell’avvolgimento primario Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 445 Parametro Significato P_secondar. Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule negli avvolgimenti secondari di trazione P_secondar.DC Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule negli avvolgimenti aggiuntivi utilizzati in configurazione 3 kV c.c. P_indut.AC Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle induttanze utilizzate in entrambe le configurazioni P_indut.DC Generatore di potenza termica rappresentante le perdite joule nelle induttanze utilizzate solamente in configurazione 3 kV c.c. I parametri circuitali appena visti, in particolare le resistenze termiche tra il rame del generico avvolgimento e l’olio del trasformatore sono stimate attraverso specifiche prove termiche di laboratorio condotte sul trasformatore. Con un procedimento analogo a quello visto per il gruppo di conversione (calcolo delle resistenze tra giunzioni e fluido refrigerante) si ha: Ravvolgimento/olio = (∆Tavvolgimento/olio)/(Pdissipata/avvolgimento). Va precisato che il valore di temperatura dell’olio presa come riferimento corrisponde a quella media; mentre la temperatura dell’avvolgimento è quella rilevata dalle fibre ottiche puntuali nelle prove di laboratorio. 10.6.6.2. Calcolo delle perdite I generatori di potenza termica rappresentati in Figura 10.53 si riferiscono alle perdite nei vari avvolgimenti del trasformatore. In “SIMULINK”, è stato realizzato uno specifico sottosistema adibito al calcolo di tali perdite, rappresentato in Figura 10.53. Figura 10.53: Sottosistemi adibiti al calcolo delle perdite nel trasformatore. 446 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata A questo punto è necessario analizzare l’impostazione del metodo di calcolo delle perdite sul generico avvolgimento interno del trasformatore. La relazione teorica, ben nota, che esprime le perdite joule in regime armonico su un conduttore ohmico è la seguente: Pjoule = R1 ⋅ I1eff2 + R2 ⋅ I2eff2 + R3 ⋅ I3eff2 + ...+ Rn ⋅ Ineff2 + …; Dove “R1, R2, …, Rn, …” sono i valori delle resistenze del conduttore alle varie armoniche e “I1eff, I2eff, ..., Ineff, ...” sono i valori efficaci delle correnti armoniche circolanti sul conduttore stesso. Se si applicasse a rigore tale relazione sarebbe necessario tenere conto della variazione della resistenza con la temperatura e con la frequenza delle correnti circolanti, inoltre sarebbe necessario conoscere con precisione i valori delle varie componenti armoniche della corrente su ogni avvolgimento. Queste operazioni complicherebbero significativamente l’implementazione del modello e si rischierebbe di ottenere risultati non attendibili, dovuti a probabili errori sulla stima delle varie componenti armoniche. Allora per il calcolo delle perdite sul generico avvolgimento si decide di utilizzare la seguente relazione approssimata: Pjoule = K1 ⋅ I1eff2; Con essa si considera solamente la corrente di 1° armonica e inoltre si suppone il valore di resistenza “K1” costante al variare della temperatura dell’avvolgimento. Il coefficiente “K1”, ovvero il valore di resistenza che si considera è calcolato considerando i dati di specifica del trasformatore e si riferisce perciò alle condizioni operative nominali. Seppur si introducono alcune approssimazioni, la relazione utilizzata risulta abbastanza rappresentativa delle situazioni reali di funzionamento della macchina poiché nel profilo di tratta le temperature medie degli avvolgimenti si avvicinano a quelle nominali. Inoltre il fatto di considerare il parametro K1 fisso al proprio valore nominale compensa l’eventuale sottostima delle perdite introdotta considerando solamente la corrente di 1° armonica e trascurando dunque le correnti di contenuto armonico superiore. La corrente di 1° armonica del generico avvolgimento è stimata in funzione della potenza erogata dai motori di trazione e perciò si ha: I1eff = K2 ⋅ Pmot; dove “Pmot” è la potenza erogata all’albero dal singolo motore. Il coefficiente di proporzionalità “K2” è stimato sulla base dei dati di specifica riferiti alle condizioni operative nominali del sistema di propulsione. La scelta di utilizzare tale relazione per determinare le correnti sugli avvolgimenti del trasformatore è fondata sul fatto che le tensioni a monte e a valle del trasformatore rimangono pressochè costanti al variare delle condizioni operative del sistema di propulsione mentre le correnti sono influenzate dalla potenza richiesta dalla trazione. Inoltre la variabile “Pmot” è ottenibile direttamente dalle variabili fornite dal simulatore di tratta. 10.6.7. INTERFACCIA PER I DATI IN INPUT AL SIMULATORE TERMICO In questo paragrafo si analizza come sia stato realizzato il blocco in “SIMULINK” adibito all’interfaccia con i dati in input al modello. Un esempio di tali dati è fornito di seguito, in Figura 10.54. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 447 Figura 10.54: Dati in input descrittivi di una porzione della tratta “MilanoNapoli”. I dati rappresentati in Figura 10.54 costituiscono il risultato di un software che implementa un simulatore di tratta. Com’è possibile notare, ogni colonna si riferisce all’andamento temporale di una determinata variabile lungo la tratta del treno. Tuttavia non tutte le variabili a disposizione sono utilizzate nel modello, poiché sono sufficienti solamente la forza totale ai cerchioni, il tempo di percorrenza, la velocità del treno e il tipo di tensione di catenaria. In Figura 10.55 è rappresentato il blocco che gestisce le variabili sopracitate e consente di ottenere da esse altre grandezze direttamente interfacciabili con i vari modelli. Figura 10.55: Blocco relativo all’inserimento dei dati in input. All’interno del blocco di Figura 10.55 vi sono i sotto-blocchi rappresentati in Figura 10.56. 448 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 10.56: Sottosistemi adibiti alla gestione delle variabili fornite in input al simulatore. I sottosistemi rappresentati in Figura 10.56 consentono di ricavare, dai dati in input, le molteplici variabili necessarie ai vari modelli termici (motore, trasformatore, convertitori) per il calcolo delle perdite. In particolare, analizzando la Figura 10.55, si ha: –– Forza_cerchione = sforzo di trazione totale ai cerchioni di una locomotiva; –– V_fase_inv = tensione di fase all’uscita dell’inverter (corrisponde alla tensione di alimentazione dei motori); –– V_linea = tensione della catenaria di alimentazione; –– f_comm_inv = frequenza di commutazione nei GTO dell’inverter; –– velocità = velocità in km/h del treno; –– P_ausiliari = potenza richiesta dai carichi ausiliari ad uno dei due azionamenti della locomotiva; –– Is = corrente assorbita da un motore di trazione; –– P_mot = potenza erogata da un motore di trazione. Si approfondisce ora il metodo implementato per il calcolo della potenza erogata dal motore di trazione e il metodo per il calcolo della corrente assorbita dallo stesso. Il calcolo della potenza erogata dal motore deriva dall’implementazione della seguente relazione: P = C_mot ⋅ ω_mot [W]; Dove: –– C_mot = coppia all’albero del motore (ricavata facilmente dai valori di forza al cerchione in input) [Nm]; –– ω_mot = velocità dell’albero motore (ricavata facilmente dalla velocità del treno in input) [radm/s]. Il calcolo della corrente assorbita dal motore, invece, è stato effettuato assumendo alcune ipotesi semplificative. Analizzando il funzionamento del motore asincrono si deduce che la corrente magnetizzante ha un mo- Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 449 desto valore rispetto al valore globale della corrente assorbita. Sulla base di ciò, ipotizziamo che la corrente statorica sia uguale a quella rotorica e quindi, dal circuito equivalente della macchina asincrona, si ha: P Is = Ir′ = 3 ⋅ Rr ′ ⋅ (1 - s ) [A]; s Dove: –– P = potenza erogata dal motore; –– Rr′ = resistenza rotorica riferita a statore; –– s = scorrimento del motore. 10.6.8. VALIDAZIONI DEI MODELLI In tale paragrafo si illustrano le procedure di validazione dei vari modelli realizzati, basate su un confronto tra valori di temperatura forniti dalle simulazioni e valori di temperatura rilevati realmente nelle prove termiche di laboratorio. In particolare si effettua un confronto sui valori di temperatura riferiti al regime termico. Le prove di laboratorio (prove di tipo) considerate per le validazioni sono caratterizzate dal fatto di far funzionare il sistema di propulsione a condizioni operative ben definite e costanti lungo tutta la durata delle stesse prove. Chiaramente, per rendere coerenti i confronti tra valori di temperatura simulati e valori di temperatura sperimentali è necessario eseguire le simulazioni impostando in “SIMULINK” condizioni operative analoghe a quelle delle prove di laboratorio. 10.6.8.1. Motore Di seguito, in Tabella 10.11 sono esposti i dati relativi alle due prove termiche prese come riferimento per le validazioni del modello del motore. Tabella 10.11: Prove termiche di tipo sul motore. Grandezze Pro va termica "A" Pro va termica "B" 1210 kW 1221 kW 133 Hz 72 Hz 1130 kW 1162 kW Tensione concatenata di alimentazione 1870 V 1870 V Corrente di fase assorbita 421 A 418 A 2730 Nm 5120 Nm Rendimento 0.93 0.95 Durata prova 8400 s 11880 s Temperatura ambiente 26.1 °C 14.8 °C Potenza assorbita Frequenza di alimentazione Potenza resa Coppia al!'albero 450 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Nelle presenti prove termiche sono state rilevate varie temperature, tuttavia, tra queste sono state selezionate solamente quelle confrontabili con le temperature fornite in uscita dal modello in SIMULINK. In particolare, per la prova termica “A” sono state considerate le seguenti: –– Temperatura negli avvolgimenti della testata frontale (lato ingresso aria) (rilevata tramite un pirometro ad infrarosso); –– Temperatura negli avvolgimenti della testata posteriore (lato uscita aria), (rilevata tramite un pirometro ad infrarosso); –– Temperatura nel dente di statore (rilevata da una sonda di temperatura opportunamente posizionata all’interno del dente). Mentre nella prova termica “B” è stata registrata solamente la temperatura nel dente di statore. In conclusione si illustra, in Tabella 10.12 il confronto dei valori di temperatura a regime per entrambe le prove: Tabella 10.12: Tabelle relative ai confronti di temperatura tra prove di tipo e simulazioni. Prova termica “A” Temperature modello [°C] Temperature prova termica “A” [°C] T_dente_statore 203 204 T_testata_frontale 144 142 T_testata_posteriore 175 173 Prova termica “B” Temperature modello [°C] Temperature prova termica “B” [°C] 139 137 T_dente_statore Le lievi differenze riscontrate sono dovute principalmente alle varie ipotesi semplificative adottate nella realizzazione del modello. Comunque è possibile confermare la validità del modello termico del motore poiché è stata verificata l’attendibilità dei risultati di simulazione per due condizioni operative differenti: una prima alla velocità massima del motore (133 Hz), una seconda alla velocità nominale (72 Hz). 10.6.8.2. Gruppo di conversione Di seguito sono esposte le validazioni relative all’inverter e al convertitore di 1° stadio nella configurazione “raddrizzatore a 4 quadranti”. 10.6.8.2.1. Inverter In Tabella 10.13, sono esposte le condizioni operative della prova termica di laboratorio presa come riferimento per la validazione del modello dell’inverter. La prova è condotta sul sistema di propulsione, posizionando la locomotiva sul banco a rulli. Nella prova termica, tramite l’utilizzo di opportune termocoppie, sono state rilevate le temperature sui casi dei componenti elettronici più critici, in particolare: Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia –– –– –– –– –– Tabella 10.13: Dati della prova termica di laboratorio sul sistema di propulsione. 451 Temperatura del fluido refrigerante (in uscita dallo scambiatore di calore); Temperatura giunzioni GTO; Temperatura giunzioni diodi di ricircolo; Temperatura giunzioni diodi di snubber; Temperatura resistenze di snubber. Grandezze Valori Potenza erogata inverter 1660 kW Potenza assorbita ausiliari 0 kW Velocità 114 km/h Forza totale ai cerchioni 191 kN Tensione di catenaria 3 kV Frequenza fondamentale inverter 50 Hz Tensione concatenata uscita inverter 1400 V Frequenza di commutazione GTO 250 Hz Corrente efficace uscita inverter 790 A Temperatura dell’aria in ingresso allo scambiatore di calore 31.17 °C Durata prova 14400 s Di seguito, in Tabella 10.14, è esposto il confronto tra temperature di prova e temperature di simulazione (entrambe riferite al regime termico). Tabella 10.14: Confronto di temperature tra prova di laboratorio e simulazione. Confronto Temperature prova termica [°C] Temperature simulazione [°C] T_GTO 58.9 56.1 T_diodi ricircolo 52.5 49.7 T_diodi snubber 50.9 48.1 T_resistenza snubber 89.2 86.3 T_fluido refrigerante (out scambiatore) 35.6 32.8 Dalla Tabella 10.14 è evidente un elevato accostamento tra temperature fornite dalla simulazione e temperature registrate nella prova termica, si può concludere perciò che il modello realizzato per l’inverter risulta valido. 10.6.8.2.2. Convertitore di 1°stadio In questo paragrafo è rappresentata la validazione del modello del convertitore di 1°stadio. La prova termica, presa come riferimento, si riferisce alla configurazione da raddrizzatore a 4 quadranti. La modalità di esecuzione della prova stessa è analoga a quella descritta per l’inverter e i relativi dati sono rappresentati in Tabella 10.15. Le temperature rilevate dalle termocoppie sono della stessa tipologia di quelle rilevate per le validazioni dell’inverter. 452 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Tabella 10.15: Dati relativi alla prova termica di laboratorio. Grandezze Valori Potenza erogata inverter 2798 kW Potenza assorbita ausiliari 0 kW Velocità 274 km/h Forza totale ai cerchioni 134.7 kN Tensione di catenaria 25 kV Frequenza fondamentale inverter 120 Hz Tensione concatenata uscita inverter 1870 V Frequenza di commutazione GTO 250 Hz Temperatura dell’aria in ingresso allo scambiatore di calore 31.15 °C Durata prova 1000 s Alla luce dei risultati rappresentati in Tabella 10.16 è possibile confermare la validità del modello termico del convertitore di 1°stadio. Tabella 10.16: Confronto di temperature tra prova di laboratorio e simulazione. 10.6.8.3. Tabella 10.17: Dati relativi alla prova termica di laboratorio. Confronto Temperature prova termica [°C] Temperature simulazione [°C] T_GTO 55.4 52.9 T_diodi ricircolo 74.8 72.1 T_diodi snubber 68.8 66 T_resistenza snubber 88.3 85.5 T_fluido refrigerante (out scambiatore) 36.8 34.4 Trasformatore In questo paragrafo è esposta la validazione del trasformatore di trazione. Di seguito, in Tabella 10.17, è illustrata la prova di laboratorio presa come riferimento per il confronto con i risultati di simulazione. La prova di laboratorio è effettuata sulla locomotiva posta sul banco a rulli. Le temperature nei vari avvolgimenti interni sono rilevate tramite sistemi di fibre ottiche puntuali e fibre ottiche continue. Grandezze Valori Potenza assorbita trafo 6120 kW Velocità 185 Km/h Tensione di catenaria 25 kV Corrente assorbita al primario del trafo 240 A Sforzo totale ai cerchioni della locomotiva 85 kN Durata prova 10800 s Temperatura aria (ingresso torri di raffreddamento) 30.7 °C Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 453 Le temperature ottenibili dalla prova e utili al confronto con le temperature di simulazione sono le seguenti: –– Temperatura media olio (data dalla media tra la temperatura dell’olio in uscita e dalla temperatura dell’olio in ingresso dello scambiatore); –– Temperatura media avvolgimento primario (data dalla media tra le temperature registrate dalle varie fibre ottiche puntuali); –– Temperatura massima avvolgimento secondario (rilevata dalle fibre ottiche continue); –– Temperatura media sulle due induttanze utilizzate in entrambe le configurazioni (data dalla media tra le varie temperature rilevate dalle fibre ottiche puntuali). La Tabella 10.18 dimostra un elevato accostamento tra valori di temperatura sperimentali e valori di temperatura provenienti dalla simulazione, alla luce di ciò è possibile confermare la validità del modello termico realizzato per il trasformatore. Tabella 10.18: Confronto di temperature tra prova di laboratorio e simulazione. 10.6.9. Confronto Temperature prova termica [°C] Temperature simulazione [°C] T_primario 103 98.6 T_secondario 133.3 129 T_induttanze 96 91.6 T_olio media 91.5 87 SIMULAZIONI DI TRATTA A valle delle validazioni effettuate è possibile utilizzare il modello ai fini di simulare, in maniera realistica, la risposta delle sollecitazioni termiche nei principali elementi costruttivi del motore nel funzionamento del treno lungo una generica tratta. In particolare, in tale paragrafo ci si riferisce alla tratta “Milano-Napoli”. Inoltre, si esegue un confronto tra il funzionamento del treno in condizioni normali (due locomotive attive) e il funzionamento in condizioni degradate (una locomotiva attiva). In particolare sono visualizzati due andamenti per ciascun grafico, riferiti a condizioni di funzionamento nominali (2 locomotive attive) (blu) e condizioni di funzionamento degradate (1 locomotiva attiva) (rosso). È evidente che in condizioni degradate la singola locomotiva è maggiormente sovraccaricata per far fronte alla mancanza di trazione nella locomotiva guasta. Come conseguenza, nel funzionamento in condizioni degradate si hanno maggiori sollecitazioni termiche sui componenti della catena di trazione. Questo fatto trova conferma, ad esempio, nella temperatura sul dente di statore del motore di trazione, rappresentata in Figura 10.57. In Figura 10.58, nella quale è rappresentato il salto termico medio tra l’olio del trasformatore e l’aria ambiente, è evidente una maggior sollecitazione termica della macchina in condizioni degradate. 454 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 10.57: Andamenti della potenza di trazione della singola locomotiva e del salto termico tra dente di statore e aria ambiente in funzione della distanza percorsa. Nel tragitto “Firenze-Roma”, ad esempio, si raggiungono i 250 Km/h sia in condizioni normali sia in condizioni degradate, questo comporta però (nel funzionamento con una sola locomotiva attiva) un notevole aumento delle perdite e un conseguente aumento della temperatura dell’olio. Un discorso analogo a quello fatto per l’olio del trasformatore è possibile ripeterlo per il fluido refrigerante del gruppo di conversione (vedi Fig. 10.59). Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 455 Figura 10.58: Andamenti del salto termico medio tra l’olio del trasformatore e l’aria ambiente al variare in funzione della distanza percorsa. Figura 10.59: Andamenti del salto termico medio tra il fluido refrigerante del gruppo di conversione e l’aria in ingresso all’apposito scambiatore di calore in funzione della distanza percorsa. 