Subido por Renzo Rondo Gutierrez

Jimenez ottima sintesi (1)

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La VITA CONSACRATA è fondamentale nella Chiesa. C’è in tutte le diocesi.
Il nostro trattato, se prendiamo lo schema del codice, è diviso in:
-
Norme comuni della vita consacrata (si possono applicare indistintamente a tutti gli istituti
di vita consacrata).
I religiosi (can. 607): che cosa sono i religiosi? Definizioni. Le case, i superiori e i capitoli,
l’amministrazione, i diritti e i doveri (IR)
Istituti secolari (IS)
Società di vita apostolica (SVA)
Gli eremiti e gli anacoreti
Ordo virginum
Nuove forme di vita consacrata.
È un trattato molto articolato. Cosa è specifico dei religiosi? Cosa è specifico dei secolari? Delle
SVA? Dobbiamo capire le diversità.
Se una buona parte del codice è dedicata alla vita consacrata, vuol dire che la vita consacrata è molto
importante per la vita della Chiesa. Lo dice anche il CV2. Una diocesi non è completa se manca la
vita consacrata.
CANN. 573-606: le norme comuni della vita consacrata.
Le fonti di questi primi canoni: la fonte unica è il CV2. Perché il legislatore, quando annunciò a
sorpresa il CV2, annunciò pure la riforma del codice, ma solo dopo la conclusione del CV2.
In questi canoni introduttivi ci sono tante definizioni teologiche con una forma o una struttura
giuridica tipicamente codiciale.
Quali sono gli elementi costitutivi di un istituto di vita consacrata? Sempre riferimento al CV2.
Questa parte iniziale è più conciliare-teologica e meno giuridica.
NORME COMUNI A TUTTE LE FORME DI VITA CONSACRATA
PREMESSE
I cann 573-606 sono una recezione completa di quello che dice il CV2. Tutto quello che il CV2 ha
detto, il codice l’ha recepito tale e quale. Ha ripreso anche la classificazione delle diverse forme di
vita consacrata. Questi canoni sono nient’altro che un testo teologico. Le forme fondamentali della
vita consacrata. Queste forme fondamentali hanno delle norme comuni.
Ci sono anche le cosiddette “Nuove forme di vita consacrata”: per esempio in questi ultimi anni sta
nascendo la forma delle vedove consacrate. Ma si tratta di un fenomeno regolato ancora a livello
solo diocesano, non ancora a livello universale; quindi, per dire che queste nuove forme di vita
consacrata sono classificabili come tali, dobbiamo vedere se rispettano le norme fondamentali e
comuni presenti nel codice.
Quali sono le FORME DI VITA CONSACRATA attualmente contemplate nel Codice dell’83?
- Istituti religiosi (IR)
- Istituti secolari (IS)
- Società di Vita apostolica (SVA)
- Ordo virginum (OV)
- Eremiti e anacoreti
- Nuove forme di vita consacrata.
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Ricordiamo che, dal punto di vista storico, finite le persecuzioni contro i cristiani, nasce
l’anacoretismo, dal quale poi nasce a sua volta il cenobitismo.
Ordo virginum: questa realtà è cresciuta molto negli ultimi anni, infatti è presente in quasi in tutto il
mondo, specialmente nei paesi mussulmani, perché è una consacrazione che non comporta alcun
elemento distintivo esterno. Una vergine consacrata non si distingue per un particolare vestito.
Sulle “nuove forme di vita consacrata”: non dobbiamo pensare che ce ne siano tante. Molte volte è
semplicemente la forma tradizionale di consacrazione, ma con una sottolineatura particolare che
mette in evidenza qualche aspetto della consacrazione. Infatti, non sono propriamente forme nuove
in se stesse. Sono piuttosto dei religiosi che esteriorizzano con un nuovo taglio, una nuova
sensibilità, elementi già esistenti in altre forme.
Secondo l’Annuario Pontificio queste “nuove forme” sono solo 5.
Queste NORME COMUNI sono molto importanti. Se una nuova forma non rispetta queste norme
comuni, allora dobbiamo concludere che essa non è una nuova forma di vita consacrata.
Questi canoni sulle norme comuni sono canoni con un denso contenuto dottrinale, teologico,
ecclesiologico e giuridico: stabiliscono l’obbligatorietà, l’interpretazione e gli effetti delle
norme costitutive e identificative delle forme di Vita Consacrata.
Tutto vive in maniera coerente in un sistema canonico armonico, costituito sulle basi della teologia.
Quali sono gli elementi teologici ed ecclesiologici che costituiscono la vita consacrata e gli istituti di
vita consacrata? Dobbiamo vedere il can. 573
Can. 573 - § 1. La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una forma
stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo più da vicino per l'azione dello Spirito Santo, si
danno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa. In tal modo, dedicandosi con nuovo e speciale titolo
al suo onore, alla edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla
perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso,
preannunciano la gloria celeste. § 2. Negli istituti di vita consacrata, eretti canonicamente dalla
competente autorità della Chiesa, una tale forma di vita viene liberamente assunta dai fedeli che
mediante i voti, o altri vincoli sacri a seconda delle leggi proprie degli istituti, professano di volere
osservare i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza e per mezzo della carità, alla
quale i consigli stessi conducono, si congiungono in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero.
È un canone descrittivo e complesso, su un doppio asse: TEOLOGICO e GIURIDICO, con il fine di
sintetizzare e armonizzare l’essenza e la funzione dinamica ecclesiale della Vita consacrata.
La vita consacrata è uno stato di vita ecclesiale: come si fa a dirlo però? Noi giuristi dobbiamo avere
degli elementi ermeneutici per dire se questo nuovo gruppo è o non è una forma di vita consacrata.
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5 ELEMENTI TEOLOGICI FONDAMENTALI DELLA VITA CONSACRATA:
1. Consacrazione totale a Dio.
2. Una più stretta sequela di Cristo, sotto la guida e l’azione dello Spirito Santo.
3. I consigli evangelici (povertà, castità e obbedienza: sono i tre consigli classici che
costituiscono la triade giuridica; ma ce ne sono anche alti: diversi IR aggiungono un “quarto
voto”)
4. L’unione alla Chiesa per mezzo della perfezione della carità (alla carità portano i consigli
evangelici: §2)
5. Il significato e la proiezione escatologica.
La consacrazione: è sempre una consacrazione a Dio. Dire tuttavia “mi consacro a Dio”
teologicamente non è giusto, perché casomai è Dio che mi consacra dopo avermi chiamato. Fin dal
seno materno, Dio mi ha consacrato. Quindi la consacrazione cos’è? È semplicemente la mia risposta
a Dio che mi ha scelto, chiamato e consacrato.
I consigli evangelici: sono una realtà teologica e non giuridica. Quando invece parlo di “voto”,
allora parlo invece di una realtà giuridica, cioè di una forma giuridica per vivere la realtà teologica
dei consigli evangelici. Voto (o altri vincoli sacri): è un assumere il contenuto teologico dei consigli
evangelici. Il “voto” o altri “sacri vincoli” sono le forme giuridiche di una realtà teologica.
Una profonda tensione (aspirazione) verso la perfezione della carità: una volta la vita consacrata
si chiamava “stato di perfezione”. Ma oggi si preferisce dire “stati di perfezione”: vuol dire
assimilare e vivere in radicalità la forma della vita di Cristo. Tutti i fedeli sono invitati alla
perfezione, ma sarà una perfezione da vivere secondo la specifica chiamata di Dio.
5 ELEMENTI GIURIDICI FONDAMENTALI DELLA VITA CONSACRATA:
1)
2)
3)
4)
5)
Erezione canonica
La stabilità delle forme e di coloro che accedono ad esse
I voti o altri sacri vincoli
L’osservanza delle leggi universali o del diritto proprio
La vocazione propria ad una forma di vita consacrata.
- Erezione canonica: Può esserci una nascita a livello diocesano o a livello pontificio. L’erezione
canonica spetta o al Vescovo della Diocesi, o alla Santa Sede (RP o Congregazione competente).
Senza l’erezione canonica, la forma di vita consacrata ancora non esiste.
- Stabilità di forme di vita di coloro che accedono alla vita consacrata: non si può cambiare la
forma, la struttura, la realtà ogni anno, o due o tre. La stabilità aiuta a identificarti con quella che è la
tua opzione. Dà una sicurezza alla Chiesa che sa chi è e com’è quella realtà. Solo una struttura è
garanzia di durata nel tempo di una forma di vita consacrata. Certo siamo consapevoli che il
dono dello Spirito è più grande e va oltre, ma un minimo di struttura è necessario. Il carisma di una
forma di vita consacrata è un dono che Dio fa alla Chiesa (tramite una persona fisica, i vari fondatori
di forme di vita consacrata): quindi è la Chiesa la proprietaria dei vari carismi.
Esempio: San Benedetto: perché è passato alla storia? Per quale motivo? Per la regola:
perché ha stabilito una struttura, una stabilità alla forma della vita consacrata. Egli è stato un
regolatore della vita consacrata.
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- Voti e altri sacri vincoli: LG 43-44. I voti non sono obbligatori: ci sono alcune forme di vita
consacrata che non fanno voti, ma semplicemente un sacro vincolo. Un giuramento, una promessa.
- Osservanza delle leggi o del diritto proprio. Qui c’è un cambiamento rispetto alla tradizione
giuridica precedente della Chiesa. Dice “diritto proprio”: che vuol dire? Che ogni istituto deve avere
un diritto proprio, suo, esclusivo, non condiviso con gli altri.
Il diritto proprio è il diritto specifico degli istituti di vita consacrata. Non è un diritto particolare.
Questo diritto proprio ha quasi sempre un 90% di somiglianza con il diritto universale. Tutti gli
istituti, per essere eretti, devono avere un diritto proprio, in particolare devono avere le Costituzioni e
il Direttorio Generale.
Le “Costituzioni”: sono il testo programmatico-costitutivo, i principi che regolano l’istituto.
Il “Direttorio Generale”: contiene le regole dal punto di vista più pratico.
La cosiddetta “regola” o “regola di vita”, invece, NON È necessaria, dal punto di vista giuridico,
per poter erigere un istituto di vita consacrata.
Poi vedremo che ci sono il carisma e il fine, che danno una forma propria alla vita consacrata.
Can. 573 cerca di dare una definizione, per quanto più possibile precisa e chiara. Non sarebbe una
vera e propria definizione, ma offre tutti quegli elementi utili a determinare quando una realtà
ecclesiale può essere definita vita consacrata.
TRE ELEMENTI DELLA VITA CONSACRATA:
1)
LA PROFESSIONE STABILE DEI CONSIGLI EVANGELICI PER MEZZO DI VOTI O SACRI VINCOLI:
voti o sacri vincoli. L’importante per il legislatore non è determinare specificamente cosa sia
il voto o un sacro vincolo. È importante sapere, invece, che la professione dei consigli
evangelici richiede sia espressa mediante un voto o un sacro vincolo. Contenitore giuridico:
voto o sacro vincolo. Oggetto della professione: i consigli evangelici.
2)
LA SEQUELA CHRISTI:
cosa comporta? La configurazione di ogni persona a Cristo come
modello della nostra vita. Dunque la sequela Christi comporterà una più perfetta vita: è una
chiamata rivolta a tutti i battezzati, secondo il proprio stato di vita cui ogni battezzato è
chiamato. Ma qui si parla di perfezione dell’amore e di dedicazione al servizio e alla
edificazione della Chiesa con uno speciale titolo (can. 573 §1).
3)
LA REALTÀ ESCATOLOGICA:
Vivere in terra quello che in cielo noi vivremo. I consacrati
devono rendere visibile questa realtà che ancora non è, cioè la realtà escatologica del regno
dei cieli. Il regno dei cieli è la motivazione per la quale il religioso professa i consigli
evangelici. Qual è la motivazione che deve sostenere una vita in povertà, castità e
obbedienza? Solo il Regno dei cieli, nient’altro!
ECCLESIALITÀ DELLA VITA CONSACRATA
Can. 574 - § 1. Lo stato di coloro che professano i consigli evangelici in tali istituti appartiene alla
vita e alla santità della Chiesa e deve perciò nella Chiesa essere sostenuto e promosso da tutti. § 2.
A questo stato alcuni fedeli sono da Dio chiamati con speciale vocazione, per usufruire di un dono
peculiare nella vita della Chiesa e, secondo il fine e lo spirito del proprio istituto, giovare alla sua
missione di salvezza.
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a) Questo canone richiama LG 44: la vita consacrata È UNO STATO DI VITA ECCLESIALE. La vita
consacrata è uno stato di vita. Gli stati di vita sono dunque tre: laici, chierici e vita consacrata
(non dire religiosi, ma si può dire: “lo stato di coloro che professano i consigli evangelici).
Chi ha ricevuto l’ordine sacro è chierico. Chi non l’ha ricevuto è laico. Questo dell’ordine sacro è
uno dei criteri ermeneutici che spesso viene usato.
Secondo questo principio ermeneutico (aver ricevuto l’ordine sacro) la vita consacrata sarebbe
uno stato di vita? No.
Dunque deve esistere anche un altro principio ermeneutico: quello della santità. È il principio che
usa spesso il CV2 e che viene ripreso anche dal CIC. In questa maniera possiamo dire che alla
santità sono chiamati tutti. Allora anche la vita consacrata è un vero e proprio stato di vita.
b) È UN MODO STABILE DI VITA CRISTIANA: può essere ad tempus la vita consacrata? No! La
stabilità è importante per poter realizzare pienamente la vocazione.
o È un modo dinamico: che porta la persona alla perfezione cristiana.
o non è una realtà ibrida, tra lo stato laicale e clericale! (LG 43)
o la vita consacrata ha una propria personalità, indipendenza. È uno dei tre stati di vita nella Chiesa.
Dunque gli stati di vita nella Chiesa, secondo il principio gerarchico, sono due: chierici e laici.
Gli stati di vita secondo la categoria strutturale della “santificazione” sono tre: chierici, laici,
consacrati.
AFFERMAZIONE ECCLESIOLOGICA FONDAMENTALE (can. 574)
Quelli che professano i consigli evangelici negli Istituti approvati dalla Chiesa, appartengono non
solo alla vita della Chiesa, ma alla santità di essa. (can. 574)
Domanda: tutti gli istituti professano tutti e tre i consigli evangelici? Non tutti assumono i tre
consigli evangelici nella forma classica, perché ci possono essere forme diverse per emettere i
consigli evangelici (vedi esempio dei benedettini che formalmente non hanno il voto di castità perché
è già compreso).
Questa professione deve essere fatta in un Istituto approvato dalla Chiesa, altrimenti è una realtà che
non viene riconosciuta! Deve essere fatto un processo di verifica dell’Istituto.
COROLLARI DELL’AFFERMAZIONE ECCLESIOLOGICA FONDAMENTALE
Si afferma l’ecclesialità degli IVC e dei suoi membri.
Si determina il luogo ecclesiale che loro corrisponde.
Si afferma il carattere carismatico di questo stato di vita. I consigli evangelici, infatti, sono
un “dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal Signore”. Il carisma darà l’identità e il
carattere proprio all’istituto.
Il carisma: deve ESSERE SEMPRE VERIFICATO. Noi non siamo proprietari, padroni dei carismi: se
dunque un carisma sparisce con la morte del fondatore, significa che non era un vero carisma
suscitato da Dio per la sua Chiesa.
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INTENZIONALITÀ DEL LEGISLATORE
a) Porre in rilievo la dignità e la vicinanza dello stato di vita consacrata, rispetto ai due unici
stati costituzionali-gerarchici del popolo di Dio.
b) Non contrapporre questo stato di vita agli altri due. Le comparazioni non sono sempre
utili. La vita consacrata è una forma di vita con la stessa dignità delle altre.
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Il Can. 574 riproduce infatti il can. 207 §2: a questo stato di vita sono chiamati alcuni fedeli secondo
il fine e lo spirito proprio degli Istituti, per usufruire di un dono nella vita della Chiesa.
La chiamata alla santità è la FINALITÀ di tutti gli istituti di vita consacrata.
Ma attenzione: ci sono anche le FINALITÀ (al plurale) intese come “i MEZZI specifici di ciascun
istituto” per raggiungere LA finalità (cioè il fine) della santità.
Il FINE specifico di un Istituto è quello strettamente legato allo specifico CARISMA di
quell’istituto.
I mezzi: possono cambiare, possono adeguarsi ai tempi e alla vita sociale che cambia. Sono mezzi,
cioè servono alla realizzazione del fine specifico, delle finalità di quel particolare istituto.
Il fine specifico di un Istituto, invece, non può mai essere cambiato! Perché se cambia il fine
specifico, vuol dire che “è cambiato” anche il carisma, significa che stiamo modificando la natura
stessa di quell’Istituto. Si può discutere su come attuare oggi quel carisma, si può tentare di fare una
“lettura aggiornata” di quel carisma, ma non si può cambiare il carisma!
Carisma e fine in un istituto non possono coincidere.
Dobbiamo distinguere molto bene tra il carisma e il fine.
Il CARISMA ha una connotazione specifica che riguarda la spiritualità. Ci possono essere
spiritualità molto simili (esempio: il carisma francescano può essere vissuto da vari fondatori
[che non sono San Francesco] di altri istituti).
Il carisma è sempre precedente al fine: è quel dono che Dio ha dato per il bene della Chiesa.
Il FINE, invece, è il perché, la ragione per la quale Dio ti ha dato quel carisma. Il fine comporta
perciò sempre un’azione. E anche la vita contemplativa è un’azione.
Can. 576
La gerarchia della Chiesa deve regolare questo stato di vita per coloro che ne fanno parte e si
dedicano ad incrementare la missione salvifica della Chiesa.
Siccome la vita consacrata è uno stato di vita, logicamente a chi corrisponde la regolazione di
questo stato di vita? Alla gerarchia. Questa è una conseguenza logica del carattere della ecclesialità:
chi fa parte della Chiesa è tenuto ad essere regolato, esaminato, approvato dalla Gerarchia. La
gerarchia verifica se il carisma è un autentico dono di Dio, oppure una semplice proiezione umana.
Can. 574: tutti nella Chiesa devono promuovere questo stato, perché così si promuove la vita e la
santità della Chiesa. Infatti, i Vescovi diocesani sono tenuti a promuovere anche la vita consacrata
nella diocesi (non solo a promuovere il seminario diocesano!).
ATTENZIONE: Far parte di questo stato di vita non è frutto dei meriti personali, ma è un dono di
Dio, che chiama personalmente a questo stato di vita. Si deve quindi enfatizzare il valore della
vocazione ricevuta da Dio. Inoltre, Dio chiama sempre a una realtà concreta e specifica, non esiste
una vocazione “generica”.
Principio dell’ecclesialità della vita consacrata: la VC nasce nella Chiesa, a partire dalla Chiesa,
per la Chiesa. Questi principi teorici danno la carta d’identità della VC.
Il legislatore vuole indicare che la VC, all’interno della struttura organica della Chiesa, fa parte della
Chiesa.
È un modo di far parte attiva della realtà ecclesiale concreta, lì dove ogni IVC trova, sentendosi
parte e in comunione con la Chiesa e con la struttura gerarchica della diocesi (o chiesa
particolare).È importante richiamare che il Legislatore, quando parla di “ecclesialità”, non enuncia
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solo un principio teorico, ma intende parlare concretamente di un inserimento attivo all’interno
della Chiesa particolare in cui la VC si trova a vivere.
Ogni IVC non deve perdere l’elemento proprio della consacrazione (pur facendo parte i membri
degli IVC dei chierici e dei laici).
Qual è l’elemento specifico che dà l’identità al consacrato? La consacrazione + l’elemento
carismatico di ogni IVC. Ogni consacrato che si inserisce nella Chiesa particolare lo deve fare con
l’elemento proprio della consacrazione, ma anche con il carisma proprio e specifico del loro
istituto. Quindi, ogni membro di un IVC deve collaborare con la diocesi con il carisma e il fine
specifico dell’istituto cui il consacrato appartiene. Non si può chiedere a un consacrato di aiutare
nella pastorale senza tener conto del carisma del suo istituto. Il carisma è un dono pubblico che
appartiene alla Chiesa e quindi il consacrato che si inserisce in una chiesa particolare lo deve fare
secondo il carisma, il fine e l’indole proprio dell’istituto cui il consacrato appartiene.
L’ecclesialità è l’unica maniera per cui la Chiesa particolare e quella universale si possano veramente
sentire come un unico corpo. Dobbiamo evitare il pericolo di credere che i consacrati siano uno
realtà al margine (o meglio parallela) alla “normale” realtà ecclesiale di una chiesa particolare.
I CONSIGLI EVANGELICI E SEQUELA DI CRISTO.
Can. 575/Can. 576/Can. 598/Can. 599/Can. 600/Can. 601
Ben 6 canoni sono dedicati a questo argomento!
Il fondamento dei consigli evangelici: sono fondati e radicati in Cristo. I consigli evangelici,
dunque, non sono una realtà che la Chiesa ha preso così…da qualche parte…ma c’è un fondamento
cristologico. Infatti la vita consacrata, cos’è? La sequela Christi!
1) Il Legislatore vuole enfatizzare che i consigli evangelici sono parte del patrimonio della
Chiesa e che tutti i cristiani possono praticarli. Non sono una realtà esclusiva della VC, ma
tutti i cristiani sono chiamati a vivere quei consigli evangelici che appaiono nel NT e che noi
abbiamo fatto oggetto di voto (ma solo per 3 di questi consigli). Questi consigli evangelici
devono essere vissuti secondo il proprio stato di vita. Esempio: non si può chiedere lo
stesso tipo di povertà a un sacerdote e a un consacrato. La stessa cosa vale per la castità. Ma
tutti i fedeli, indistintamente, sono chiamati a vivere i consigli evangelici!
2) Il Legislatore stabilisce un vincolo assiologico fondamentale: da una parte l’insegnamento
di Cristo, e dall’altra la prassi, il vissuto di Cristo. Quindi il fondamento non è semplicemente
una teoria o fondato sulle parole che Cristo ha detto, ma i consigli evangelici si basano
anche su un vissuto, su una prassi che dimostra che un essere umano può vivere in
castità, povertà e obbedienza. Infatti, Dio non chiede mai nulla che non sia possibile per un
essere umano. Quindi, i consigli evangelici non si basano solo sulle parole di Cristo: sono un
cammino di configurazione alla vita di Cristo. Quanto più un essere umano riesce a
configurare la propria vita ai consigli evangelici, tanto più facilmente raggiungerà il fine della
salvezza eterna.
3) I consigli evangelici sono un dono per la Chiesa e si devono conservare. È Dio che li ha
donati alla Chiesa. Ma che tipo di conservazione? Non una conservazione da museo! Non
sono semplicemente reperti storici di gran valore. Ma è una conservazione alla quale tutti
devono partecipare.
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FONDAMENTO CRISTOLOGICO DEI CONSIGLI EVANGELICI:
Cristo visse personalmente i consigli evangelici. Vedi esempio il can. 601
Can. 601 - Il consiglio evangelico dell'obbedienza, accolto con spirito di fede e di amore per seguire
Cristo obbediente fino alla morte, obbliga a sottomettere la volontà ai Superiori legittimi, quali
rappresentanti di Dio, quando comandano secondo le proprie costituzioni.
I consigli evangelici non sono un limite all’essere umano, ma una potenzialità dell’essere umano.
Qual è la motivazione che regge il consacrato quando decide di fare questa consacrazione? Deve
essere un motivo consistente, altrimenti, nel momento della prova, la sua consacrazione verrà meno.
Solo una può essere: il Regno dei cieli!
Perché allora abbracci i consigli evangelici? Per il Regno dei cieli. Vedi can. 599
Can. 599 - Il consiglio evangelico di castità assunto per il Regno dei cieli, che è segno della vita
futura e fonte di una più ricca fecondità nel cuore indiviso, comporta l'obbligo della perfetta
continenza nel celibato.
Infatti, anche Cristo visse in funzione del Regno dei cieli.
Dal punto di vista giuridico, i consigli evangelici possono essere assunti:
1) Per mezzo di un voto
2) Per mezzo di un sacro vincolo
La struttura giuridica garantisce l’uguaglianza del concetto: è molto importante, perché così si
garantisce che non ci siano interpretazioni o prassi errate nel vivere i consigli evangelici. Ecco
perché il Legislatore chiede che ci sia una forma giuridica dei consigli evangelici. Per preservarli.