10.7. IL PROCESSO MANUTENTIVO DEL MATERIALE ROTABILE Il processo di manutenzione viene definito come la combinazione di tutte le azioni tecniche ed amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare un sistema in uno stato in cui possa eseguire le funzioni richieste. La manutenzione del materiale rotabile assume una rilevanza di primo piano dato l’impatto che essa riveste a livello aziendale in termini economico-organizzativi, rappresentando un’operazione necessaria Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 457 La manutenzione su condizione (Condition Based Maintenance) rappresenta una strategia manutentiva schedulata dinamica effettuata sulla base dello stato attuale del sistema, monitorando le condizioni dei componenti attraverso l’introduzione di indicatori dello stato di salute e/o di vita residua. Tali indicatori vengono definiti correlando alcune grandezze critiche che contraddistinguono il funzionamento del sottosistema con lo stato del sottosistema stesso, definendo dei livelli di soglia ottimali per tali grandezze oltre il quale (o al di sotto del quale) il componente presenta un’elevata probabilità di guasto. Tale approccio consente quindi di adattare idealmente in maniera dinamica l’intervento manutentivo e quindi di sfruttare in maniera più efficace la vita utile del componente, provvedendo alla riparazione o sostituzione sulla base del reale stato di salute dello stesso e abbattendo quindi i costi impliciti di una manutenzione preventiva programmata. 10.7.1. IL PIANO DI MANUTENZIONE DELLE FLOTTE AV DI TRENITALIA La manutenzione delle flotte AV detenute da Trenitalia viene effettuata in accordo a quanto definito nei Piani di Manutenzione, contenenti tutti gli intervalli di manutenzione programmata (a scadenza chilometrica e temporale) e la descrizione della attività da eseguire differenziate per sottosistemi, articolate attualmente su due livelli gerarchici: –– Manutenzione preventiva programmata di 1° Livello o manutenzione corrente. –– Manutenzione preventiva programmata di 2° Livello o manutenzione ciclica. Vengono riportati nella tabella sottostante gli intervalli manutentivi della flotta ETR 1000, dalla quale risultano visibili le scadenze temporali e chilometriche delle azioni manutentive di 1° Livello (IO, F1, F2, F3, F4 ed a tempo) e le scadenze chilometriche relative alle operazioni manutentive di 2° Livello (R1, R2, R3, ML). 458 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Le attività previste nel Piano di Manutenzione attuale (sia di 1° Livello che di 2° Livello) sono suddivisibili in tre categorie, in funzione dei possibili effetti dell’avaria e delle ripercussioni che possono avere nella circolazione sull’infrastruttura: –– Sicurezza (S), fondamentali per la circolazione sull’infrastruttura delle Ferrovie dello Stato Italiane. –– Regolarità di esercizio (R), consigliate per mantenere affidabile il mezzo nel tempo. –– Comfort, decoro o altro (C), in base al livello stabilito o richiesto dalla società di trasporto. Gli interventi manutentivi da effettuare in accordo agli intervalli sopra definiti sono esplicitati nel documento, con il rimando alle Schede di Manutenzione presenti all’interno dei Manuali di Manutenzione che riportano le azioni dettagliate da effettuare per ripristinare lo stato del componente/ sottosistema. In base a tale Piano di Manutenzione preventiva programmata si riescono ad accorpare in determinati step manutentivi più tipologie di interventi (essendo presenti delle scadenze chilometriche o temporali multiple tra Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 459 loro) per consentire un’ottimizzazione dei tempi di fermo treno, una migliore gestione del personale addetto alle manutenzione e quindi garantire una maggiore disponibilità al servizio del materiale rotabile. Nonostante ciò però, assumendo tale strategia manutentiva un atteggiamento parzialmente reattivo, l’attività svolta dal personale di manutenzione prescinde dall’effettivo stato di salute del componente e quindi in taluni casi l’intervento può essere eseguito seppur il sistema si trovi in uno stato di degrado non avanzato mentre in altri l’intervento manutentivo potrebbe ridursi ad un’azione correttiva a seguito del maggior degrado del componente all’interno dell’intervallo manutentivo previsto. 10.7.2. MANUTENZIONE PREDITTIVA SU CONDIZIONE (CONDITION BASED MAINTENANCE ) ED APPLICAZIONE SULLA FLOTTA ETR 1000 L’esigenza di adottare una strategia manutentiva che consenta di aumentare il più possibile la disponibilità e la vita utile di un rotabile, garantendo al contempo un maggiore livello di sicurezza, la massimizzazione della vita utile dei componenti e la diminuzione del costo-efficacia degli interventi manutentivi ha portato l’impresa ferroviaria a sviluppare un Piano di Manutenzione basato sull’integrazione della manutenzione preventiva programmata con quella su condizione (Condition Based Maintenance). L’utilizzo di una strategia di manutenzione su condizione presuppone come requisito fondamentale la conoscenza tecnica del treno ed in particolare dei suoi componenti fondamentali e dei meccanismi di evoluzione del degrado nel regolare esercizio del rotabile. Parallelamente, le informazioni necessarie riguardanti le grandezze caratteristiche del sistema nelle varie condizioni operative di esercizio devono essere misurabili e trasmissibili per garantire l’interfaccia con l’utente che effettuerà la manutenzione del componente. In quest’ottica, lo sviluppo tecnologico del rotabile nel corso degli anni a livello informatico, elettronico e in materia di sensori, ha favorito fortemente la disponibilità di tali informazioni che possono quindi essere rilevate ed elaborate con continuità a bordo treno da centraline dedicate ed inviate ai sistemi di Terra tramite le centraline di Telediagnostica installate ad esempio sulla flotta ETR 1000. Concentrando l’attenzione sui componenti il cui guasto comporta un maggiore impatto sul servizio, in termini di oneri manutentivi e di costi di riparazione o sostituzione, vengono monitorate le variabili a disposizione acquisite dai sensori presenti a bordo o rilevate dalla logica di veicolo del treno ed elaborate per definire degli indicatori che consentano di modellare il più fedelmente possibile lo stato reale di salute o di vita residua del componente. La definizione degli indicatori di vita residua e dello stato di salute rappresenta una fase critica e non sempre facile da eseguire. Nei paragrafi seguenti verranno illustrati, dopo una breve introduzione sull’architettura del sistema di comando e controllo del treno e dell’interfacciamento con i sistemi di Terra, alcuni casi pratici di applicazione della manutenzione su condizione alla flotta ETR 1000 fornendo un’indicazione del processo intrapreso per arrivare alla definizione degli indicatori di vita residua e dello stato di salute. 460 10.7.2.1. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Architettura del sistema di comando e controllo ed interfacciamento con i sistemi di Terra Il sistema di comando e controllo del treno ETR 1000 è un sistema elettronico distribuito e modulare che controlla ed esegue il monitoraggio dei sistemi di bordo. Tutte le centraline sono interconnesse tramite un bus MVB (Multifunction Vehicle Bus) e/o IP (Internet Protocol) che consente l’interscambio di informazioni. La centralina CCU-O contiene l’applicazione per il controllo del veicolo (la CCU-S gestisce il veicolo per le funzioni di sicurezza), mentre i moduli di input/output (unità MIO) sono distribuiti in tutte le vetture del convoglio e consentono di attuare i comandi impartiti dalle centraline per i vari componenti e di rilevarne lo stato. La centralina del sistema di diagnostica di treno (CCU-D) raccoglie, memorizza e opera sulle informazioni inerenti agli eventi, alle avarie ed allo stato del veicolo che vengono trasmessi dalle varie centraline: tali informazioni vengono poi inviate al sistema di Terra mediante un Mobile Communication Gateway (MCG) per poter essere immagazzinate in un database. L’architettura del sistema di Terra consente di elaborare i dati a disposizione e di creare Algoritmi Diagnostici utili per generare avvisi di manutenzione, gestendo anche l’interfaccia con i sistemi di gestione del processo manutentivo. 10.7.2.2. Indicatori di vita residua Un indicatore di vita residua consente di monitorare il processo di invecchiamento dei componenti, attraverso la definizione di una combinazione di parametri da controllare: al superamento della soglia utile predefinita (solitamente prevista in accordo alle specifiche tecniche del componente) viene eseguito l’intervento manutentivo di sostituzione del componente. Tali indicatori consentono quindi di sfruttare in maniera ottimale la vita utile del componente se correttamente integrati nel processo di manutenzione Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 461 preventiva programmata (qualora questo sia compatibile) o comunque di evitare il più possibile interventi di manutenzione correttiva, anticipandoli. La definizione dell’indicatore di vita residua si fonda sulla conoscenza delle specifiche tecniche di progetto del componente da monitorare (quali ad esempio il numero di movimentazioni di un interruttore principale) oppure su rilevazioni sperimentali (ad esempio il tempo per il quale una pompa di circolazione dell’olio per il trasformatore principale rimane operante), verificando quali sono i limiti intrinsechi di funzionamento del componente. Una volta definito quali sono i limiti costruttivi del sistema, deve essere verificata la presenza a livello treno delle variabili di interesse o le segnalazioni diagnostiche necessarie per monitorare i precitati limiti di funzionamento del componente. L’architettura del sistema di comando e controllo della locomotiva o del treno, unita alla capacità di monitoraggio ed invio ai sistemi di Terra delle variabili, rappresenta un elemento fondamentale per definire indicatori da utilizzare per la manutenzione on condition. Vengono descritti nel seguito i principi implementativi di alcuni indicatori di vita residua definiti per la flotta ETR 1000. 10.7.2.2.1. Numero di movimentazioni dell’interruttore principale in corrente alternata L’interruttore principale in corrente alternata è il dispositivo preposto ad alimentare il circuito di potenza del treno ed a proteggere lo stesso in caso di sovraccarichi e/o corto circuiti. Nello schema elettrico sottostante viene 462 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata mostrata l’architettura di comando e controllo dell’interruttore principale (AC LCB), basata su relè comandati da moduli di uscita digitali afferenti al sistema di propulsione e su feedback acquisiti tramite moduli di ingresso digitali da parte delle centraline del sistema di propulsione. L’indicatore di vita residua per il calcolo del numero di movimentazioni dell’interruttore è basato sulla seguente logica di funzionamento: –– Numero di movimentazioni in chiusura dell’AC LCB. –– Ordine di chiusura dell’AC LCB richiesto dalla centralina di propulsione (PCU) al LIM (dispositivo di monitoraggio del sistema di alta tensione). –– Presenza del feedback di stato chiuso acquisito mediante ingresso digitale dal LIM. –– Numero di movimentazioni in apertura dell’AC LCB. –– Ordine di apertura dell’AC LCB richiesto dalla centralina di propulsione (PCU) al LIM (dispositivo di monitoraggio del sistema di alta tensione). –– Presenza del feedback di stato aperto acquisito mediante ingresso digitale dal LIM. Conteggiando un ciclo di apertura e conseguente chiusura, l’indicatore viene incrementato di una unità: tale valore viene memorizzato all’interno della centralina di propulsione che provvede ad inviarlo tramite il bus di treno al database diagnostico (centralina CCU-D). Con l’ausilio della centralina di Telediagnostica tale contatore viene periodicamente inviato al sistema di Terra (e contestualmente azzerato a livello di centralina CCU-D ad ogni download) che provvede all’incremento ed all’immagazzinamento dello stesso. In base al raggiungimento delle soglie definite in base alle specifiche tecniche del componente, sono previste tre tipologie di intervento manutentivo su condizione generate in automatico dal sistema di Terra: –– Superamento soglia 1 (50000 cicli) → effettuare un’ispezione visiva generale del componente. –– Superamento soglia 2 (100000 cicli) → effettuare un’ispezione visiva e dei test del componente (incluse misure di pressione di contatto, del tempo di movimentazione del contatto principale, test di tenuta all’aria, …). –– Superamento soglia 3 (200000 cicli) → provvedere alla sostituzione del componente. Le operazioni di manutenzione su condizione permettono quindi di integrare il Piano di Manutenzione attuale basato sulla preventiva programmata di 1° livello ad intervalli temporali (12 mesi per l’ispezione visiva, 2.5 anni per l’ispezione visiva con test e 5 anni per la sostituzione del componente). 10.7.2.2.2. Ore di funzionamento pompa olio La pompa olio è il dispositivo che consente di ottenere la circolazione dell’olio in pressione nel circuito di raffreddamento del trasformatore, in modo tale da permettere uno scambio termico ottimale dell’olio con il flusso di aria esterna. La pompa, alimentata dalla rete ausiliaria a 400 V - 50 Hz (corrente alternata) e protetta mediante un interruttore magnetotermico tripolare, viene comandata dal sistema di propulsione (PCU) mediante un relè eccitato da un modulo di uscita digitale. A valle di rilevazioni sperimentali effettuate dal costruttore del rotabile, è stato definito un indicatore di vita residua che tiene conto delle ore di funzionamento della pompa olio. Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 463 L’indicatore di vita residua per il calcolo delle ore di funzionamento della pompa olio è basato sulla seguente logica di funzionamento: –– Presenza del feedback di pompa attiva (acquisito dal sistema di propulsione tramite il modulo di ingresso digitale DX30), indicante che l’interruttore magnetotermico e il contattore della pompa olio sono entrambi chiusi. –– Rilevazione della presenza di flusso olio normale (acquisito dal sistema di propulsione tramite il modulo di ingresso digitale DX30). Conteggiando ogni ora in cui la pompa rimane alimentata e funzionante, l’indicatore viene incrementato di una unità: tale valore viene memorizzato all’interno della centralina di propulsione che provvede ad inviarlo tramite il bus di treno al database diagnostico. Con l’ausilio della centralina di Telediagnostica tale contatore viene periodicamente inviato al sistema di Terra (e contestualmente azzerato a livello di CCU-D ad ogni download) che provvede all’incremento ed all’immagazzinamento dello stesso. In base al raggiungimento delle soglie definite con rilevazioni sperimentali, sono previste due tipologie di intervento manutentivo su condizione generate in automatico dal sistema di Terra: –– Superamento soglia 1 → effettuare un intervento manutentivo leggero –– Superamento soglia 2 → provvedere alla sostituzione della pompa olio Le operazioni di manutenzione su condizione permettono quindi di integrare il Piano di Manutenzione attuale basato sulla preventiva programmata di 1° livello ad intervalli temporali (10 anni per la sostituzione del componente). 10.7.2.3. Indicatori dello stato di salute Un indicatore dello stato di salute consente di rappresentare il reale stato operativo di un componente attraverso la rilevazione di grandezze critiche per l’esercizio del sistema: il monitoraggio di tali valori con la verifica della loro appartenenza ai range predefiniti rappresentano il discriminante per l’intervento manutentivo. Tali indicatori consentono quindi di monitorare lo stato del componente in maniera dinamica durante tutto il servizio del rotabile, intercettando in maniera più efficace possibile eventuali segnali premonitori del guasto. La definizione di un indicatore dello stato di salute dipende fortemente dalla disponibilità di informazioni da parte del sistema di comando e controllo del treno o comunque dai sensori installati a bordo ed eventualmente elaborati da alcune centraline interfacciate alla logica di veicolo. Anche per tali indicatori, come già discusso per quelli di vita residua, risulta essere 464 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata prioritaria la capacità di monitoraggio ed invio delle informazioni ai sistemi di Terra di tali variabili o informazioni diagnostiche per poter implementare strategie di manutenzione su condizione che vadano ad integrarsi sinergicamente con quelle di tipo schedulato. Vengono descritti nel seguito i principi implementativi di alcuni indicatori dello stato di salute definiti per la flotta ETR 1000. 10.7.2.3.1. Tempo di carica del filtro intermedio del convertitore Il convertitore dell’ETR 1000, già descritto precedentemente, presenta un unico filtro intermedio che stabilizza la tensione continua all’uscita in comune del modulo convertitore di linea (LCM) e del modulo convertitore chopper (CCM). Tale tensione di ingresso stabilizzata è fornita in ingresso ai due moduli convertitore motore (MCM) ed al modulo convertitore ausiliario (ACM). Il filtro intermedio, composto da un condensatore, viene caricato alla chiusura del contattore di precarica con una certa costante di tempo RC che tiene conto della presenza del resistore di precarica in serie al condensatore. Monitorando la costante di tempo di carica del filtro intermedio, è possibile avere un’indicazione dello stato di salute del DC link e provvedere all’ispezione visiva del componente quando la costante di tempo risulta oltre il range di tolleranza accettabile. Una costante di tempo elevata di carica del filtro può infatti pregiudicare il funzionamento del convertitore stesso, avendo un impatto diretto di riduzione della potenza disponibile a livello treno. L’indicatore dello stato di salute del filtro intermedio è basato sulla seguente logica di funzionamento: –– Costante di tempo carica filtro (funzionamento con catenaria in corrente continua). –– Presenza del feedback di chiusura del contattore di precarica DC (acquisito dal sistema di propulsione tramite il modulo di ingresso digitale DX56). Capitolo 10 - I moderni mezzi di trazione policorrente della flotta Trenitalia 465 –– Costante di tempo carica filtro (funzionamento con catenaria in corrente alternata). –– Presenza del feedback di chiusura del contattore di precarica AC (acquisito dal sistema di propulsione tramite il modulo di ingresso digitale DX56). La costante di tempo con cui viene caricato il filtro intermedio viene calcolata durante i processi di precarica, sia con catenaria in corrente continua che in corrente alternata, conteggiando il tempo per cui rimane chiuso il contattore di precarica. Questo permane infatti nello stato di chiusura fintanto che la tensione non ha raggiunto un livello compatibile con quello di esercizio del convertitore. Il valore della costante di tempo viene memorizzato all’interno della centralina di propulsione che provvede ad inviarlo tramite il bus di treno al database diagnostico. Tale valore viene periodicamente inviato al sistema di Terra mediante la centralina MCG. In base al raggiungimento delle soglie predefinite, viene generato in automatico dal sistema di Terra un avviso manutentivo su condizione: –– Costante di tempo RC > soglia → effettuare un’ispezione visiva del condensatore del filtro intermedio. Non essendo attualmente prevista alcuna azione manutentiva preventiva programmata per questo componente, l’indicatore rappresenta uno strumento decisivo per intercettare stati di degrado del filtro intermedio. 