I consigli evangelici permettono una sequela più vicina di Cristo: anche se Cristo non ci lasciò
una struttura organica e giuridica dei consigli evangelici. Cristo non ci lasciò i voti, ma trovano in
Lui il fondamento. È stata poi la Chiesa che ha strutturato questa realtà, che lo stesso Dio ha lasciato
alla propria Chiesa. Un tesoro che Cristo stesso ha vissuto e che ci ha lasciato con il suo esempio.
FUNZIONE DELLA GERACHIA RISPETTO AI CONSIGLI EVANGELICI.
Perché? Non per assoggettare o vigilare in maniera ossessiva, ma per evitare deviazioni e
interpretazioni pericolose dei consigli evangelici.
Can. 576 - Spetta alla competente autorità della Chiesa interpretare i consigli evangelici, regolarne
la prassi con leggi, costituirne forme stabili di vita mediante l'approvazione canonica e parimenti,
per quanto le compete, curare che gli istituti crescano e si sviluppino secondo lo spirito dei
fondatori e le sane tradizioni.
L’autorità è responsabile e competente nella regolamentazione dei consigli evangelici. L’autorità
deve curare che gli Istituti crescano e fioriscano secondo lo spirito del fondatore e le sante tradizioni.
Qual è l’origine dell’Istituto? Qual è lo spirito del fondatore?
Il rapporto con la gerarchia si basa dunque sulla ecclesialità: se gli IVC sono parte della Chiesa e
sono un dono di Dio per la Chiesa, nella Chiesa, è logico che l’autorità gerarchica nella Chiesa
(Vescovi e Santa Sede) abbia il compito preciso di vigilare, regolare e interpretare rettamente la
Vita Consacrata.
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Non può esserci interpretazione privata degli IVC: sono oggetto di un discernimento ecclesiale.
Esempio: la Santa Sede non accetterà e non approverà certe decisioni o certi voleri che sono contrati
a quello che è stato il magistero della Chiesa fino ad ora.
Per evitare estremismi l’interpretazione autentica degli IVC spetta solo al Vescovo (per gli IVC
diocesani) o alla Santa Sede (per gli IVC di diritto pontificio) intervenire.
L’autorità della Chiesa interviene per mezzo di:
1) Decreti generali esecutivi, can. 31-33
2) Istruzioni, can. 34
3) Atti amministrativi singolari, can. 35-93. (decreto, precetto, rescritto)
SEDE APOSTOLICA: il Santo Padre + i Dicasteri o Uffici della Curia Romana che agiscono con
potestà vicaria (quindi agiscono a nome del Santo Padre). Il Papa, concretamente, esercita la sua
potestà per mezzo della Curia (che ha potestà ordinaria vicaria): in concreto per mezzo della
CIVCSVA (Congregazione Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica). È questo
l’unico dicastero competente per la Vita consacrata! La Santa Sede, come minimo, ha un tempo di
risposta alle varie questioni che le vengono sottoposte che parte da un minimo di 3 mesi.
CHE TIPO DI RAPPORTO È QUELLO CON LA SANTA SEDE?
a) Si deve costruire sulla base della comunione ecclesiale: senso di corpo, siamo un’unica
realtà. Tutte le realtà ecclesiali devono vivere e lavorare in comunione, in funzione del Regno
di Cristo. Se non c’è comunione, logicamente, non ci sarà più un sentire cum ecclesia.
b) La Santa Sede è presente nei momenti fondamentali-cruciali di un IVC o di una SVA.
Prima di tutto nella nascita, poi è presente nello sviluppo ed è infine presente anche al
momento della morte. L’autorità è perciò presente quando si deve procedere a erezione
dell’istituto, poi quando ci sono questioni lungo il cammino dell’istituto (fusioni, unioni,
divisioni dell’Istituto ecc.) e poi quando si deve procedere alla soppressione di un istituto.
c) L’autonomia: che significa? La capacità di darsi da se stessi le proprie norme. La Santa Sede
concede agli IVC la capacità di darsi leggi per poter vivere la propria vita secondo il proprio
carisma. Esempio: ogni Istituto ha le Costituzioni, ogni Istituto scrive le proprie Costituzioni.
Ma attenzione: autonomia non implica un’indipendenza, ma anzi presuppone la comunione.
L’IVC ha dipendenza dalla Chiesa e dalla Santa Sede, sempre.
d) Decentralizzazione e sussidiarietà. Principio dell’aiuto mutuo.
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MOMENTI PRINCIPALI DI INTERRELAZIONE
EREZIONE CANONICA. Can. 573 e can. 579. Cos’è?
Can. 573 - § 1. La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici è una forma
stabile di vita con la quale i fedeli, seguendo Cristo più da vicino per l'azione dello Spirito Santo, si
danno totalmente a Dio amato sopra ogni cosa. In tal modo, dedicandosi con nuovo e speciale titolo
al suo onore, alla edificazione della Chiesa e alla salvezza del mondo, sono in grado di tendere alla
perfezione della carità nel servizio del Regno di Dio e, divenuti nella Chiesa segno luminoso,
preannunciano la gloria celeste. § 2. Negli istituti di vita consacrata, eretti canonicamente dalla
competente autorità della Chiesa, una tale forma di vita viene liberamente assunta dai fedeli che
mediante i voti, o altri vincoli sacri a seconda delle leggi proprie degli istituti, professano di volere
osservare i consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza e per mezzo della carità, alla
quale i consigli stessi conducono, si congiungono in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero.
Can. 579 - I Vescovi diocesani possono, ciascuno nel proprio territorio, erigere con formale decreto
istituti di vita consacrata, purché sia stata consultata la Sede Apostolica.
Attenzione: la FONDAZIONE non è l’EREZIONE. Potremmo dire che mentre la fondazione è la
nascita materiale, l’erezione, invece, è il riconoscimento della sua cittadinanza.
La fondazione è un atto privato. Una persona privata (qualsiasi persona privata, singola o in
gruppo) compie un atto di fondazione.
La erezione è un atto pubblico. È un atto proprio della persona pubblica.
La fondazione ovviamente avviene sempre PRIMA dell’erezione canonica. Senza la fondazione,
non può esserci nessuna erezione. Non può essere eretto un IVC se prima non è nato.
Chi è che dunque competente a erigere un istituto? L’autorità gerarchica competente: il Vescovo o la
Santa Sede. Attenzione: è un grave errore dire “con l’erezione l’istituto è nato”! (perché nasce con la
fondazione)
Che succede, invece, quando è proprio un Vescovo o un cardinale a fondare un istituto? Il Vescovo,
anche se è autorità pubblica della Chiesa, quando fonda agisce come privato. Quando erige, invece,
agisce come persona pubblica.
FASI DELLA EREZIONE DI UN IVC (diocesano)
1° fase: associazione pubblica di fedeli. Se manca questa fase iniziale, nessun istituto di diritto
diocesano può essere eretto.
2° fase: erezione diocesana. Fatta dal Vescovo della Sede principale. La sede principale è la sede
del Vescovo dove si trova la Curia generale dell’associazione pubblica di fedeli. Da non
confondere con la Sede del Vescovo della fondazione dell’istituto (è solo il luogo di fondazione).
Potrebbe infatti esserci uno sviluppo particolare dal punto di vista geografico, per cui la sede della
curia cambia di luogo.
MOMENTI PRINCIPALI DI INTERRELAZIONE DI UN IVC CON LA SANTA SEDE:
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Erezione canonica, can. 573 §2, can. 579
Interpretare i consigli evangelici, can. 576
Corroborare mente e propositi del Fondatore, can. 578
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Fusione, unione, divisione, federazioni, confederazioni, can. 582
Cambiare quanto approvato dalla Santa Sede, can. 583
Soppressione IVC e determinare la destinazione dei suoi beni, can. 584
Approvare le Costituzioni IVC e le eventuali modifiche, can. 587 §2
Riconoscere lo stato clericale o laicale IVC, can. 588 §2-3
Riconoscimento pontificio di un IVC, can. 589
Concessione della esenzione
VESCOVI DIOCESANI E ORDINARI DEL LUOGO
VESCOVI DIOCESANI. Parliamo delle prerogative del Vescovo diocesano: è solo il Vescovo
della Diocesi, nessun altro vescovo ha prerogative sugli IVC di diritto diocesano. Un ausiliare, un
coadiutore, non hanno la capacità. Infatti sono i vescovi che hanno la cura di una diocesi o gli
equiparati al Vescovo diocesano.
Quali sono le competenze del Vescovo diocesano?
- può erigere un istituto di diritto diocesano, previa consultazione della Sede Ap., can. 579 e 589.
- deve prendersi cura degli IVC nella sua diocesi, rispettando la loro autonomia, can. 594
- deve approvare le loro Costituzioni e le modifiche degli IVC, can. 595 §1; la Santa Sede non
approva le Costituzioni, è il Vescovo diocesano. La Santa Sede si limita a fare una “verifica” dei
testi. La Santa Sede offre un aiuto al Vescovo nel momento in cui deve approvare un testo
legislativo.
- dispensare dall’osservanza delle disposizioni contenute nelle Costituzioni in casi particolari:
può essere una dispensa per una persona o per un gruppo di persone, o per una casa. Non può essere
ovviamente una dispensa per tutto l’Istituto: non avrebbe senso!
- ricevere nelle sue mani la professione religiosa degli eremiti (o anacoreti), dirigere e moderare
la loro vita, can. 603
- anche le vergini (ordo virginum, can. 604) devono fare la professione nelle mani del Vescovo
- discernere i nuovi doni dello Spirito Santo, can. 605. Questo dono/carisma/particolare attività
apostolica, nella mia diocesi, è opportuno? Serve? È di aiuto al bene e alle necessità della mia
diocesi? Non è quindi un giudizio sulla qualità del dono, ma sull’opportunità del dono.
1)
2)
3)
4)
5)
6)
ORDINARI DEL LUOGO
Romano pontefice
Vescovo diocesano
Prelati territoriali
Abati territoriali
Prefetti e vicari apostolici
Amministratori apostolici stabilmente costituiti
Cosa devono fare gli ordinari del luogo?
1) Rispettare e difendere l’autonomia degli IVC, can. 586 §2;
2) Rispettare e difendere la esenzione degli IVC, can. 591
Sia l’autonomia, sia l’esenzione sono due realtà che il legislatore ha messo per potenziare il fatto che
gli IVC possano vivere secondo la propria identità.
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PRINCIPALI FUNZIONI DELLA GERARCHIA:
a) Interpretare i consigli evangelici. L’interpretazione può essere autentica e definitiva, con
valore normativo. L’interpretazione della Santa Sede è anche interpretazione autentica, quindi
definitiva.
b) Regolare con leggi pratiche i consigli evangelici. Questo per evitare che ci possano essere
degli abusi nel vivere i consigli evangelici, abusi che possono provocare un danno nella
persona che li osserva.
c) Approvare canonicamente queste forme di vita stabili, con le garanzie di ecclesialità,
santificazione ed evangelizzazione. Si deve cioè verificare che sia una forma stabile, che sia
una realtà ecclesiale (nella Chiesa e per la Chiesa), e la qualità della proiezione apostolica.
Né la concezione ecclesiale, né l’attività apostolica devono danneggiare la comunità
ecclesiale: la Chiesa/gerarchia deve sempre tutelare il bene comune della comunità ecclesiale.
d) Avere cura che gli IVC crescano, fioriscano fedeli alla propria identità e volontà del
fondatore e alle sante tradizioni. Se la volontà del fondatore viene meno, vuol dire che si
sta creando una realtà nuova, differente a quella che il fondatore aveva creato.
LO SPIRITO DEL FONDATORE
-
IL CV2 parla spesso di questo “spirito del fondatore”. Il CV2 insiste sulla fedeltà allo spirito,
una fedeltà che può comportare un adattamento ai bisogni del momento, ma senza
modificare il carisma. Si può fare un adattamento alle realtà concrete (possono cambiare i
mezzi apostolici e la proiezione apostolica del carisma), ma il carisma in sé non va toccato,
deve rimanere sempre lo stesso!
-
I membri di un IVC devono approfondire moltissimo la realtà carismatica dell’Istituto di cui
fanno parte, lo spirito del fondatore. Devono discernere quale sia la vera idea fondante il
carisma dell’istituto: qual è veramente il dono che Dio ha dato? Ciò presuppone uno studio
approfondito della storia dell’istituto e della vita del Fondatore. Molto spesso i problemi di un
IVC derivano da una non conoscenza o da una conoscenza scarsa del carisma.
SANE TRADIZIONI
La tradizione è costituita dalla forma d’intendere e di vivere la spiritualità di un Istituto lungo
la storia. A volte c’è una tradizione “non sana”: quell’azione ripetuta nel tempo, che motivo aveva?
Quale ragione aveva? Era veramente una tradizione o un semplice comportamento puntuale nel
tempo?
La tradizione è importante per conoscere le modalità di intendere e di vivere la spiritualità di un
Istituto lungo la storia. Non è una sana tradizione sapere se i capelli devono andare tutti sotto la
cuffia o se possono spuntare un po’ fuori. La tradizione riguarda la spiritualità: non altro!
“Sane tradizioni”: significa che le tradizioni sono state verificate come buone e adeguate all’IVC.
Per questo motivo le sane tradizioni non si possono copiare da un istituto all’altro, perché nel
concetto di “sana”, ci sta il fatto che la tradizione deve anche essere adeguata all’istituto.
Che cosa può costituire, allora, una “sana tradizione”? Una forma di vita che si è concretizzata e
fissata lungo gli anni di vita dell'Istituto
Precisamente, da che cosa sono costituite le sane tradizioni?
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a) stile di vita
c) apostolato
b) professione religiosa
d) altro, a seconda dell'IVC.
L'obbligatorietà di conservare le sane tradizioni si basa nella sanzione della Chiesa e si appoggia
nel pubblico impegno assunto nella fede e carità perfetta. L'obbligatorietà coinvolge non soltanto i
membri dell'Istituto, ma tutti i fedeli, chierici o laici. Non si può cambiare il Patrimonio
dell'istituto.
Il patrimonio dell'Istituto non si può cambiare! Ma "non cambiare" non è sinonimo di immobilismo.
Infatti, il carisma è un dono dinamico. Il carisma deve saper rispondere in ogni momento a quello
che le circostanze di luogo e di tempo chiedono. PC (Perfectae Caritatis) 2 e 3 presenta il
rinnovamento come ritorno all’ispirazione primigenia, alla mente e al proposito del fondatore, come
un entrare nella mente del legislatore.
QUALI SONO LE TIPOLOGIE (LE FORME DI IVC)?
Il concetto di “istituto” è generale, generico. Tutte le forme di IVC sono “istituti”, al di là che siano
ordini mendicanti, chierici regolari, congregazioni di monaci ecc.. Quali sono, dunque, le tipologie
possibili di Istituto? Per capirlo, si guarda a quali sono le forme possibili della sequela di Cristo.
Can. 577: è un canone teologico e cristologico.
Can. 577 - Nella Chiesa sono moltissimi gli istituti di vita consacrata, che hanno differenti doni
secondo la grazia che è stata loro concessa: essi infatti seguono più da vicino Cristo che prega, che
annuncia il Regno di Dio, che fa del bene agli uomini o ne condivide la vita nel mondo, ma sempre
compie la volontà del Padre.
Allora la classificazione degli istituti è fatta secondo la forma possibile di sequela Christi: Cristo
orante, Cristo missionario, Cristo caritativo. Ma se sottolineiamo solo un elemento questo
significa/implica che anche gli altri elementi devono essere presenti.
Divisione degli IVC secondo il paradigma della sequela Christi:
1) Oranti-contemplativi
2) Missionari
3) Caritativi
Divisione generale delle tipologie di IVC (quella più generale): La tipologia si basa su LG 46.
1) IVC religioso
2) IVC secolare
3) SVA
4) Eremiti
5) Vergini consacrate
6) Nuove forme di vita consacrata
Divisione degli IVC secondo l’Ordine Sacro:
1) Clericali
2) Laicali (la maggioranza degli IVC appartengono a questa categoria, perché la maggioranza
degli IVC sono femminili)
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PROCESSO VITALE DI UN IVC (dalla nascita alla morte di un IVC)
COSTITUZIONE CANONICA DI UN ISTITUTO
Ecco gli argomenti che vedremo:
- la potestà del Vescovo a erigere un IVC, can. 579
- l’aggregazione di un IVC ad un altro, can. 580.
- la divisione di un IVC, can. 581.
- l’unione e le federazioni di IVC, can. 582
- le innovazioni, atti riservati alla Sede Apostolica, can. 583.
- la soppressione di un IVC, can. 584.
- la soppressione delle circoscrizioni di un IVC, can. 585.
LA POTESTÀ DEL VESCOVO
Raccoglie prima di tutto la vecchia normativa codiciale, al can. 492 §1 (CIC17). Si parla sempre e
soltanto ed esclusivamente del Vescovo diocesano (né l'ausiliario, né il coadiutore né nessun altro):
solo il Vescovo nella Diocesi ha la capacità di erigere un istituto nella diocesi. Durante la sede
vacante, nessuno può erigere un istituto nella diocesi.
Caso ipotetico: e il prefetto cardinale della Congregazione per la Vita Consacrata, può erigere un
IVC di diritto diocesano? No, non lo può erigere lui stesso, però ha la potestà di dire al Vescovo
Diocesano: "Si eriga, si faccia!", oppure: "Meglio non erigerlo".
Quindi il Prefetto del dicastero non può sostituirsi al Vescovo della Diocesi. Anche tale cardinale
prefetto fosse lui il fondatore dell'IVC: non può erigerlo lui, deve sempre chiedere al vescovo
diocesano del luogo. Quindi nessuno, ovviamente eccetto il RP, può sostituirsi al Vescovo diocesano
per l'erezione di un IVC.
L’erezione si deve fare per mezzo di un decreto scritto, can. 31, can. 48-58: perché scritto? Perché
deve esserci l’ istanza oggettiva e probatoria che l'istituto è stato eretto. Poi quando si vorrà
eventualmente fare l'erezione secondo il diritto pontificio, allora si dovrà ripartire dal decreto scritto
di approvazione diocesana. Il decreto di erezione (per iscritto) è la prova giuridica della sua valida e
lecita erezione canonica.
- l'erezione è un fatto giuridico per mezzo del quale l'Istituto acquista la personalità giuridica
pubblica, con tutti i diritti e i doveri annessi. (can. 114-123)
il decreto scritto:
- garantisce l'utilità dell'istituto nella perfezione evangelica.
- conferisce personalità giuridica e diritti e doveri della persona giuridica pubblica.
- deve definire: titolo, nome, natura, fini, identità dell'IVC. Molte volte, però, il titolo o il nome
stesso, sono molto molto simili e allora facilmente si può creare confusione. Si dovrebbero evitare
nomi difficili. Normalmente il nome accenna anche al carisma e definisce l'identità spirituale
dell'istituto. È accaduto che alcuni istituti, nel corso del tempo, hanno dovuto cambiare nome, ma
per i cambiamenti di nome ci deve essere una motivazione storica fondata.
- l'atto di erezione differisce dalla fondazione dell'istituto! La fondazione è un atto privato (fatto da
una persona privata), che non erige canonicamente l'Istituto. Qualora fosse lo stesso vescovo
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diocesano a fondare un istituto, in quel momento agirebbe come privata e non come persona
pubblica.
- l'erezione, perciò, segue sempre la fondazione, ed è un atto che spetta alla autorità ecclesiastica
competente.
a) prima della erezione canonica dell'Istituto, è necessario che il gruppo di fedeli viva come
“associazione di fedeli”, secondo la natura e i fini propri, sotto la guida e la vigilanza del Vescovo
diocesano. In questo modo, si possono prendere decisioni più sagge al momento dell’erezione
dell'IVC. Di solito, la Santa Sede indica un periodo di 5 anni prima che l'associazione sia eretta a
IVC. È un periodo di discernimento molto opportuno.
b) la Chiesa locale costituisce la prima approvazione da parte della Chiesa di un gruppo di fedeli
che assumono i consigli evangelici e intendono avere una consistenza giuridica nella Chiesa.
c) si deve consultare la Sede Apostolica, chiedendole il parere sull’erezione di un nuovo IVC in
un territorio concreto (nihil obstat). Si dice "nihil obstat" (invece che: “si eriga!”) per lasciare
sempre al Vescovo diocesano (se per caso nel frattempo gli sono arrivate altre informazioni che
prima non conosceva) la possibilità di non procedere alla erezione dell'Istituto.
LA CONSULTA ALLA SANTA SEDE è ad validitatem oppure no?
1) alcuni dicono SÌ, perché:
a) perché il coetus indicò in tal modo la formula "dummodo"
b) così è stabilito nel can. 39.
2) altri dicono NO, perché: (ipotesi appoggiata anche da Jimenez)
a) dummodo non incide sulla validità dell'atto amministrativo, can. 39, e non è un atto
amministrativo
b) non c'è il Superiore che chiede il parere di un altro per la validità dell'atto.
c) non c'è una legge irritante che lo dica espressamente.
- Quindi il parere che si deve chiedere alla Sede apostolica non una limitazione che si vuole porre
alla potestà del Vescovo, ma uno strumento, un aiuto per valutare il carisma, offrendo
informazioni e strumenti per erigerlo.
- Il contenuto del canone è uno strumento teologico-giuridico nella sacramentalità della Chiesa, che
cerca l'unione con Dio ed i fratelli, e il bene del corpo.
AGGREGAZIONE DEGLI IVC
L'aggregazione, secondo il can. 580, è: "Unire due realtà, conservando in entrambe la propria
autonomia canonica, cioè, conservando la propria identità e libertà".
- conservano la propria autonomia
- conservano il governo proprio
- conservano le Costituzioni e i beni propri.
- potremmo dire che la aggregazione è un atto giuridico per il quale un Istituto è autoritativamente
ammesso e riconosciuto come “membro morale” di un altro Istituto.
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L’aggregazione, infatti, avviene sempre tra istituti che hanno una base spirituale comune.
L'aggregazione permette di condividere soltanto quell'elemento spirituale che amalgama due
istituti. Si fa sempre e solo per un fatto spirituale, non per altri motivi!
Infatti questa aggregazione spesso si fa tra istituti che si assomigliano o che hanno uno stesso ceppo
spirituale comune. Nessuno dei due perde la propria identità/specificità.
Le “famiglie religiose”: sono il risultato di questa aggregazione.
Devono esserci statuti nei quali è chiaramente stabilito che tipo di rapporto c’è tra l’aggregante e
l’aggregato: in che misura uno dipende dall’altro e in che misura uno può decidere dei destini
dell’altro.
L’aggregazione è prevista per IR, IS, SVA e altre realtà apostoliche ecclesiali. Non è un semplice
circolo ridotto tra IVC della stessa natura! C’è diversità di stati di vita!
I RAPPORTI TRA
AGGREGANTE
E
AGGREGATO
SONO
A
LIVELLO
GIURIDICO/SPIRITUALE. Si stabiliscono diritti e doveri assistenziali a livello spirituale.
Normalmente queste aggregazioni consistono nella comunicazione di favori spirituali o di alcuni
diritti e doveri di assistenza spirituale.
Ma potrebbe anche esserci un tipo di aggregazione che comporta un accordo di collaborazione nel
campo apostolico. In questo modo, si lavora insieme nella realtà apostolica in cui i due Istituti sono
presenti. Non si parla mai però di obbligo, si cerca di aiutarsi, ma non sempre è fattibile questo aiuto
reciproco di collaborazione apostolica.
Spetta all’autorità interna competente dell’Istituto aggregante fare l’aggregazione. La decisione
dell’aggregazione deve avvenire a livello generale o congregazionale: in questo senso, ci sono solo 2
figure possibili, adatte a fare un’aggregazione:
1) Supremo Moderatore dell’IVC con il consenso del suo Consiglio; preferibilmente si usa
questa modalità, perché è un organo più agile, mentre il Capitolo generale di solito si tiene
ogni x anni. Quindi con il Supremo Moderatore le decisioni si possono prendere molto più
velocemente.
2) Il Capitolo generale che ha autorità suprema collegiale, secondo quanto disposto dalle
Costituzioni.
Si può fare ricorso contro la decisione del Capitolo generale che nega un’aggregazione? No, perché
in questo caso stiamo parlando non di un “diritto di aggregazione” (non esiste), ma semplicemente
di una grazia, di una possibilità. Un ricorso non avrebbe nessun senso.