10.7.2.3.2. Tempo di abbassamento del pantografo Il pantografo è il dispositivo che permette di captare la tensione di catenaria e di alimentare il treno. Il sollevamento avviene in modo pneumatico attraverso un soffietto, mentre la fase di abbassamento avviene per gravità. Il pantografo è dotato di una centralina (Pantograph Control Unit) che permette la regolazione della pressione di alimentazione del soffietto del pantografo mediante il comando di una valvola proporzionale, consentendo il controllo della forza di contatto sulla catenaria al variare della velocità. La PCU realizza inoltre la diagnostica del pantografo e della linea di contatto acquisendo due sensori accelerometrici installati nel pantografo. Per rilevare condizioni di possibile danneggiamento meccanico al pantografo è stato studiato ed introdotto l’indicatore di stato di salute inerente al tempo di abbassamento del pantografo. La PCU rileva, ad ogni cambio tensione, l’indicatore dello stato di salute che è basato sul calcolo del tempo intercorrente tra: –– Comando di abbassamento del pantografo inviato al SottoSistema di Bordo. –– Presenza del feedback di pantografo basso (mediante la misura fornita dagli accelerometri, che rilevano un cambio repentino di accelerazione fino ad assestarsi al valore nullo. La centralina PCU invia il tempo di abbassamento e lo stato di validità della misura (invalida, valida ed assenza di warning, valida e warning) al sistema di comando e controllo del treno. Ogni valore relativo al tempo di abbassamento del pantografo viene periodicamente inviato al sistema di Terra mediante la centralina MCG. Il sistema di Terra elabora i dati e calcola giornalmente i seguenti indicatori: –– Valore medio dei tempi di abbassamento del pantografo. –– Deviazione standard dei tempi di abbassamento del pantografo. 466 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata In base al raggiungimento delle soglie predefinite, viene generato in automatico dal sistema di Terra un avviso manutentivo su condizione quando: –– La media dei valori del tempo di abbassamento negli ultimi 3 giorni di servizio risulta essere > del 130 % per 7 giorni rispetto alla media del tempo di abbassamento dei primi 3 giorni seguenti alla sostituzione del componente → controllare il circuito pneumatico e la struttura meccanica del pantografo. Le operazioni di manutenzione su condizione permettono quindi di integrare il Piano di Manutenzione attuale basato sulla preventiva programmata di 1° livello ad intervalli chilometrici (500000 km per un controllo del movimento e delle prestazioni (forza statica, tempo di salita/discesa)). 11 IMPIANTI DI TRASPORTO A FUNE Giovanni Molinari Sapienza - Università di Roma 11.1. INTRODUZIONE Sono definiti impianti di trasporto a fune tutti quei sistemi di trasporto in cui la movimentazione di persone o materiali avviene con veicoli azionati da funi. Il progetto e la realizzazione di detti impianti per un trasporto efficiente e sicuro coinvolgono un insieme di competenze tecniche - in meccanica, elettrotecnica, elettronica, civile, sistemistica - che definiscono l’Ingegneria funiviaria. Il trasporto a fune merita pari considerazione rispetto ad altre tecnologie di trasporto per la grande evoluzione tecnica vissuta e per le prospettive di ulteriore sviluppo sia nei settori d’impiego tradizionali sia in settori di respiro ed importanza sociali sempre più vasti. Con riferimento alle persone, il trasporto a fune è nato storicamente come mezzo di collegamento tra insediamenti umani isolati in zone impervie di pianura e di montagna, villaggi ed alpeggi, e le attività primarie del vivere (lavoro, istruzione); tale destinazione ne ha caratterizzato lo sviluppo dalla seconda metà del ‘800 ai primi decenni del ‘900 come freno allo spopolamento delle montagne per carenza di collegamenti efficienti e come strumento di difesa dell’equilibrio ecologico. A queste finalità si è aggiunto nel tempo il soddisfacimento della vocazione turistica di regioni montane rinomate e di località di interesse paesaggistico, che tuttora permane e a cui provvedono impianti adeguati alle richieste e condizioni locali. A partire dagli anni 1930 il settore di massima domanda di trasporto funiviario di persone è senza dubbio quello turistico-sportivo nelle stazioni di soggiorno e sport invernali. Nate agli inizi del 900 in località montane già note come centri estivi e termali - solo per citarne alcune, Cortina, Courmayeur, Bardonecchia, Roccaraso, Chamonix, Zermatt, Innsbruck, Megève sono poi proliferate in moltissime parti del mondo particolarmente adatte come aree sciistiche per l’innevamento intenso e prolungato. Con l’afflusso di massa agli sport della neve il trasporto funiviario, pur conservando l’utilità sociale delle origini “circoscritta” alle finalità sopra indicate, ha sempre più corposamente assunto un ruolo di “bene sociale” su ampia scala, fino a diventare da circa cinquanta anni una vera e propria industria socio-economica anche se temporalmente concentrata, essenziale allo sviluppo economico di intere regioni, tanto da coniare per la neve l’appellativo di “oro bianco”. 468 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Ed è anche evidente che la creazione di lavoro e di prospettive di vita in zone disagiate per ubicazione e clima possono determinare, e in molti casi è accaduto, un’inversione di tendenza all’abbandono della montagna. Per tale trasformazione, la diffusione degli impianti di arroccamento (dal fondo valle ai campi di sci) e di risalita (al servizio di piste di discesa) - funivie bifuni, funivie monofuni, funicolari, sciovie - è stata e continua ad essere un fattore di primo piano, con il supporto dei sistemi di innevamento artificiale sempre più efficienti e dell’informatizzazione dei titoli individuali di trasporto (“skipass”). Ad essa ha contribuito la continua evoluzione degli impianti, sia come aumento di prestazioni dei tipi classici sia come proposte e soluzioni innovative, che di fatto ne ha permesso la realizzazione in zone sempre più impegnative, in passato precluse. Ma c’è un altro importante settore in cui sistemi funiviari si vanno diffondendo ed è quello del trasporto pubblico locale per l’elevata capacità e l’agevole conduzione che oggi il progresso tecnico e tecnologico offrono. Tale impiego, più volte affacciatosi nel corso del tempo, è divenuto da qualche decennio sempre più frequente come modalità di spostamento di masse in aree urbane congestionate, offrendo una valida alternativa al traffico stradale, con un efficace contributo alla riduzione dell’inquinamento e del consumo di energia. Impianti elettivi al riguardo sono le cabinovie aeree a collegamento temporaneo dei veicoli e le funicolari terrestri, sia nella configurazione tradizionale sia nella veste assolutamente nuova di tramvie a fune (Cable car, People mover) e di vere e proprie metropolitane urbane (minimetrò). Tali impianti, già presenti in numerosi Paesi del mondo, hanno capacità dì trasporto in grado di raggiungere e superare 4000-5000 persone/ora per senso di marcia su distanze anche lunghe, in concorrenza quindi con i mezzi di trasporto convenzionali. In un esame panoramico più generale, il ricorso ad impianti a fune riguarda, per ragioni tecniche, economiche e logistiche, moltissimi altri settori: il trasporto di merci e materiali su distanze anche enormi, lo spostamento di operatori e materiali in cantieri a servizio di costruzioni idrotecniche ed elettriche, la movimentazione di carichi in generale, ad esempio tra infrastrutture portuali, tra moli e terminali costieri e navi al largo, e infine, i settori agricolo e forestale. Fa parte della civiltà contadina l’uso di funi per portare a valle balle di fieno, fascine, tronchi ed altro, con costi nettamente inferiori rispetto all’impiego di veicoli agricoli su sentieri e strade; vantaggi simili si hanno nel trasporto del raccolto di piantagioni in zone tropicali. Il ricorso a teleferiche di servizio in cantieri di costruzioni è parimenti vantaggioso anche se oggi c’è la concorrenza dell’impiego di elicotteri. Notizie sulle straordinarie realizzazioni nel settore del trasporto a distanza sono nel Paragrafo 11.10. concernente le teleferiche per materiali. Alla base della preferenza del trasporto a fune rispetto ad altri sistemi di trasporto, in particolare su strada o ferrovia, ci sono ragioni soprattutto economiche, quali i consumi di energia inferiori di 50-80 %, il minore impegno costruttivo, i contenuti costi di manutenzione, cui si aggiungono fattori operativi ed ambientali di primario interesse quali l’elevata silenziosità e la ridotta produzione di inquinanti. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 469 D’altra parte, un fattore inizialmente sfavorevole quale l’impatto visivo, specie per impianti aerei, appare oggi fortemente sminuito dalla crescita estetica dell’architettura delle stazioni e delle altre infrastrutture civili che sempre meglio si inseriscono nel paesaggio montano e in quello urbano anche di città famose (Londra, New York, Caracas, La Paz, Detroit, Torino, Perugia ecc.). 11.2. SINTESI STORICA DEL TRASPORTO A FUNE L’impiego da parte dell’uomo di organi flessibili come corde e cavi per il superamento di ostacoli, burroni, fiumi, dislivelli, nello svolgimento di attività, nella movimentazione di carichi, come vie di fuga, è molto antico. A parte reperti di funi con fili in bronzo, il più antico dei quali rimane lo spezzone di 57 fili da 0,7 mm di diametro lungo 4,5 m trovato a Pompei, e notizie dell’impiego di corde vegetali in Cina nel VI-VII sec., i primi documenti scritti risultano l’opuscolo “Schedula diversarum artium” sull’arte di trafilare fili metallici del monaco Teofilo del XII sec. e libri medievali giapponesi, in uno dei quali c’è un disegno che mostra forse un monaco trasportato in una cesta legata ad una grossa corda verso forse un eremo, in un altro (il “Taiheiki”) si narra di un imperatore che cerca scampo sorpassando un vallone con una funicolare rudimentale di corda vegetale (in inglese YenWild Monkey). Da quel tempo datano notizie provate di superamento di fiumi e burroni in Brasile, India, Nuova Zelanda, per mezzo di sistemi rudimentali con funi vegetali fissate alle estremità, lungo cui le persone si spostavano a forza di braccia o trainate da altra fune manovrata da persone a terra, di alcuni dei quali si conserva ancora traccia. Di seguito sono elencate le più significative tappe del trasporto mediante funi a tutt’oggi, citate in documenti o storicamente accertate. 1411 - Un disegno contenuto nel libro “Kriegsbuch” di J. Hartlieb, la più antica rappresentazione grafica di impianto a fune pervenuta, mostra un cesto fissato ad una fune vegetale chiusa ad anello su due pulegge una delle quali azionata con un arganello a mano, per rifornimento di un castello. 1440 - Un disegno di M. Jacobus (Taccola) mostra un cannone spostato lungo una fune vegetale fissa da una seconda fune mossa da un bue. 1536 - Gli spagnoli costruiscono la funivia Santanda-Merida in Venezuela e i francesi la funivia di Guregra (Fez, Marocco) con veicolo da 10 persone mosso da una fune vegetale azionata da argano a mano. 1616 - Nel libro Machinae novae di F. Veranzio (edito a Venezia) appare un impianto bifune che supera un fossato di cinta di una città medievale. 1644 - L’olandese A. Wybe costruisce un impianto di trasporto terra per i lavori di fortificazione della città di Danzica, costituito da una fune mobile mediante pulegge montate su pali alla quale erano fissati contenitori in moto continuo, impianto che si ritrova anche nelle fortificazioni di Mosca. La Figura 11.1 riporta immagini dei primordi del movimento e del trasporto per mezzo di funi. Nelle realizzazioni suelencate la fune è in fibra tessile. Di fatto, anche se fili di metallo sono citati nei documenti storici riportati e si trovano anche 470 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 11.1: Immagini dei primordi del trasporto via fune [3], [18]. in annotazioni di Leonardo e si ha anche notizia di esperimenti condotti nei secoli XIII ÷ XVIII in Europa, occorre attendere il 1825 per l’impiego di una fune in un impianto di trasporto. 1825 - La funicolare per materiali costruita da Purkinje a Vienna inaugura gli impianti di trasporto con una fune metallica. 1834 - L’inglese J. Albert costruisce le prime funi a trefoli di 4 fili, avvolte a mano, in ferro desolforato (resistenza ∼ 400 N/mm2) per impiego in miniera dando il nome ad un tipo di avvolgimento dei fili (Albert-Lang). 1839 -1840 - Nascono le prime fabbriche di funi metalliche a Falun (Svezia) e a Colonia sede della Ditta Felten-Guilleaume. 1850 - Si ha notizia dell’installazione di un rudimentale impiantino di 240 m sul fiume Niagara a valle delle cascate. 1851 - Apre a Lecco il primo stabilimento della fabbrica di funi italiana Redaelli, costituitasi in società nel 1870, attualmente in Val Trompia (BG). 1861 - L’ing. americano Cypher costruisce la prima teleferica bifune con piloni in legno per trasporto materiale in recipienti ammorsati alla fune in una miniera in Colorado; a Bad Oyenhausen nella Prussia orientale una rudimentale bifune di 150 m, impiegava come via di corsa una barra di acciaio al posto della fune. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 471 1861 - La prima funicolare terrestre a va e vieni viene installata dalla ditta Agudio di Torino nella stazione di Dusino sulla ferrovia Torino-Asti; essa muoveva i treni, per mezzo di due funi su una delle quali, fissa, si avvolgevano due tamburi girevoli montati sulle vetture mentre l’altra, mossa da un argano e rinviata su pulegge, faceva rotare i tamburi. 1862 - Entra in servizio la funicolare di Lione, mossa da un motore a vapore, con vetture a due piani, inserita nel sistema di trasporto cittadino. 1866 - L’ing. tedesco Ritter costruisce a Sciaffusa la prima funivia per persone, lunga 101 m, con cabina biposto su 4 funi portanti e fune mossa da argano a mano, per l’ispezione delle turbine della centrale sul Reno. 1869 - L’ing. inglese Hodgson costruisce una funivia monofune a moto continuo e veicoli collegati con un morsetto ad appoggio, brevetto Robinson del 1856. Comincia lo sviluppo delle funicolari terrestri azionate da motrici a vapore, turbine idrauliche, motori a gas e anche dalla gravità con zavorra d'acqua e poi da motori elettrici. 1872 - Il tedesco Von Ducker costruisce una funivia bifune per trasporto materiali, con fune di sostegno dei vagoncini poggiata su scarpe e fune traente in moto continuo collegata ai vagoncini con morsetti a vite, sostituiti nel 1879 dai morsetti a ganasce dell’ing. austriaco Obach (brevetto1870). 1873 - Gli ingg. tedeschi Bleichert e Otto costruiscono la prima funivia bifune per trasporto di carbone, introducendo i contrappesi di tensione. 1873 - A San Francisco Smith Hallidie realizza il primo “cable car”, un tram trainato da una fune in moto canalizzata sotto il livello stradale. 1890 - Nascono le prime ditte costruttrici di impianti a fune: la Pohlig a Colonia, che incorpora l’azienda Obach, e a Lipsia la Bleichert, fondata dagli ingg. Bleichert, Kramer e Otto. 1892-1893 - Vengono aperte le prime funivie a scopo turistico, a Berlino, e per trasporto pubblico, a Knoxville sul fiume Tennessee (USA), Blackpool (N.Z.), cui segue nel 1894 quella di Leopoli (oggi in Polonia). 1893 - Viene impiegato per la prima volta il freno sulla rotaia degli ingg. svizzeri Bucher e Durrer nella funicolare di Stanserhorn. 1894 - Gli ingg. italiani Ceretti e Tanfani costruiscono per l’Expo di Milano una funivia bifune a va e vieni con cabine da otto passeggeri, cui seguono, sempre per Fiere ed Esposizioni, quelle di Ginevra, Buenos Aires e Rio de Janeiro nel 1896 e quelle di Vienna e Torino nel 1898. 1900 -1901 - Vengono aperte le funicolari di Montmartre, del Tibidabo, di Hungerburg, della Mendola, del Renon. A partire dai primi decenni del XX Sec. inizia lo sviluppo effettivo su scala mondiale degli impianti aerei. 1907 - Entra in funzione la funivia bifune di S. Sebastiano in Spagna, costruita dalla ditta spagnola Torres y Quevedo. 1908 - Nasce la prima funivia bifune alpina a Grindelwald in Svizzera al Wetterhorn a campata unica. Apre la funivia del Kohlern a Bolzano. 1909 - In Colorado una funivia monofune a moto continuo, con 26 cabine aperte quadriposto con morsetti disammorsabili, supera in 2,1 km il dislivello di 1800 m. 472 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 1912 - Sulla funivia bifune a va e vieni Lana S. Vigilio vengono impiegati per la prima volta sostegni in acciaio e viene installato un freno di sicurezza sulla fune portante. Apre la funivia del Pan di Zucchero a Rio de Janeiro. 1912 - La Pohlig costruisce la teleferica per trasporto carbone Savona - San Giuseppe di Cairo lunga 18 km, primato del tempo, con portata di 3000 t/ giorno. 1915 -1918 - Migliaia di impianti vengono installati sulle montagne da italiani e austriaci nella Grande Guerra per trasporto di armamenti, di vettovaglie, di feriti, di caduti. 1923 - Nella funivia Merano-Avelengo, con campata di oltre 1500 m, la più lunga del tempo, viene introdotto dall’ing. austriaco Zuegg il rivoluzionario criterio delle funi portanti “molto tese” (coefficiente di sicurezza rispetto alla rottura prossimo a tre, valore odierno), già proposto anni prima dall’Ing. Ferretti (applicato poi nella funivia di Montecassino del 1926). 1924 - In Svizzera, a Montana, viene costruita la prima funicolare su neve o slittovia. 1925 - Viene costruita la funivia Trento-Sardagna con duplice anello trattivo e adozione del freno sulla portante. 1928 - Vede la luce la funicolare centrale di Napoli, con treni di tre vetture da 100 persone, con la maggiore portata del tempo. 1930 - Appaiono in Usa (Sun Valley, Idaho), le “rope tow” (manovie), sciovie a fune bassa di canapa con sciatori aggrappati a mano. 1930 - La ditta tedesca Heckel costruisce a Friburgo (Foresta Nera) la prima bifune con due anelli traenti e vetture che nelle stazioni si agganciano e sganciano mediante morse. 1934 - La ditta Bleichert costruisce a Davos, su progetto dell’Ing. Constam, la prima sciovia a fune alta. Entra in funzione a Grenoble la funivia urbana della Bastille, bifune con cabine riunite in gruppi (impianto pulsé). 1935-6 - È realizzata a Sun Valley (Idaho, USA) dalla Union Pacific Railroad di Chicago la prima seggiovia su brevetto Curran, lunga 720 m con dislivello 216 m. 1939 - Appare la prima seggiovia in Europa a Pustevny, nell’allora protettorato di Boemia e Moravia, realizzata dall’ing. Nevrly. 1941 - La ditta americana Riblet realizza l’attacco dei veicoli alla fune traente con pezzi metallici inseriti all’interno (brevetto Hansen). 1944 - 45 - Prende piede il collegamento temporaneo dei veicoli alla fune, con prima realizzazione nel 1946-47 nella seggiovia biposto di Grindelwald in quattro tronchi, lunga 4355 m con dislivello di 1105 m, ad opera della ditta svizzera Von Roll. 1951 - Viene realizzato il primo impianto monofune a moto unidirezionale continuo a collegamento temporaneo con cabine biposto ad Alagna Valsesia dalla ditta Carlevaro. 1952 - Nella funivia bifune Plan Maison - Furggen si raggiunge la lunghezza di campata di 2887 m con velocità di marcia di 9,4 m/s. 1955 - Una funivia bifune con moto unidirezionale e veicoli a collegamento temporaneo, sistema Walmannsberger-Pohlig, è costruita a Bormio dalla ditta Badoni di Lecco. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 473 1955 -7 - Viene costruita la funivia “Vallée Blanche” di 5 km tra punta Helbronner a 3500 m e l’Aiguille du Midi a 3800 m (progetto Zignoli), con treni di cabine quadriposto a moto intermittente, con cui viene realizzato l’attraversamento del Monte Bianco tra Courmayeur e Chamonix, mediante cinque funivie, tre in territorio italiano e due in territorio francese (ditte Heckel, Italia Funivie, Ceretti & Tanfani). 