DIVISIONE DELL’IVC
Si tratta della divisione interna all’Istituto. Divisioni interne dell’Istituto in circoscrizioni.
Can. 581 - Spetta all'autorità competente dell'istituto a norma delle costituzioni dividere l'istituto
stesso in parti, con qualunque nome designate, erigerne di nuove, fondere quelle già costituite o
circoscriverle in modo diverso.
Queste famose circoscrizioni possono avere nomi diversi (province, regioni, vicariati, missioni,
custodie, case, tantissimi nomi di realtà intermedie) a seconda dalla tradizione di ogni Istituto.
Ci dobbiamo sempre chiedere di quale tipo è la potestà di ogni suddivisione interna. Ma anche
dobbiamo verificare la potestà di questi organismi intermedi: possono avere o potestà propria o
potestà delegata.
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La divisione dell’IVC non è obbligatoria! Chi deve decidere sulla divisione? Il Capitolo, che nelle
Costituzioni deve stabilire quale sia la struttura organica dell’IVC, altrimenti non si può
procedere alla divisione interna. Il testo costituzionale deve per forza stabilire le diverse
circoscrizioni in cui eventualmente l’Istituto può essere diviso. Deve cioè essere una cosa che è
contemplata dalle Costituzioni dell’Istituto: altrimenti non si può procedere.
Una divisione, perciò, non può essere fatta se non è esplicitamente prevista dalle Costituzioni.
Ma attenzione: anche se il Capitolo modificasse le Costituzioni per poter procedere a una divisione
interna dell’Istituzione, si dovrebbe comunque anche chiedere il permesso all’autorità competente
(Vescovo diocesano o Sede Apostolica) per poter validamente iniziare questo processo di
divisione interna.
La ragione per dividere un Istituto è un governo migliore dell’Istituto stesso.
Oggi più che di divisione interna, nei grandi istituti, si parla di unificazione. Soprattutto in Europa e
in America si sta procedendo a riunificare, cioè a rivedere gli organismi e a ristruttura l’Istituto:
tutto questo per la mancanza di vocazioni religiose. Ma d’altronde, anche nelle diocesi si sta
verificando lo stesso fenomeno con le famose Unità Pastorali: c’è mancanza non soltanto di fedeli,
ma anche di chierici-parroci.
I nomi più comuni di divisione sono:
1) Province
2) Vice-province
3) Regioni
4) Distretto
5) Ispettoria
6) Vicariati
7) Aree
8) Delegazioni
Attenzione: ogni singola circoscrizione è, all’interno dell’unico Istituto, indipendente ed
autonoma. Ma tra le varie singole circoscrizioni c’è collegamento, perché appartengono all’unico
istituto.
LA PROVINCIA
È l’unica circoscrizione che viene definita dal CIC. È l’unione di più case che costituiscono una
parte immediata dell’Istituto sotto il medesimo Superiore Maggiore, ed è canonicamente eretta
dalla legittima autorità, ex can. 621.
Can. 621 - Col nome di provincia si designa l'unione di più case che costituisce una parte immediata
dell'istituto sotto il medesimo Superiore, ed è canonicamente eretta dalla legittima autorità.
Sono sottomesse all’autorità di un Superiore Maggiore (provinciale), che gode di potestà
ordinaria, propria e immediata.
Per la regolare costituzione di una provincia dobbiamo tenere presente e verificare quali sono i
requisiti interni che ogni istituto stabilisce per ogni organismo:
-
Numero di case (almeno 3)
Numero di membri
Che tipo di autonomia hanno a livello di economia, di governo, di apostolato
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I requisiti sono necessari: l’autorità competente deve avere elementi oggettivi per poter procedere
alla divisione. Quante case hai? Che capacità economica esiste? Qual è il futuro, a corto/medio
raggio, per verificare che non si sta creando una circoscrizione che fra tre anni dovrò chiudere?
Questi requisiti devono essere posti nel direttorio (non nelle Costituzioni), perché così si possono
facilmente cambiare.
Ma attenzione: oltre a questi requisiti se ne deve sempre aggiungere un altro: quello
dell’opportunità o meno di costituire quella determinata circoscrizione.
LA REGIONE (O VICE-PROVINCIA) “o una parte dell’istituto equiparata alla provincia”
(can. 620)
È un organismo “equiparato” a una provincia (can. 620), sotto un Superiore Maggiore (con potestà
ordinaria e propria), potestà conferita dal diritto universale e proprio, non essendo, per determinati
aspetti, indipendente.
Alla regione mancano generalmente alcuni requisiti. In un tempo ragionevole, tuttavia, potrebbe
raggiungere quegli elementi che mancano e quindi nel frattempo si costituisce in regione.
LA DELEGAZIONE
È l’unione di più case, costituite sotto l’autorità di un Superiore con potestà delegata. La potestà,
quindi, viene esercitata nei limiti della delega, delega che è concessa da chi ha potestà ordinaria
nell’istituto. Può essere:
1) DELEGAZIONE PERSONALE: il Superiore Maggiore sceglie e delega a un membro dell’istituto
alcuni poteri propri di governo in rapporto a una o più case.
2) DELEGAZIONE TERRITORIALE: è un insieme di case sottomesse ad un Superiore delegato, i
cui poteri sono definiti dal diritto proprio. È un organismo strutturato, che ha una stabilità
nel tempo più marcata.
Si deve sempre fare un decreto scritto nel quale si definisce bene il territorio di quella
circoscrizione che nasce. Il Superiore deve sapere qual è il limite della sua potestà. Si devono anche
definire quali sono i beni temporali che appartengono a quella determinata circoscrizione.
Nel caso di Superiore delegato, si devono anche chiaramente definire i limiti di quella delega.
FUSIONI e UNIONI
FEDERAZIONI E CONFEDERAZIONI
Can. 582 - Sono riservate unicamente alla Sede Apostolica le fusioni e le unioni di istituti di vita
consacrata, come anche le confederazioni e federazioni.
Tutte le fusioni e le unioni, come pure le federazioni e le confederazioni, di IVC o di SVA, sia di
diritto pontificio che di diritto diocesano, sono riservate esclusivamente alla Santa Sede.
Cos’è la FUSIONE? È l’assorbimento di un IVC da parte di un altro: in questo modo l’istituto
assorbito passa a far parte dell’altro istituto che assorbe. I diritti e i doveri dell’istituto assorbito
entrano così nel patrimonio dell’istituto che assorbe.
Allora la FUSIONE altro non è che una forma di soppressione o estinzione di un IVC o di una
SVA, soltanto che le persone dell’istituto assorbito continuano la vita consacrata, ma all’interno
di un altro istituto. L’istituto assorbito sparisce all’interno dell’Istituto assorbente e quindi si
estingue.
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Spesso la fusione si fa perché un istituto ha pochissimi membri e sta morendo.
La Santa Sede può, in certi casi, “raccomandare” a certi istituti che “pensino” alla fusione.
Tuttavia, sono gli stessi membri dell’IVC o della SVA morente che devono esprimersi, nella piena
libertà: sta a loro, liberamente, decidere se procedere o meno alla fusione.
Con chi si devono fondere? Normalmente con un istituto che sia affine alla missione, alla
spiritualità e, se possibile, al carisma. Il più possibile la fusione deve avvenire tra istituti molto
simili, affinché la fusione stessa sia meno traumatica possibile.
La FUSIONE comporta sempre un processo previo di sperimentazione, di collaborazione, di
reciproca conoscenza, di verifica: questo perché, prima che il Capitolo Generale prenda la
decisione sulla fusione o meno, il Capitolo abbia gli elementi necessari per decidere se procedere o
meno alla fusione. Questo processo di sperimentazione e di conoscenza, lo deve fare anche il
Capitolo Generale dell’Istituto che assorbe, non solo il Capitolo dell’IVC che verrà assorbito.
Ma attenzione: nella fusione l’istituto che viene assorbito non può porre nessuna clausola!
Altrimenti non è una fusione, ma semplicemente un istituto che fa da “badante” a un altro istituto
morente. A livello pratico: non è facile procedere a una fusione, anche perché spesso negli IVC
morenti ci sono membri molto anziani, i quali non sono tanto disposti ad accettare un cambiamento
di vita così radicale come quello che sarebbe dovuto in seguito a una fusione.
Prima di procedere a una fusione (o a un’unione), si deve verificare anche la salute economica
dell’istituto che viene assorbito: ci sono debiti? Ci sono situazioni irregolari? Ci sono proprietà
gravate da ipoteca? Altri pasticci?
La fusione implica logicamente la professione nel nuovo istituto: i membri dell’IVC assorbito, in
altre parole, devono assumere tutta la ricchezza del nuovo IVC che li accoglie. L’istituto assorbito
sparisce all’interno dell’istituto assorbente. L’istituto assorbito si estingue.
UNIONE DI DUE O PIÙ IVC
Due o più istituti si uniscono tra loro e formano UN NUOVO ISTITUTO, distinto dai precedenti.
Nasce, cioè, una nuova persona giuridica pubblica e spariscono gli istituti che si sono uniti.
Giuridicamente nasce una sola realtà nuova. E questa nuova realtà diventa l’unico soggetto dei
diritti e doveri che appartenevano agli Istituti che si sono uniti: persone, beni, diritti e oneri che
erano presenti negli istituti precedenti. Il risultato è la nascita di un NUOVO IVC, che deve
rispettare i diritti acquisiti, le pie volontà, i vincoli esistenti con terzi.
Si uniscono, di solito, Istituti con finalità, spirito, consuetudini simili. Membri della stessa
famiglia spirituale. Tutti i membri dell’Istituto devono essere d’accordo: deve essere una
decisione di tutti i membri: tutti i membri devono potersi esprimere a favore o contro l’unione.
Tutti i membri devono manifestare il loro parere e dare il loro assenso.
CONFEDERAZIONE
Con la confederazione si stabilisce un legame tra diversi istituti, ma questi mantengono la loro
propria identità, autonomia e fisionomia di governo.
La confederazione di IVC, ha la propria personalità giuridica, differente da quella degli Istituti che
la costituiscono. Ha i propri statuti, stabiliti dagli IVC che la costituiscono.
Negli Statuti si determinano la natura, la struttura, i diritti e i doveri della Confederazione e dei
membri confederati all’interno della struttura.
Le Confederazioni, però, non hanno nessuna potestà di governo sui singoli istituti che la
compongono, ma semplicemente forniscono aiuti spirituali agli IVC che la compongono (senza
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alcuna forma di governo diretto sugli IVC che la compongono): in questo senso, la Confederazione è
una struttura di mutuo aiuto.
Non c’è bisogno di nessuna affinità spirituale per stabilire una Confederazione: può essere formata
da IVC anche molto diversi tra di loro. Tali IVC si uniscono solo perché hanno in comune la vita
consacrata.
LA FEDERAZIONE
È l’associazione di diverse società sotto una stessa autorità comune.
L’unione di diversi Istituti nella quale gli Istituti perdono parte dei propri diritti e doveri, in
favore di un unico soggetto ad extra.
Gli Statuti della federazione devono armonizzare la natura, le leggi, lo spirito, le tradizioni
spirituali-giuridiche ed apostoliche di ciascuno degli IVC che compongono la federazione.
Altrimenti non ha senso creare una federazione.
Molto comune è la federazione di monasteri. Le benedettine si federano tra di loro. Le cistercensi
si federano tra di loro.
Negli Statuti si deve stabilire l’entità della POTESTÀ della federazione, potestà che deve essere
comunque molto limitata, per non urtare l’autonomia dei singoli istituti.
Esempio: che potestà ha il presidente di una federazione sui singoli monasteri? L’abate presidente ha
una potestà molto limitata: non può intervenire nell’andamento interno dei vari monasteri.
Anche la federazione è uno strumento di mutuo aiuto: gli IVC si federano per aiutarsi. Non c’è
nessun obbligo di federarsi, rimane sempre la libertà dei singoli istituti di fare o meno questo
processo.
LA SOPPRESSIONE DI UN IVC
Can. 584 - Sopprimere un istituto spetta unicamente alla Sede Apostolica, alla quale compete pure
disporre dei beni temporali relativi.
La soppressione di un IVC, è materia di competenza esclusiva della Santa Sede, la quale decide
sui beni temporali di quell’Istituto che viene soppresso.
La soppressione è l’abolizione totale dell’Istituto, IVC sia di diritto pontificio che diocesano.
Si tratta di un’eccezione alla regola “chi erige può sopprimere”.
Normalmente, si sopprime un istituto quando non ci sono più membri. Ma la soppressione può
anche avvenire quando ci sono ancora membri professi di quell’istituto. In questo secondo caso
(per motivi gravi), la Santa Sede dovrà provvedere alla opportuna sistemazione di quei membri che
siano ancora professi.
Sui membri professi eventualmente rimasti decide la Santa Sede:
- o passano a un altro Istituto e continuano la loro professione religiosa in un altro istituto
(se vogliono continuare la loro consacrazione). Ma nessun Istituto ha l’obbligo di accogliere
membri professi di un istituto che è stato soppresso.
- oppure possono essere dispensati dall’osservanza dei voti.
Importante: nessun membro professo può rimanere “nell’aria”, “nel limbo”.
E se ci sono debiti lasciati da quell’Istituto? La Santa Sede può vendere i beni di quell’Istituto per
sanare i debiti e poi deciderà anche a chi dare i soldi rimanenti dalla vendita dei beni dell’Istituto.
Di solito la Santa Sede nomina un “commissario pontificio” che agisce a nome della Santa Sede e
che cura tutto il complesso iter burocratico per giungere alla soppressione totale dell’IVC.
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Nella decisione sui beni dell’Istituto soppresso non si può applicare la norma del can. 123. La
persona giuridica soppressa, infatti, non ha un superiore.
Attenzione: i beni personali del singolo membro dell’Istituto soppresso passano agli eredi (secondo
le disposizioni testamentarie).
La SOPPRESSIONE può essere di due tipi:
1) La soppressione di una parte dell’Istituto (di una circoscrizione): in questo caso l’istituto
rimane vivo. Ed è competente l’autorità interna all’Istituto stesso.
2) La soppressione dell’Istituto in sé stesso. L’istituto muore e non esiste più.
La SOPPRESSIONE DI UNA SINGOLA CIRCOSCRIZIONE: spetta all’autorità interna dell’Istituto.
Can. 585 - Spetta invece all'autorità competente dell'istituto la soppressione di parti dell'istituto
stesso.
Di solito la può fare il Superiore Generale (o Supremo Moderatore). Oppure la può fare il
Capitolo Generale. Ma normalmente la fa il Superiore Generale, con il consenso del suo Consiglio.
Il decreto Ad Istituenda experimenta (1970) concedeva la potestà al capitolo generale. Lo schema del
1977 parte da questa norma che i consultori semplificano per introdurla nel codice, senza però
indicare chi sia l’autorità competente.
Ci sono perciò due teorie sull’autorità competente:
1) Corrisponde al Capitolo generale sopprimere le circoscrizioni e determinare sui beni.
2) Corrisponde al Supremo Moderatore con il consenso del suo Consiglio.
Per la soppressione di una parte dell’Istituto (circoscrizione), l’autorità competente deve emanare un
decreto scritto, nel quale si deve dire dove andranno ascritte le persone e che destinazione avranno i
beni. Le conseguenze giuridico-canoniche della soppressione devono essere chiare.
Attenzione: con la soppressione ci sono anche conseguenze giuridiche a livello civile. Si dovrà
anche procedere alla soppressione civile della persona giuridica pubblica. Tutto ciò comporta
anche il pagamento di tasse allo Stato. Attenzione, perché il legislatore canonico non dice nulla sulle
conseguenze civili.
Sulla divisione di un Istituto in piccoli istituti si applica il can. 122.
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CARATTERISTICHE PROPRIE DEGLI IVC
1) L’autonomia: can. 586. Il Legislatore riconosce la giusta autonomia degli IVC, soprattutto
nel governo, affinché possano stabilire la propria disciplina e conservare integro il proprio
patrimonio spirituale. La “giusta” autonomia: quella che serve per il governo, non oltre.
Principalmente, quindi, si tratta della capacità per l’istituto di darsi proprie leggi e norme.
§ 2. È compito degli Ordinari dei luoghi conservare e tutelare tale autonomia.
Corrisponde all’Ordinario del luogo conservare e difendere (non concedere) questa autonomia.
L’autonomia, infatti, la concede lo stesso diritto (agnoscitur: è un diritto nativo!). All’Ordinario
del luogo, allora, spetta solo la difesa e la tutela di questa autonomia, non la concessione!
Lo stesso Legislatore universale concede/riconosce l’autonomia agli IVC: questa autonomia viene
riconosciuta automaticamente dal Legislatore universale quando l’IVC viene eretto.
L’autonomia si può definire come:
● La facoltà che ogni IVC e SVA ha per darsi delle norme (norme vere e proprie con la
caratteristica della obbligatorietà), subordinatamente equiparate al diritto universale.
● Corrisponde al RP riconoscere e concedere l’autonomia di governo, che si dovrà stabilire nelle
Costituzioni e nel diritto proprio.
Il grado di autonomia sarà diverso secondo il tipo di Istituto (di diritto diocesano o di diritto
pontificio). Cosa significa, allora l’autonomia? Significa che, nell’ambito del diritto comune, gli IVC
e le SVA, anche quelli di diritto pontificio, possono avere un DIRITTO PROPRIO, in rispondenza
alla loro specifica natura, attività e fine, senza illegittime ingerenze o interferenze e senza
livellamenti ugualitari. Uno dei mezzi per meglio tutelare l’autonomia degli Istituti è la loro
esenzione dalla giurisdizione dell’Ordinario del luogo.
Si deve distinguere l’AUTONOMIA dall’INDIPENDENZA:
- L’indipendenza indica che un determinato ente giuridico non ha nessun vincolo d’unione con
altro/altri ente/i, conservando ognuno la propria realtà.
- L’autonomia indica che esistono dei vincoli di unione con altro ente superiore,
rimanendo autonomo nel suo operare. Questo canone risponde pienamente ai criteri e ai
principi ispiratori del Concilio: sussidiarietà, corresponsabilità, decentralizzazione, rispetto
della personalità giuridica.
- L’autonomia è garante del normale esercizio del governo, l’integrità dello stile di vita
comunitaria, l’orientazione apostolica distintiva, la spiritualità e lo spirito originario ed
originale.
Che cosa è il DIRITTO PROPRIO?
Can. 587 - § 1. Per custodire più fedelmente la vocazione e l'identità dei singoli istituti il codice
fondamentale, o costituzioni, di ciascuno deve contenere, oltre a ciò che è stabilito da osservarsi nel
can. 578, le norme fondamentali relative al governo dell'istituto e alla disciplina dei membri, alla
loro incorporazione e formazione, e anche l'oggetto proprio dei sacri vincoli. § 2. Tale codice è
approvato dalla competente autorità della Chiesa e soltanto con il suo consenso può essere
modificato. § 3. In tale codice siano adeguatamente armonizzati gli elementi spirituali e quelli
giuridici; tuttavia non si moltiplichino le norme senza necessità.
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§ 4. Tutte le altre norme, stabilite dall'autorità competente dell'istituto, siano opportunamente
raccolte in altri codici e potranno essere rivedute e adattate convenientemente secondo le esigenze
dei luoghi e dei tempi.
Ricorda il Can. 578 - L'intendimento e i progetti dei fondatori, sanciti dalla competente autorità
della Chiesa, relativamente alla natura, al fine, allo spirito e all'indole dell'istituto, così come le
sane tradizioni, cose che costituiscono il patrimonio dell'istituto, devono essere da tutti fedelmente
custoditi.
Il DIRITTO PROPRIO, allora, ha la finalità di difendere la vocazione e la identità di ogni
istituto. Inoltre serve per esprimere l’autonomia dell’istituto nel definire la natura, il fine, lo
spirito, l’identità e il patrimonio spirituale dell’Istituto.
Il diritto proprio, da che cosa è costituito?
1) Dalla Regola di vita. Ma la regola di vita non è necessaria per la fondazione, né per
l’erezione e costituzione di un IVC. Un istituto può anche non avere una regola di vita. La
Chiesa ha approvato solo le regole di vita del passato (quelle antiche) e oggi non ne approva
più.
2) Le Costituzioni (o “Codice Fondamentale”). Sono un elemento legislativo imprescindibile
in un IVC. Se non ci sono le Costituzioni, non si può erigere un Istituto. Nelle Costituzioni si
stabiliscono la normativa interna e i principi e gli statuti giuridici sui quali l’Istituto si
vuole fondare. Devono essere scritte alla luce del Magistero e della Dottrina della Chiesa
Cattolica (aggiornata al CV2).
3) Il Direttorio. Può essere un “direttorio generale”, oppure un “direttorio particolare”. È un
codice che contiene le norme applicative pratiche dei principi che sono stabiliti nelle
Costituzioni. Il direttorio può aggiornarsi con molta più agilità e facilità rispetto alle
Costituzioni. Un istituto può avere più direttori specifici: un direttorio spirituale, pastorale,
amministrativo, di governo ecc. Il direttorio è sempre in stretto rapporto con le costituzioni e
applica le Costituzioni. I direttori particolari: esempio: direttorio economico, direttorio
sull’apostolato, sul governo, sulla formazione (chiamato anche “ratio formationis”, direttorio
spirituale (sulla preghiera). Il direttorio è un testo legislativo fatto per iniziativa dei membri
dell’Istituto e solo per la prima volta ha bisogno dell’approvazione della Santa Sede, poi
le eventuali modifiche possono essere fatte in modo autonomo. Ovviamente il direttorio non
può legiferare nulla che sia contrario alle Costituzioni, alla Regola di vita.
4) Norme dei capitoli (generali, provinciali, locali): sono le decisioni prese dal Capitolo
generale. Le norme capitolari hanno una vita limitata nel tempo: sono in vigore da un
Capitolo fino al Capitolo successivo. Se un norma capitolare non è ripresa specificamente
dal capitolo successivo, oppure se non è inserita nelle Costituzioni o nel Direttorio, allora
automaticamente quella norma è abrogata. Questa regola serve per evitare contraddizioni
giuridiche e confusione: per questo motivo è stata inserita la vigenza da un Capitolo all’altro.
5) Norme dei superiori (generale, provinciale, locale): ogni Superiore, sia locale, provinciale,
generale. Chiaro che una norma emanata da un superiore di una circoscrizione inferiore, deve
avere l’approvazione dell’autorità superiore.
6) Tradizioni, consuetudini, documenti propri: comportamenti ripetuti nel tempo.
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Nel CIC non c’è una definizione vera e propria di COSTITUZIONE. Come sappiamo, il CIC83 non
ama dare definizioni.
Definizione: “Le COSTITUZIONI sono il diritto proprio e fondamentale di un IVC o di una
SVA, contenente come fonte la normativa costitutiva, diretta, integrale, organica e stabile,
elaborata generalmente dal Capitolo Generale e votata dallo stesso e definitivamente approvata dal
Vescovo o dalla Sede Apostolica (a seconda che sia un IVC di diritto diocesano o di diritto
pontificio)”.
DIRITTO PROPRIO = diritto esclusivo, stabilito esclusivamente per quel particolare di un IVC.
Chiaro che deve essere conforme al diritto universale. Non può essere condiviso né applicato a
qualsiasi altro IVC o SVA. È la raccolta normativa dei principi specifici dell’Istituto.
COSTITUZIONI NORMATIVA INTEGRALE = il diritto proprio deve legiferare su tutta la realtà
dell’Istituto: sulle norme fondamentali relative al governo dell’IVC, sulla consacrazione e la
formazione dei membri, sulla vita comunitaria, la vita di preghiera, la vita apostolica, il governo,
l’economia, su tutto!!!!
STABILITÀ DELLE COSTITUZIONI = non significa immutabile! Le Costituzioni, tuttavia, hanno il
carattere di una certa perpetuità. Non possono essere soggette a cambiamenti compulsivi. Come
mai? Perché i membri dell’istituto devono conoscere bene quale sia la normativa sulla quale
devono configurare la propria esistenza!! Se queste Costituzioni cambiassero ogni 5/6 anni, si
creerebbe anche una precarietà nella Consacrazione dei membri dell’Istituto. Allora si possono
modificare? Sì, ma devono essere modificate con molta cura, per evitare disorientamento nei
membri. Normalmente, per la prima volta, le Costituzioni sono stabilite dal fondatore.
Successivamente, le Costituzioni sono fatte (migliorate o riformulate) dal Capitolo generale, ma
oggi come oggi c’è una tendenza a far partecipare tutti i membri dell’istituto nella stesura delle
Costituzioni. Ma, attenzione: corrisponde solo al Capitolo generale l’approvazione delle
Costituzioni: nessun organo all’interno di un IVC ha il diritto o la potestà di approvare le
Costituzioni, nemmeno il Superiore generale, soltanto il Capitolo, che è il supremo organo
collegiale dell’intero istituto. All’interno del capitolo ci vuole una maggioranza di almeno 2/3 dei
membri. La Santa Sede controlla sempre i verbali del capitolo generale: se ci si accorge che un
particolare articolo non ha ottenuto almeno i 2/3 dei consensi all’interno del Capitolo Generale, non
approverà mai le modifiche alle Costituzioni.
La Santa Sede può:
1) Approvare le Costituzioni.
2) Non approvare. In questo caso ci sono due possibilità: o che la Santa Sede suggerisca al
Superiore Generale con il suo Consiglio (interlocutore diretto con la Santa Sede) anche la
formula giusta da scrivere in modo corretto, oppure che la Santa Sede si limiti a dire che
quella modifica non può essere approvata.
3) Modificare quello che il Capitolo ha approvato
La Santa Sede potrebbe decidere di modificare altre parti delle Costituzioni che non sono state
oggetto di verifica/modifica da parte del Capitolo?
Sì, la Santa Sede, quale suprema autorità, ha sempre la capacità di chiedere la modifica delle
Costituzioni, anche quelle che non sono state oggetto di revisione da parte del Capitolo Generale. La
Santa Sede può sempre dire: “Quella norma mi pare che non sia buona o non conforme pienamente
al diritto universale”. Non si può negare alla Santa Sede questa possibilità come autorità suprema
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della Chiesa. Certo, l’Istituto può sempre dialogare con la Santa Sede, ma, alla fine, le decisioni
della Santa Sede sono inappellabili.
Il processo del discernimento nelle decisioni si basa sempre sul dialogo tra le parti, ma alla fine la
decisione della Santa Sede non può essere disapplicata!! La Santa Sede agisce con potestà vicaria
del Santo Padre, quindi non si può “disobbedire” a una decisione della Santa Sede.
Teniamo presente questo: la visione ampia e l’esperienza della Santa Sede sono impareggiabili. La
Santa Sede agisce sempre per il bene degli altri. Quindi non prende mai decisioni che non siano per
aiutare le persone. La Santa Sede sempre agisce per amore, per questo è sempre importante
accogliere in ubbidienza e con fede le decisioni della Santa Sede.
Riassumendo:
- le Costituzioni sono un codice di precetti per l’uso di un Istituto religioso.
- In origine si trattava di un insieme di regole brevi, dove i fondatori esprimevano le loro
intenzioni per l’opera. In molti casi si trattava semplicemente della descrizione dell’orario
della giornata tipo del membro di quell’Istituto.
- Le prime costituzioni sono molto importanti se vengono fatte dal fondatore, perché così
possiamo vedere l’idea, l’intenzionalità di fondo del fondatore.
LE CARATTERISTICHE DELLE COSTITUZIONI SONO:
1) Obbligatorietà per tutti i membri dell’istituto: non sono un optional.
2) Stabilità e validità per tutti i luoghi e i tempi: la universalità.
3) Sono una Garanzia di permanenza dell’identità dell’Istituto e della fedeltà alla sua
vocazione e missione: le Costituzioni sono lo scheletro dell’istituto, la parte ossea, sulla
quale si aggancia e si sostengono i muscoli e la carne. Le Costituzioni dunque, sono la
garanzia della continuità nel tempo. Le costituzioni, strutturando l’Istituto, permettono che
l’Istituto possa continuare negli anni, proteggendolo dalle interpretazioni particolari dei
suoi membri. Spesso accade che quando il fondatore muore (persona carismatica), sorgono
molti membri che si proclamano interpreti del carisma e della finalità. Ma questo spesso crea
forti tensioni all’interno dell’Istituto stesso e spesso queste tensioni possono portare alla
morte dell’istituto stesso. Invece le Costituzioni sono garanzia di permanenza nel tempo. Le
Costituzioni garantiranno la permanenza dell’istituto lungo la storia della Chiesa.
4) Non esclusività delle norme. Perché poi ci sono anche le altre norme.
ISTITUTI CLERICALI O LAICALI (can. 588)
ISTITUTI DI DIRITTO PONTIFICIO O DIOCESANO (can. 589)
RELAZIONE TRA GLI ISTITUTI E LA SANTA SEDE (can. 590-593)
Can. 590 - §1. Gli istituti di vita consacrata, in quanto dediti in modo speciale al servizio di Dio e di
tutta la Chiesa, sono per un titolo peculiare soggetti alla suprema autorità della Chiesa stessa. § 2. I
singoli membri sono tenuti ad obbedire al Sommo Pontefice, come loro supremo Superiore, anche a
motivo del vincolo sacro di obbedienza.
· Tutti gli IVC nascono per l'edificazione della Chiesa, ne sono parte e dunque dipendono dalla
“Suprema Autorità della Chiesa”: il Papa c. 332, 333 § 2 e il Collegio dei Vescovi come
corpo.
· La sottomissione alla Chiesa è espressione profonda ed essenziale di comunione ecclesiale per
tutti i fedeli (can. 205), ma in modo particolare per gli IVC e le SVA.
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· (§2) Anche a motivo del voto di obbedienza, poi, ogni singolo membro deve obbedire al S.
Pontefice c. 331-333, essendo il Supremo Moderatore della Chiesa e dunque anche di tutti gli
IVC. In effetti il Papa è anche Superiore Supremo (nel senso stretto del termine) di ciascun
Istituto, per cui i membri che ne fanno parte sono tenuti a obbedirgli anche in forza dello stesso
sacro vincolo dell’ubbidienza.
Questo principio che enumera il canone, si applica a tutti gli IVC indistintamente, che sia di diritto
diocesano o pontificio, maschili o femminili, apostolici o contemplativi.
La ragione di questa peculiare sottomissione alla Chiesa: è la collocazione che gli IVC hanno nel
mistero della Chiesa. La peculiare consacrazione, che proviene dei consigli evangelici.
Altri autori considerano che la ragione di questo canone sia nella testimonianza escatologica. Ma il
legislatore stabilisce che “in quanto dediti al servizio di Dio e di tutta la Chiesa”: quindi è una
ragione ecclesiologica, dovuta alla appartenenza alla Chiesa e al servizio della stessa.
L'ESENZIONE DALLA GIURISDIZIONE DELL’ORDINARIO DEL LUOGO
Can. 591: Per meglio provvedere al bene degli istituti e alle necessità dell'apostolato il Sommo
Pontefice, in ragione del suo primato sulla Chiesa universale, può esimere istituti di vita consacrata
dal governo degli Ordinari del luogo e sottoporli unicamente a sé o ad altra autorità ecclesiastica,
in vista di un vantaggio comune.
Nella legislazione del ‘17 questa esenzione veniva inquadrata come un privilegio, nel nuovo codice
essa è considerata piuttosto come un’esigenza ecclesiale: per il Bene universale della Chiesa, per il
bene degli Istituti, per le necessità dell’apostolato, per la comune utilità.
L'esenzione è la sottrazione degli IVC al regime degli ordinari del luogo, sottomettendoli alla sola
potestà del RP o di un'altra autorità ecclesiale.
Due sono le ragioni per i quali si può concedere l'esenzione all’IVC:
a. Di ordine finalistico, il bene dell'IVC, le necessità pastorali della Chiesa Universale, alle quali
non possono soddisfare i Vescovi singolarmente.
b. Di ordine dogmatico, dottrinale, come conseguenza del primato del Papa che, per ufficio, deve
rispondere e attendere al bene comune di tutto il Popolo di Dio.
L’esenzione dalla giurisdizione dell’Ordinario del luogo non riguarda tutti gli ambiti: infatti alcuni
settori, specialmente quelli del culto pubblico e della pastorale, rimangono sotto l'autorità e la
direzione del Vescovo diocesano:
1. La cura delle anime
2. L'esercizio del culto divino
3. Altre opere di apostolato.
COMUNIONE DEGI IVC E SVA CON LA SEDE APOSTOLICA
Can. 592 - § 1. Perché sia più efficacemente favorita la comunione degli istituti con la Sede
Apostolica, ogni Moderatore supremo trasmetta alla medesima, nel modo e nel tempo da questa
fissati, una breve relazione sullo stato e sulla vita del proprio istituto.
§ 2. I Moderatori di ogni istituto provvedano a far conoscere i documenti della Santa Sede
riguardanti i membri loro affidati, e ne curino l'osservanza.
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Il canone stabilisce due obblighi differenti:
1. L'obbligo che hanno i Superiori Maggiori (Moderatore Supremo) di inviare una breve relazione
periodica sullo stato di vita del proprio istituto: l'apostolato, la formazione, le separazioni,
secondo le direttive e i tempi stabiliti dalla Sede Ap.
2. Tutti i superiori devono far conoscere ed osservare la dottrina e documenti pontifici sulla VC e
religiosa.
La finalità di questo duplice obbligo è favorire la comunione tra la Sede Apostolica e gli IVC.
La relazione sullo stato di vita viene fatta dal Superiore Generale (Moderatore Supremo) ed inviata
alla Sede Apostolica, con i dati dell'istituto.
LA DIPENDENZA DEGL'IVC-SVA PONTIFICI DALLA SEDE APOSTOLICA
Can. 593: Fermo restando il disposto del can. 586, gli istituti di diritto pontificio sono soggetti in
modo immediato ed esclusivo alla potestà della Sede Apostolica in quanto al regime interno e alla
disciplina.
L’erezione di un IVC di diritto pontificio comporta automaticamente la sua sottrazione dalla
potestà del vescovo e la sottomissione al RP. La ragione di questa dipendenza è la conservazione
del patrimonio e la sua missione.
La dipendenza fa riferimento alla disciplina interna: al regime di governo, alla disciplina, cioè al
governo interno dell'istituto.
La dipendenza è immediata, diretta ed esclusiva, senza che nessun’altra autorità possa intervenire.
La Sede apostolica può intervenire quando lo considera opportuno, anche sostituendo i Superiori
interni a norma del diritto universale.
LA DIPENDENZA DEGL'IVC-SVA DIOCESANI DAL VESCOVO DELLA DIOCESI
Can. 594: L'istituto di diritto diocesano, fermo restando il can. 586, rimane sotto la speciale cura
del Vescovo diocesano.
· È la stessa norma del canone precedente (593) applicata agli IVC di diritto diocesano..
La ragione di questa soggezione è che gli IVC diocesani non hanno acquistato la maturità degli
Istituti di diritto pontificio. Il vescovo deve proteggere, tutelare e difendere questi Istituti e farli
crescere. Quindi il Vescovo diocesano può opportunamente vigilare anche sul regime interno degli
istituti di diritto diocesano,
Viene sempre fatta salva la famosa legittima autonomia del can. 586, che hanno tutti gli IVC (sia di
diritto pontificio, sia di diritto diocesano).
Le competenze del Vescovo della sede principale sono: (can. 595)
La sede principale è quella della diocesi dove c'è la casa generalizia (dove c’è la Curia Generale).
Spesso coincide con la Casa Madre.
Quali sono i compiti del Vescovo della sede principale?
1) Approvare le costituzioni
2) Confermare le modifiche al testo costituzionale
3) Trattare gli argomenti di maggiore rilievo riguardanti l’intero istituto, non senza però aver
prima consultato gli altri Vescovi diocesani, qualora l’istituto fosse esteso in più diocesi.
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ELEMENTI COSTITUTIVI DELL'IVC (can. 596-602)
· Potestà del Superiore e dei Capitoli degli IVC-SVA, can. 596
Can. 596: § 1. I Superiori e i capitoli degli istituti hanno sui membri quella potestà che è definita dal
diritto universale e dalle costituzioni.
§ 2. Negli istituti religiosi clericali di diritto pontificio, essi hanno inoltre la potestà ecclesiastica di
governo, tanto per il foro esterno quanto per quello interno.
§ 3. Alla potestà di cui nel § 1 si applicano le disposizioni dei cann. 131, 133 e 137-144.
§1
LA
POTESTÀ DEI SUPERIORI (AUTORITÀ PERSONALE) E DEI CAPITOLI (AUTORITÀ
COLLEGIALE) SUI MEMBRI DEGLI IVC E DELLE SVA, è quella stabilita dal diritto universale
e dal diritto proprio. Sono i soggetti attivi della potestà, mentre i membri degli IVC e delle
SVA sono i soggetti passivi.
I superiori (autorità personale) e i capitoli (autorità collegiale), sono due fonti di provenienza
della potestà. Possono essere a tre livelli: generale, provinciale e locale. Quindi possiamo avere il
Superiore generale (o Moderatore Supremo), il Superiore Provinciale, il Superiore della singola casa
religiosa. E poi possiamo avere il Capitolo Generale, il Capitolo provinciale e il capitolo locale.
La potestà non è assoluta, ma limitata. I Superiori e i Capitoli ricevono la potestà dal diritto
universale e dalle Costituzioni, lo stesso per le loro funzioni e i limiti alla loro potestà.
Anche se non si tratta di una potestà di governo in senso proprio, essa non può tradursi come una
semplice “potestà domestica (o dominativa)” (come era detto nel CIC17), perché essa possiede una
connotazione ecclesiale, pubblica. La “potestà dominativa” (di natura pubblica) non va perciò
confusa con la potestà di governo e di giurisdizione. È quella potestà che compete a tutti i Superiori
e ai Capitoli religiosi per reggere i sudditi in ordine al raggiungimento del fine proprio dell'istituto,
della provincia, della casa.
Questo tipo di potestà è applicabile a qualsiasi tipo di Istituto o Società: clericale e laicale, di
diritto pontificio e diocesano, maschile e femminile.
§2: invece la potestà di giurisdizione è la potestà ecclesiastica di giurisdizione (di
governo) esistente nella Chiesa per divina istituzione, che compete al superiore
religioso dell'IR clericale di diritto pontificio, per reggere i sudditi in ordine al fine soprannaturale
e lo specifico dell'IR. Quindi negli IR e nelle SVA (clericali e di diritto pontificio) i Superiori e i
Capitoli non godono soltanto della potestà di cui al §1 (a norma del diritto universale e del diritto
particolare), ma anche (insuper) della potestà ecclesiastica di governo in senso proprio, tanto per
il foro interno quanto per il foro esterno, concessa loro dalla Chiesa.
Questo tipo di potestà è applicabile solo agli IR e alle SVA clericali e di diritto pontificio.
L'origine delle due potestà è diversa: quella del §1 deriva da una parte dalla natura degli Istituti e
dall'altra dall'accordo di soggezione che i membri hanno assunto con la professione del voto
d'obbedienza. Quella del §2 ha origine nell'istituzione divina e nell'ordine sacro (can. 129).
§2
Da questa potestà, precisa il canone, sono esclusi:
- Gli IVC non religiosi (cioè secolari), anche se clericali e di diritto pontificio;
- Gli Istituti laicali, anche se di diritto pontificio;
- Gli Istituti di diritto diocesano.
Ricorda: i Superiori Maggiori degli IR clericali e di diritto pontificio sono detti “Ordinari”. Possono
avere, a norma delle Costituzioni, potestà piena o soltanto amministrativa: ma sono sempre e in ogni
caso “Ordinari”.
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L'AMMISSIONE AGLI IVC E ALLE SVA
Can. 597 - § 1. In un istituto di vita consacrata può essere ammesso ogni cattolico che abbia retta
intenzione, che possegga le qualità richieste dal diritto universale e da quello proprio, e non sia
vincolato da impedimento alcuno. § 2. Nessuno può essere ammesso senza adeguata preparazione.
La potestà d'ammissione spetta al Superiore legittimo competente. La esercita in nome dell'istituto e
della Chiesa. È un atto giuridico pubblico unilaterale.
Non è un diritto del candidato, ma una GRAZIA, una facoltà libera non obbligatoria “può
essere ammesso”.
·Requisiti per l'ammissione:
- Essere cattolico, battezzato, in piena comunione con la Chiesa cattolica, autorità della Chiesa, il
Romano Pontefice
- Avere retta intenzione. Avere la volontà di adeguarsi alla finalità dell'istituto e di tutto quello che
sia necessario per conseguirlo. L'intenzione deve essere: attuale, cioè nel momento della richiesta;
chiara, rispetto all'oggetto principale; determinata per lo stesso oggetto.
- si devono possedere le qualità richieste dal diritto universale e proprio, per poter raggiungere il
fine dell'istituto.
- si deve essere liberi da qualsiasi impedimento
- si deve avere un'adeguata preparazione, intellettuale (di base) per la missione e i fini
dell'istituto.
·A questi requisiti se ne possono aggiungere altri, stabiliti dal diritto proprio
L'unica novità rispetto al CIC 17 è l'adeguata preparazione del candidato. Questa preparazione
previa può richiedere un periodo di preparazione previa al noviziato (aspirantato, postulantato).
L'OSSERVANZA DEI CONSIGLI EVANGELICI E IL DIRITTO PROPRIO (can. 598)
Il fondamento della professione dei consigli evangelici lo troviamo nella dottrina e testimonianza di
Cristo (LG 43, PC 1)
In questo canone troviamo due obblighi fondamentali: una rivolto all'istituto, l'altro ai membri
consacrati dell’Istituto.
1) Il modo dell'osservanza dei consigli evangelici deve essere stabilito nelle costituzioni.
2) Il secondo obbligo riguarda i membri dell’istituto: osservare integralmente e con fedeltà i
consigli evangelici e vivere secondo il diritto proprio dell’istituto
Il § 2 si può dividere in due parti:
◦ L'osservanza dei consigli evangelici. Il Legislatore stabilisce come deve essere questa
osservanza: fedele ed integra
◦ Il membro dell’Istituto deve ordinare la vita secondo il diritto proprio dell'istituto, per
raggiungere la perfezione del suo stato
Il canone lascia piena libertà ad ogni Istituto affinché possa stabilire la forma concreta di vivere la
povertà, la castità e l’obbedienza, in modo da rispettare l'identità propria di ogni istituto.
L’osservanza dei consigli evangelici va determinata in modo giuridico dalle Costituzioni di ciascun
Istituto. I consigli evangelici hanno sempre un fine unitario: sono uno strumento per giungere alla
perfezione della carità.
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IL CONSIGLIO EVANGELIUCO DI CASTITÀ
In questo canone troviamo un contenuto biblico, cristologico e giuridico della castità
Possiamo indicare quattro punti:
1) La motivazione della castità. Dev'essere il Regno dei Cieli, del quale la castità è segno
anticipatore sulla terra.
2) Funzione di segno. La castità ha la caratteristica escatologica.
3) Fecondità del cuore non diviso. È simbolo della fecondità dell'amore salvifico di Cristo e
della Chiesa.
Il contenuto:
Il senso di questo voto è quello di astenersi da ogni atto interno o esterno contrario al 6° e 9°
comandamento del Decalogo
Questo consiglio non ammette gradi, restrizioni, né particolarità stabilite dalle Costituzioni o dal
diritto proprio. Ammette soltanto distinzione nei mezzi ascetici della salvaguardia e l'osservanza del
consiglio evangelico.
IL CONSIGLIO EVANGELICO DI POVERTÀ (can. 600)
Ha la sua radice nel PC, 13. Ha un fondamento biblico cristologico e conseguenze canoniche.
Dal punto di vista giuridico o le conseguenze sono due:
1) Vita povera di fatto e di spirito basata sul lavoro e sulla vita sobria. È uno degli aspetti essenziali
della povertà evangelica.
2) Esige una vita povera secondo il diritto proprio di ogni IVC.
3) Dipendenza e limitazione nell’uso e nella disponibilità dei beni: Il consacrato rinuncia all'uso
indipendente dei beni, in favore di un uso dipendente.
L'uso dei beni è un limite che serve da testimonianza al mondo nel quale i verbi avere, possedere e
consumare, sono i verbi più adoperati.
Ogni Istituto deve avere il proprio stile di praticare la povertà evangelica.
La definizione della povertà:
“Per il voto di povertà il religioso rinuncia al diritto di disporre lecitamente di qualsiasi cosa
temporale di valore monetario senza il permesso del Superiore legittimo.”
IL CONSIGLIO DI OBBEDIENZA (can. 601)
Ha il suo presupposto biblico, cristologico nella sequela Christi e nelle conseguenze giuridiche.
Le conseguenze sono:
1. Sottomissione ai superiori legittimi, secondo la legge universale e il diritto proprio,
2. Obbedienza quando comandano come superiori.
3. Quando comandano conformemente alle Costituzioni. Le Costituzioni sono lo strumento
con il quale si misura l'autorità e l'obbedienza. Il diritto proprio serve di riferimento.
LA VITA FRATERNA (can. 602)
La vita fraterna ha il suo fondamento in Cristo. È esempio di riconciliazione universale in Cristo.
È un aiuto reciproco nel realizzare la vocazione di ciascuno.
Il canone mette in evidenza l'aspetto corporativo della vita consacrata.
Sottolinea il valore della vita fraterna per i membri dell'istituto e per l'istituto stesso.
Nella vita comune possiamo distinguere due elementi:
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1) L'elemento formale, che sarà lo spirito distintivo: è indispensabile e dev'essere realizzato da
tutti.
2) L'elemento materiale, che è la coabitazione, che comprende la residenza, il programma di
vita, l'autorità che la dirige, i mezzi di comunicazione. Questo comporta la stabilità della vita
fraterna, pur cambiando le persone.
LA VITA EREMITICA E LE VERGINI CONSACRATE
Le forme della vita consacrata individuale che oggi il legislatore contempla sono due:
1) Anacoreti o eremiti
2) Vergini consacrate
Non sarebbero le uniche forme di vita consacrata individuale, ma sono quelle che sono state
legislate dal CIC. Ad esempio oggi si sta sviluppando e si sta facendo strada pian piano la realtà delle
vedove consacrate. Sta al Vescovo diocesano legislare per queste nuove realtà.
ANACORETI: sarebbe la prima forma di VC che si dà nella Chiesa. Dopo la pace costantiniana
cominciarono a svilupparsi questi uomini che decidono di lasciare al città, vendere tutto e andare a
vivere nel deserto, dedicandosi alla preghiera e alla penitenza (come Antonio abate).
L’anacoretismo è presente nella VC proprio dall’inizio, anche se è un anacoretismo maschile e
femminile. Poi la realtà anacoretica fu un po’ dimenticata e fu piuttosto messa da parte anche per il
grande svilupparsi della vita consacrata maschile.
La consacrazione consiste nella assunzione dei tre consigli evangelici, con la professione nelle
mani del Vescovo diocesano. Dunque il responsabile di questa forma di vita è il Vescovo della
Diocesi.
Gli anacoreti dovrebbero vivere in solitudine, appartati dalla società, facendo vita di penitenza e
mangiando del lavoro delle proprie mani, dedicati totalmente alla preghiera e al lavoro. È questa una
vocazione molto esplicita ad accogliere la solitudine reale. Si dedicano alla lode a Dio e alla
salvezza del mondo.
Esistono oggi anche “gli anacoreti in città”, ma sono realtà nuove ancora tutte da verificare.
Gli anacoreti dipendono direttamente dal Vescovo e devono stilare un proprio statuto di vita,
che deve essere approvato dal Vescovo della diocesi. Normalmente il vicario delegato per la vita
consacrata è lui che si dedica a questi compiti.
È possibile che gli anacoreti si uniscano tra loro? NO, perché se optano per la vita solitaria, non ha
senso che gli anacoreti vivano insieme. Tuttavia ci sono alcuni (ad esempio gli anacoreti
agostiniani) che vivono vicini, ma non fanno vita comune.
Nella storia questa forma di vita fu anche assorbita dagli ordini monastici, così succede che
all’interno degli ordini monastici si possano trovare anche gli anacoreti. Ma questi ultimi non sono
anacoreti in senso stretto (can. 603), sono solo membri di un Istituto religioso che per vocazione
vivono da anacoreti, come previsto dalle Costituzioni di quell’ordine. Questi sono sottomessi alla
osservanza delle norme del loro istituto, eccetto quelle che siano incompatibili con la vita solitaria.