1958 - Viene realizzata dalla ditta Habegger la funivia Merida – Pico Espejo (Venezuela) che supera in 12 km un dislivello di 2,5 km con stazione di monte a quota 4800 m. 1976 - Entra in esercizio la funivia bifune urbana “Roosevelt Island Tramway” a New York. 1978 - Prima funivia bifune senza freno sulla portante e due funi traenti. 1981 - Entra in funzione un impianto automatico ”people mover” (APM semicontinuo) della ditta Soulé sulla linea Parigi-VillePinte. 1983 - Viene realizzata dalla ditta Poma la prima funivia monofune a collegamento temporaneo con due funi portanti-traenti accoppiate, sistema DMC dell’ing. francese D. Creissels. 1984 - Viene realizzata a Courchevel la prima funivia bifune senza freno di vettura ed unica traente (“a sicurezza intrinseca”). 1985 - Entra in funzione a Serfaus (Austria) una metropolitana totalmente automatica con un veicolo mosso a navetta su cuscino d’aria. 1987 - Primo ascensore inclinato a Morzine (Francia). 1989 - Viene aperto il minimetrò di Laon (Francia) costruito dalla Poma. 1990 - Entra in funzione il “Funitel” primo impianto monofune a duplice anello trattivo, evoluzione del DMC. 1991 - La ditta Von Roll introduce l’impianto bifune a moto unidirezionale continuo con collegamento temporaneo dei veicoli con due portanti e una traente, sistema 3S. 1999 - La ditta Leitner costruisce la cabinovia bifune a moto unidirezionale continuo, riprendendo il sistema Walmannsberger-Pohlig ricorrente nelle teleferiche per merci, adattato al trasporto persone dalla ditta Waagner Birò, sistema 2S. 1999 - Apre all’esercizio a Milano la metropolitana a fune (APM) Cascina Gobba - S. Raffaele, con moto a navetta di vetture da 40 posti su unica via di corsa di 682 m con sdoppiamento in mezzeria per l’incrocio. 2003 - Prima realizzazione dell’impianto monofune combinato, con seggiole e cabine insieme in linea, riprendendo un precedente nel 1944 che operava da sciovia in inverno e seggiovia-cabinovia in estate. 2004 - Entra in funzione sul passo Stelvio il “Funifor”, primo impianto bifune con unico anello trattivo in quattro rami, costruito dalla ditta Doppelmayr-Agamatic. 2008 - Entra in funzione a Perugia la metropolitana a fune (APM, sistema semicontinuo) Pian di Massiano - Pincetto a due vie di corsa con sette stazioni, lunga 3 km con 161 m di dislivello, e vetture da 50 posti equidistanziate, realizzato dalla ditta Leitner. 474 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 2010 - Entra in funzione a Venezia la navetta (people mover) Isola Tronchetto - Piazzale Roma (con stazione intermedia) a due vie di corsa in piano, lunga 870 m, con treni da 200 persone, della Doppelmayr. Le tappe storiche elencate descrivono uno sviluppo impiantistico che ha visto fondere nel tempo l’evoluzione delle tipologie fondamentali - intesa come progresso tecnologico di prodotti industriali di caratteristiche e prestazioni ottimali, con economie di investimento e di produzione - e l’introduzione di idee innovative con nuove configurazioni mono- e bifune (2S e 3S, DMC, DLM, Funitel, Funifor). In tale processo si è potentemente inserita, dando un contributo spesso decisivo all’aumento continuo della capacità di trasporto, la progressiva automazione del funzionamento, resa possibile dall’impiego massiccio dell’elettronica fine e di potenza, in schemi, componenti, programmi di gestione e controllo, fino allo stadio totale. L’esercizio di un moderno impianto a fune è gestito da un sistema di comando programmabile e memorizzabile implementato su PC. 11.3. CLASSIFICAZIONE E TIPOLOGIA Lo straordinario sviluppo degli impianti a fune nella seconda metà del ‘900 ha posto l’esigenza di una classificazione come strumento di individuazione dei vari tipi di impianti. L’elevato numero di parametri che possono essere presi come base dell’ordinamento, anche in vista di possibili novità concettuali e realizzative, dà tuttavia origine ad un notevole spettro di criteri informativi, tenuto anche conto dei requisiti di comodità e praticità di impiego perché il prodotto non rimanga riservato agli esperti del settore ma sia utilizzabile anche da semplici utenti. I parametri che in generale intervengono a differenziare un impianto da un altro nell’ambito di una classificazione tipologica possono essere agganciati a tre gruppi di caratteristiche: impiantistiche, geometriche, economiche; peraltro, le geometriche (lunghezze, dislivelli, profili altimetrici), un tempo differenzianti, hanno oggi un’influenza ridotta e le economiche diventano importanti quando si analizzano le prestazioni dell’impianto alla luce della validità dell’investimento, per cui l’interesse viene rivolto unicamente alle caratteristiche impiantistiche. Con riferimento ad esse i parametri di classificazione più significativi appaiono soprattutto i seguenti: –– le caratteristiche della via di corsa; –– il numero delle funi che realizzano il trasporto; –– il sistema di trasmissione del moto ai veicoli; –– la forma del moto; –– le modalità del collegamento del veicolo alla fune; –– la tipologia del veicolo. Possono poi avere importanza in un secondo piano: –– l’oggetto del trasporto; –– la finalità del trasporto; –– il grado di intervento delle persone trasportate o le modalità di carico nel caso di trasporto materiali. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 11.3.1. 475 CARATTERISTICHE DELLA VIA DI CORSA Per tale parametro gli impianti a fune appartengono a due grandi famiglie: –– le funicolari aeree, in cui la via di corsa dei veicoli è una fune sospesa e dunque essi viaggiano appesi; –– le funicolari terrestri, in cui la via di corsa dei veicoli è poggiata sul suolo in forma di rotaie, di pista di neve, di terra battuta. Nelle funicolari aeree le funi sostengono e muovono i veicoli, ed il suolo è utilizzato solo per le stazioni e i sostegni eventualmente richiesti dal profilo altimetrico. Comprendono la stragrande maggioranza degli impianti a fune, ed in particolare: –– le funivie monofune, seggiovie e le cabinovie; –– le funivie bifune; in tutte le loro configurazioni. Nelle funicolari terrestri la fune svolge unicamente la funzione di trazione dei veicoli. Le forme costruttive che nel corso del tempo hanno impiegato il terreno come via di corsa comprendono: –– le funicolari propriamente dette, in cui i veicoli si muovono su rotaie; –– le rotovie, in cui i veicoli si muovono su una sede stradale; –– le slittovie, in cui i veicoli, a forma di grosse slitte, si muovono su piste innevate; –– le sciovie, in cui i veicoli sono gli stessi viaggiatori (sciatori) che si muovono tramite sci su una pista di neve opportunamente attrezzata. Poiché le rotovie e le slittovie sono scomparse e le sciovie costituiscono un settore a parte, il nome funicolari è rimasto a designare unicamente le funicolari terrestri con sede rigida. In esse potrebbero rientrare i tram a fune (cable car), le metropolitane a fune, i people mover, ma l’importanza acquisita da tali impianti per peculiarità di moto dei veicoli e modalità di azionamento portano a classificarli come a se stanti (Par. 11.11.). 11.3.2. MODALITÀ DI TRASMISSIONE DEL MOTO AI VEICOLI Premesso che l’energia per il moto è comunque fornita all’impianto da un motore, la distinzione riguarda l’organo mediante il quale la forza motrice perviene al veicolo; esso può essere: –– una fune, distinta da quella che ha funzione di sostegno oppure coincidente con essa e in tal caso può essere costituita da un solo ramo o articolarsi in due rami formanti un anello chiuso; –– un motore a bordo del veicolo ed in tal caso si ha un impianto a fune solo se la via di corsa è una fune su cui si muove un veicolo automotore (sistema escluso di norma per trasporto di persone, ma usato per materiali). 11.3.3. TIPO DI MOTO Negli impianti a fune possono aversi due tipi di movimento sia per il veicolo sia per la fune con riferimento allo spazio e al tempo: –– alterno sulla via di corsa, detto a va e vieni, giocoforza discontinuo nel tempo, con veicoli che corrono su unica via di corsa o su due vie di corsa, con concordanza di moto tra fune e veicoli; 476 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– unidirezionale, svolgentesi su due vie di corsa, che può essere continuo o intermittente, comune o diverso per fune e veicoli. 11.3.4. NUMERO DI FUNI In un impianto funiviario sono presenti funi per varie funzioni; alle due principali di sostegno e trazione dei veicoli possono aggiungersi funzioni di soccorso, di segnalazione, di comunicazione. Con riferimento unicamente alle due funzioni di sostegno e trazione, i termini bifune e monofune indicano l’affidamento di esse rispettivamente a due funi distinte, denominate portante e traente, oppure ad una sola fune, denominata portante-traente. Tuttavia, per ragioni costruttive, di sicurezza ed operative, o per schemi di principio funzionale ciascuna delle due funzioni può essere svolta da più funi. Si hanno così le due grandi classi di impianti seguenti. Funivie bifuni In esse il sostegno dei veicoli è affidato alla fune portante e la trazione di essi alla fune traente. Possono esservi: –– una portante ed una traente, in impianti “va e vieni” ad unica via di corsa, ad alaggio o con anello trattivo; –– due portanti ed una traente, in impianti va e vieni a due vie di corsa con anello trattivo e in impianti a moto continuo; –– due portanti ed una fune traente in doppio anello, nell’impianto a va e vieni sistema “funifor”; –– quattro portanti (impianti va-vieni con due portanti per via di corsa ed anello trattivo). In funivie bifuni del passato erano presenti altre funi con compiti particolari, come la fune-freno per l’arresto in emergenza delle vetture e la fune di soccorso per il recupero dei viaggiatori in caso di fermata per guasto dell’impianto; tali funi figuravano nel conteggio sicché si parlava di impianti trifuni e peraltro trifuni erano definite le teleferiche aeree per trasporto materiali costituite da due portanti ed una traente. Funivie monofuni In esse entrambe le funzioni di sostegno e di trazione dei veicoli sono assegnate alla fune portante-traente. Possono aversi: –– una portante-traente (seggiovie, cabinovie, telecabine, sciovie); –– due portanti-traenti parallele sincrone (impianti DMC e “funitel”). 11.3.5. TIPO DI COLLEGAMENTO DEL VEICOLO Il collegamento del veicolo alla fune di trazione può essere: –– permanente, mediante attacchi fissi e in tal modo veicolo e fune hanno ugual legge di moto; –– temporaneo, mediante attacchi serrabili e scioglibili nelle stazioni, per cui veicolo e fune seguono alla partenza e all’arrivo leggi di moto diverse. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 11.3.6. 477 TIPO DI VEICOLO La distinzione più significativa riguarda l’interazione fra passeggero ed esterno e si hanno: –– veicoli aperti, realizzati in varia foggia, in particolare seggiole ma anche contenitori aperti (gabbie, cestelli); –– veicoli chiusi, denominati vetture nelle bifuni e cabine nelle monofuni. Nelle funicolari terrestri i veicoli sono vetture chiuse, in particolare nel trasporto pubblico di massa; in impianti del passato a destinazione turistica sono state impiegate vetture aperte, operanti comunque a bassa velocità. Nelle sciovie i veicoli coincidono con gli sci mentre nelle vecchie slittovie del passato erano costituiti da piattaforme aperte. La combinazione dei parametri suelencati dà luogo alle seguenti tipologie di impianto: –– bifune tradizionale; –– monofune tradizionale; –– impianto con fune portante e veicoli automotori (palorci, fili a sbalzo); –– funicolare terrestre su rotaia; –– funicolare terrestre su neve (sciovia, slittovia); –– funicolare terrestre su terreno battuto (rotovie); –– impianto con percorso prossimo al verticale (ascensori inclinati). Non vengono considerati di regola come impianti funiviari gli ascensori verticali e i montacarichi ancorché svolgenti servizio pubblico. La Tabella 11.1 riassume le principali categorie di impianto. Ciascuna ha caratteristiche peculiari proprie, da cui derivano differenze rilevanti di progettazione e costruzione e quindi di prestazioni e costi di esercizio. Tabella 11.1: Classificazione semplificata degli impianti a fune. Categoria Funicolare Terrestre Funicolare Aerea 11.3.7. Via di corsa Persone Merci rotaie funicolare piano inclinato neve sciovia slittovia - terreno battuto rotovia - fune portante bifune teleferica bifune fune portante-traente monofune teleferica monofune PARAMETRI SECONDARI Oggetto e carattere legale del trasporto L’oggetto trasportato può comprendere per sone e merci (materiali, animali, macchine); il trasporto può essere anche promiscuo per persone e materiali in contemporanea o in tempi separati, con le caratteristiche dell’impianto evidentemente previste per il trasporto di persone. Riguardo al carattere legale, nel senso di implicanze giuridiche derivanti dalla destinazione del servizio, il trasporto può essere pubblico o privato. Il servizio pubblico per persone può avere, come si è visto, finalità turistico-sportive o sociali, montane e urbane, anche combinate. 478 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Il servizio pubblico per merci può riguardare il trasporto di materiali e materie per stabilimenti di tutti i tipi (cementifici, zuccherifici, saline, cokerie), la movimentazione di carboni e di combustibili in genere per centrali industriali e termoelettriche di potenza), il trasporto di prodotti finiti dal sito di produzione a quello di destinazione (imbarco, ferrovia). Può inoltre avere una funzione importante in infrastrutture quali progetti civili di dimensioni rilevanti, servizi forestali, smaltimento di rifiuti. Il servizio privato può avere finalità sociali (trasporto operai sul luogo del lavoro), industriali (all’interno di stabilimenti produttivi, ed anche turistiche asservite a strutture ricettive. Modalità di presenza dei viaggiatori e di carico delle merci La presenza delle persone può essere ininfluente per la regolarità e la sicurezza della marcia, come nelle grandi vetture presenziate di bifuni, o essere in qualche modo collaborativa, con comportamenti in marcia o nelle operazioni di stazione che non generino rischi per l’incolumità propria e altrui né provochino l’arresto del funzionamento. Nel trasporto di merci, le modalità di carico dei veicoli possono influire sulla regolarità di marcia nell’esercizio automatizzato. 11.3.8. CLASSIFICAZIONE CEN La recente normativa europea (CEN) degli anni 2005-2007 sugli impianti a fune destinati al trasporto di persone, recepita dai Paesi membri, prevede tre tipi di impianti: –– funicolare: impianti a fune i cui veicoli sono trainati da una o più funi e corrono su un binario fisso al suolo o a strutture fisse di sostegno. –– funivia: in senso ampio, gli impianti a fune i cui veicoli sono sospesi ad una o più funi, qualunque sia il tipo di movimento delle funi, la funzione da esse svolta, la modalità di collegamento veicoli-fune, il tipo di veicolo; –– sciovia: impianti a fune in cui i passeggeri, con sci ai piedi o dotati di mezzi speciali idonei, sono trainati lungo una pista predisposta mediante dispositivi di traino collegati ad una fune in moto. Rinviando la descrizione dettagliata dei singoli impianti nei paragrafi appositi, diamo qui le informazioni che permettono di comprendere gli schemi delle Figure 11.2 → 11.7 che illustrano i tre tipi citati nelle loro forme classiche tradizionali, senza entrare nelle configurazioni innovative - funifor, 2S, 3S, funitel, APM - i cui schemi si trovano nei Paragrafi 11.7 e 11.11. Esaminiamo dunque le tre suddivisioni CEN lasciando per ultima la funivia per la varietà impiantistica in cui si articola. La funicolare ha una configurazione alquanto rigida, con azionamento alla stazione superiore; nello schema comune con due veicoli in moto in verso opposto, può esservi una sola via di corsa con raddoppio del binario in mezzeria per l’incrocio dei veicoli, o una doppia via di corsa, Figura 11.2. La fune di trazione, che si avvolge sulla puleggia motrice, può essere configurata a semianello i cui estremi sono fissati alle due vetture oppure ad anello diviso in due semianelli di cui l’inferiore si avvolge su una puleggia di rinvio posizionata alla stazione inferiore che riceve un tiro prodotto da un contrappeso, come in Figura 11.2, o da un tenditore idraulico. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 479 Figura 11.2: Schema di funicolare terrestre: m puleggia motrice, r puleggia di rinvio, C contrappeso di tensione, V veicoli, rotaia e rulli di linea [9]. Figura 11.3: Schema di sciovia a fune alta mono e biposto: m, r pulegge motrice e di rinvio, C contrappeso dell’anello, t, t1, t2 traini, s sostegno di linea, rs rulliera [9]. La sciovia consiste in un anello trattivo che fa capo a due pulegge di estremità aventi funzione di motrice e di tenditrice, e traina sciatori; nella grande maggioranza dei casi la fune “corre alta”, sorretta da sostegni, Figura 11.3 ma esiste anche il tipo detto “a fune bassa”. La funivia aerea può assumere, come detto, diverse configurazioni e forme di realizzazione impiantistica in dipendenza da: –– tipo di movimento dei veicoli; –– numero e funzione delle funi; –– forma e struttura dei veicoli. Riguardo alla forma di moto dei veicoli derivante dal moto della fune si distinguono gli impianti seguenti: –– funivia a va e vieni; –– funivia a moto unidirezionale, che può essere continuo, discontinuo o intermittente (pulsé). A seconda del numero di funi per sostegno e trazione si distinguono: –– funivie bifune; –– funivie monofune. 480 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata A seconda del tipo di veicolo si distinguono: –– seggiovie –– cabinovie a veicoli chiusi; –– cabinovie a veicoli aperti; –– seggiocabinovie con seggiole e cabine simultaneamente in linea. Le Figure 11.4, 11.5, 11.6, 11.7 ne mostrano gli schemi impiantistici. Figura 11.4: Funivia bifune a va e vieni: p1, p2 funi portanti, t anello trattivo, V veicolo; m, r pulegge motrice e di rinvio, ta tamburi di ancoraggio portanti, Cp, Ct contrappesi di portante e traente [3]. In Figura 11.7 è riportato infine lo schema di una monofune cabinovia a collegamento temporaneo dei veicoli in cui le vetture in stazione, non collegate alla fune, sono condotte su guide (rotaie) da un ramo all’altro della linea spinte da un convogliatore. I veicoli lasciano la fune e la riprendono mediante travi di rallentamento ed accelerazione mostrate in seguito. 11.3.9. CLASSIFICAZIONE SEGNALETICA Figura 11.5: Monofune seggiovia ad attacchi fissi: pt portante-traente; V veicolo; mo morsetto; r pulegge motrice e di rinvio; ft fune tenditrice; C contrappeso. Con il nome di classificazione “segnaletica” viene designata la registrazione degli impianti presenti in Italia in un elenco, il Registro Nazionale Impianti a Fune (R.I.F.), che li individua mediante un “numero di targa” formato in successione da un codice di due lettere indicanti la Regione di appartenenza e il tipo di impianto, da un numero indicante l’ordine progressivo in base alla data di collaudo, dalla sigla della provincia in cui l’impianto è situato, dai nomi delle stazioni estreme con la quota di esse. La lettera assegnata alla Regione è riportata nel Codice della Strada, il tipo di impianto è designato dalle lettere B (bifune), C (monofune a collegamento temporaneo), M (monofune a collegamento permanente), S (sciovia), F (funicolare terrestre). Figura 11.6: Monofune cabinovia ad attacchi fissi; pt portante-traente; V veicolo; mo morsetto; r pulegge motrice e di rinvio, ti tenditore idraulico, sl slitta. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 481 Figura 11.7: Monofune cabinovia a collegamento temporaneo; f portantetraente; V veicolo; m, r pulegge motrice e di rinvio; rgs rotaie giro stazione [9]. 11.4. COMPONENTI DI BASE DEGLI IMPIANTI 11.4.1. FUNI Le funi per trasporti funiviari, ed in particolare le portanti e le traenti, sono formate con fili di acciaio al carbonio con modeste presenze di Mn, Si, Cr, Ni, Cu e rigidi limiti per S e P ritenuti elementi patogeni. I fili sono ottenuti per trafilatura a freddo di vergelle con trattamento termico (patentamento) per affinare ed omogeneizzare la struttura granulare al fine di ottenere proprietà geometriche e meccaniche uniformi ed elevate, in particolare carichi di rottura anche di 220 daN/mm2 anche se con valori così spinti può aumentare il rischio di fragilizzazione. Hanno sezione di regola circolare, fili tondi, cui soprattutto è demandata la resistenza meccanica, ma anche di forma particolare, sagomati a S e Z (usati nelle funi chiuse). Per i fili tondi, individuati dal diametro, sono importanti proprietà elastoplastiche il carico di rottura, l’allungamento e il numero di piegamenti a flessione e a torsione a rottura, controllate da severe regolamentazioni. Nelle funi per altre funzioni, telefoniche, di segnalazione, possono esserci fili zincati anch’essi definiti da norme. 11.4.1.1. Tipologia delle funi I tipi di funi si distinguono per la formazione, la cordatura, da cui derivano la massa lineare e la resistenza totale a rottura. Riguardo alla formazione - cioè al numero e dimensioni dei fili e alle modalità di assemblaggio dell’insieme - si distinguono funi rigide e funi flessibili. –– Funi rigide. Sono costituite unicamente da fili tondi, che possono essere disposti ad elica in strati concentrici in numero 1 + 6 + 12 + …, oppure riuniti a formare trefoli - funi elementari formate in genere da 1 + 6 fili - a loro volta disposti in uno o più strati attorno ad un trefolo centrale; con la prima disposizione si hanno le funi spiroidali, con la seconda le cosiddette funi Ercole. Sono impiegate anche funi con nucleo spiroidale a più strati e manto esterno formato da trefoli, dette funi semiercole. 482 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Nelle spiroidali per funivie, essendovi con fili tondi il pericolo di srotolamento in caso di rottura, lo strato esterno o gli ultimi due, e recentemente anche tre strati, sono costituiti da fili sagomati (a S o Z) che, sebbene meno resistenti, conferiscono ad esse un aspetto esterno liscio, da cui il nome di “chiuse”. La Figura 11.8 mostra tipi di funi rigide spiroidali, pure (soli fili tondi) e chiuse, e a trefoli Ercole e semiercole. Figura 11.8: Funi rigide. Sopra: spiroidali, formazione 1 + 6 + 12 + …, pure e chiuse (due strati di fili sagomati); sotto: Ercole e semiercole. Fig. 11.9: Funi flessibili. In alto, formazione del trefolo: da sinistra, normale, Seale, Warrington, Warrington-Seale, Filler. In basso, le funi corrispondenti a trefoli normali, Seale, Warrington (sopra), Warrington-Seale e Filler (sotto). –– Funi flessibili. Sono costituite da un nucleo centrale (anima), un tempo in fibra tessile oggi usualmente in plastica, designata con la lettera A, su cui è avvolto uno strato di sei funicelle spiroidali, i trefoli, che per impieghi non funiviari possono avere anch’essi un’anima centrale. I trefoli possono avere fili tondi di uguale diametro - formazione normale A + 6(1 + 6 + 12) - o fili di due diametri che possono giacere in strati diversi - formazione Seale A + 6(1 + 9′ + 9), risalente al 1885 - oppure nello stesso strato - formazione Warrington A + 6[(1 + 6 + (6 + 6′)] - con soluzioni miste Warrington-Seale; con queste formazioni i fili dei vari strati sono paralleli e in contatto continuo. Fili di diametro minore possono anche essere inseriti negli spazi tra strati - formazione Filler - per avere una fune più compatta, di diametro minore a parità di sezione metallica. La Figura 11.9 mostra le formazioni del trefolo e le funi a trefoli corrispondenti. Nelle funivie sono impiegate in prevalenza la formazione Seale e la mista Warrington-Seale. Il termine cordatura sta ad indicare le modalità di avvolgimento dei fili nei trefoli e dei trefoli nella fune, che dànno origine, a seconda di esse, a funi destre e sinistre, parallele e crociate. La pri- Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 483 ma distinzione riguarda il verso di avvolgimento, rispettivamente verso destra (simbolo Z) o sinistra (simbolo S), la seconda sta ad indicare se il verso di avvolgimento di due strati successivi nelle spiroidali, o di fili e trefoli nelle flessibili, è lo stesso (concordante) o diverso (discordante); nelle flessibili in particolare sono usate le sigle ZZ o SS se per trefoli e fili il verso è lo stesso e le sigle ZS o SZ se diverso. La cordatura parallela (sistema Albert-Lang) ha il pregio di più estesi contatti tra i fili, con riduzione delle pressioni mutue, ma il grave inconveniente di dare ai fili tendenza a rotare in senso contrario all’avvolgimento; la crociata, al contrario, rende la fune antigiratoria ma genera ingenti pressioni di contatto. Le modalità di cordatura determinano importanti divergenze sia geometriche sia meccaniche della fune come compagine rispetto ai suoi fili costituenti singolarmente presi; esse sono espresse da un coefficiente di cordatura ricavato sperimentalmente da prove di resistenza a trazione. La massa lineare della fune è la massa per unità di lunghezza; dipende principalmente dalla sezione metallica, dalla densità del materiale (∼ 7,9 kg/m3 per l’acciaio), dalla massa dell’eventuale anima e, in esercizio, dalla massa del lubrificante. Per il carico di rottura, che indica la capacità di resistenza del componente, sono definite varie figure, teoriche e sperimentali: –– Carico di rottura effettivo sperimentale ℜr; nelle funi per funivie è prescritta la determinazione della resistenza a rottura della fune a trazione mediante “prova a strappo” eseguita su spezzoni prelevati ai due estremi; –– Carico somma Σℜi; è la somma dei carichi di rottura dei fili prelevati dalla fune confezionata, cioè “dopo” cordatura, raddrizzati e sottoposti a trazione; –– Carico addizionale; è la somma dei carichi di rottura dei fili misurati “prima” del confezionamento della fune; –– Carico di rottura minimo calcolato; è il prodotto della sezione metallica della fune (somma delle sezioni dei fili considerate circolari, in realtà ellittiche) per la resistenza unitaria di essi e per il coefficiente di cordatura. In generale risulta ℜr < Σℜi; il rapporto ℜr < Σℜi è il citato coefficiente di cordatura, che deve rimanere > 0,8 ÷ 0,9 in dipendenza della formazione e del numero dei fili. L’analisi fine dello stato tensionale delle funi esula dallo spirito e dall’intento di questa opera. Trattasi infatti di un argomento di grande difficoltà per la grande complessità geometrica e strutturale di quella che può dirsi una “società di fili” interessati da fenomeni meccanici concomitanti e interdipendenti, in particolare l’attrito tra fili e trefoli e le pressioni mutue dovute al serraggio prodotto dalla trazione applicata (autocerchiatura). Per esso rimandiamo alla vasta mole di studi teorici e sperimentali iniziati sistematicamente da ricercatori americani e proseguiti poi in tutto il mondo, mirati ad individuare il contributo dei vari componenti (fili e trefoli) alle prestazioni della fune. Per tali difficoltà di indagine e valutazione, l’impiantistica, guidata dalla normativa, ha preferito tener conto degli effetti di pressioni mutue, di flessioni, dell’attrito ecc., in particolare su contatti curvi, tramite adeguati valori dei rapporti di avvolgimento, come pure dell’effetto di forze concentrate, 484 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata come i pesi dei veicoli, i carichi sugli appoggi ecc., tramite valori limite del rapporto locale di esse alla tensione della fune, giudicando di conseguenza l’idoneità dell’organo ai compiti affidati solo in base alla resistenza a trazione. C’è peraltro da dire che le concentrazioni di tensione, di ostica determinazione, si verificano in punti ben individuati, in particolare: per le portanti delle funivie bifune, negli appoggi sulle scarpe dei sostegni e negli elementi di deviazione al contrappeso, dove un controllo a vista o magnetoscopico è agevole solo in occasione di scorrimenti funzionali della fune; per le funi traenti delle bifuni, nel collegamento alle vetture che attualmente nella grande maggioranza avviene per aderenza su tamburelli; per le portanti-traenti delle funivie monofuni, in corrispondenza di morsetti e morse, dove però il controllo a vista o magnetoscopico è agevole e l’esperienza non registra criticità dovute all’esercizio una volta garantita l’operazione di impalmatura (Par. 11.4.1.2). Viene definito coefficiente di sicurezza il rapporto ℜr /Tmax tra carico di rottura misurato (minimo) e la tensione (massima) a trazione della fune (Par. 11.5); per esso la recente normativa CEN fissa, per funi portanti ℜr /Tmax ≥ 3,15 e ≥ 2,70 a seconda che il freno di vettura (Par. 11.6.1.1) sia inattivo o attivo, per funi traenti di funicolari ℜr /Tmax ≥ 4,2, per traenti di bifuni a moto unidirezionale e portanti-traenti di monofuni ℜr /Tmax ≥ 4,0. Per i rapporti di avvolgimento la normativa CEN prevede un nutrito insieme di valori per i vari casi che si presentano. Rinviando ad essa, citiamo ad esempio che per gli appoggi della portante su carrelliere e scarpe di sostegni il rapporto tra raggio di curvatura e diametro della fune deve essere R/d ≥ 150 ÷ 250 mentre per traenti in moto su pulegge il rapporto tra i diametri deve essere D/d ≥ 80 scendendo a 22 per gli attacchi ad aderenza su tamburelli. Riguardo alla limitazione del rapporto locale tra tensione della fune e forza concentrata perpendicolare all’asse, per funi portanti deve risultare T/Fn ≥ 10 in corrispondenza delle vetture (carrelli) e T/Fn′ = 60 ÷ 80 sul singolo rullo (Fn′ = Fn/n con n numero di rulli per carrello o rulliera) mentre per funi portanti-traenti deve essere T/Fn ≥ 12 ÷ 15 per attacco dei veicoli singolo o duplice ravvicinato e ≥ 60 su rulli. Segnaliamo per completezza che è uso prendere in considerazione, ai fini del controllo della flessione locale, anche il prodotto di Fn′/T per il rapporto Fn′/A (con A area della sezione della fune), cioè Fn′ 2/(TA), noto come “rapporto di Isaachsen” equivalente ad una pressione, che in Italia si assume ≤ 0,07 daN/mm2. Comunque, l’esperienza ormai di oltre un secolo permette di concludere che la fune, soprattutto se ben tesa, è un componente di grande sicurezza ed affidabilità, una volta garantite l’efficienza dei controlli e la cura della manutenzione. Al riguardo, un fattore importante di efficienza della fune, in particolare con riferimento al comportamento a fatica e alla durata, è la lubrificazione, che alcuni Autori individuano fra le proprietà, visto il legame con la formazione. La quantità ed omogeneità di distribuzione vanno controllate a vista seguendo prescrizioni ed istruzioni di Enti ufficiali. Nelle funi flessibili diventa importante il materiale dell’anima in relazione alla capacità di trattenere il lubrificante. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 11.4.1.2. 485 Scelta delle funi La scelta delle funi per impiego funiviario dipende dalle proprietà descritte. Funi portanti Essendo ferme - a parte moti oscillatori e scorrimenti sugli appoggi causati dalla variazione di posizione dell’eventuale contrappeso o da dilatazioni e contrazioni meccaniche e termiche - possono essere ritenute rigide, con tutti gli elementi costituenti che in prima istanza collaborano ugualmente a resistere alla trazione assiale cui la fune è soggetta. In realtà, al contatto con i rulli dei carrelli delle vetture, che rappresentano carichi concentrati mobili, e con le scarpe di appoggio sui sostegni si generano nei fili sollecitazioni disuniformi sovrapposte di trazione e flessione, che variano nel tempo con fenomeni di fatica. La formazione migliore al riguardo sarebbe la spiroidale aperta con fili dei vari strati paralleli, in quanto porterebbe ad una buona ripartizione delle interazioni tra essi; ma il ricordato rischio di fuoriuscita e srotolamento di fili comporta il ricorso a funi spiroidali con avvolgimento crociato e chiuse con due e anche tre strati di fili sagomati. Al rilevante pregio della superficie liscia, che agevola sia lo scorrimento sulle scarpe sia il rotolamento dei rulli dei carrelli, fanno da contropartita però gli inconvenienti della minore resistenza a parità di sezione metallica, che nasce dal non poter spingere la lavorazione di trafilatura dei fili sagomati come per i fili tondi, e delle ingenti azioni concentrate nel contatto tra i fili dei vari strati. Anche le funi Ercole crociate sono state impiegate come portanti avendo i fili dei vari strati che corrono pressoché paralleli e potendo attenuare l’inconveniente della rilevante curvatura nei trefoli smorzando gli sforzi al contatto con accorta scelta degli angoli di avvolgimento; inoltre, avendo tutti fili tondi di elevata resistenza, a parità di sezione metallica sopportano tiri più elevati rispetto alle funi chiuse benché con diametri maggiori. Quest’ultimo svantaggio può essere attenuato con la formazione semiercole, tuttavia con possibili concentrazioni di sforzi al contatto. L’inconveniente maggiore delle funi Ercole è l‘irregolarità superficiale esterna, avvertita soprattutto nello strisciamento sulle scarpe che genera usura, con riduzione di sezione metallica e quindi di resistenza, obbligando per norma a spostamenti periodici della fune; nel rotolamento dei rulli interviene a favore il rivestimento cedevole delle gole di essi. La scelta tra funi spiroidali chiuse, funi Ercole e funi semiercole in un dato impianto dipende dalla geometria della linea (profilo, numero di sostegni, angoli di deviazione delle funi) e dall’entità degli sforzi di trazione per avere una configurazione che l’esperienza impiantistica impone sempre molto tesa, avendo presente il carico delle vetture. Resta il fatto che è ormai imperante la fune chiusa. Funi traenti Essendo soggette a curvatura sulle pulegge come pure sui rulli di appoggio dei sostegni di linea, sono giocoforza del tipo flessibile. Le traenti pure risentono, oltreché la trazione assiale, sollecitazioni di flessione di tipo ciclico soprattutto laddove i contatti sono concentrati come sui rulli di linea. 486 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Nelle funi portanti-traenti, al suddetto stato tensionale si aggiunge quello indotto dalle forze concentrate applicate da morsetti e morse di collegamento dei veicoli, che si intensifica sui rulli di linea e all’avvolgimento sulle pulegge. Le funi più adatte sono dunque quelle ad avvolgimento parallelo che risultano le più flessibili ma hanno però il ricordato inconveniente della tendenza allo srotolamento, che però può essere eliminata conferendo ai trefoli preventivamente l’andamento ad elica che avranno nella fune, operazione detta “preformazione”. La tendenza a rotare non c’è, come detto, con la cordatura crociata, in cui l’avvolgimento dei fili nei trefoli è opposto a quello dei trefoli nella fune, ma il suo impiego è sconsigliato per la minore resistenza alla fatica per flessione. Nella scelta vanno accordati fattori spesso discordanti; ad esempio, fili troppo sottili, e dunque più flessibili, sono più soggetti ad usura e a corrosione causate dagli avvolgimenti su pulegge e rulli e dagli agenti atmosferici, ma d’altra parte portano a formazioni più compatte, con maggiore sezione metallica a pari diametro o minor diametro a parità di sezione metallica; come pure diametri di fune troppo piccoli rendono la fune troppo leggera e quindi sensibile al vento, mentre troppo grandi appesantiscono tutti i componenti meccanici, in particolare quelli soggetti al vincolo dei rapporti di avvolgimento (pulegge, rulli ecc.). La formazione più diffusa per funi di trazione è, come già detto, la Seale che ha trefoli con fili esterni di grosso diametro e parte interna più compatta. Sono però impiegate anche le Warrington-Seale e le Warrington e per funi sottili anche quelle a cordatura parallela. Poiché la fune traente lavora in forma di anello va effettuata la giunzione dei due capi. L’operazione, esclusiva delle funi flessibili, è detta impalmatura e consiste essenzialmente nel sostituire un tratto di trefolo di un capo con un tratto di trefolo dell’altro capo, per tutte le coppie di trefoli della fune in punti diversi, e nell’inserire al posto dell’anima i tratti sostituiti in modo da conservare il diametro della fune. È un’operazione estremamente delicata, che viene eseguita manualmente da personale altamente qualificato che segue specifiche istruzioni rigidamente regolamentate. 11.4.1.3. Evoluzione delle funi Nel corso del tempo, sulla spinta dell’esperienza impiantistica in vista del miglioramento ed affinamento delle prestazioni in esercizio e sicurezza, le ditte di funi hanno introdotto importanti varianti innovative per la formazione e la costruzione, cui concisamente si accenna. La fune ad anima compattata È una fune in cui l’anima tessile tradizionale in polipropilene è sostituita da un’anima in plastica compattata ottenuta per compressione a caldo e riempimento della sezione trasversale; prodotta dalla Tréfileurope, essa ridimensiona il problema dei forti allungamenti dovuti a riduzione del diametro e stiramento dell’anima tessile, che laddove presenti richiedono interventi costosi di accorciamento con rifacimento dell’impalmatura. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 487 Si ottiene infatti, anche a bassa temperatura, una stabilità geometrica praticamente eterna, con allungamenti garantiti di 0,05 ÷ 0,08 % dopo due anni e resta < 0,15 ÷ 0,2 %, con riduzione del diametro < 1 %. Le funi compattate sono in acciaio lucido o zincato trafilato, di resistenza 1560 ÷ 2160 N/mm2, con formazione da 6 · 7 a 6 · 43 e diametri da un minimo di 22 mm ad un massimo di 71 mm (Les Arcs, Francia), per lunghezze anche oltre 10 km (Vallée Blanche, Chamonix). Sono apparse nel 1984 in America ad opera delle Ditta Poma of America e Lift. Il primo impiego in Europa si è avuto nell’impianto per trasporto urbano di Laon (Francia, sistema “Poma 2000”), cui seguirono la prima seggiovia ad agganciamento fisso di Le Monetier (Serre-Chevalier), la teleferica per trasporto materiale dal Congo al Gabon, una delle più lunghe al mondo e nel 1985-1986 gli impianti DMC francesi di Les Deux Alpes, Flaine e Alpe d’Huez. La fune prestirata È un prodotto recente della Fabbrica Redaelli ad uso anche di impianti funiviari per rispondere all’aumento del diametro e della lunghezza delle funi, in particolare delle portanti-traenti, richiesto dallo sviluppo delle monofuni, con aumento conseguente dell’allungamento e dei suoi effetti. È da tener presente che una fune subisce due tipi di allungamento: il primo, anelastico (plastico), irreversibile, dovuto all’assestamento dei trefoli sull’anima cedevole; il secondo, elastico, proporzionale alla lunghezza L ed allo sforzo T secondo la nota relazione ∆l = TL/EA, con E modulo elastico e A area della sezione. In esercizio detto allungamento raggiunge 0,2 % dopo 500 ore di esercizio, 0,3 % dopo 1500 ore per assestarsi su 0,6 % nell’intera vita della fune. D’altra parte, il recupero di esso tende a diminuire col passaggio dalla tensione prodotta da un contrappeso a quella da tenditore idraulico. Gli effetti combinati di detti fenomeni possono richiedere l’accorciamento della fune durante il primo esercizio dell’impianto, con considerevoli danni economici e di servizio. La prestiratura consiste nel precaricare la fune con un tiro pari a ∼ 40 % del carico di rottura, valore quindi maggiore di quello che si avrà in esercizio. L’operazione agisce su entrambi i tipi di allungamento, parzialmente sul primo e per intero sul secondo, in proporzione alla diminuzione del tiro in esercizio. La fune ad anima scanalata L’anima tradizionale, in fibra o in materiale plastico, è caratterizzata da elevata comprimibilità, in parte propria del materiale in parte causata dalla concentrazione di sforzi di contatto “puntuali” dei trefoli prodotti dall’avvolgimento (effetto ponte), da cui deriva in gran parte l’allungamento della fune specie durante nel primo esercizio. Per ridurre gli inconvenienti suddetti, e con essi l’allungamento, la fabbrica inglese Bridon Ropes Ltd ha introdotto l’anima scanalata rivestendo l’anima convenzionale con uno strato polimerico munito di scanalature elicoidali per l’alloggio dei trefoli, ottenuto con processo di estrusione a caldo, Figura 11.10. 