Dipendono, perciò, dal Superiore competente all’interno dell’Istituto cui appartengono.
Per esempio i Benedettini prevedono che ci possano essere anacoreti tra di loro, ma questi sono
sottomessi all’Abate ed è l’Abate che può chiudere l’esperienza eremitica: sono a tutti gli effetti
membri dell’ordine.
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ORDO VIRGINUM.
È un fenomeno molto antico: già nel NT appare la figura della vergine consacrata. Ne parla san
Paolo: donne che consacrano la loro verginità a Dio. È una forma di vita individuale femminile.
Non ci sono gli uomini vergini che si consacrano, soltanto le donne.
Ordo significa “gruppo”. Chiediamoci: è proprio strettamente necessario che le donne siano vergini
affinché possano accedere a questo gruppo?? Quelle che sono vedove o quelle semplicemente che
non sono più vergini, possono entrare nell’Ordo virginum?
È un tema molto discusso: si richiude la verginità fisica, sì o no? E le donne che hanno vissuto
more uxorio senza che abbiano assunto vincolo matrimoniale?
Risposta: no, se devono vivere nell’ordo virginum, devono essere vergini, perché devono vivere
quello che significano all’interno della Chiesa.
La verginità, come deve essere intesa? Nella concezione biblica, che è molto più larga di quella
fisicista. Si dovrebbe perciò chiedere che non abbiano mai conosciuto uomo e che la loro vita non
dia la possibilità di capire che loro abbiano convissuto con uomini. D’altra parte la semplice
deflorazione fisica della donna, non è per forza segnale che la donna ha avuto un rapporto sessuale.
Ordo virginum: loro non emettono voti! Fanno solo IL SANTO PROPOSITO DELLA VERGINITÀ.
Dunque NON sono obbligate giuridicamente ad osservare la povertà e l’obbedienza. Emettono
esclusivamente il SANTO PROPOSITO DI VERGINITÀ. È assimilabile al voto pubblico, perché
loro lo devono emettere nelle mani del Vescovo. E il Vescovo, anche in questo caso, è tenuto a
seguirle, conoscerle, tutelarle.
In assenza del Vescovo, potrebbero emettere il santo proposito nelle mani del vicario generale? No,
non lo può fare, deve essere il Vescovo. Tuttavia se il Vescovo è impedito, può delegare un altro
vescovo, ma il vicario generale, non essendo vescovo, non lo può fare.
Can. 134 § 3 Quanto viene attribuito nominatamente al Vescovo diocesano nell'àmbito della potestà
esecutiva, s'intende competere solamente al Vescovo diocesano e agli altri a lui stesso equiparati nel
can. 381, § 2, esclusi il Vicario generale ed episcopale, se non per mandato speciale.
Siccome il rituale di consacrazione delle vergini dice “nelle mani del vescovo”, non lo può fare il
vicario generale non-vescovo.
Santo proposito della verginità. In questa forma di vita è fondamentale la verginità della donna.
Non c’è voto di povertà e obbedienza. Che significa questo? Che non sono dipendenti da nessun
superiore: loro possono amministrare i propri beni come loro considerano più opportuno: le vergini
consacrate non perdono la capacità di acquistare, possedere, amministrare e alienare. Possono
essere miliardarie e non c’è nessun problema.
Devono vivere del proprio lavoro. Nel caso in cui una vergine consacrata rimanesse disoccupata, il
Vescovo non sarebbe obbligato a mantenerla o a darle un sussidio. Non è un dipendete diocesano.
Vive del proprio lavoro. Logicamente, se hanno fatto una consacrazione nell’ordo virginum, la vita
di povertà e di obbedienza devono essere “un po’ assunte”, anche se hanno piena libertà nella
gestione dei loro beni.
Non hanno nessun abito speciale e non hanno l’obbligo di dire che sono vergini consacrate.
Infatti, possono indossare l’anello come le donne sposate. Hanno però un velo che possono mettere
nelle celebrazioni eucaristiche. Non hanno l’obbligo di fare alcun apostolato attivo, perché il
loro apostolato è la testimonianza di vita. Non possono essere obbligate ad assumere un qualsiasi
tipo di apostolato concreto.
Possono vivere in comunità? Si possono associare? Sono due cose diverse.
Il can. 604 §2 permette l’ASSOCIAZIONE (ma non è vita comunitaria) per due motivi:
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1) Mutuo aiuto nel vivere il santo proposito
2) Per un’opera apostolica.
Condividere un appartamento non è una forma di vita comunitaria, ma semplicemente sono come
degli studenti universitari che condividono un appartamento: ognuno ha la piena libertà di fare la
sua vita. Altrimenti il pericolo è che vengano assimilate alla vita religiosa ordinaria.
Il “santo proposito”, tecnicamente, non è un voto: ma deve essere emesso nelle mani del Vescovo
che lo accoglie a nome della Chiesa. La vergine consacrata fa un proposito perpetuo, non lo deve
riemettere mai!
Se le vergini si associano, ci sarà una che è superiore? Assolutamente NO. Infatti, ogni vergine
consacrata deve fare il suo personale statuto di vita che poi il Vescovo deve approvare.
L’ordo virginum ha avuto una grande crescita nella Chiesa: sono presenti in tutto il mondo, anche in
quei paesi che sono strettamente islamici (Arabia Saudita, Iran): infatti, siccome non è richiesta
l’esteriorizzazione di alcun segno, possono perfettamente svolgere la loro vita.
Molte volte l’ordo virginum si è un po’ nutrito delle suore che sono uscite dagli IVC e quindi sono
entrate a far parte dell’ordo. C’è un numero non indifferente di queste suore che sono passate
all’ordo virginum (ovviamente devono essere suore che sono vergini). Chiaro, però, che questa non
era l’idea originaria del legislatore per quanto riguarda l’ordo virginum.
LE NUOVE FORME DI VITA CONSACRATA
Can. 605 - L'approvazione di nuove forme di vita consacrata è riservata unicamente alla Sede
Apostolica. I Vescovi diocesani, però, si adoperino per discernere i nuovi doni di vita consacrata
che lo Spirito Santo affida alla Chiesa e aiutino coloro che li promuovono, perché ne esprimano le
finalità nel modo migliore e le tutelino con statuti adatti, utilizzando soprattutto le norme generali
contenute in questa parte.
Oggi come oggi non conosciamo altre forme di vita consacrata. Ma, attenzione! “Nuove forme di
vita consacrata” non significa un religioso che semplicemente vive con un “tocco diverso” quello
che già c’è: semplicemente sarebbe un nuovo istituto di vita consacrata.
Una nuova forma è una struttura nuova, che attualmente non esiste. Se siete curiosi, nell’annuario
pontificio c’è l’elenco delle 5 nuove forme di vita consacrata, approvate dalla Chiesa.
Tocca ai Vescovi diocesani il compito e la responsabilità di saper discernere queste possibili nuove
forme di vita consacrata. Devono sostenere e aiutare coloro che se ne fanno promotori e tutelare i
loro propositi tramite appositi statuti, applicando soprattutto le norme comuni della Vita Consacrata.
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FINE DELLA TRATTAZIONE RIGUARDANTE LE NORME COMUNI
TITOLO II: GLI ISTITUTI RELIGIOSI
Can. 607 - § 1. La vita religiosa, in quanto consacrazione di tutta la persona, manifesta nella Chiesa
il mirabile connubio istituito da Dio, segno della vita futura. In tal modo il religioso porta a
compimento la sua totale donazione come sacrificio offerto a Dio, e con questo l'intera sua
esistenza diviene un ininterrotto culto a Dio nella carità.
§ 2. L'istituto religioso è una società i cui membri, secondo il diritto proprio, emettono i voti
pubblici, perpetui oppure temporanei da rinnovarsi alla scadenza, e conducono vita fraterna in
comunità. § 3. La testimonianza pubblica che i religiosi sono tenuti a rendere a Cristo e alla Chiesa
comporta quella separazione dal mondo che è propria dell'indole e delle finalità di ciascun istituto.
Questo canone ha come fonte il CV2, specialmente LG, PC, ET, RC. È un canone più teologico che
giuridico, perché prende la dottrina conciliare e la presenta con un linguaggio più giuridico. È un
proemio introduttivo che presenta gli elementi più importante degli IR.
Il §1 coincide con la nozione di vita consacrata classica, quella di San Tommaso e Suarez, dove
appare con chiarezza il valore sponsale e sacrificale della vita del religioso. Negli altri due paragrafi
troviamo la definizione del IR e la sua natura, che è data:
1) Dai voti pubblici: perpetui o temporanei, emessi nelle mani del legittimo Superiore, che li
accetta in nome della Chiesa.
2) Dalla vita comune (vita fraterna in comunità),
3) Dalla separazione dal mondo, la testimonianza di vita.
ELEMENTI COSTITUTIVI DI UN IR (§2)
ISTITUTO: ha diversi sensi che confluiscono nel sottolineare il carattere di stabilità e consistenza.
Istituto significa ogni corporazione, gruppo, comunità o società di vita consacrata.
È un ordine o una congregazione religiosa? che tipo di ordine è? Monastico, mendicante…
Sono di vita attiva o di vita contemplativa?
Gli “Ordini”: sono più antichi, voti solenni.
Congregazione: sono più recenti degli ordini, voti semplici, mantengono la proprietà.
Con il CIC83, tuttavia, si è realizzata l’equiparazione giuridica tra Ordini e Congregazioni: è
scomparsa la loro distinzione. Vengono semplicemente nominati Istituti religiosi. La distinzione,
tuttavia, resta di fatto, poiché rimane a ciascun Istituto la facoltà di conservare la propria
denominazione, secondo la propria tradizione.
Società: ha diversi sensi, che applicato all’istituto significa comunità, corporazione ecclesiale libera,
religiosa, spirituale, unitaria, apostolica, carismatica, organizzata i cui membri emettono voti, vivono
in comunità e si separano dal mondo.
Di solito società si usa per le SVA, ma non sempre (vedi salesiani).
I consigli evangelici: si devono assumere sempre tramite un VOTO.
“Il voto è una promessa deliberata e libera, fatta a Dio di un bene possibile e migliore, che deve
essere compiuta in virtù della religione (can. 1191)”.
Dopo il CV2 c’era bisogno di più flessibilità per gli IR, cioè qualcosa di diverso oltre alla solita
professione di voti perpetui. Rogationis causa del 1969, la Santa Sede diede la possibilità di
sostituire il voto con la promessa o con i sacri vincoli.
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Mentre il VOTO è fatto a Dio, la PROMESSA è fatta al Superiore Religioso.
Ma poi GP2 stabilì che tutti i religiosi dovessero fare un voto pubblico, voti temporanei dopo il
noviziato, in preparazione alla professione perpetua.
Tutti i religiosi allora devono sempre assumere prima i voti temporanei (dopo il noviziato) ed
eventualmente poi quelli perpetui.
Promessa deliberata e libera: se l’ordinazione sacerdotale non è libera è nulla, se il matrimonio non
è stato contratto in modo libero è nullo…così anche per la vita religiosa.
Possibile: che cosa è possibile? È possibile essere casto, povero e obbediente e realizzare pienamente
la propria vocazione e la propria umanità arrivando alla felicità. All’impossibile nessuno è chiamato!
I consigli evangelici sono possibili da realizzare!!
Migliore: non è migliore in senso assoluto, ma è migliore per la persona in rapporto agli altri stati di
vita ecclesiale. È la mia forma migliore per seguire Cristo.
La vita religiosa è definita come:
- La consacrazione totale a Dio, in termini nuziali della persona con Dio (più per la donna che
per gli uomini), l’immolazione sacrificale, con effetti cultuali in virtù della religione.
Inoltre la vita religiosa è segno delle realtà escatologiche e della vita futura.
Nozione di vita religiosa:
- Rivedi il can. 573, ma applicato nello specifico alla vita religiosa;
- È un paragrafo principalmente dottrinale (§1)
- La vita religiosa è una forma di vita consacrata che ha le sue fondamenta nella
consacrazione totale della persona.
- La definizione che offre questo paragrafo è descrittiva, non esaustiva.
- Gli elementi caratteristici della vita religiosa sono:
- Essere segno profetico del futuro escatologico.
Voti pubblici: i religiosi devono fare voti pubblici, non privati. Che significa voto pubblico?
Non dobbiamo confondere “pubblico” con “pubblicità”.
Il voto pubblico è quello emesso nelle mani dei Superiori legittimo, accolto e accettato a nome
della Chiesa. Se non è accettato a nome della Chiesa è un voto privato. Non c’entra niente il
discorso della pubblicità. Tramite il voto nasce un legame con la Chiesa e con Dio stesso e per
scioglierlo c’è bisogno dell’autorità della Chiesa.
La pubblicità dei voti ha carattere giuridico e denota un legame particolare con la Chiesa che
lo fa suo tramite il legittimo rappresentante e per mezzo di esso li presenta a Dio e li ripresenta
alla Chiesa.
Ma chi è il Superiore legittimo? È l’Ordinario del luogo? È il Vescovo? No, deve essere il
Superiore legittimo secondo le Costituzioni. Il Vescovo non è superiore legittimo per accogliere il
voto.
L’unico Superiore legittimo ad validitatem per accogliere la professione religiosa è il Superiore
legittimo secondo le Costituzioni.
Normalmente è il SUPERIORE MAGGIORE DELL’ISTITUTO, il quale può delegare, ma solo a
un altro membro dell’Istituto. È la stessa cosa che succede con il matrimonio. Chi può sposare in
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una diocesi? Il Vescovo e poi il parroco, nel territorio della sua parrocchia. Se un parroco va a
sposare in un’altra parrocchia una coppia di amici deve chiedere ad validitatem la licenza al parroco
di quella parrocchia.
LA VITA FRATERNA IN COMUNE
-
La vita fraterna è una nota caratteristica degli Istituti secolari, delle SVA e, più in generale,
di tutte le forme di vita consacrata.
-
Lo specifico è “in comune”, che per quasi tutti gli autori è una caratteristica propria dei
religiosi. Cosa dice nello specifico il can. 665 §1?
Can. 665 - § 1. I religiosi devono abitare nella propria casa religiosa osservando la vita comune e
non possono assentarsene senza licenza del Superiore. Se poi si tratta di una assenza prolungata, il
Superiore maggiore, col consenso del suo consiglio e per giusta causa, può concedere a un
religioso di vivere fuori della casa dell'istituto, ma per non più di un anno, a meno che ciò non sia
per motivi di salute, di studio o di apostolato da svolgere a nome dell'istituto.
-
-
Ma ci sono altre opinioni che dicono che la vita in comune non sarebbe necessaria, perché
non appare nel can. 573, anche perché si può concedere la esclaustrazione e il permesso di
assenza dalla comunità, restando membri dell’Istituto; quindi la vita in comune sarebbe non
un elemento costitutivo, ma integrativo.
-
Ma Jimenez è critico su questo punto e dice: si può spiegare il fatto che nel can. 573 non ci
sia la menzione della vita comune come elemento obbligatorio, solo perché è un canone che
è preso dalle norme comuni, che quindi deve valere per tutte le forme di VC.
La vita fraterna in comunità ha due elementi costitutivi: la incorporazione della persona e la
coabitazione. La incorporazione è essenziale, perché senza la prima non si può dare la seconda.
Senza essere membri non si può dare la coabitazione sotto lo stesso tetto. La incorporazione (essere
membro dell’istituto) non si può non vivere sotto lo stesso tetto, con la stessa disciplina.
LA SEPARAZIONE DAL MONDO, che poi apparirà nel §3.
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Il §3: la testimonianza di vita è una testimonianza pubblica. Questa testimonianza diventa
l’apostolato principale del religioso. Non è tanto quanto fa, quanto il rendere testimonianza
con la vita della presenza di Dio.
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Questo obbligo ha la sua origine nella professione religiosa e il religioso lo assume nel
momento della professione. Il dare testimonianza appartiene alla struttura propria
dell’essere religioso, vedi LG44. Per questo non c’è una sola forma, ma diverse forme, tante
quanti sono gli Istituti religiosi. Si tratta di una doppia testimonianza: cristiana ed ecclesiale.
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La separazione dal mondo rimanendo nel mondo. Si tratta di una separazione a livello di
valori, di stile di vita, di principi, ecc…per essere più liberi. Non è estraneità o, peggio,
disprezzo del mondo!!
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La separazione fa riferimento alla CLAUSURA che è una ragionevole privacy che
determina l’Istituto. Tutti gli istituti devono avere una clausura, cioè una parte della loro casa
che è riservata esclusivamente alla clausura. Anche quelli di vita super-attiva devono avere
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una parte della casa dedita alla clausura, alla quale non si può accedere senza il permesso
del Superiore. D’altronde funziona così in tutte le case: ci sono sempre parti della casa che
sono riservate solo a chi fa parte della famiglia che abita in quella casa. Non porti gli ospiti
che inviti a cena a far visita alla camera da letto.
LE CASE RELIGIOSE: EREZIONE E SOPPRESSIONE (can. 608-616)
Il legislatore non parla quasi mai di “comunità religiosa” (concetto teologico), ma parla di “casa
religiosa” (esprime un concetto giuridico): è qui che il religioso realizza la sua vocazione, cioè
tendere alla perfezione cristiana, la missione ecclesiale distintiva.
La casa religiosa è dove il religioso vive, dimora e realizza la sua vocazione. Come religioso,
dunque, deve essere ascritto a una casa religiosa, non può esserci un religioso girovago!
Tutti devono essere ascritti a una casa religiosa dove dimorano o hanno il dovere di vivere.
Il legislatore vuole riaffermare e rivendicare la necessità della casa religiosa per vivere la vita
consacrata. La casa è la residenza o la sede dove si sviluppa la vita comune. Deve essere una casa
propria dell’istituto. In questa casa si sviluppa la vita fraterna in comune o in comunità.
Se un religioso è assente (senza motivi e senza autorizzazioni) dalla casa religiosa dove è stato
ascritto, è assente illegittimamente. Non può vivere in un’altra casa religiosa, anche se fosse del suo
istituto: non è sufficiente vivere in una qualsiasi casa religiosa, ma bisogna stare in quella in cui
il Superiore ha invitato il religioso. La casa religiosa: non è importante che ci sia la proprietà
dell’immobile! Si può stare anche in affitto.
La casa religiosa è una struttura solida e consistente, ben definita e integrata essenzialmente per:
1) Un gruppo di persone, o professi, composto da almeno 3 membri (can. 115 §1): una casa
religiosa di due persone non è una casa religiosa!! Tre professi: significa che hanno emesso la
professione religiosa, e almeno due devono avere emesso i voti perpetui. Infatti in una casa
religiosa uno deve essere Superiore e uno deve essere Vicario: quindi almeno due devono
aver emesso i voti perpetui. Su questo punto spesso ci sono degli abusi. Possono esserci
religiosi che, per motivi pastorali e apostolici, vivono fuori dalla casa, ma questo non vuol
dire che siano autonomi e indipendenti: dipendono in tutto e per tutto dalla loro casa
religiosa.
2) L’obbligatorietà di costituire formalmente e legittimamente una casa
3) Bisogna eleggere un Superiore della casa religiosa: se non c’è un superiore, non c’è casa
religiosa. E se nessuno vuole fare il superiore? Che si fa? Nel caso in cui non ci fosse un
superiore, quella struttura non sarebbe in grado di governarsi e di essere una vera casa
religiosa. Bisognerebbe procedere o alla soppressione della casa oppure si potrebbe affiliarla
a un’altra casa religiosa con il suo Superiore. Su questo punto ci sono tantissimi abusi.
4) Osservare la normativa canonica per erigere la casa religiosa. Si devono osservare
scrupolosamente tutti i passi che stabilisce il Legislatore!!
5) Nella casa ci deve essere un oratorio nel quale si conserva l’Eucaristia e anche ci devono
essere i mezzi di sopravvivenza sufficienti per permettere una vita dignitosa. La comunità
religiosa non deve essere un peso, né per l’Istituto, né per la Diocesi.
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6) L’obbligatorietà di erigere una casa religiosa è chiara: senza casa religiosa non può esserci
comunità.
Chi è il Superiore competente per erigere una casa religiosa?
O il Superiore provinciale equiparato o il Superiore generale: a seconda delle Costituzioni.
Procedimento per la erezione di una casa religiosa:
1) Chiedere il consenso del Vescovo Diocesano (non all’ordinario del luogo!). Se il Vescovo
non dà il consenso, non si può erigere la casa. Questo consenso deve essere dato per
iscritto. Ci vuole la richiesta formale da parte dell’autorità competente che deve erigere (il
Superiore religioso) e nella richiesta scritta dovrà anche riferire dove intenderebbe ubicare la
casa religiosa e quale sarebbe la finalità, la missione di quella casa religiosa. Quali e quanti
saranno i membri e anche quale sarà la modalità di sussistenza di quella casa religiosa. Il
Vescovo dovrà valutare se è opportuno o meno concedere il consenso: il Vescovo dovrà
valutare se la presenza di quella casa religiosa che si vuole erigere è di disturbo o di
vantaggio per l’equilibrio pastorale della sua diocesi. Un vescovo potrebbe anche dire: ti
concedo il permesso, ma non dove vuoi tu, ti posso concedere di erigere la casa religiosa in
un’altra parte della diocesi. Attenzione: quello che non si deve mai fare è erigere una casa e
poi chiedere il permesso al Vescovo quando l’erezione è già stata fatta!!
2) Nella lettera di richiesta si deve dire il motivo della erezione e si deve anche stabilire con
chiarezza il fine apostolico della comunità: a che cosa si dedicherà quella comunità? Questo
serve per il processo di discernimento del Vescovo.
3) Ma attenzione: se la famiglia religiosa volesse cambiare la finalità della casa religiosa già
eretta, deve prima chiedere il consenso al Vescovo diocesano! (Can. 612) Il cambio di finalità
della casa, infatti, influisce direttamente sull’equilibrio apostolico della Diocesi. Quindi il
Vescovo deve verificare che non ci sia un eventuale danno per l’equilibrio apostolico della
Diocesi. E il Vescovo deve sempre dare il suo consenso per iscritto. Per destinare una casa
religiosa ad opere apostoliche differenti da quelle per cui fu costituita, si richiede il consenso
del Vescovo diocesano.
EREZIONE DI UNA CASA LEGITTIMAMENTE COSTITUITA
1)
2)
3)
4)
5)
6)
Un superiore designato a norma del diritto (secondo il diritto delle proprie Costituzioni).
Deve esserci l’oratorio.
Deve essere eretta dall’autorità competente.
Il consenso previo per iscritto del Vescovo diocesano.
Deve essere tenuta presente l’utilità a favore della Chiesa e dell’istituto
Deve essere garantita ai membri la possibilità di condurre regolarmente la vita religiosa
secondo le finalità e lo spirito propri dell’istituto: la missione, cioè, non deve impedire la
vita religiosa, e la vita religiosa non deve essere di impedimento allo svolgersi della vita
religiosa. Infatti nella Convenzione (vedi Gherri, cap. 7 della dispensa) si deve tutelare che i
religiosi non trovino, grazie all’impegno apostolico, un escamotage per non vivere
adeguatamente l’ideale della vita religiosa.
7) Provvedere in modo adeguato alle necessità dei membri: non devono nuotare nell’oro, ma
deve pur esserci un sufficiente sostentamento.
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Il consenso scritto del Vescovo Diocesano implica il diritto:
1) Di condurre una vita conforme all’indole propria dell’istituto e alle sue specifiche finalità.
2) Di esercitare le opere proprie dell’istituto, a norma del diritto, salve restando le condizioni
apposte nell’atto del consenso. Il vescovo deve essere consapevole che, una volta dato il
consenso, nel piano pastorale della sua diocesi c’è la specificità carismatica dell’istituto al
quale lui ha il dato il consenso di entrare.
3) Per gli istituti clericali, di avere una chiesa, salvo il disposto del can. 125 §3 e di esercitarvi il
ministero sacro, osservate le disposizioni del diritto. Che la Chiesa diventi parrocchia,
dipende sempre dal Vescovo. È il vescovo che ha autorità sulla parrocchia.
LA SOPPRESSIONE DELLE CASE RELIGIOSE.
Se non c’è più gente, le case religiose inevitabilmente si devono sopprimere. La casa può essere
soppressa:
1) Dal Moderatore Supremo a norma delle costituzioni.
2) Dopo aver consultato il Vescovo diocesano (solo consultato! ≠ consenso!). Se la realtà si
impone (non c’è più gente), la chiusura è inevitabile. Per il motivo della comunione e delle
ecclesialità nella quale si deve camminare si deve consultare il Vescovo diocesano.
Attenzione: il Vescovo diocesano non può sopprimere una casa religiosa di sua iniziativa!
CASA SUI IURS:
Can. 613 - § 1. Una casa religiosa di canonici regolari o di monaci, sotto il governo e la cura del
proprio Moderatore, è di per sé una casa sui iuris, a meno che le costituzioni non dicano altrimenti.
§ 2. Il Moderatore di una casa sui iuris è, per diritto, Superiore maggiore.
PER L’EREZIONE DI MONASTERI DI MONACHE: si richiedono:
1) I requisiti precedenti per la casa religiosa
2) Inoltre, anche il benestare della Sede Apostolica (prima di procedere all’erezione devono
chiedere il permesso per poter erigere)
3) Nel caso delle monache si dovrà seguire anche quanto viene stabilito nel diritto proprio:
infatti ci sono istituti che stabiliscono che, per esempio, il numero minimo delle membri
professe deve essere pari a 6, o a 8, o a 12.
SOPPRESSIONE DELLA CASA SUI IURIS (can. 616 §3)
§ 3. La soppressione di una casa sui iuris, di cui al can. 613, spetta al capitolo generale, a meno che
le costituzioni non stabiliscano altrimenti.
Essendo un monastero sui iuris, per la sua chiusura, si richiede che tutta la comunità sia d’accordo.
SOPPRESSIONE DI UN MONASTERO SUI IURIS DI MONACHE (can. 616 §4)
§ 4. La soppressione di un monastero sui iuris di monache spetta alla Sede Apostolica, osservato,
per quanto riguarda i beni materiali, il disposto delle costituzioni.
La soppressione di un monastero sui iuris di monache spetta alla Sede apostolica, osservato, per
quanto riguarda i beni materiali, quanto è disposto nelle Costituzioni.
Non si sopprime mai un monastero se prima non si sono sistemate tutte le monache che erano
membri del monastero soppresso. La Santa Sede richiede sempre, come prassi, dove sarà ascritta
ognuna delle monache.
Si dovrà anche indicare che cosa si farà dei beni che sono proprietà del monastero (non delle
monache). La proprietà dei beni deve passare da una persona morale (quella del monastero) a
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un’altra persona morale: per evitare scandali e abusi. I beni possono andare ad un altro monastero o a
un’altra diocesi.
Si dovrà anche indicare dove andrà a finire la biblioteca e l’archivio del monastero che viene
chiuso. Anche questo si deve indicare: essendo la biblioteca e l’archivio un bene culturale/storico
deve essere custodito in modo diligente. Un archivio non si può dividere: deve andare interamente da
un monastero ad un altro.
Quando si chiude un monastero, le monache devono decidere dove andare e quindi devono avere il
consenso di un monastero che è disponibile ad accoglierle: altrimenti le monache sono per strada!
Le leggi civili: sono da tenere presenti!! Possono esserci leggi civili che interferiscono, ad esempio
alcune regioni proibiscono per legge il passaggio di beni culturali e artistici da una regione a un’altra.
I monasteri di monache associati (can. 614):
- I monasteri di monache associati a un istituto maschile, mantengono il proprio ordinamento
e il proprio governo, secondo le costituzioni.
- I reciproci diritti ed obblighi siano determinati in modo che l’associazione possa giovare al
bene spirituale.
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IL GOVERNO DEGLI ISTITUTI
I SUPERIORI E I CONSIGLI DEI SUPERIORI
Superiore (governo personale) - - - - Capitoli (governo collegiale)
Deve essere costituito a norma del diritto proprio.
Adempiano il proprio incarico ed esercitino la propria potestà:
- A norma del diritto universale e di quello proprio (can. 617)
- In spirito di servizio: potestà come un servizio!
- Reggano i sudditi quali figli di Dio
- Docili perciò alla volontà di Dio nell’adempimento del proprio incarico
- Suscitando la volontaria obbedienza dei sudditi nel rispetto della persona umana
- Sappiano ascoltare volentieri i loro sudditi
- Promuovano altresì la loro concorde collaborazione per il bene dell’istituto e della Chiesa
“SUPERIORE”: si lascia tuttavia la libertà agli antichi IR di usare il loro specifico antico nome
(abate, preposito, priore) e anche lasciando al libertà che i nuovi istituti di vita consacrata (quelli
nati nell’800 e nel 900), possano usufruire dei nomi della famiglia determinata cui appartengono.
Ma per il legislatore è sempre e solo SUPERIORE. Solo si parla anche di MODERATORE
SUPREMO, ma questo nome non è entrato per nulla nel linguaggio comune: tutti parlano di
Superiore Generale.
Dopo il CV2 era nata un po’ la moda di cambiare i nomi, perché nessuno deve essere inferiore a
nessun altro…però era più politicamente corretto dire “responsabili di comunità”. Oppure parliamo
di animatrice, coordinatrice, responsabile della comunità.
Tuttavia c’è solo un nome che, a livello giuridico, esprime adeguatamente il fatto che c’è l’autorità
di governo personale: SUPERIORE. E la prima cosa che un superiore deve fare è: governare.
Ferma restando l’autorità propria del Superiore: quella di decidere e di comandare ciò che va fatto.
Qual è la finalità della potestà di governo del Superiore?
Aiutare ogni membro a costituire la personalità cristiana.
MEZZI PER RAGGIUNGERE QUESTO FINE: (can. 619)
-
Diano perciò essi stessi con frequenza ai religiosi il nutrimento della Parola di Dio
Li indirizzino alla celebrazione della sacra liturgia
Siano loro di esempio nel coltivare le virtù e nell’osservare le leggi e le tradizioni del
proprio istituto
Provvedano in modo conveniente a quanto loro personalmente occorre
Visitino gli ammalati procurando loro con sollecitudine le cure necessarie
Riprendano gli irrequieti
Confortino i timidi, con tutti siano pazienti.
SUPERIORI MAGGIORI: sono quelli che governano l’intero istituto (Superiore Generale o
Moderatore Supremo) o una parte di esso, cioè una provincia (Superiore Provinciale), o una parte
dell’istituto ad essa equiparata, o una casa sui iuris, e parimenti i loro rispettivi vicari.
Si aggiungono (in senso equiparato) anche l’abate primate e il Superiore di una congregazione
monastica, i quali tuttavia non hanno tutta la potestà che il diritto universale attribuisce ai Superiori
maggiori.
41
SUPREMO MODERATORE (SUPERIORE GENERALE) can. 622:
Com’è la potestà del moderatore supremo?
1) HA POTESTÀ ORDINARIA, IMMEDIATA: da esercitare secondo il diritto proprio, su tutte le
province dell’istituto su tutte le case e su tutti i membri dell’istituto. Non c’è nessuna
mediazione che può ostacolare il superiore generale nell’esercizio della sua potestà.
2) Com’è la potestà degli altri Superiori? Gli altri superiori godono di quella medesima
potestà di cui gode il Supremo Moderatore, ma solo nell’ambito del proprio incarico.
COME SI PUÒ COSTITUIRE UN SUPERIORE?
Elezione del SUPERIORE GENERALE (MODERATORE SUPREMO), che la Santa Sede NON deve
confermare. È l’unico caso di un Superiore che non deve essere confermato dall’autorità
gerarchica superiore (= la Santa Sede). Una volta eletto, se accetta, il nuovo Moderatore
Supremo assume l’ufficio.
Invece per gli altri Superiori (nominati o eletti a seconda del diritto proprio), è necessaria la
conferma del Superiore maggiore competente.
Per gli ALTRI SUPERIORI ci sono due possibilità (stabilite dal diritto proprio):
1) Nominato: lo nomina direttamente l’autorità superiore competente, la quale tuttavia ha il
dovere di fare una consultazione congrua e opportuna presso i membri dell’istituto.
2) Eletto: deve avere una posteriore conferma dalla legittima autorità gerarchica superiore
competente.
Requisiti essere validamente nominati o eletti all’ufficio di Superiore generale:
-
Un periodo adeguato di tempo dopo la professione perpetua e definitiva (can. 623). Non
interessa l’età cronologica, ma gli anni di professione perpetua. Anche se potrebbe essere
aggiunto dal diritto proprio un requisito di età minima. Non è importante quanti anni
cronologici hai, ma quanti anni di vita all’interno dell’istituto hai fatto: infatti è il vissuto che
fa assumere il carisma, la spiritualità e la tradizione dell’istituto!
-
I Superiori devono essere costituiti per un periodo di tempo determinato e conveniente
secondo la natura e le esigenze dell’istituto (can. 624 §1). Mai fare una nomina a tempo
indeterminato!! Al massimo si può concedere la possibilità di un secondo o di un terzo
mandato. Sapendo che esiste la possibilità della postulazione. Si deve evitare che la persona
eserciti per un lungo periodo di tempo la stessa carica (can. 624 §2). Esempio: alcuni istituti
stabiliscono nel loro diritto che un Superiore che è stato eletto già per due volte, deve
obbligatoriamente “riposare” per un triennio. Così si garantisce che una persona non sarà per
un lungo periodo di tempo nella stessa carica di governo: questa norma è a vantaggio sia della
persona stessa (il potere logora), sia dei membri dell’Istituto.
-
Il diritto proprio provveda con norme opportune che i Superiori costituiti a tempo
determinato non rimangano troppo a lungo in uffici di governo senza interruzione (c.
624 §2).
42
La obbligatorietà che ci sia il superiore affinché ci possa essere anche la casa religiosa eretta
canonicamente. È un elemento obbligatorio, importante affinché ci possa essere anche la casa eretta
canonicamente.
Gli altri Superiori come vengono costituiti?
-
O per elezione: nei capitoli, che hanno capacità deliberativa. Invece le assemblee sono un
organo consultivo e dunque sono carenti della capacità decisionale. Non possono decidere
loro. Se si tratta di Superiore Generale, non è necessaria la conferma di nessuna autorità
superiore. Invece tutti gli altri superiori, maggiori e minori, se vengono eletti, devono
essere confermati da parte dell’autorità gerarchica superiore interna.
-
O per nomina: alla quale deve essere premessa da una opportuna consulta.
ESIGENZE DELL’UFFICIO DI SUPERIORE (can. 626)
I membri di un IR, nell’elezione a questo ufficio di Superiore, si astengano da qualunque abuso o
preferenza di persone.
L’idoneità: è fondamentale! Nell’idoneità si tiene conto del carattere, della preparazione,
dell’esperienza. Si nomino o si eleggano le persone che nel Signore si riconoscono veramente
come degne, adatte, idonee. Rifuggano dal procurare in qualunque modo voti per sé, o per altri,
direttamente o indirettamente.
Il candidato deve essere portato nella preghiera di discernimento davanti al Signore: nella
preghiera presentiamo al Signore la persona o le persone che vogliamo eleggere, affinché ci faccia
capire se è la persona adatta.
Non procurarsi mai, in qualunque modo, voti per sé o per altri, direttamente o indirettamente. Questo
è un elemento fondamentale in qualunque elezione!! Una cosa però è, chiedere informazioni sulle
persone, un’altra cosa è cercare dei voti e fare propaganda.
Quindi nulla vieta che le persone che devono votare chiedano informazioni, si preoccupino di capire
qualcosa in più sulla persona che vorrebbero eleggere. Invece è vietatissimo chiedere voti per la
persona. Non è invece vietato votare se stessi: perché se ti consideri il più adatto e il più idoneo ti
puoi votare. Eccezione: se nelle norme, nel Regolamento, nelle costituzioni c’è espressamente il
divieto di votare per se stessi.
IL CONSIGLIO DEL SUPERIORE (can. 627)
Ogni superiore deve avere un suo proprio consiglio. Attenzione: ci sono istituti che mettono in
dubbio la obbligatorietà della necessità di un consiglio. Dicono: siamo pochi, perché dobbiamo avere
il consiglio? No, perché in questo modo avalli l’esistenza di un’autorità dittatoriale. Il consiglio è
importantissimo, perché è un organismo interno di aiuto, di controllo e di tutela.
Ogni Superiore deve avere il suo consiglio: da quello locale, a quello provinciale, a quello generale.
Il diritto proprio deve stabilire quando è obbligatorio, per procedere validamente, chiedere il
consenso del consiglio, oppure quanto è semplicemente necessario il parere del consiglio, a norma
del can. 127.
Il Consiglio deve esprimere il proprio voto consultivo (semplice parere) o deliberativo (consenso
vincolante), a norma del can. 127, a seconda del diritto proprio.
La sua composizione e il suo funzionamento sono determinati dalle Costituzioni.
43
Nel Consiglio il Superiore non ha diritto di voto, poiché il Superiore non fa parte di esso, né può
dirimere le eventuali parità.
Le Costituzioni devono stabilire: quando è necessario il consenso? Quando serve il parere?
Ma attenzione: ci sono casi in cui il consenso è stabilito dal diritto universale.
Ci vuole anche un po’ di sano equilibrio: non per tutte le situazioni le Costituzioni devono porre la
condizione di chiedere il consenso, altrimenti il Superiore, come autorità personale, che ci sta a
fare?? Deve avere un po’ di autonomia decisionale. È meglio che la regola di chiedere il consenso sia
posta solo in casi veramente importanti e difficili.
Nei casi in cui le comunità sono piccole: si potrebbe dire che non c’è bisogno del consiglio? NO! Un
consiglio di 4 membri è già sufficiente.
Inoltre il diritto proprio potrebbe stabilire che se una comunità è veramente piccola, allora tutti i
membri devono far parte del consiglio, in caso contrario devono eleggere il Consiglio.
Da quante persone deve essere formato un Consiglio? Quando si parla della dimissione di un
membro dall’istituto, si dice che il Superiore si deve far consigliare da 4 consiglieri. Da questa
norma, deduciamo che il numero minimo di consiglieri, ex lege, è 4.
Se si volesse ridurre questo numero (da 4 a 3), si dovrebbe chiedere il permesso specialissimo alla
Santa Sede.
Una delegazione, invece, (che gode di potestà delegata, quindi molto limitata), può avere solo 2 o 3
consiglieri: non se ne devono richiedere 4.
Alcune volte il Codice usa l’espressione “Il Superiore CON il suo consiglio”: che cosa significa?
L’espressione è da esaminare caso per caso, perché potrebbe voler indicare un “atto collegiale”, a
cui prendono parte il Superiore e i Consiglieri. Sarebbe questa l’unica ipotesi in cui il Superiore può
votare. Soltanto quando agisce collegialmente, in nessun altro caso il Superiore può votare.
Un superiore, come abbiamo detto, non può votare con il suo consiglio. Quando il diritto dice che il
superiore deve chiedere il consenso al suo consiglio, è sottointeso che lui non deve votare!! Deve
chiedere, infatti, a un realtà che è esterna a se stesso. Infatti, a motivo di questo, si chiede, di solito,
che un consiglio sia composto da un numero dispari di persone, ciò per avere una migliore
operatività del consiglio ed evitare imbarazzanti situazioni di parità.
Ma nel caso di un consiglio che è spaccato a metà, il Superiore (che non può votare nel consiglio,
perché non ne fa parte), non può procedere ad agire, perché non ha ricevuto il consenso richiesto a
procedere. Ma mi raccomando: il Superiore non deve mai procedere a votare quando è stabilito che
deve richiedere il consenso al suo Consiglio.
LA VISITA CANONICA DEI SUPERIORI RELIGIOSI
Questa visita spetta, per sé, ai Superiori designati a questo ufficio dal diritto proprio. In genere tocca
ai Superiori Maggiori, ma il compito può essere anche affidato a particolari religiosi detti
“Visitatori”.
Il Superiore ha l’obbligo di fare la visita canonica. Come nelle Diocesi c’è la visita pastorale (che in
teoria un Vescovo dovrebbe fare ogni 5 anni).
La visita periziale: è quella visita che si fa per verificare un particolare argomento, specifico e
concreto. Si solito ci sono:
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1) Visite periziali per motivi economici.
2) Visite periziali per motivi formativi.
Can. 628: I Superiori designati a tale incarico visitino con la frequenza stabilita le case e i
religiosi loro affidati, attenendosi alle norme dello stesso diritto proprio.
Ma attenzione: il “visitatore canonico” ha soltanto potestà delegata del Superiore per fare la visita,
ma non può prendere decisioni, non può prendere provvedimenti: a meno che il Superiore non
gli abbia dato permessi speciali a questo riguardo.
Da parte dei religiosi:
- i religiosi si comportino con fiducia nei confronti del visitatore.
- Rispondano con verità nella carità alle domande da lui legittimamente poste
- A nessuno poi è lecito distogliere in alcun modo i religiosi da un tale obbligo, né impedire
altrimenti lo scopo della visita.
I CAPITOLI (organo di governo collegiale)
Possono essere: a livello generale, a livello provinciale, a livello locale.
È un organo con potestà ordinaria, infatti le Delegazioni non hanno Capitoli, hanno solo assemblee
dotate di quella autorità che le si concede.
Can. 596 - § 1. I Superiori e i capitoli degli istituti hanno sui membri quella potestà che è definita
dal diritto universale e dalle costituzioni.
Il Capitolo Generale, è la suprema autorità collegiale che si esercita in forma straordinaria,
perché si celebra ogni x anni, a scadenza fissa.
Deve essere composto in modo da rappresentare l’intero istituto e dovrà essere un vero segno
della sua unità nella carità.
Chi generalmente partecipa per ufficio al Capitolo Generale?
1) Superiore generale
2) Consigliere regionale
3) Economo generale
4) E poi tutti gli altri Superiori a livello Provinciale e Locale (se ci sono).
5) I membri che vi partecipano per elezione (cioè non per ufficio).
Le Costituzioni devono stabilire il numero e la modalità di quelli che partecipano per elezione: il
numero deve essere uguale o superiore di almeno una unità a quelli che partecipano in forza
dell’ufficio.
C’è anche un’altra possibilità: il Superiore, con il consenso del suo Consiglio, potrebbe anche
nominare 1 o al massimo 2 membri del Capitolo (per nomina diretta). Ma per poter fare questo si
richiede che manchi effettivamente una qualche rappresentatività apostolica.
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La “Delegazione” è un organo intermedio tra l’organo supremo e la provincia o tra la provincia e
le singole case religiose. È una struttura intermedia che gode di potestà delegata: raccoglie
alcune case attorno a un superiore delegato. Ma è potestà delegata, a norma del diritto e a
norma della volontà del superiore che delega. Attenzione: non si può mai equiparare a una
provincia!! Non è un organismo maggiore!! Altrimenti che senso avrebbe fare una
Delegazione?? È un organismo intermedio, un insieme di case che per diverse circostanze si
mettono assieme. È un passo anche intermedio tra un semplice gruppo di case e una futura
provincia che eventualmente si potrà costituire. È una struttura organica che esiste come fase
all’interno della crescita di un istituto.
QUALI SONO LE PRINCIPALI COMPETENZE DEL CAPITOLO?
1) Tutelare il patrimonio dell’istituto (can. 478). Il patrimonio non fa riferimento all’elemento
economico, ma è il carisma, la spiritualità, il fine dell’istituto. Deve tutelarlo per evitare che
ci siano delle interpretazioni fuorvianti.
2) Verificare la situazione dell’Istituto e l’andamento dell’Istituto e la proiezione per il
futuro dell’Istituto. Questo è un compito fondamentale del Capitolo! Deve vedere quali
siano i segni positivi e negativi per proiettarlo nel futuro.
3) Il capitolo generale ha l’obbligo di realizzare una relazione sullo stato del Governo (a),
sullo stato dell’Istituto (b) e anche sullo stato economico (c). La funzione del Capitolo non
è l’approvazione delle relazioni, ma quello dello studio e dell’esame di queste relazioni per
dialogare e chiedere spiegazioni del resoconto. Questo resoconto serve come punto di
partenza per poter progettare e decidere per il mandato successivo.
Infatti, l’elezione del Superiore Generale, per evitare problemi interni, deve essere fatta
preferibilmente verso la fine del Capitolo, ma mai nell’ultima settimana. Perché se dovesse
servire una postulazione alla Santa Sede, bisogna dare il tempo alla Santa Sede di poter
discernere e rispondere al più presto possibile. Se ad esempio il Superiore deve essere
postulato…ci vuole più tempo. Dunque per evitare problemi di sospensione del Capitolo si
deve stare attenti alla tempistica. Su quanto tempo deve durare il Capitolo non c’è una legge.
Per alcuni Istituti sono sufficienti 10 giorni, per altri ci vuole più di un mese.
Il diritto proprio dovrà stabilire anche il regolamento interno del Capitolo, che è la prima cosa che
un Capitolo generale deve approvare, specialmente per quanto riguarda le elezioni e la procedura
dei lavori. Si devono rispettare le norme stabilite dal can. 119. Quindi si possono prevedere 3, o 4 o
5 elezioni. Nel caso in cui nell’ultima elezione nessuno dei candidati abbia ottenuto la maggioranza
richiesta, nell’ultima votazione si riduce il numero dei candidati ai 2 più votati. Se sono più di due,
viene scelto quello cha ha più età di professione e poi quello che è più vecchio.
Qualsiasi membro dell’istituto gode sempre del “diritto di petizione” (esprimere i propri desideri) al
Capitolo Generale, al di là di quelle che sono le procedure stabilite.
Altri capitoli dell’istituto e altre assemblee simili
- Il diritto proprio determini con esattezza quanto riguarda ad essi
- La loro natura e autorità
- La composizione
- Il modo di procedere
- Il tempo della celebrazione.
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-
L’assemblea, ad esempio, non ha nessun carattere vincolativo (decisionale/deliberativo) per
chi governa. È un organo che serve solo per sviluppare il principio della sussidiarietà e
della comunione all’interno dell’Istituto.
In molti istituti c’è il consiglio allargato: è una forma di manifestare il diritto di associazione
e di assemblea che hanno gli istituti. È composto dal Governo generale + i Superiori
Maggiori (con o senza i rispettivi consigli) + i Superiori delle diverse circoscrizioni: al fine di
trattare, discernere insieme le diverse problematiche che l’istituto ha. Non ha carattere
deliberativo, ma è un mezzo per dialogare insieme.
Le assemblee in nessuna forma e in nessuna maniera possono assomigliare a un Capitolo generale!!
Proprio per non confondere le due realtà che sono di natura totalmente diversa, anche se sono due
realtà complementari.
I BENI TEMPORALI E LA LORO AMMINISTRAZIONE
Il legislatore stabilisce che per la questione della amministrazione dei beni temporali, oltre a quello
che stabiliscono gli Istituti nel diritto proprio, si deve tenere conto i canoni del Libro V.
Infatti, essendo gli istituti persone giuridiche pubbliche nella Chiesa, i loro beni religiosi sono beni
ecclesiastici, cioè sono beni della Chiesa, appartengono alla Chiesa e dunque la Chiesa ha autorità
per decidere, regolamentare l’acquisto, il possesso, l’amministrazione e l’alienazione dei beni
ecclesiastici. Sono beni che sono regolamentati quindi da libro V, ma ogni Istituto deve anche
elaborare opportune norme per la amministrazione e l’uso dei beni temporali.
Can. 634 §2: principio di povertà: si deve evitare la capitalizzazione dei beni e la accumulazione
dei beni: non è prevista, non deve esistere. No a forme di eccessivo guadagno!!
Povertà ok, ma attenzione: povertà non significa miseria!! Però non devono avere lusso nel vestito,
nei beni, nelle case ecc. Vedi insegnamento di Papa Francesco.
Anche Cristo aveva denaro e cose, ma solo in funzione della missione.
Le persone giuridiche pubbliche, per il diritto, hanno capacità sui beni: sono: gli istituti religiosi, le
province, le case religiose.
Il legislatore prevede queste tre categorie, ma potrebbero anche essercene altre, basta solo che
acquistino la personalità giuridica pubblica nella Chiesa.
In quanto persone giuridiche hanno, per il diritto stesso, la capacità di acquistare, possedere,
amministrare e alienare beni temporali, a meno che tale capacità non venga esclusa o ridotta dalle
Costituzioni.
Il famoso “Direttorio” dovrebbe, infatti, stabilire norme pratiche per la questione economica: è
un sistema di tutela a garanzia dell’Istituto e della Chiesa stessa: perché i beni, alla fine, sono della
Chiesa, anche se amministrati da una singola persona giuridica all’interno della Chiesa.