488 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata L’ampio arco di contatto che viene a crearsi attenua di molto la pressione specifica, con minore compressione dell’anima, assicurando stabilità di forma e dimensione della fune cui contribuisce anche la conservazione della distanza tra trefoli. Ne derivano minori allungamenti in esercizio ed un incremento della resistenza a fatica flessionale data l’assenza di sfregamenti mutui con diminuzione delle rotture interne valutabile in 30 %. Il materiale di rivestimento scelto, nel mentre ha elevata resistenza alla compressione sotto carico ed alla deformazione permanente, oltreché al rigonfiamento al contatto con olii lubrificanti, conserva al tempo stesso notevole flessibilità, insieme ad alta resilienza, alle basse temperature. La fune a riempimento intertrefolo In questa fune, prodotta dalla ditta Fatzer, i trefoli appoggiano su materiale plastico profilato che riempie lo spazio tra essi per cui la superficie esterna si avvicina a quella di un cilindro liscio, Figura 11.10, particolarmente valida per alte velocità e laddove silenziosità e minime vibrazioni sono richieste di esercizio primarie come nel trasporto urbano. Figura 11.10: Sopra: funi ad anima compattata e a riempimento intertrefolo; sotto: funi a sette e nove trefoli [23T] [23F] [23B] [23R]. Funi di trazione a sette e nove trefoli L’abbandono della tradizionale struttura a sei trefoli ha portato ad una più omogenea ripartizione delle azioni mutue di contatto della fune con pulegge e rulli, con guadagno per l’usura degli organi e la morbidezza dell’esercizio. Funi con anima in fibra ottica In tempi recenti, per la trasmissione dei segnali in funivie bifuni a va e vieni è stata proposto, al posto di un cavo apposito, un fascio di fibre ottiche inserite come anima nella fune portante. Nel caso di attacchi a testa fusa il materiale di fusione non può però essere una tradizionale lega metallica perché la fibra ottica verrebbe distrutta; si può ricorrere a resine sintetiche colate a freddo, positivamente sperimentate su teleferiche per materiali. 11.4.2. ARGANI L’apparato di azionamento di un impianto a fune, l’argano, comprende uno o più motori, riduttori, organi di trasmissione del moto alla puleggia motrice, e freni. Nelle funivie per trasporto persone, specie in quelle di elevata potenzialità, sono presenti di regola, per la continuità dell’esercizio, due argani, l’uno per servizio principale, l’altro per servizio di riserva, cui si aggiunge di regola un terzo argano, per il recupero dei passeggeri in caso di fermata dell’impianto per avaria. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 11.4.2.1. 489 Motori I motori principali sono normalmente motori elettrici ad eccezione di impianti di modesta portata dove l’azionamento è affidato a motori termici, di norma Diesel. Questi sono invece frequenti per alimentare gruppi elettrogeni per azionamenti di riserva o di recupero negli impianti di maggiore importanza. Negli azionamenti di prima generazione il motore elettrico era l’asincrono trifase alimentato dalla rete senza convertitori statici, specie laddove la variazione di velocità non era un’esigenza primaria; l‘avviamento era ottenuto con resistenze rotoriche. In quelli di seconda generazione si passò ai motori a corrente continua con gruppi Ward-Leonard comandati da motore trifase normale con batterie di compensazione ed emergenza; essi però, nonostante le alte qualità di regolazione della velocità in ogni condizione di carico, furono presto abbandonati per motivi di basso rendimento elettrico, di costo, di ingombro e di manutenzione. In quelli di terza generazione, oggi impiegati, si hanno motori a corrente continua, alimentati e regolati con “tiristori” (al silicio) a doppio ponte contrapposto di Graetz, con regolazione elettronica, che permette la marcia dell’impianto con controllo completamente automatico della velocità dalla partenza all’arrivo. In tempi recenti ha ritrovato competitività, sulla spinta di quanto avvenuto nel settore delle applicazioni industriali a velocità variabile, l’azionamento con motore asincrono trifase a gabbia di scoiattolo alimentato da convertitori statici IGBT. Inoltre, sono stati messi a punto dalla ditta Leitner motori di nuova concezione rotanti a velocità molto bassa (utilizzati anche su turbine eoliche), che possono essere direttamente collegati alla puleggia motrice, con eliminazione quindi dei riduttori. Con riferimento alla configurazione ancora oggi maggiormente diffusa, l’azionamento di un impianto funiviario, in particolare di una monofune a collegamento temporaneo, prevede: –– –– –– –– argano principale, motore in corrente continua (c.c.) o alternata (c.a.); argano di riserva, motore in c.c. o c.a., motore termico; argano di recupero, motore in c.a., motore termico; meccanismi di stazione, motori in c.c., presa di moto diretto dalla fune. La coppia generata dal motore viene trasmessa al riduttore; col motore principale la trasmissione avviene con un giunto di vario tipo - elastico, cardanico, ad attrito-aderenza, idrodinamico - mentre con il motore di riserva o di recupero è anche idraulica o a cinghie; dal riduttore la coppia passa alla puleggia motrice per collegamento torsionale diretto con chiavetta o anelli elastici (Ringfeder) o mediante un innesto a denti, e dalla puleggia alla fune per aderenza. Nell’argano di recupero è diffusa la trasmissione idrostatica, consistente in un insieme idraulico pompa-motore in circuito; la pompa, mossa spesso da un motore termico, produce olio in pressione e lo invia al motore che muove l’albero del riduttore o direttamente la puleggia motrice. 490 11.4.2.2. La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Riduttori Hanno il compito di ridurre l’alto numero di giri del motore al basso numero di giri della puleggia motrice quale risulta dal diametro e dalla velocità della fune. Viene detto rapporto di riduzione il rapporto ne/nu = τ tra numeri di giri in entrata (dell’albero veloce collegato al motore) e in uscita (dell’albero lento collegato alla puleggia). Ad esempio, con V = 6 m/s e d =5 m, si ha ω = 2,4 rad /s, cioè nu = 22,9 giri/1′ e quindi, con ne = 1550 giri/1′, τ = 67,7. Vengono impiegati riduttori ordinari, ad assi paralleli od ortogonali, e riduttori epicicloidali. I riduttori ordinari sono costituiti da coppie di ingranaggi con asse di rotazione fisso; ad esempio nelle monofuni a collegamento temporaneo normalmente si ha una coppia conica e due coppie cilindriche con τ = 60 ÷ 100. Hanno spesso due ingressi collegati rispettivamente da una parte al motore principale, dall’altra al motore di riserva o di recupero (se entrambi elettrici). Nei riduttori epicicloidali l’asse di una o più delle ruote dentate è mobile; hanno uno o più stadi ciascuno costituito da una ruota planetaria, tre satelliti ed una ruota esterna, preceduti il più delle volte da una coppia conica in carter separato. Alla maggiore leggerezza rispetto agli ordinari oppongono una costruzione più complessa e un rendimento minore, con sviluppo di calore che spesso richiede un radiatore di raffreddamento. Negli azionamenti di recupero, in cui un motore termico o elettrico muove un gruppo idraulico pompa-motore, la riduzione di velocità tra questo e la puleggia motrice si avvale anche di uno stadio finale realizzato da una coppia dentata interna formata da un pignone e da una corona portata internamente dalla puleggia motrice, soluzione utilizzata in vecchi impianti anche per l’argano principale. L’accoppiamento è attuato una volta scollegata la puleggia motrice dal riduttore dell’argano principale. La vita di un riduttore dipende, oltreché dal carico e dalle modalità di esercizio, dalla corretta lubrificazione di ruote e cuscinetti, che è ottenuta per sbattimento di olio oppure è forzata, con olio in pressione prodotta da una pompa in canali scavati nel corpo metallico; questa è preferita perché con l’altra l’olio può venire allontanato per forza centrifuga. Tra motori termici e riduttori sono spesso inseriti cambi meccanici. 11.4.2.3. Pulegge: puleggia motrice La puleggia si compone di un mozzo per il collegamento con l’albero lento, di razze o di un disco di lamiera, e di una corona periferica con gola per l’avvolgimento della fune munita di guarnizioni per l’aderenza, sui cui fianchi sono ricavate le fasce frenanti del freno di emergenza. È eseguita di solito in costruzione saldata e nel caso di grandi diametri in due parti per il trasporto. Le pulegge motrici moderne hanno gli organi di supporto separati da quelli di trasmissione della coppia; dispongono inoltre di controlli di assetto per segnalare posizioni anomale dovute a cedimenti di cuscinetti, mozzi e alberi. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 491 Le pulegge sono messe a terra per mezzo di piastrine in materiale tenero (normalmente bronzo) poste nel rivestimento della gola che hanno anche lo scopo di fermare l’impianto in caso di scarrucolamento della fune. Il rivestimento va sorvegliato per segnalare la presenza di olio lubrificante e/o di acqua di provenienza esterna che abbassano l’aderenza causando lo slittamento della fune. 11.4.3. FRENI E SISTEMI DI FRENATURA Il compito dei freni è quello di rallentare e fermare l’impianto in tempi e spazi stabiliti tutte le volte che viene azionato un dispositivo di arresto, oltre ad evitare che l’impianto vada in retromarcia. Dai freni di prima generazione - del tipo a ganasce o a nastro agenti su fascia freno o su tamburo solidali di solito con la puleggia motrice, comandati da contrappesi - si è passati a quelli della seconda, di ugual tipo ma comandati elettroidraulicamente e, poi a quelli attuali di terza generazione, in generale del tipo a disco, con elementi (pastiglie) che agiscono su un disco solidale all’albero veloce o su fasce apposite della puleggia motrice. Il funzionamento per ragioni di sicurezza è di tipo “negativo”; la forza di pressione delle pastiglie è prodotta da molle a tazze che la applicano nel momento in cui viene a mancare, per comando o per avaria, l’azione di contrasto esercitata da olio in pressione che normalmente è presente a freno aperto. Nei freni antichi a contrappeso, questo era tenuto alzato da elettromagneti o da attuatori idraulici o pneumatici, cadendo quando spariva l‘azione di contrasto. Nei sistemi di frenatura avanzati la forza frenante è regolata da dispositivi elettro-idraulici o elettropneumatici che ne permettono la “modulazione”, e cioè la regolazione che mantiene costante la decelerazione secondo una rampa stabilita qualunque sia il carico della linea, con continuo confronto del valore reale con un valore impostato. In tal modo è possibile ottenere frenature graduali nei tempi e spazi previsti con forze di inerzia contenute per limitare le oscillazioni dei veicoli in linea e disturbi ai viaggiatori. Ad esempio, nelle monofuni a collegamento temporaneo deve aversi una decelerazione media ≤ 0,6 m/s2 nella frenatura modulata normale e ≤ 1,0 m/s2 nella frenatura modulata d’urgenza. Gli impianti moderni sono dotati di un freno di servizio e di un freno di emergenza indipendenti tra loro, cui si aggiunge la possibilità di frenatura tramite il motore elettrico. Dove questa non c’è il freno di servizio interviene in ogni comando di arresto dell’impianto. Il freno di servizio agisce normalmente su elementi solidali all’albero veloce mentre il freno di emergenza agisce sulla puleggia motrice; i due freni sono tipologicamente analoghi ma il secondo è evidentemente più potente. Normalmente la frenatura elettrica decelera l’impianto fino all’arresto. Se viene richiesto l’intervento del freno di servizio o del freno di emergenza, si interrompe la corrente di alimentazione del motore. Un particolare freno di emergenza è quello di cui sono dotate le vetture delle funivie bifuni e delle funicolari, nelle prime agente sulla fune portante, nelle seconde sulla rotaia. Per esso si rinvia all’analisi dei due impianti. 492 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata 11.4.4. DISPOSITIVI DI ATTACCO E SERRAGGIO Morsetti. Morse I morsetti sono i dispositivi di attacco fisso dei veicoli alla portantetraente di monofuni. I primi tipi, a serraggio normale, erano costituiti da un corpo in acciaio contenente una ganascia fissa ed una mobile e da un bullone-dado filettato per il serraggio sulla fune, con pressione stabilita da una chiave dinamometrica; nei più moderni a serraggio elastico il corpo del morsetto alloggia anche una molla caricata da un dado la cui freccia di compressione determina la pressione di serraggio. Nel corpo del morsetto è alloggiato un perno per il collegamento della sospensione del veicolo. Va citato, per la sua diffusione in USA l’attacco di tipo “interno” dei veicoli alla fune; proposto già nel 1887 da Hallidie (progettista dei cable car di S. Francisco), modificato più volte per trasporto materiali, ed introdotto nel 1941 per trasporto persone dalla ditta Riblet, consiste semplicemente nell’introdurre nel corpo della fune dei terminali di acciaio. Le morse sono i dispositivi che attuano il collegamento temporaneo tra veicoli e fune traente nelle monofuni e nelle bifuni a moto continuo. Una morsa è costituita da un corpo che contiene le due ganasce fissa e mobile e una o due molle, ed è provvisto anche di due ruote di scorrimento, di una leva con rullo di guida laterale e di un pattino che viene in contatto con un treno di ruote gommate nelle fasi di decelerazione ed accelerazione rispettivamente in arrivo e alla partenza del veicolo in stazione. L’apertura delle ganasce all’arrivo e la chiusura alla partenza avvengono per contatto del rullo della leva con rotaie-guida (Par. 11.7.). La forza di serraggio deve per norma provenire da due fonti indipendenti, della stessa natura, ad es. due molle distinte, o di natura diversa, ad es. una molla e la gravità; l’intensità dipende dalla pendenza della fune e dal peso del veicolo carico, e per sicurezza contro lo scorrimento deve essere ≥ tre volte la componente sulla pendenza massima (con diametro fune ridotto di 3 %). Il suo corretto valore è controllato, insieme con la configurazione della morsa, da una serie di dispositivi (Par. 11.7.). Normalmente per le seggiole si impiega una morsa con due molle, per le cabine due morse con due molle ciascuna collegate rigidamente. Figura 11.11: Morsa per monofune a collegamento temporaneo [22L]. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 493 Figura 11.12: Morsetto per bifune a moto unidirezionale continuo [22L]. La Figura 11.11 mostra una morsa a collegamento temporaneo per monofune, la Figura 11.12 un morsetto per bifune a moto continuo. Teste fuse. Attacchi a tamburo Le teste fuse sono state per lungo tempo, ed ancora si incontrano, gli attacchi tipici delle funi portanti ai dispositivi di tensione e delle funi traenti alle sospensioni nelle bifuni; sono costituite da una coppa conica in cui viene alloggiato un estremo della fune aperto e viene poi colata una lega a bassa fusione che raffreddando blocca i fili in un insieme rigido; la coppa viene poi accoppiata con una coppa cava per il collegamento. Anche se la perizia di esecuzione porti ad un dispositivo sicuro, nel corso del tempo è divenuto nettamente preferito l’attacco ad aderenza, realizzato avvolgendo la fune con più spire (normalmente tre) su un tamburo solidale all’organo da collegare alla fune. Si incontrano anche dispositivi di attacco costituiti da profili curvi di particolare forma (chapeau de gendarme) che bloccano la fune. 11.4.5. IL DISPOSITIVO DI TENSIONE Ha lo scopo di fornire un valore noto e costante della tensione della fune in un punto. Per le funi portanti esso è costituito di norma da un contrappeso, mentre per le traenti e portanti-traenti può essere un contrappeso o un sistema idraulico cilindro-stantuffo la cui azione dinamica viene trasmessa all’anello trattivo. Per le funi di trazione in particolare, il dispositivo di tensione può comprendere i componenti di seguito concisamente descritti. 494 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata –– Slitta tenditrice: è un telaio in profilati metallici munito di quattro ruote verticali con cui può traslare su rotaie-guida di scorrimento; quando la stazione è anche motrice, essa supporta anche l’argano e in tal caso è munita anche di ruote orizzontali per l’equilibrio della coppia. Microinterruttori ne controllano l’escursione prima dell’intervento di finecorsa meccanici che possono provocare pericolosi incrementi o cali di tensione della fune, con sovrasollecitazioni o perdita di aderenza alla puleggia motrice, situazioni esaltate dalla presenza di ghiaccio o di temperature elevate. –– Fune tenditrice: attua il collegamento della slitta al contrappeso, realizzato spesso da più rami (a taglia); l’attacco alla slitta avviene con tamburo ad aderenza, quello al contrappeso tramite un arganello di regolazione della posizione (spesso con vite-ruota irreversibile). –– Contrappeso: è una massa in calcestruzzo o in metallo (di solito piombo) guidata verticalmente in un pozzo, con escursione controllata da sensori che arrestano l’impianto prima dell’impatto con le strutture di estremità; il suo peso produce una tensione definita nella fune che rimane costante con il carico, le escursioni termiche, la formazione di ghiaccio ecc., pur potendo variare per forza d’inerzia con il suo spostamento (peraltro assai lento). –– Dispositivo idraulico: è costituito da un cilindro con olio in pressione, mandato da una pompa, che agisce su uno stantuffo che tramite una puleggia montata su slitta trasmette all’anello trattivo una forza determinata; è la modalità di tensionamento divenuta prevalente sia per le prestazioni offerte dall’oleodinamica sia perché meno costosa dell’insieme contrappeso-pozzo. Le prestazioni sono garantite controllando la pressione nel cilindro, con invio e scarico di olio seguendo l’escursione dello stantuffo-slitta per variazioni termiche, allungamenti della fune, ecc.; una valvola (paracadute) frena lo scarico se la velocità dello stantuffo superasse 10 ÷ 20 mm/s, ad es. per rottura di tubi. 11.4.6. LINEA: SOSTEGNI Probabilmente, la funivia bifune è nata per unire due punti di un profilo orografico con concavità più o meno accentuata, mentre la seggiovia, ed in generale la funivia monofune, è nata, beninteso con le proprie caratteristiche, per un terreno preferibilmente convesso. Nel corso del tempo, il progresso tecnico ha permesso di ampliare le possibilità ubicative degli impianti in vista dell’utilizzazione di zone sciistiche e turistiche ben più variegate rispetto alla semplice tipologia delle origini e questo ha riguardato soprattutto l’impianto monofune in tutte le sue forme mentre il bifune è rimasto maggiormente vincolato. Una funivia bifune di contenuta lunghezza e concavità accentuata può essere a campata unica, senza sostegni; nel caso generale, di linee lunghe, su terreno accidentato, con profilo a curvatura mista e presenza di speroni o crinali rocciosi, occorrono sostegni in numero adeguato alla migliore configurazione delle funi portanti. Da quando si è imposto il criterio delle funi fortemente tese il numero è drasticamente sceso fermandosi nelle bifuni moderne a poche unità. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune Figura 11.13: Sostegno di linea a struttura reticolare per funivia bifune (con recupero passeggeri per calata a terra) [3]. 495 Le monofuni, qualunque sia il profilo del terreno, hanno in genere un elevato numero di sostegni, dovendo la fune avere franchi dal suolo limitati in vista del recupero rapido ed efficiente delle persone in caso di fermata dell’impianto per avaria. I sostegni hanno il più delle volte funzione di appoggio (sostegni di appoggio), con forza applicata alla fune orientata verso l’alto (risultante delle tensioni della fune in entrata e in uscita rivolta verso il basso) ma possono avere, nelle monofuni in particolare, la funzione di trattenere la fune (sostegni di ritenuta), con la suddetta risultante orientata verso l’alto (forza sulla fune verso il basso), situazione tipica in uscita dalla stazione di valle che può richiedere, se la pendenza iniziale è notevole, ritenute multiple. Attenzione speciale richiedono i sostegni di appoggio che hanno la sommità al disotto della congiungente le sommità dei sostegni adiacenti (sostegni sottocongiungente) potendo aversi in essi il distacco della fune in caso di aumenti della tensione. I sostegni, generalmente in acciaio, sono costituiti da un ritto o fusto rastremato in alto e da una trave di sommità o testata. Il fusto è realizzato a parete piena di forma tubolare o scatolare oppure a struttura reticolare (a traliccio). Questa è preferita in genere per i più alti (anche 190 m) per la minore superficie esposta al vento, negli altri casi è adottato il fusto a parete piena per la maggiore economia di costruzione permessa dalle tecniche di saldatura della lamiera essendo ormai in disuso il collegamento per chiodatura, più complesso oltreché più esposto a usura e corrosione. Di regola l’asse del fusto è disposto, in particolare nelle bifuni, secondo la direzione della suddetta risultante delle due tensioni. La testata, anch’essa di forma e struttura analoghe, porta alle due estremità gli appoggi di sostegno delle funi portanti (scarpe) e/o le rulliere per il moto dell’anello trattivo. Le scarpe, rivestite di materiale tenero per lo scorrimento delle funi, hanno forma e curvatura tale da permettere il transito della vettura pur inclinata, con accelerazione centripeta entro limiti fisiologici (< 2 m/s2). I sostegni sono muniti di guide di protezione contro l’impuntamento di veicoli inclinati, nonché di dispositivi per trattenere la traente eventualmente fuoriuscita dai rulli (scarrucolata) e riportarla in posizione corretta, e di attrezzature per operazioni di montaggio (falconi) e controllo. La Figura 11.13 mostra un tipico sostegno a traliccio per funivia bifune di bifune, illustrando anche il recupero viaggiatori per calata a terra. Negli impianti montani sono stati impiegati anche, benché in misura ampia- 496 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata mente minore, sostegni in cemento armato, che stanno invece diventando frequenti, rivisti esteticamente ai fini dell’inserimento ambientale e panoramico, nelle cabinovie per trasporto urbano. 11.4.7. RULLI E RULLIERE I rulli sono costituiti da piastre in acciaio i cui bordi periferici formano una gola rivestita di materiale elastico per ridurre gli effetti della pressione di contatto sulla fune ed attenuarne l’usura. Elementi di forma opportuna impediscono lo scarrucolamento. Le rulliere sono insiemi di rulli con assi paralleli allineati portati da piastre di collegamento e sostegno (bilancieri), montate, come detto, alle estremità delle testate dei sostegni per guidare l’anello trattivo. In quelle dei sostegni di appoggio il contatto fune-rulli è nella parte superiore dei rulli, in quelle dei sostegni di ritenuta nell’inferiore. Il numero dei rulli è stabilito dai valori della deviazione della fune sul sostegno e dell’entità della forza totale trasmessa essendo limitati da norme quelli per il singolo rullo. L’insieme più semplice ha due rulli, il più complesso fino ad otto. Per avere l’equiripartizione della forza di contatto tra i vari rulli, questi, suddivisi in coppie, fanno capo a bilancieri primari articolati a bilancieri secondari, ciascuno dei quali riceve due primari, sicché, ad esempio, una rulliera a quattro rulli ha due primari e un secondario e ogni bilanciere si comporta pertanto come una trave isostatica. La Figura 11.14 mostra l’articolazione di rulli e bilancieri in rulliere di varia complessità. Figura 11.14: Forme di rulliere con disposizione dei rulli e dei bilancieri [3]. La possibilità di rotazione dei bilancieri rende la rulliera totalmente snodata per poter seguire al meglio la fune nel passaggio sul sostegno. Le rulliere sono fissate alle traverse dei sostegni tramite aste di sospensione sagomate per consentire il libero passaggio dei dispositivi di collegamento dei veicoli (morsetti, morse). Le aste sono articolate alle traverse con perni normali alla fune diventando quindi oscillanti in senso longitudinale (lungo la linea), e spesso anche con perni aventi asse nel piano della fune diventando quindi oscillanti in senso trasversale alla linea (sistema Graffer). Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 497 In tal modo la rulliera può accompagnare la fune in tutte le situazioni di carico, di vento ecc., rendendo non necessari i dispositivi raccoglifune in caso di scarrucolamento verso l’esterno. Forma e struttura analoghe hanno i carrelli con cui le vetture delle bifuni si muovono sulle portanti. 11.4.8. PROGRESSI DELLA TECNICA PER LA SICUREZZA DEI COMPONENTI La tendenza verso impianti di potenzialità di trasporto sempre più grande per rispondere a domanda in continuo aumento ha dovuto accordare, e deve continuare a farlo, le possibilità offerte dal progresso tecnologico con il mantenimento del massimo grado di sicurezza di esercizio. Ci si è avvalsi al riguardo di importanti conquiste tecniche tra cui: –– la diffusione generalizzata dell’automazione sia di comandi sia di sistemi di controllo e sicurezza portata dall’avvento dell’elettronica, con la realizzazione di sistemi a logica programmata; –– l’aiuto dato da metodi e procedimenti di calcolo automatico elettronico all’affinamento della conoscenza delle effettive configurazioni che assumono le funi nelle varie condizioni di esercizio, dei valori degli sforzi che sollecitano le varie parti dell’impianto, degli stati tensionali degli organi di prima sicurezza; –– la disponibilità di metodi e strumenti di indagine e di prova sempre più raffinati (ultrasuoni, raggi X e gamma, tecniche magnetoscopiche ecc.) che garantiscono controlli più sicuri dello stato delle funi e delle altre parti meccaniche degli impianti. In particolare, studi e ricerche hanno riguardato: –– la resistenza unitaria ottimale dei fili delle funi; –– la resistenza a fatica delle funi; –– la precisione e l’affidabilità degli strumenti di controllo magneto-induttivo delle funi, a magnetizzazione elettromagnetica o a magneti permanenti; –– l’efficacia e funzionalità dei morsetti per attacchi fissi e delle morse di collegamento temporaneo dei veicoli alle funi portanti-traenti; –– la frenatura sulle funi portanti (consumi delle ganasce, temperature massime, danni metallurgici), –– i circuiti di sicurezza. Riguardo ai circuiti di sicurezza, quelli della prima generazione erano a corrente galvanica, quelli della seconda ad “onde convogliate”, in quelli della terza generazione è entrata in pieno l’elettronica, col sistema misto microinterruttori-microrelé per tutti i dispositivi di rivelazione e controllo di stazione (correnti e coppie di motori, velocità della fune, intervento dei freni dell’argano, ecc.), e col sistema capacitivo-induttivo per i circuiti di linea (comunicazioni e comandi da e per le vetture, sicurezza sui sostegni, ecc.). L’elevato stato dell’arte raggiunto dal trasporto funiviario è passato però, come è accaduto all’evoluzione in tutti i campi della tecnica, attraverso il travaglio degli incidenti alcuni dei quali finiti in vere tragedie. Nel 1961 un aereo supersonico tranciò la fune traente della funivia della Vallée Blanche (Monte Bianco francese) causando lo schianto al suolo di tre cabine nella stazione intermedia del Gros Rognon con 12 vittime. 498 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Nel 1976 l’accavallamento della fune traente sulla portante nella funivia bifune Cavalese-Doss dei Laresi (Trentino) causò, non essendo stato l’impianto immediatamente fermato, la rottura per sfregamento localizzato della portante e schianto al suolo della vettura con 40 persone e 39 vittime. Lo stesso impianto vide una seconda tragedia nel 1998 quando un aereo della NATO tranciò una delle funi portanti, con conseguente schianto a terra e decesso di 20 viaggiatori. Nel 1989, nella bifune a va e vieni di Vaujany in Francia, l’uscita dalla sede del perno di sospensione della vettura per rottura a fatica dei bulloni che tenevano molle antioscillazion provocò la caduta al suolo della vettura con otto vittime. Nel 2005 l’incendio scoppiato in una vettura in galleria nella funicolare di Kaprun (Austria), esaltato dall’effetto camino, causò la morte di 150 persone. Vari altri incidenti minori, taluni sempre gravi perché con vittime, sono accaduti in tutte le parti del mondo e proprio dall’analisi tecnica di essi, effettuata anche in occasione delle riunioni internazionali annuali delle Autorità di Sorveglianza, si è andata arricchendo l’esperienza ed affinando la regolamentazione che ha potuto indirizzare opportunamente la tecnologia e la tecnica degli impianti verso un esercizio in sicurezza. Ad esempio, il terribile incidente austriaco ha portato ad imporre l’impiego di oli da freni ad elevata temperatura di autoaccensione, mentre gli incidenti causati da impatto di aerei hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di carte segnaletiche riportanti con precisione l’ubicazione degli impianti. In ogni caso, la sicurezza di esercizio consegue dall’assoluto rispetto di norme e prescrizioni di sicurezza da parte di tutti gli operatori. 11.5. FONDAMENTI TEORICI 11.5.1. GRANDEZZE CARATTERISTICHE Grandezze caratteristiche di un impianto a fune sono i dati geometrici, tipo e diametro delle funi, forma e capacità dei veicoli, la velocità di esercizio, la motorizzazione in numero, tipo e potenza dei motori, la potenzialità. Di velocità, funi e motori si è parlato in precedenza. Riguardo ai dati geometrici, i principali sono: –– la lunghezza orizzontale, distanza tra punti definiti delle stazioni estreme risultante dalla pianta topografica; –– il dislivello, differenza di quota tra le stazioni estreme in corrispondenza di detti punti; –– la lunghezza inclinata, lunghezza del segmento di retta tra i punti suddetti, e cioè l’ipotenusa del triangolo i cui cateti sono i due dati precedenti; –– la pendenza media, rapporto tra dislivello e lunghezza orizzontale. Ad essi si aggiunge la quota delle stazioni (altezza s.l.m), importante per la scelta del tipo di impianto, che figura tra i dati segnaletici riportati nel R.I.F. come visto nel Paragrafo 11.3.9. A proposito della lunghezza, e della pendenza, va precisato che il tracciato funiviario tra due stazioni è di regola rettilineo, peraltro con eccezioni Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 499 rappresentate da angoli e tratti curvi, ma in impianti lunghi e su terreni movimentati possono esservi più di due stazioni, che definiscono tronchi distinti e separati benché contigui, oppure costituiscono punti di imbarco e sbarco intermedi in vista della piena utilizzazione del servizio. In tali situazioni possono aversi tracciati in forma di spezzate di segmenti rettilinei di pendenza diversa. Una simile configurazione è tipica delle teleferiche per trasporto materiali la cui lunghezza totale si avvicina spesso al centinaio di km. 11.5.1.1. Potenzialità La potenzialità di trasporto P è il numero delle persone trasportate nell’unità di tempo, espressa di solito in persone/ora (p/h), portata oraria. È il dato maggiormente significativo di un impianto come indice della validità dell’investimento in sede tecnica ed economica. Il suo continuo aumento nel corso del tempo può fornire anche una importante chiave di lettura ed interpretazione della poderosa evoluzione della tecnica costruttiva funiviaria. Impianti monofune In una funivia a movimento unidirezionale continuo con velocità costante, se si indica con C la capacità del veicolo e cioè il numero di persone o di tonnellate di merce che contiene, e con ∆t l’intervallo di tempo costante in sec tra due veicoli consecutivi, si ha, essendo usuale il riferimento all’ora: P = 3600 C ∆t p h (11.1) L’intervallo tra veicoli consecutivi viene anche espresso come distanza geometrica, o equidistanza E [m/veicolo] per cui, se v è la velocità di marcia, con ∆t = E/v la (11.1) prende la nota forma: P = 3600 C×v E p h (11.2) La (11.2) vale anche per le bifuni a moto continuo. Si vede l’analogia tra la (11.2) e l’espressione della portata di una corrente fluida in un condotto, ponendo in corrispondenza la capacità C dei veicoli con l’area della sezione, il numero di veicoli per unità di lunghezza della linea 1/E (veicoli/m) con la densità del fluido e la velocità di marcia con la velocità di flusso. Nell’aumento dei tre fattori della (11.2) può individuarsi lo sviluppo delle funivie monofune in sede tecnico-economica, con il superamento di tutte le problematiche coinvolte. –– Velocità Nelle monofuni ad attacchi fissi la velocità di esercizio è imposta dal valore di imbarco e sbarco che è soggetto a limiti di sicurezza fisiologica. Con veicoli aperti (seggiovie) per la salita e discesa di pedoni il limite è di 1,5 m/s per veicoli mono- e biposto e di 1 m/s per multiposto, mentre per l’accesso di sciatori il limite va da 2,5 per biposto a 2 m/s per multiposto 500 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata ma sono stati positivamente sperimentati valori fino a 3 m/s se la stazione è dotata di dispositivi di imbarco mobili (pedane, tappeti, con velocità ∼ 1/3 di quella della seggiola), su cui lo sciatore arriva lanciato da un pendio preparato dal tornello di ingresso, che in sostanza riducono la velocità relativa seggiola-sciatore a ∼ 2 m/s. I suddetti valori riguardano l’accesso anteriore mentre possono modificarsi con l’accesso laterale (trasversale alla linea) attuato con modalità e sequenze studiate. Con veicoli chiusi il limite è 0,5 m/s. La bassa velocità di imbarco condiziona pesantemente la potenzialità delle monofuni e delle bifuni a moto unidirezionale continuo in cui i veicoli sono collegati all’anello trattivo con attacchi fissi. Con tale collegamento lo sgancio della velocità di marcia in linea da quella in stazione è possibile solo riunendo più veicoli in gruppi alla distanza minima di sicurezza rispetto ad urti fra essi, in modo che, una volta avvenuto l’imbarco contemporaneo per tutti i veicoli, si può accelerare la fune di trazione portandola alla velocità consentita dalle norme per la marcia in linea - con massimi di 6 m/s e 7 m/s per portante-traente rispettivamente unica e doppia - per decelerarla poi per lo sbarco. Un impianto così configurato ha moto “intermittente” ed è denominato “pulsé”; con tracciati lunghi possono aversi più gruppi di veicoli opportunamente distribuiti, in vista di aumentare la potenzialità (Par. 11.7.1.1.). Nelle monofuni a collegamento temporaneo la velocità in linea è indipendente da quella di imbarco e sbarco dei passeggeri in stazione per cui la prima può raggiungere 6 ÷ 7 m/s tenendo la seconda a valori di comodità operativa, 30÷40 cm/s. –– Intervallo tra veicoli È espresso di preferenza in termini di ∆t. Per seggiovie ad attacchi fissi la Normativa CEN prevede: C ∆T= κ 4 + min 2 [ s] (11.3) in cui va preso κ = 1 per caricamento anteriore, κ = 1,5 per caricamento laterale e valori intermedi per accesso ai veicoli regolato automaticamente. Nelle cabinovie a collegamento temporaneo l’equidistanza è controllata dai dispositivi che sorvegliano il corretto serraggio e distacco dei veicoli; essi devono comunque garantire che un veicolo resti a distanza > 0,5 m dal precedente se aperto o lo urti con velocità ≤ 1 m/s se chiuso. In passato si usavano per l’equidistanza geometrica relazioni empiriche sperimentate basate sulla velocità, ad esempio E = 4v2 per seggiole monoposto, 7v2 per biposto. Negli impianti a collegamento temporaneo E deve essere maggiore comunque di 1,5 volte lo spazio di frenatura. –– Capacità dei veicoli Per le seggiole, da C = 1 delle prime seggiovie monoposto, che ancora si incontrano in siti particolari, si è giunti a C = 8 delle più moderne seggiovie. Per le cabine, da C = 2 ÷ 4 nelle vecchie cabinovie ad attacchi fissi si è passati a C = 30 ÷ 35 in quelle recenti a collegamento temporaneo con doppia fune portante-traente. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 501 Da quanto detto la potenzialità può avere escursioni assai ampie. Ad esempio in una vecchia seggiovia o cabinovia monoposto (C = 1), con v = 1,5 m/s e E = 10 m (∆tmin = 6,5 s), si aveva P = 540 p/h mentre in una moderna cabinovia a collegamento temporaneo, con C = 30, v = 7 m/s e E = 150 m si può raggiungere teoricamente P = 5040 p/h. Nelle sciovie con fune bassa può aversi v = 2 m/s, in quelle a fune alta può assumersi v = 3,5 m/s con traini ad azione progressiva (Par. 11.8.); per E invece si ha ∆tmin = 4 s con traini monoposto, 6 s con traini biposto, e 5 s con fune bassa. In una grossa sciovia biposto può aversi dunque P = 1200 p/h. È interessante far presente che gli specialisti di sciovie, esercenti e tecnici, per valutare la validità economica di una stazione invernale come richiamo di masse, non ritengono importante la potenzialità in p/h bensì la potenzialità giornaliera intesa come “numero di dislivelli effettuati al giorno”, espresso dal prodotto “potenzialità (p/h) × numero di ore al giorno di funzionamento × differenza di quota della sciovia”. Impianti bifune a va e vieni Per essi per potenzialità s’intende il numero di persone trasportate nell’unità di tempo in un verso di marcia, in particolare in salita. Nel va e vieni di base, con una vettura per ramo, interviene, insieme alla capacità C, che esprime anche il numero di persone per corsa, il numero di corse nell’unità di tempo [corse/sec] che se T è la durata di una corsa [sec/corsa] vale 1/T. Si ha pertanto: P = 3600 ⋅ 1 T sec p sec p h → h ⋅ corsa / corsa (11.4) La durata T consta del tempo Tv di percorrenza della distanza L fra le stazioni di partenza e arrivo e del tempo richiesto per l’imbarco e lo sbarco (riempimento e svuotamento delle vetture, comprese le manovre di apertura e chiusura porte e la trasmissione dei segnali di partenza ed arrivo), tempo che possiamo definire di stazione, indicato con Ts, che dipende dalla capacità C tendendo ad allungarsi al crescere con essa. Se aa = cost e af = cost sono le accelerazioni assunte costanti in avviamento e frenatura e v è la velocità a regime [m/s], richiamando le leggi del moto uniformemente accelerato il tempo di percorrenza [s] del tracciato di lunghezza L [m] è dato dalla relazione: 2 v 1 1 v 1 Tv = + L - aa - a f aa v 2 aa 2 v af 2 + v af (11.5) che, assumendo in via approssimata aa = af = a si semplifica nella: Tv= v L + a v [ s] (11.6) La durata di una corsa, ovvero il tempo tra due arrivi consecutivi nella stessa stazione, vale dunque: T = Tv + Ts = v L + + Ts a v [ s] (11.7) 502 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata e quindi la potenzialità risulta: P = 3600 C v L + + Ts a v p h (11.8) I valori di aa e af sono imposti da esigenze fisiologiche e di comfort; come limite per entrambi può assumersi orientativamente aa = af = 0,4 m/s2. Riguardo a Ts in passato con vetture ad unico accesso si prevedeva in genere 1 sec/persona, per cui numericamente si poteva porre Ts ≈ C. Assumendo aa = af = 0,3 m/s2, e quindi con v/a ≅ 3v, la (11.8) diviene: P = 3600 C v L + +C a v p h (11.9) La (11.9) è una funzione P = f(C, v, L) che mostra P concorde con C e v e discorde con L, per cui elevate P derivano quindi dalla compresenza di grandi capacità, di elevate velocità di marcia e di linee corte e a campata unica perché con più campate i valori scendono notevolmente a causa del rallentamento al passaggio dei sostegni al fine di contenere effetti centrifughi disturbanti. Nel corso del tempo la velocità è passata da v = 6 - 8 m/s ai massimi attuali v = 10 ÷ 12 m/s (36 ÷ 43 km/ora) ammessi per vetture presenziate, restando ferma a ∼ 7 m/s per vetture non presenziate, mentre la capacità è salita da C < 20 a valori usuali di 100 ÷ 150 persone, con massimi progressivamente cresciuti a 180, 200, fino a 230 persone con vetture a due piani. All’aumento della capacità ha contribuito anche l’alleggerimento della struttura portante delle vetture mediante ricorso a leghe speciali e materiali compositi e a metodi di calcolo fine, derivandone, per dati vincoli per i carichi sulla fune (Par. 11.4.1.1), l’aumento del carico utile. Ben più corposo contributo è venuto dalla riduzione del tempo Ts, diminuito del 50 % e più nelle bifuni più moderne, mediante l’adozione di porte multiple, con apertura e chiusura ottimizzate ed accessi agevolati; di fatto, ammesso Ts ≈ 0,4 C la (11.9) fornisce: P = 3600 C L 3v + + 0,4C v p h (11.10) L’importanza della riduzione è mostrata da un esempio; con v = 12 m/s e L = 1500, per C = 100 dalle (11.9) e (11.10) risulta rispettivamente P = 1380 e 1800 p/h, con aumento del 30 %. Appare utile riportare in Figura 11.15 la funzione P = f(v, L, C) in forma di diagramma cartesiano avente sugli assi v, L e il rapporto P/C a parametro. Note L e v, si individua P/C e si perviene a P assegnando C. Ad esempio, con v = 10 m/s, per L = 1500 m si ha P/C ≅ 17 per cui con C = 50 ÷ 150 risulta P = 850 ÷ 2250 p/h, mentre per L = 1000 m risulta P/C ≅ 22 e a C = 50 ÷ 150 corrisponde P = 1100 ÷ 3300 p/h. Il diagramma descrive tuttavia formule del tipo (11.9) e (11.10) in cui si assumono valori di Ts compresi in (1 ÷ 0,2) C. Ad esempio, per v = 10, L = 1500 e C = 50 ÷ 150 la (11.9) fornisce P = 780 ÷ 1640, valori mi- Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune Figura 11.15: Potenzialità di funivie bifuni [3]. 503 nori di quelli del diagramma, mentre la (11.10) fornisce 900 ÷ 2250 p/h, valori invece prossimi ad essi, mentre per v = 10, L = 1000 e C = 50 ÷ 150 i valori che si ottengono sono P = 1000 ÷ 1930 con la (11.9), ben minori rispetto al diagramma, e P = 1200 ÷ 2840 con la (11.10), il primo più alto, il secondo più basso e di fatto ottenibile con Ts = 0,22 C e cioè con tempo di evacuazione della vettura pari a 33 s. In sostanza, per una data lunghezza L della linea, P cresce all’aumentare di v e C; e dato che la velocità è comunque scelta elevata, il suo aumento poggia soprattutto su quello della capacità delle vetture, risultato condiviso, come si vedrà, con gli impianti a moto continuo. Spaziando sul parco delle bifuni emerge la grande escursione della potenzialità al variare dei dati dell’impianto. Ad esempio con v = 10 m/s passando da L = 1000 m a L = 2000 m si rileva che P/C scende da 22 a 14 il che per C = 100 si traduce nella diminuzione di P da 2200 a 1400 p/h; aumentando v da 6 a 12 m/s, con L = 1500 m, P/C cresce da 11 a 19 il che per C = 100 significa l’aumento di P da 1100 a 1900 p/h. Infine, posti L = 1500 e v = 10, con P/C = 22, P cresce in proporzione con C passando da 1100 per C = 50 a 3300 p/h con C = 150. Nelle linee con più campate, poiché il passaggio sui sostegni deve avvenire con v < 10 m/s e < 6 m/s a seconda che le vetture siano presenziate o non, il termine L/v a denominatore della (11.10) aumenta e P si riduce. In definitiva, i valori ottenibili con la (11.10) e la Figura 11.15 con combinazioni ottimali delle grandezze possono essere distanti dalla realtà; i tempi di percorrenza sono di fatto cospicuamente più lunghi, sicché il numero di corse all’ora si riduce a < 10. Ad esempio, in una bifune a va e vieni con C = 50, v = 8 m/s, che è pur sempre un buon impianto, per L = 2000 m la potenzialità scende a ∼ 550 p/h. E in recenti impianti tecnologicamente di prestigio ma in situazioni particolari si possono incontrare valori anche notevolmente inferiori. Più complessa è la determinazione della potenzialità di impianti pulsé. Data la lunghezza del percorso e la velocità di marcia in linea, la potenzialità dipende dal numero di gruppi, dal numero di veicoli per gruppo, dalla capacità dei veicoli e va determinata caso per caso ottimizzando le suddette variabili. Ad esempio aumentando i gruppi cresce il numero di trasportati ma aumentano i tempi dei transitori con abbassamento della velocità media. In ogni caso, se le operazioni di imbarco e sbarco avvengono da fermo, per situazioni ed esigenze particolari (ad es.: con disabili), come richiesto negli impianti per trasporto urbano (Par. 11.11), crescono evidentemente i tempi di sosta e la potenzialità si riduce. 504 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata In generale la capacità è legata anche, mediante i tempi di sosta, alla frequenza di passaggio nel senso che, più corto è l’intervallo tra veicoli, minore può essere la capacità di essi. 11.5.2. TENSIONI NELLE FUNI L’indagine dello stato tensionale delle funi di un impianto funiviario è un problema di grande complessità perché vi intervengono: –– l’ufficio svolto dalle funi, portante, traente, portante-traente; –– la geometria della linea, profilo altimetrico, lunghezza e dislivello fra i punti estremi, ubicazione delle stazioni motrice e di tensione, numero e posizione dei sostegni; –– le modalità dinamiche di esercizio, a regime, in transitorio; –– la realizzazione meccanica dell’impianto, come forme e dimensioni dei componenti. La formulazione generale dello stato tensionale nelle varie situazioni che possono presentarsi esula dall’ambito della trattazione. Ci limitiamo quindi ad esprimere la tensione in alcune situazioni significative. Tensioni nella portante Come visto in precedenza la configurazione tipica della bifune prevedeva la portante ancorata ad un estremo e contrappesata all’altro. Con essa, la tensione nella fune portante è la risultante della forza applicata dal dispositivo contrappeso, della componente verticale del peso proprio della fune, delle resistenze d’attrito sugli appoggi (scarpe dei sostegni, carrelliere di deviazione al contrappeso), delle resistenze trasmesse dal veicolo tramite i carrelli (di rotolamento), cui si aggiunge lo sforzo derivante dall’eventuale frenatura sulla portante diminuito (nel regolamento italiano) del 7 % della tensione. Di solito il contrappeso è situato alla stazione inferiore. Tuttavia, lasciando libera la scelta della sua ubicazione, la tensione in un punto generico x della fune è la risultante delle forze agenti fin lì, che sono: –– la tensione TC applicata dal contrappeso; –– la componente verticale del peso della fune qhx, prodotto della massa lineare q [kg/m] per il dislivello hx tra i due punti, contata positiva dalla stazione a valle e negativa da quella a monte; –– la somma Rfx delle resistenze allo scorrimento sugli appoggi, positiva o negativa a seconda che il contrappeso, e con esso la fune, si muova verso l’alto o verso il basso. L’equilibrio delle forze è descritto quindi, in termini generali, dall’equazione: Tx =TC ± qhx ± R fx (11.11) in cui il doppio segno dipende dalla posizione del contrappeso e dal verso di spostamento della fune. Se il contrappeso è a monte la tensione massima vale Tmax = TC ± Rf con Rf le resistenze d’attrito degli organi di rinvio ad esso; se è a valle si ha Tmax = TC + qH ± Rf con H dislivello totale e Rf il complesso di tutte le resistenze d’attrito delle parti in moto e degli organi di rinvio ad esso. Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 505 Con fune ancorata alle due estremità, soluzione ormai pressoché usuale, come detto, vanno messi in conto gli effetti termico ed elastico, assenti nella fune contrappesata; il primo, dovuto alle escursioni della temperatura, con variazione di lunghezza della fune, dipende dal numero delle campate e dalla differenza di lunghezza tra esse, tendendo ad attenuarsi con la diminuzione di questa e l’aumento di quello, il secondo è effetto del variare della tensione della fune con la posizione del carico. La varietà di combinazione dei due effetti determinano in generale una sollecitazione massima, con cui va verificata la robustezza della fune, e una tensione minima di cui vanno controllati i rapporti locali col peso della vettura e col carico per rullo. Altre importanti verifiche, inquadrate da prescrizioni emanate in sede comunitaria riguardano la stabilità della fune sulle scarpe in presenza di vento in e fuori esercizio e al sollevamento. Tensioni nella traente Come visto, la traente è chiusa ad anello mosso dall’argano motore e teso da un contrappeso o da un dispositivo idraulico, questo oggi prevalente per ragioni meccaniche ed economiche. Nelle funivie monofuni l’anello è unico, nelle bifuni l’anello è spezzato dalla presenza delle vetture, in due parti se queste sono due come nell’impianto classico, con una parte a monte di queste (traente superiore) ed una parte a valle (traente inferiore, detta anche zavorra quando la puleggia motrice è a monte). Nelle funicolari spesso manca il semianello inferiore, a meno che non sia necessario aumentare con un contrappeso le tensioni alla puleggia motrice per assicurare l’aderenza. Argano e dispositivo di tensione possono trovarsi in stazioni distinte o nella stessa stazione ed in tal caso l’altra ha solo la funzione di rinvio. Per lungo tempo la configurazione preferita è stata con motore a monte e tensione a valle (con rinvio) ma nel corso del tempo, allargandosi le possibilità di ubicazione dell’impianto, le configurazioni sono il risultato delle possibili combinazioni delle due funzioni. Nel caso ordinario di profilo inclinato (estremi a quote diverse) esse sono quattro per veicoli carichi in salita e quattro per veicoli carichi in discesa, e quindi complessivamente otto, raccolte in Figura 11.16. Esse sono: –– motrice a monte e tenditrice a valle; –– motrice-tenditrice a monte, a valle solo rinvio; –– motrice a valle e tenditrice a monte; –– motrice-tenditrice a valle, a monte solo rinvio. La configurazione più favorevole tra le quattro è quella con puleggia motrice a monte, ove la tensione è la massima, e puleggia di tensione a valle. Essa è tuttavia legata al profilo della linea, alla disponibilità di approvvigionamento elettrico, alle difficoltà di scavo del pozzo del contrappeso. La determinazione della tensione è strettamente legata alla posizione delle suddette funzioni; data la natura di questa trattazione è possibile pertanto solo una formulazione di carattere generale. A rigore, va distinto il caso della traente pura di una funivia bifune dal caso più complesso della fune portante-traente di una monofune. 506 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata Figura 11.16: Le otto configurazioni possibili per le stazioni motrice e tenditrice dell’anello trattivo, per veicoli carichi (indicati con ⋅) e scarichi (indicati con o) in salita (in alto) e in discesa (in basso). La freccia curva indica la motrice, la diritta il tenditore, con verso del moto [3]. Sulla tensione nella traente (pura) superiore intervengono, non considerando per brevità possibili interazioni con la fune portante: –– la forza TC applicata dal dispositivo di tensione; –– la componente verticale Tf del peso della fune comprensivo della traente inferiore (zavorra); –– la componente longitudinale TQ (lungo l’asse fune) del peso del veicolo carico (quella normale è supportata dalla fune portante); –– la risultante Rfv delle resistenze passive nel moto dei veicoli (attrito di rotolamento, aerodinamiche); –– la risultante Rfr delle resistenze d’attrito nelle coppie rotoidali delle rulliere dei sostegni, nelle pulegge di deviazione, nelle guide di stazione; –– la forza d’inerzia Fi dei componenti meccanici mobili nei transitori di avviamento e frenatura con segno conseguente. L’entità delle suddette forze dipende dal profilo della linea, dal carico viaggiante, dalla velocità di marcia, dall’accelerazione nei transitori. Il segno, positivo e negativo nel riferimento scelto, dipende dal verso del moto, dalla posizione delle stazioni motrice e tenditrice, dal tipo di transitorio. Con argano a monte e dispositivo di tensione (e rinvio) a valle, l’equazione di equilibrio per carico in salita è: ' Tmax = TC + T f + TQ + R fv + R fr + Fi (11.12) Nell’altro ramo della traente, che ai fini della valutazione della potenza motrice e della sicurezza dell’aderenza della fune sulla puleggia motrice va previsto “scarico” (veicoli vuoti), la T ′′ < max di uscita dalla puleggia è data dalla (11.12) con i valori di TQ e delle resistenze spettanti. Se il dispositivo di tensione è a monte si ha T ′max = TC ≅ T ′′max e con puleggia motrice a valle le tensioni ai capi di essa si ottengono sottraendo da TC le forze peso agenti nei due rami e considerando il verso del moto per resistenze e forze di inerzia. Passando al caso della fune portante-traente di una monofune - seggiovia, cabinovia, sciovia - la forza trasmessa da ciascun veicolo comprende anche la componente del suo peso normale alla linea, in aggiunta alla tangenziale sicché l’equilibrio è espresso dalla (11.11) in cui per ogni veicolo figura il peso Q al posto di TQ. Ne risulta una maggiore forza richiesta al dispositivo di tensione. Nel caso di molti veicoli a corta equidistanza E, il loro peso Q si considera ripartito sulla fune come carico lineico q′ = Q/E [N/m] a formare un peso proprio fittizio q + q′ da inserire nella (11.12). Di solito, per le resistenze si ricorre a coefficienti suggeriti dall’esperienza e dalla pratica impiantistica a corredo di analisi teoriche. Come dato orientativo si assume 3 % del carico normale. Per la verifica di resistenza della fune va considerato il massimo dei valori (11.12) mentre ai fini della potenza di azionamento interessano i valori Capitolo 11 - Impianti di trasporto a fune 507 di ingresso ed uscita dalla puleggia motrice, precisamente la differenza di essi che è positiva (motrice) con veicoli in salita e negativa (frenante) con veicoli in discesa. Può accadere che l’impianto sia autofrenante se le resistenze passive superano le altre forze (in genere con profili poco acclivi). 11.5.3. L’AZIONAMENTO. COPPIA. POTENZA La trasmissione del moto dalla puleggia motrice alla fune traente è opera della coppia motrice prodotta dalla forza periferica Fm che si sviluppa per l’aderenza tra fune e gola guarnita della puleggia nell’arco di avvolgimento. Tale forza è data dalla differenza delle tensioni di uscita ed ingresso alla puleggia determinate con la (11.12). Indicando con Tsup e Tinf la maggiore e la minore delle due tensioni che dipendono dalle configurazioni descritte, si ottiene: = Fm Tsup - Tinf (11.13) Nelle monofuni con molti veicoli in linea la Fm differenza delle Tsup e Tinf per ramo in salita carico e ramo in discesa scarico non varia sensibilmente con le successive posizioni dell’anello trattivo in moto, arrivando alla configurazione limite di carico uniformemente distribuito, per cui Fm si mantiene praticamente costante. In una funivia bifune a va e vieni, invece, le tensioni della traente alla puleggia motrice dipendono, per data configurazione d’impianto, dalla posizione delle due vetture. La Figura 11.17 ne mostra il variare per una tipica linea a profilo concavo a tre campate, con due sostegni, nell’ipotesi di stazione motrice a monte. Figura 11.17: Andamento delle tensioni Tsup e Tinf alla puleggia motrice per funivia bifune con motrice a monte e due sostegni in linea; Fm forza periferica [5]. L’andamento crescente pressoché linearmente di Tsup al salire del veicolo lungo le tre campate è dovuto all’aumento della componente del suo peso al crescere della pendenza (tangente alla fune portante); l’abbassamento con 508 La trazione ferroviaria i sistemi a guida vincolata discontinuità al passaggio dei sostegni è dovuta alla riduzione di detta componente per la diminuzione di pendenza della linea (differenza degli angoli a monte e a valle) prodotta da essi. Notiamo che per Tinf l’andamento è il medesimo tenendo tuttavia presente che il veicolo scende mentre l’altro sale. La differenza delle ordinate fornisce Fm alla puleggia che risulta dunque variabile. Dalla Fm conseguono: –– la coppia motrice, che con r raggio della puleggia in corrispondenza del centro della fune vale: M m = Fm ⋅ r = (Tsup - Tinf )r [Nm] (11.14) –– la potenza motrice, che con ω velocità angolare (rad/s) o con n = ω60/2π numero di giri/1′ rispettivamente vale: Pm= M m ⋅ ω= (Tsup - Tinf )r ⋅ n(π / 30)= 0,105 ⋅ Fm r n [W ] (11.15) (in kW se Fm è in kN), e può essere espressa anche mediante la velocità della fune v = ωr con la relazione: Pm = Fm ⋅ v = (Tsup - Tinf )v [W ] (11.16) Fissato poi un rendimento η dell’argano, si ottiene la potenza di azionamento Pa = Pm/η. Nelle monofuni, Mm e Pm derivano direttamente dalle suddette relazioni essendo Fm ≅ cost; per le bifuni a va e vieni, Mm e Pm sono ricavati di solito partendo dal valore quadratico medio (nel tempo) di Fm determinato dal diagramma di Figura 11.17 mediante relazioni note. Per un impianto monofune a moto continuo una semplice valutazione di massima della potenza può essere ricavata esprimendo l’incremento di energia potenziale della massa sollevata nell’unità di tempo, costituita dai passeggeri e dalla massa metallica associata. Per i passeggeri, indicando con m la massa media del singolo, si ottiene, con P/3600 [p/s] la potenzialità e ∆z il dislivello [m]: Pm = P mg ∆z 3600 [W ] (11.17) Ad esempio, con P = 2000 p/h e ∆z = 0500 si ha Pm = 218 kW. La massa metallica associata - abitacolo, sospensione con morsa e tratto di fune pari all’equidistanza dei veicoli - può essere tenuta in conto in via approssimata amplificando la massa m ⋅ C (carico utile) con un fattore χ tratto dall’esperienza impiantistica; ad esempio, ritenendo in media χ ≅ 2,5 (massa totale sollevata pari a ∼ 2,5 quella dei passeggeri) si ottiene Pm = 545 kW. 11.5.3.1. La condizione di aderenza Per la trasmissione del moto senza slittamento globale della fune sulla puleggia le tensioni Tsup e Tinf s