Raccomandazione (Can. 640):
-
Gli Istituti si adoperino per dare “una testimonianza in certo modo collettiva di carità”.
“Destinino qualcosa dei propri beni per le necessità della Chiesa e per contribuire a
soccorrere i bisognosi”. Quindi una parte del ricavato e della proprietà dei beni dell’istituto
deve essere destinata ai bisognosi e alle necessità della Chiesa universale e della Chiesa
particolare. Alla Caritas, a un istituto per bisognosi…ogni realtà dovrà vedere come nel
concreto adempire a questa disposizione del Legislatore.
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Quali sono i motivi o le ragioni che giustificano la esistenza dei beni temporali nella Chiesa?
Quello che dice il libro V è applicabile ai religiosi:
a) Sostentamento dei religiosi,
b) Opere di apostolato
c) Mantenimento del culto.
Questi sono i tre motivi che giustificano l’esistenza dei beni temporali negli Istituti religiosi.
Un istituto può erigere alcuni fondi “mirati” (è una forma di capitalizzazione consentita).
Esempio: devono rifare una casa? Da dove prendono i soldi se non hanno accantonato qualcosa?
Potrebbe anche esserci un fondo per fornire il pensionamento dei propri membri. In certi Paesi non
è previsto l’istituto della “pensione” e allora come si fa se non avevi messo da parte un capitale??
L’istituto deve prevedere anche un fondo per le malattie.
Chi è la persona all’interno dell’istituto che deve fare l’amministrazione dell’istituto? L’economo
(can. 636).
Ma dobbiamo distinguere tra:
1) L’amministratore (colui che amministra determinati beni dell’Istituto, alcune opere
autonome dell’istituto: una scuola, una casa famiglia, un collegio, un’opera apostolica,
un’attività editoriale ecc.)
2) L’economo: è colui che amministra i beni della comunità all’interno dell’istituto.
L’amministratore della scuola o dell’ospedale può benissimo anche essere un laico. Invece può
essere un laico l’economo?
L’ECONOMO: in ogni Istituto, parimenti in ogni provincia retta da un Superiore maggiore.
Per amministrare i beni ---- sotto la direzione del rispettivo Superiore.
Nelle comunità locali si istituisca, per quanto è possibile, un economo distinto dal Superiore locale.
Un economo può essere un laico? In teoria sì, ma nella prassi no. Perché nella prassi succede che
solo chi è un membro professo può fare parte di una comunità religiosa e quindi un laico (che non ha
fatto la professione temporanea, né tantomeno quella perpetua) non può essere economo.
Ciò non toglie che ci possa essere un laico “collaboratore esterno”, che aiuta l’economo nel suo
ufficio. Ma la nomina di economo resta solo ai religiosi professi: lo stabilisce il diritto proprio degli
IVC.
Tuttavia un laico può essere amministratore, quando amministra i beni e le opere di un IVC.
Invece quando usiamo il concetto “economo”, ricordiamoci che parliamo di un incarico che è
all’interno della vita dell’istituto.
Quali sono gli obblighi degli economi e degli altri amministratori?
- L’amministrazione dei beni temporali dell’istituto
- Devono presentare all’autorità competente il rendiconto dell’amministrazione da loro
condotta. Qual è la periodicità idonea? Un rendiconto annuale è da escludere: non serve a
nulla! Perché se ci sono problemi, non serve a nulla!! È più preferibile fare un rendiconto che
sia trimestrale o quadrimestrale: in questo modo si può intervenire, quasi in tempo reale, a
fare eventuali correzioni nel bilancio dell’istituto.
Spetta al diritto proprio determinare:
- Quali sono gli atti che eccedono il limite e le modalità dell’amministrazione ordinaria
- Stabilire ciò che è necessario per porre validamente gli atti di amministrazione
straordinaria.
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Il concetto di ordinarietà e di straordinarietà: non è così facile definire questi concetti. Possiamo
dire che l’amministrazione ordinaria riguarda quegli atti che si devono porre con periodicità, per
venire incontro ai bisogni dei membri dell’Istituto. Al contrario gli atti di straordinaria
amministrazione sono quelli che si devono porre una tantum.
Ogni istituto, per stabilire cosa rientra nel bilancio ordinario e cosa in quello straordinario,
dovrebbe stabilire un tetto massimo per ogni persona giuridica pubblica dell’istituto (per l’Istituto,
per la provincia, per la casa religiosa).
Ma potrebbe esserci anche un altro strumento per stabilire cosa è ordinario e cosa è straordinario: il
famoso BILANCIO PREVENTIVO. È un documento nel quale la persona giuridica pubblica
stabilisce quali sono le sue previsioni di spesa e di entrata per quell’anno. Queste previsioni devono
avere l’approvazione dell’autorità superiore competente.
Tutto ciò che nel tempo di quell’anno rientra in quella previsione documentata è attività
ordinaria, mentre tutto quello che va oltre a questa previsione documentata diventa
automaticamente amministrazione straordinaria.
Il bilancio preventivo è uno strumento obbligatorio per tutte le persone giuridiche pubbliche della
Chiesa: da una casa, da una provincia, all’intero istituto.
Le spese e gli atti giuridici di amministrazione ordinaria sono posti validamente, oltre che dai
Superiori, anche dagli officiali, nei limiti del loro ufficio. Ma attenzione, qui ci si incontra con
l’ambito del diritto civile: un Superiore di un istituto, infatti, deve essere anche rappresentante
legale dell’Istituto, secondo il diritto civile.
Ma a livello civile non esiste mai un unico rappresentante civile, dunque il rappresentante legale
può essere benissimo una persona diversa rispetto a quella del Superiore Generale. Esempio:
secondo il diritto civile maltese solo un cittadino di Malta può essere rappresentante legale. La stessa
cosa vige anche in Italia. Attenzione: alle volte c’è questa piccola confusione.
Il rappresentante legale viene nominato a tempo determinato e ha la facoltà di rappresentare
davanti allo Stato l’Istituto. Di solito si preferisce sempre non far coincidere il rappresentante legale
con il Superiore, perché se per caso il rappresentante legale dovesse avere guai giudiziari il Superiore
generale non finisce in carcere.
ALIENAZIONE
-
Si richiede la licenza scritta rilasciata dal Superiore competente, con il consenso del suo
consiglio, a norma del diritto proprio.
Se però si tratta di un negozio che supera la somma fissata dalla Santa Sede per le singole
regioni, come pure di donazioni votive fatte alla Chiesa, o di cose preziose per valore artistico
o storico, si richiede inoltre la licenza della Santa Sede stessa.
Questo tetto massimo di spesa è stabilito solitamente dalla Conferenza Episcopale e questa cifra è
fatta propria dalla Santa Sede. Non c’è quindi un’unica cifra, ma ogni nazione ha il suo tetto!
Motivazione: la situazione patrimoniale della persona giuridica potrebbe subire detrimento da
eventuali alienazioni fatte in modo avventato.
Per i monasteri sui iuris di cui al can. 615 e per gli istituti di diritto diocesano: è necessario
anche il consenso scritto dell’Ordinario del luogo.
49
Procedimento per ottenere la licenza dalla Santa Sede: deve essere fatta dal Superiore Generale
alla Santa Sede:
- adducendo opportune motivazioni.
- Deve indicare anche la cifra per la quale vogliono vendere il bene
- indicare a chi vendono e
- per quale scopo utilizzeranno il denaro ricavato dall’alienazione.
- Deve essere anche allegato il verbale in cui il Consiglio del Superiore concede il consenso
all’alienazione del bene patrimoniale che si vuole alienare.
- Poi devono essere allegate anche delle perizie sul bene da alienare. Ci sono ditte specializzate
che fanno perizie sui beni.
- Poi si deve presentare anche il parere del Vescovo della Diocesi. Se il Vescovo fosse interessato
all’acquisto del bene, il Vescovo avrebbe la precedenza di acquisto del bene, a parità di
condizioni.
- sarebbe molto opportuno allegare anche il certificato catastale che certifichi la proprietà del bene
Esempio: un IVC ha una scuola. Ormai non ce la fanno più. Decidono di lasciare la scuola. Dicono:
fondiamo una cooperativa formata dagli stessi professori. Vanno dal notaio e stabiliscono la vendita
della scuola da fare tre anni. Cosa accade? Che le suore, dopo tre anni, devono chiedere il parere al
vescovo (il vescovo semplicemente deve dire se è interessato o no e poi deve dare un semplice
parere) per effettuare la vendita. Ma se il vescovo dà un parere negativo, che succede?
La Santa Sede, visto il parere del negativo del Vescovo diocesano, dice di no: che succede con il
notaio?? Le suore avevano fatto anche un preliminare di vendita!! Ma queste suore avevano fatto
bene a costituire quella cooperativa? In un certo senso non si erano obbligate in anticipo
all’alienazione di quella scuola?? Che senso ha fare un preliminare di vendita se la legge civile
prevede che il notaio deve verificare se c’è stata o meno la licenza della Santa Sede?
Ricorda: prima di fare qualsiasi atto civile, devi sempre prima chiedere la licenza alla Santa
Sede!
Senza licenza della Santa Sede non si può vendere! Anche per i contratti preliminari di vendita,
allora, si deve sempre prima chiedere la licenza alla Santa Sede.
Prima di fare un qualsiasi passo in sede civile, è sempre meglio chiedere la licenza di vendita alla
Santa Sede!
Esempio: si deve chiedere la licenza per accendere un mutuo o per fare un acquisto di un bene
particolarmente costoso?
Se il mutuo lo può pagare l’Istituto senza problemi, non si deve chiedere il permesso alla Santa Sede.
Ma il permesso alla Santa Sede si deve invece chiedere se il mutuo potrebbe mettere in pericolo
l’esistenza del patrimonio stabile dell’istituto.
Esempio: un istituto ha una chiesa pubblica con un grandissimo convento di frati: sono rimasti solo 3
frati molto anziani. Che facciamo di questi tre frati? Mandiamoli via e poi affittiamo il convento a un
signore che ne farà una residenza per anziani non autosufficienti. L’accordo è per un affitto di 70
anni, la ditta si assume tutte le spese. Dopo 70 anni il contratto di affitto finisce e la struttura torna in
piena proprietà dell’Istituto.
È un bell’affare, sì o no? Si richiede il permesso della Santa Sede? Sì, la Santa Sede deve, in questo
caso, assolutamente negare questo permesso!! Come si fa a tenere fisso un affitto per un periodo
così lungo!!! Non è un buon affare! La Santa Sede negherà il permesso, perché la Santa Sede ha il
dovere di tutelare il patrimonio della Chiesa e quel bene è un bene della Chiesa e quindi deve tutelare
che non venga creato un danno al patrimonio dell’istituto.
50
DEBITI E ONERI
1) Se una persona giuridica ha contratto debiti e oneri, anche con licenza dei Superiori, è
tenuta a risponderne in proprio!!
2) Se un religioso con licenza del Superiore ha contratto debiti e oneri sui beni propri, ne deve
rispondere personalmente; se invece per mandato del Superiore ha concluso affari
dell’istituto, è l’istituto che ne deve rispondere.
3) Se un religioso ha contratto debiti a nome dell’Istituto senza alcune licenza del Superiore, è
lui stesso e non la persona giuridica a doverne rispondere! Anzi la persona giuridica avrebbe
anche diritto di tutelarsi (giudizialmente o in via amministrativa) e quindi di iniziare un
processo contro la persona che ha causato un danno alla persona giuridica. Anche un
religioso può subire un processo!
4) Rimanga fermo, tuttavia, che si può sempre intentare un’azione contro colui il cui patrimonio
si è in qualche misura avvantaggiato in seguito a quel contratto!
5) I Superiori religiosi si astengano dall’autorizzare a contrarre debiti, a meno che non
consti con certezza che l’interesse del debito si potrà coprire con le rendite ordinarie, e che
l’intero capitale si potrà restituire entro un tempo non troppo lungo con una legittima
ammortizzazione.
AMMISSIONE DEI CANDIDATI E FORMAZIONE DEI MEMBRI
AMMISSIONE AL NOVIZIATO
Tutte le fase precedenti al noviziato (se ci sono) non sono considerate dal CIC. Se ci sono, sono
regolate dal diritto proprio dell’Istituto (aspirandato o postulandato).
L’ammissione al noviziato è sempre una grazia, non è mai un diritto. Il postulante che chiede di
essere ammesso non ha nessun diritto di ammissione al noviziato, anche se ha fatto i 6 mesi di
postulandato!! Il postulante può non essere ammesso e contro la decisione di non ammissione non
c’è alcuna possibilità di ricorso, perché contro un atto di grazia non è ammesso alcun ricorso.
Inoltre, il Superiore che non ammette un postulante al noviziato, non ha nessun obbligo di
motivare il rifiuto, è sufficiente indicare la non-idoneità.
Poi c’è la PROFESSIONE RELIGIOSA TEMPORANEA, e poi la PROFESSIONE RELIGIOSA PERPETUA.
La professione religiosa può essere temporanea o perpetua. Poi ogni istituto stabilisce il tipo di voto:
se solenne o semplice.
QUALI SONO LE QUALITÀ RICHIESTE AL CANDIDATO? (Can. 642)
- Cattolico;
- Retta intenzione;
- Età richiesta;
- Salute fisica e psichica;
- Indole adatta (indole = carattere, temperamento e personalità);
- Maturità sufficiente per assumere il genere di vita dell’istituto (maturità intellettuale,
emotiva, sociale, religiosa).
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La vocazione deve essere sempre consona al carisma specifico dell’istituto. Non esiste la vocazione
“geneticamente costituita”, una vocazione deve sempre essere verificata dalla Chiesa.
Per poter verificare alcune di queste qualità si può far riferimento a degli esperti (psicologi,
medici), fermo restando l’obbligo di non ledere illegittimamente la buona fama o l’intimità della
persona.
E se un Superiore dicesse: lei vuole entrare in noviziato? Vada a farsi una visita dallo psicologo? C’è
obbligo di risposta affermativa? Il candidato può rifiutarsi? Il candidato sempre si può rifiutare,
nessuno lo può obbligare a una visita psicologica. Ma, viceversa, nessuno è obbligato ad accogliere
la domanda del candidato. Perché il Superiore può dire: “Mi dispiace, ma io non ho la chiarezza
necessaria per poter accogliere questo candidato al noviziato”, e quindi non lo accolgo.
La libertà è da ambedue le parti. Sia riferita al candidato, sia al Superiore. Il Superiore è obbligato
a verificare e, se non riesce a verificare la salute, l’indole e la maturità del candidato, è obbligato
a rifiutare il candidato, altrimenti creerebbe un danno all’Istituto e alla stessa persona.
Qual è la ragione di questa esigenza?
1) il tipo di vita al quale deve accedere il candidato
2) La libertà di stabilire i punti di riferimento per l’ammissione
3) La vitalità e la sopravvivenza dell’istituto
4) Verificare il candidato, evitando perdite di tempo.
Qual è l’ETÀ MINIMA?
È una qualità ma è anche un impedimento che rende invalida l’ammissione al noviziato. Chi non
ha raggiunto l’età minima non può essere ammesso validamente al noviziato.
L’età minima è 17 anni. Attenzione: Secondo il diritto canonico (norme generali, il computo del
tempo) l’età si raggiunge il giorno dopo il 17° compleanno.
Può essere dispensato questo impedimento? Sì, lo può dispensare la Santa Sede. Ma sono casi
rarissimi. Non c’è quasi nessuno che chiede di essere ammesso al noviziato così presto.
Opinione di Jimenez: in ogni caso è sempre preferibile non chiedere la dispensa, perché la
maturazione vocazione avviene con il trascorrere del tempo. Quindi sarebbe meglio non accorciare il
tempo del discernimento, anzi oggi ci sono esigenze di allungare il discernimento vocazionale. Che
senso ha ammettere una persona così giovane?
Se il novizio non ha ricevuto il sacramento della Cresima, lo deve ricevere immediatamente prima di
fare la prima professione temporanea.
L’età minima è stabilita dal Legislatore. Il diritto proprio può anche stabilire una età massima,
oltre la quale non si ammettono candidati. Questa cosa è decisamente più di attualità.
Oppure può stabilire che sia necessario il Consenso del Superiore per far entrare una persona che ha
superato l’età massima. Più grande è l’età della persona, più difficile è il cammino di conformazione
a Cristo povero e obbediente.
LA SALUTE
La salute necessaria per poter vivere lo stile di vita dell’istituto e svolgere la missione: digiuni,
mortificazioni, azione e contemplazione, missione…
Si tratta della salute fisica e psichica. L’istituto si può avvalere di propri medici che possono
valutare i candidati. Il Superiore deve poter verificare che il candidato al noviziato che non ha
nessuna infermità che possa essere un ostacolo per poter vivere la vita e realizzare la missione
dell’Istituto. Si può ricorrere a degli esperti per verificare il grado di salute del candidato.
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L’INDOLE
È un realtà più soggettiva/psicologica. È la più difficile da provare. Comprende:
- il carattere
- il temperamento
- la personalità
- la qualità morali
- gli atteggiamenti e le inclinazioni del candidato.
In effetti, il periodo del postulandato serve proprio per verificare il carattere e l’indole del candidato.
L’indole dovrà comunque essere verificata anche durante il periodo dei voti temporanei!! La
persona umana, infatti, può anche camaleonticamente nascondere la sua vera indole per un certo
periodo…però poi dopo un periodo congruo di alcuni anni (4 o 5 anni), la vera indole del candidato
salta fuori…
Carattere: è la singolarità della persona, stabile e costante lungo la sua esistenza, che le permette
di affrontare le realtà esterne con una propria impronta, che lo distingue dagli altri.
Temperamento. È una proprietà che ha il carattere, che si riflette sulla condotta.
Personalità: è il sistema totale delle tendenze fisiche e mentali che distinguono l’individuo e che
determinano le sue reazioni caratteristiche nel luogo dove vive.
Per valutare l’indole è necessario un periodo di prova e convivenza (aspirantato, postulandato). Si
può ricorrere a psicologi e in casi speciali a psichiatri, senza poter obbligare nessuno a sottomettersi
agli esperti, can. 220.
Quanto tempo deve durare l’aspirantato/postulandato? Non c’è un tempo stabilito. Il diritto
proprio lo deve stabilire, tenendo presente che, oggi come oggi, l’aspirantato e il postulandato
devono essere sufficientemente lunghi per poter verificare l’indole del candidato.
Deve essere un periodo senza sconti. I saldi nella formazione non ci devono essere.
MATURITÀ SUFFICIENTE: è la capacità di giudizio oggettivo e di discernimento prudente e
motivato, specialmente alla luce della fede. È una maturità affettiva e intellettuale che corrisponda
all’età del candidato.
LA MATURITÀ AFFETTIVA E INTELLETTIVA. Quella affettiva rende la persona capace di dominare i
propri sentimenti e guidare i propri affetti, senza cercare delle compensazioni.
Anche la maturità intellettiva è molto molto importante!!
La maturità comporta anche la capacità decisionale e la conseguente stabilità nelle decisioni.
Ma oggi dobbiamo parlare anche di MATURITÀ RELIGIOSA, che implica:
1) Vivere una vita più ampia e profonda, lontana da interessi personali e terreni
2) Senso di continuità per la propria vita e il trascendente
3) Senso di libertà, diminuendo la preoccupazione per se stesso
4) Cambio del centro affettivo della persona.
Per poter comprovare la maturità si richiede un tempo di vita ed osservazione.
Gli esperti che valutano la maturità: devono essere prudenti, veramente specialisti nel loro campo,
di vita cristiana e principi morali cristiani, esperto cattolico.
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REQUISITI PER LA VALIDITÀ DELL’AMMISSIONE AL NOVIZIATO (can. 643)
È ammesso invalidamente al noviziato:
1) Chi non ha ancora compiuto i 17 anni di età;
2) Chi è sposato, durante il matrimonio;
3) Chi è attualmente legato da un vincolo sacro a qualsiasi IVC o sia incorporato in una SVA.
Se questo legame giuridico ancora sussiste: non può entrare.
4) Chi entra nell’istituto indotto da violenza, da grave timore o da inganno e chi è accettato da
un Superiore costretto allo stesso modo;
5) Chi ha nascosto di essere stato incorporato in un IVC o in una SVA, anche per la validità
dell’ammissione.
6) Altri impedimenti o altre condizioni stabiliti dal diritto proprio per la validità
dell’ammissione. Attenzione, quindi. Ogni istituto può aggiungere requisiti a piacimento
(un particolare titolo di studio, ad esempio) che poi avrà lo stesso valore degli altri requisiti
che sono stabiliti nel diritto universale tramite il CIC.
Questi impedimenti sono invalidanti: questi impedimenti sono circostanze oggettive che invalidano
l’ammissione al noviziato, naturalmente fino a che tali impedimenti non siano cessati.
Si può chiedere l’eventuale dispensa dagli impedimenti alla CIVCSVA
Gli impedimenti devono esistere nel momento dell’ammissione, né prima, né dopo.
Esempio sull’impedimento di matrimonio: una ragazza cattolica sposa un musulmano, con il rito
musulmano (niente matrimonio canonico, né concordatario). Vanno a convivere qualche anno, poi il
marito se ne va, lascia la moglie e si rifà una vita con un’altra donna.
La ragazza, dopo un po’ di anni, sente la chiamata alla Vita Consacrata e comincia il noviziato
presso un istituto di suore. È valida o no l’ammissione al noviziato?
Che cosa si deve verificare? Si deve verificare che ci sia effettivamente lo stato libero, ovvero che
non ci sia alcun legame che lega la giovane ragazza ad un uomo. Quindi si chiede il certificato di
stato libero. Quindi per la valida ammissione al noviziato non deve esserci nessun vincolo di
coabitazione che nasca da un qualsiasi vincolo di contratto matrimoniale.
COME CESSA L’IMPEDIMENTO DI MATRIMONIO?
Si tratta di un impedimento che cessa per dissoluzione del vincolo matrimoniale in uno qualsiasi dei
modi previsti:
- Dispensa super rato concessa dal RP;
- Morte di uno dei coniugi;
- Dichiarazione o sentenza di nullità del matrimonio.
C’è anche la possibilità di una dispensa pontificia che può rimuovere l’impedimento. La Santa
Sede, però, concede la dispensa in circostanze particolari (quando si verificano questi requisiti):
1) Quando c’è libertà dall’obbligo di convivenza
2) Quando c’è stata separazione civile ed ecclesiale
3) Quando non ci sono più figli che dipendano ancora dai genitori da loro
4) Quando i figli siano d’accordo
Questa dispensa non è un obbligo per la Santa Sede, è un atto di grazia. Ci sono ogni anno, in
media, solo 4-5 casi in tutto il mondo.
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IMPEDIMENTO: legato con un vincolo sacro ad un IVC o incorporato a una SVA
Una persona che ha già emesso la professione (e quindi è incorporata nell’IVC), non può
validamente essere ammessa in nessun altro tipo di IVC. Le ragioni di questo impedimento sono:
1) Potenziare e rinforzare il vincolo e la stabilità.
2) Aiutare a perseverare negli impegni assunti.
L’impedimento cessa con la dissoluzione del vincolo, professione o incorporazione:
- Uscita volontaria durante la professione, can. 688 §1.
- Uscita alla fine della professione temporanea, can. 688.
- Non ammissione alla rinnovazione o alla professione perpetua, can. 689.
- Dimissione non ipso facto, can. 695-696.
- Dimissione ipso facto, can. 703.
La Santa Sede può sempre rimuovere l’impedimento mediante una dispensa (è una grazia, non un
diritto).
Quando una persona è stata dimessa (espulsa) da un IVC, non è un buon segno, perché di solito
questo è un provvedimento che si prende per cause gravissime. Quindi se la persona poi si rivolge a
un altro istituto, questo istituto dovrebbe essere mooooolto cauto ad accogliere eventualmente questa
persona.
IMPEDIMENTO DI VIOLENZA, GRAVE TIMORE O INGANNO
Sono gli impedimenti che si applicano sia al candidato come al Superiore che lo deve ammettere.
Si vuole salvaguardare la libertà del candidato nell’ora di prendere un decisione fondamentale nella
sua vita: scegliere lo stato di vita:
Violenza:
- È la forza estrinseca al candidato o al Superiore a cui non si può resistere adeguatamente.
- Si può sperimentare sia in foro interno sia in foro esterno
- L’inevitabilità, per essere invalidante, deve essere assoluta.
Inganno o dolo:
- È ogni atto che si mette in atto con l’intenzione di ingannare l’altro, affinché faccia un atto
che in circostanze normali non avrebbe fatto.
- Deve essere di una certa entità, deve interferire chiaramente nella sostanza dell’atto.
- L’atto è nullo per diritto naturale e canonico, can. 126, perché l’errore causato dall’inganno
intacca la causa dell’atto.
Questo tipo di impedimento cessa per rimozione verificata della causa che ha indotto il candidato o
il superiore a compiere quell’atto. Questo impedimento non è mai dispensabile dalla Santa Sede.
NASCONDIMENTO (occultazione) DI PASSATA INCORPORAZIONE IN UN IVC - SVA
L’occultamento impedisce di poter compiere quanto stabilito nel can. 645 §2, ovvero di ottenere gli
attestati rilasciati dal Superiore maggiore dell’Istituto di cui il candidato faceva parte nel passato.
Cessa con la dichiarazione effettiva e chiara delle incorporazioni, oppure con la dispensa della Sede
Apostolica.
ALTRI IMPEDIMENTI O CONDIZIONI DEL DIRITTO PROPRIO (can. 643 §2)
- È un possibilità che viene concessa, non un obbligo.
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-
Si possono stabilire degli impedimenti per la validità e condizioni per l’ammissione.
Gli impedimenti di diritto proprio hanno gli stessi effetti di quelli di diritto universale.
Esempio: possono riguardare certe qualità che sono ispirate al carisma o al fine dell’IVC.
NON AMMISSIONE AL NOVIZIATO DI CHIERICI SECOLARI O PERSONE CON
DEBITI (can. 644)
Non si deve ammettere al noviziato un chierico secolare, senza aver prima consultato l’Ordinario. La
consultazione non esige l’accordo, né tanto meno un consenso o una licenza.
La motivazione è chiara: si deve rispettare la propria incardinazione in una diocesi e l’obbedienza al
Vescovo, can. 273. Si deve tener conto delle ripercussioni pastorali nella diocesi.
Se colui che chiede di essere ammesso al noviziato è un Vescovo, allora si deve ricorrere alla
dispensa della Sede apostolica.
Non si devono ammettere al noviziato persone gravate da debiti che non possono pagare. È una
norma che cerca di difendere l’imperativo di giustizia naturale, a tutela dell’Istituto.
IL NOVIZIATO E LA FORMAZIONE DEI NOVIZI
Can. 646 - Il noviziato, con il quale si inizia la vita nell'istituto, è ordinato a far sì che i novizi
possano prendere meglio coscienza della vocazione divina, quale è propria dell'istituto,
sperimentarne lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito; e al tempo stesso siano
verificate le loro intenzioni e la loro idoneità.
Il noviziato è il periodo di formazione iniziale con il quale inizia la vita nell’istituto. Ma attenzione:
il novizio non è ancora membro dell’istituto! Soltanto con la professione si diventa membri
dell’istituto!
È ordinato a:
1) Che i novizi possano prendere meglio coscienza della vocazione divina, secondo il carisma
proprio dell’istituto.
2) Ne possano sperimentare lo stile di vita.
3) Formare mente e cuore secondo il suo spirito
4) Verificare le intenzioni e la idoneità del candidato.
Il noviziato si svolge in una CASA DI NOVIZIATO (per la validità!! È un requisito ad
validitatem!):
- L’erezione della casa di noviziato, la sua soppressione o il trasferimento: è competenza
del Superiore generale con il consenso del suo consiglio.
- L’erezione della casa di noviziato deve essere fatta mediante un decreto scritto del
Moderatore supremo, con il consenso del suo Consiglio.
- Ci vorrebbe un permesso speciale del Superiore Generale per poter fare il noviziato in una
casa diversa da quella del noviziato, ma sempre sotto la direzione di un religioso “provato”,
che faccia le veci del “maestro dei novizi”.
CASI PARTICOLARI:
Can. 647 §2: Un candidato può fare il noviziato in un’altra casa dell’Istituto sotto la guida di un
religioso provato, che faccia le veci del maestro dei novizi. È una eccezione alla regola, che si può
verificare solo su concessione del Moderatore supremo con il consenso del suo consiglio.
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Esempio: un candidato ha la casa della famiglia di origine proprio di fronte alla casa del noviziato.
Chiede, con buone ragioni, di poter fare il noviziato in un’altra casa dell’Istituto.
Can. 647 §3: un gruppo di novizi, per determinati periodi di tempo, può dimorare in un’altra casa
dell’Istituto, designata dal Superiore Maggiore. È una possibilità che si può verificare solo per
determinati periodi di tempo.
TEMPO AD VALIDITATEM (can. 648)
Can. 648 - § 1. Per essere valido il noviziato deve comprendere dodici mesi, da trascorrere nella
stessa comunità del noviziato, fermo restando il disposto del can. 647, § 3. § 2. Per integrare la
formazione dei novizi le costituzioni possono stabilire, oltre al tempo di cui al § 1, uno o più periodi
di esercitazioni apostoliche, da compiersi fuori dalla comunità del noviziato. § 3. Il noviziato non sia
prolungato oltre i due anni.
Deve comprendere 12 mesi: è il cosiddetto noviziato “canonico”. Deve essere un tempo che si
trascorre nella stessa comunità del noviziato.
Fuori dalla comunità del noviziato, un candidato può passare uno o più periodi di esercitazioni
apostoliche, al fine di integrare la formazione dei novizi.
Il noviziato non sia mai prolungato oltre i due anni. Però le Costituzioni possono stabilire, oltre
l’anno del “noviziato canonico”, un altro anno, chiamato noviziato “costituzionale”. Ad esempio, in
questo anno in più il candidato può fare un’esperienza di lavoro apostolico. Questo secondo anno,
dunque, non è obbligatorio per il CIC.
LE ASSENZE
Can. 649 - § 1. Salvo il disposto dei cann. 647, § 3 e 648, § 2, una assenza dalla casa del noviziato
che superi i tre mesi, continui o discontinui, rende invalido il noviziato. Una assenza che superi i
quindici giorni deve essere ricuperata. § 2. Con il permesso del Superiore maggiore competente la
prima professione può essere anticipata, non oltre quindici giorni.
Il tempo può essere continuo o discontinuo:
- Da 1 a 15 giorni: questa assenza non deve essere ricuperata
- Da 16 giorni a 3 mesi: l’assenza deve essere recuperata
- Da 3 mesi e oltre: il noviziato è invalido ipso iure e si deve ripetere tutto.
La prima professione può essere anticipata:
- Con il permesso del Superiore maggiore competente.
- Ma non oltre 15 giorni di anticipo.
È possibile PROROGARE il noviziato? Sì, è possibile, ma solo per un periodo al max di 6 mesi.
È uno strumento, quello della proroga, eccezionale. Non può essere adoperato sistematicamente: non
deve essere considerata una prassi normale, ma eccezionale! Non deve mai essere usato questo
strumento per creare false illusioni nel candidato di essere ammesso. Se uno non è idoneo alla vita
religiosa in quel determinato istituto, meglio dirglielo subito!
IL MAESTRO:
Gli corrisponde la direzione dei novizi, sotto l’autorità dei Superiori Maggiori.
Deve essere un membro dell’istituto che abbia emesso i voti perpetui e sia stato legittimamente
designato. Non si dice da quanti anni deve essere un professo di voti perpetui. Il diritto proprio
stabilirà altri requisiti: età, anni di professione, esperienze fatte.
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Ai maestri dei novizi si possono assegnare degli aiutanti, i quali devono a lui sottostare per quanto
riguarda la direzione del noviziato e il regolamento della formazione. Devono essere religiosi
accuratamente preparati i quali, senza essere distolti da altri impegni, possano assolvere il loro
compito in modo efficace e stabile.
Spetta al maestro e ai suoi abitanti:
- Discernere e verificare la vocazione dei novizi
- Gradatamente formare i novizi a vivere la vita di perfezione secondo lo stile e le norme
proprie dell’istituto.
I novizi devono essere aiutati a (can. 652):
- Coltivare le virtù umane e cristiane.
- Svolgere un più impegnativo cammino di perfezione mediante l’orazione e il rinnegamento di
sé.
- Guidati alla contemplazione del mistero di salvezza e alla lettura e meditazione delle Sacre
Scritture; preparati a rendere culto a Dio nella sacra liturgia.
- Formati alle esigenze della vita consacrata a Dio e agli uomini in Cristo attraverso la pratica
dei consigli evangelici
- Informati, infine, sull’indole e lo spirito, le finalità e la disciplina, la storia e la vita
dell’istituto ed educati all’amore verso la Chiesa e i suoi pastori.
I NOVIZI
Si impegnino ad una attiva collaborazione con il proprio maestro per poter rispondere fedelmente
alla grazia della vocazione divina.
Non siano occupati in studi o incarichi non direttamente finalizzati a tale formazione.
Tempo per studiare: è importante, tanto tempo per lavorare ce ne sarà fin troppo!! Per lo studio,
invece, si deve usare saggiamente il tempo della formazione!! Questo vale per i seminaristi così
come per i novizi.
LA FINE DEL NOVIZIATO
A) USCITA DAL NOVIZIATO:
 Il novizio può liberamente lasciare l’Istituto (la persona chiede liberamente l’uscita dal
noviziato). Questo può accadere sia durante il periodo del noviziato, sia alla conclusione del
noviziato stesso.
 L’autorità competente dell’istituto può dimetterlo. L’autorità invita il candidato a uscire
dall’istituto. “Lo invita a ripensare alla sua vocazione…blablabla.”. Ci sono molte forme
“gentili” per far capire a uno che se ne deve andare, perché non è adatto alla vita religiosa.
L’autorità competente gli può anche semplicemente dire: “Non ti consideriamo idoneo”.
B) AMMISSIONE ALLA PROFESSIONE TEMPORANEA
 Se il novizio viene giudicato idoneo, sia ammesso alla professione temporanea.
C) PERIODO DI PROVA
 Se (e solo se) rimane qualche dubbio sull’idoneità del novizio, il Superiore Maggiore può
prorogare il periodo di prova, a norma del diritto, ma non oltre i sei mesi. Attenzione: questo
strumento si deve usare solo se effettivamente c’è qualche dubbio sul novizio, non se il
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Superiore ha già comunque deciso di dimettere il soggetto. È brutto creare false illusioni nel
candidato!!
LA PROFESSIONE RELIGIOSA
La professione religiosa si assume con VOTO PUBBLICO.
Cos’è un voto pubblico? È il voto che viene accettato dal legittimo Superiore in nomine
ecclesiae.
Il voto “pubblico”, non è da confondere con la pubblicità esterna del voto.
Con il voto, facendo la professione religiosa, scatta l’obbligo di osservare i tre consigli evangelici,
secondo le Costituzioni. Nella forma di professione è molto importante questo: vivere secondo le
costituzioni, cioè lo stile di vita, la disciplina che regola l’istituto.
Con la professione religiosa, i religiosi si incorporano all’istituto, con i diritti e i doveri definiti
giuridicamente.
È prevista anche la professione in articulo mortis: se il novizio muore, muore come religioso
professo. E se invece miracolosamente guarisce? Deve riemettere la professione religiosa dopo aver
finito il tempo della formazione.
La professione può essere:
1) Temporanea. Per un tempo determinato.
2) Perpetua. Per sempre.
Attenzione: il Codice non parla mai di “voti perpetui” e “voti temporanei”, ma di “professione”.
Come mai? Perché il voto per sua natura è una promessa perpetua fatta a Dio!
Il cosiddetto “voto temporaneo” è una innovazione piuttosto recente, nata con i Gesuiti: i Gesuiti
avevano il voto perpetuo (per Dio) e temporaneo (solo per la Compagnia).
LA PROFESSIONE TEMPORANEA
Il diritto proprio stabilisce quanto deve durare. Ma secondo il diritto comune deve durare per un
periodo minimo di 3 anni e non deve durare oltre il periodo massimo 6 anni. Ogni istituto stabilirà
nel diritto proprio la durata della professione temporanea. La professione temporanea si può
rinnovare ogni anno.
Condizioni per la validità della professione temporanea:
1) Chi la vuole emettere deve aver compiuto i 18 anni di età.
2) Il noviziato sia stato portato a termine validamente. Il noviziato deve essere concluso!
3) AMMISSIONE DEL SUPERIORE COMPETENTE. Ci sia L’AMMISSIONE, fatta liberamente, da
parte del Superiore competente, con il voto del suo Consiglio a norma del diritto proprio.
Qui ricade sul Superiore l’elemento della libertà. Normalmente si tratta del Superiore
Maggiore, oppure Superiore Generale. Il voto: ogni istituto dovrà stabilire se quel voto è
“consultivo”, oppure se è “deliberativo”. Qui il Legislatore lascia l’ambiguità.
L’ammissione è un atto giuridico, che va fatto precedere da una regolare domanda da parte
dell’interessato.
4) EMISSIONE DEL CANDIDATO: il candidato deve esprimere liberamente la professione religiosa
e venga emessa senza che ci sia violenza, timore grave o inganno. È stata esclusa la
professione tacita, che una volta era invece prevista.
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5) ACCETTAZIONE A NOME DELLA CHIESA. Sia ricevuta dal legittimo Superiore (Superiore
Maggiore, ma anche Superiore Locale), personalmente o per mezzo di un altro.
Attenzione: deve risultare chiaramente il documento della legittima delega se non interviene
il Superiore!! Il Vescovo diocesano può eventualmente presiedere la celebrazione della
Messa, ma non è legittimato a ricevere la professione religiosa!
Allo scadere del tempo per il quale fu emessa la professione temporanea:
- Ritenuto idoneo il candidato, e se il candidato lo richiede spontaneamente, sia ammesso alla
rinnovazione della professione temporanea.
- Oppure sia ammesso alla professione perpetua.
- Può essere prolungata la professione temporanea, ma non superi complessivamente la durata
dei nove anni
- Altrimenti deve lasciare l’istituto.
Attenzione: quando i voti scadono, scadono!!…Quindi si deve stare molto attenti a che una persona
non rimanga per un periodo di tempo senza professione di voti (magari per una svista o per un
errore). In questi casi si deve chiedere una sanazione in radice.
Le formule di professione: finito l’anno di professione temporanea, tu devi rinnovare nella stessa
data in cui avevi emesso la professione.
Un professo deve sempre rinnovare nel giorno della scadenza, cioè non deve mai rimanere senza
voti!! Può anticipare? Sì, lo può fare, ma poi la volta successiva deve rinnovare nella nuova data
anticipata in cui ha rinnovato la prima volta.
E se ci fu un errore nel calcolo dei giorni (e poi magari quella persona ha fatto la professione
perpetua, è diventata Superiore e ha fatto atti di governo.)? Tutto deve essere sanato, perché quella
persona, tecnicamente, non fa parte dell’Istituto. Si deve chiedere la sanatio di tutto il periodo in
cui è rimasta senza voti e anche, eventualmente, di tutti gli atti di governo che successivamente
avesse posto.
La PROROGA DELLA PROFESSIONE TEMPORANEA: è uno strumento che il Legislatore ci
offre, ma è uno strumento che va usato in modo razionale. Se ci sono elementi che indicano che la
persona non è in grado, non arriverà mai alla condizione di maturità sufficiente per essere ammessa
all’Istituto, quanto prima si deve invitare la persona a lasciare l’Istituto. Si deve fare un buon uso di
questo strumento della proroga. Si può fare per un qualsiasi numero di giorni, basta che il totale
del tempo, complessivamente, non superi i tre anni.
Questa proroga la deve concedere la Santa Sede, ma la concede piuttosto raramente.
LA PROFESSIONE PERPETUA
La professione perpetua è quella che si fa per tutta la vita e che quindi non si deve più rinnovare e
che costituisce la persona membro permanente dell’istituto.
Quali sono i requisiti per la validità della professione perpetua?
1) Almeno 21 anni. Chi non abbia compiuto i 21 anni, dovrà chiedere la dispensa alla Santa
Sede
2) Che abbia fatto la professione temporanea almeno per tre anni, salvo il disposto del can.
657 §3. (Può essere anticipata, ma non oltre un trimestre)
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3) Che ci sia l’ammissione, fatta liberamente dal Superiore competente, con il voto del suo
consiglio a norma del diritto. Le costituzioni dovranno stabilire se si chiede solo il parere del
consiglio o se è necessario il consenso.
4) La professione deve essere espressa e venga emessa senza che ci sia violenza, timore grave
o inganno
5) Sia ricevuta dal legittimo Superiore, personalmente o per mezzo di un altro.
NOTA BENE.
 Esiste la professione o il RINNOVAMENTO SPIRITUALE/DEVOZIONALE: è quella che fanno
ogni anno (magari alla fine degli esercizi spirituali) tutti i membri perpetui: non ha nessun
valore giuridico. È come quando negli anniversari di nozze si rinnovano le promesse
matrimoniali.
 C’è poi la PROFESSIONE DEFINITIVA: è una realtà intermedia tra la temporanea e la perpetua.
Si usa molto poco, e pochissimi istituti ce l’hanno. Questa professione definitiva non è
nemmeno legislata nel Codice, ma è una realtà che la Santa Sede, anche se molto di rado,
ha approvato. Di solito c’è perché era nella volontà del fondatore.
È quella professione che, pur dovendo rinnovarsi annualmente allo scadere da parte di tutti i
membri dell’Istituto, dopo un certo numero di rinnovazioni (per esempio dopo 6 rinnovazioni) ha
l’effetto di incorporare definitivamente la persona all’Istituto, conferendo tutti i diritti e i
doveri di una persona che ha fatto professione perpetua. Tuttavia deve sempre essere rinnovata
ogni anno e se uno non rinnova, è senza voti e quindi non è più membro dell’istituto, perché
rimarrebbe senza voti.
Quindi questa professione definitiva, pur avendo le conseguenze giuridiche di una professione
perpetua, a differenza delle perpetua, si deve rinnovare annualmente.
 La professione temporanea si fa con i VOTI SEMPLICI.
 La professione perpetua si può fare:
- O con VOTO SEMPLICE: per le Congregazioni.
- O con VOTO SOLENNE: per gli Ordini.
LA FORMAZIONE DEI RELIGIOSI
Obblighi: dopo la prima professione, si continui la formazione di tutti i membri (si chiamerà
formazione perpetua o “formazione continuata”). È una formazione che serve affinché i professi
possano condurre più integralmente la vita propria dell’istituto e rendersi meglio idonei a realizzarne
la missione. Tutti devono fare un periodo di formazione idonea ad attuare la missione
dell’istituto.
Il diritto proprio deve stabilire il regolamento e la durata di questa formazione, tenendo presenti le
necessità della Chiesa e le condizioni delle persone e dei tempi. Secondo quanto esigono le finalità e
l’indole dell’istituto.
La formazione dei membri che si preparano a ricevere gli ordini sacri è regolata dal diritto universale
e dal “piano degli studi” proprio dell’istituto.
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Durante il periodo di questa formazione non si affidino ai religiosi compiti e opere che ne
ostacolino l’attuazione. Grave errore quando, per la scarsità di membri, si gettano subito nella
mischia i religiosi ancora in formazione!!
Can. 660: La formazione deve essere:
1) Sistematica
2) Adeguata alla recettività dei membri
3) Spirituale
4) Apostolica
5) Dottrinale
6) Pratica
7) Portare anche al conseguimento dei titoli convenienti (ecclesiastici o civili)
Can. 661 Per tutta la vita i religiosi proseguano assiduamente la propria formazione spirituale,
dottrinale, pratica; i Superiori ne procurino loro i mezzi e il tempo.
Per un istituto clericale: per ricevere il sacramento dell’Ordine si deve già essere di voti perpetui.
Infatti, non può essere ordinato nessun sacerdote senza incardinazione. Quindi, con la professione
perpetua, essendosi incardinato nell’Istituto, il candidato può anche ricevere il Sacramento
dell’Ordine.
OBBGLIGHI E DIRITTI DEGLI ISTITUTI E DEI LORO MEMBRI
DOVERI (dpdv patrimoniale, pastorale, comunitario ecc..):
-
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-
Avere come suprema regola di vita la sequela di Cristo, proposta dal Vangelo, ed espressa
nelle costituzioni del proprio istituto.
La contemplazione delle realtà divine e la costante unione con Dio nell’orazione.
Partecipare ogni giorno al Sacrificio eucaristico, ricevendo il Corpo santissimo di Cristo.
“Possibilmente quotidianamente”, dice il Legislatore. In effetti, il Legislatore è
consapevole del fatto che può essere difficile che ci sia la celebrazione quotidiana
dell’Eucaristia. Spesso una comunità religiosa non ha sacerdoti, non c’è un prete secolare
vicino… ecc. Sempre che sia in grazia di Dio per potersi accostare al Sacramento.
Adorare lo stesso Signore presente nel Sacramento. Adorazione al Santissimo: dovrà
essere fatta nel modo e nei tempi stabiliti dal diritto proprio. Quante volte la settimana? Tutti
i giorni? Una volta alla settimana? Ogni istituto decide.
Leggere la Sacra Scrittura. Anche Lectio Divina. Per attuare la sequela di Cristo, secondo il
Vangelo. La Parola di Dio è insostituibile: nessun autore è alternativo alla lettura della Parola
di Dio!
L’orazione mentale: è la famosa meditazione. Tempi e modi dovranno essere stabiliti a
norma del diritto proprio. Orazione mentale che può essere: comunitaria o personale.
Celebrare dignitosamente la liturgia delle ore, secondo le disposizioni del diritto proprio.
Non dice quali ore canoniche si devono fare. Saranno le Costituzioni a stabilire quali ore
liturgiche si dovranno fare in comune o quali si dovranno fare privatamente (in maniera
obbligatoria o in maniera opzionale). Chiaro che, per gli istituti religiosi clericali, valgono gli
obblighi che valgono per tutti i sacerdoti.
Altri esercizi di pietà. Atti ascetici, di mortificazione. Tre giorni di digiuno alla settimana.
La via crucis ogni settimana. La coroncina della Divina Misericordia.
Per i chierici: obbligo di cui al can. 276 §2, n.3
La pratica del Santo Rosario
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Culto speciale alla vergine Madre di Dio, modello e patrona di ogni vita consacrata
Osservino fedelmente i tempi annuali di sacro ritiro
Perseveranti nella conversione dell’animo a Dio
L’esame quotidiano di coscienza. Quello di compieta. Oppure quello che si fa, secondo le
tradizioni, due o tre volte al giorno.
Accostarsi con frequenza al Sacramento della Penitenza. Il diritto proprio stabilirà la
frequenza con la quale ci si deve accostare al Sacramento (ogni settimana, ogni quindi giorni,
una volta al mese)
Abitare nella casa religiosa (can. 665)
Osservare la vita comune: mai assentarsi dalla Casa religiosa senza licenza del Superiore.
Se si tratta di un’assenza prolungata, il Superiore Maggiore, col consenso del suo Consiglio,
può concedere che un religioso viva fuori della sua casa religiosa, ma mai per più di un anno
(a meno che ciò non sia per motivi di salute, di studio o di apostolato da svolgere a nome
dell’Istituto). Se c’è assenza illegittima è anche possibile che il religioso sia dimesso
dall’istituto. È una pena facoltativa, che può essere applicata.
Oltre a questi casi, il Superiore maggiore pertinente non può prorogare il permesso di assenza dalla
casa religiosa per più di un anno. Se necessario, si deve chiedere il permesso alla Santa Sede. E si
deve chiedere anche il voto del Consiglio del Superiore. Tutti questi documenti devono essere inviati
alla Santa Sede per mezzo del Superiore o della Superiore Generale.
Nella prassi della Santa Sede di oggi: non si concede più al Superiore la possibilità di prorogare
liberamente il permesso di assenza….tutti i casi devono passare dalla Santa Sede.
La persona che chiede il permesso di assenza deve rispettare comunque una serie di impegni:
1) Partecipare ai ritiri comunitari della Casa a cui è iscritto
2) Deve partecipare ai ritiri comunitari annuali all’interno dell’istituto
3) Deve partecipare agli incontro formativi e alle riunioni più importanti e alle feste
dell’istituto.
La finalità è: mantenere il fedele unito all’istituto, di modo che il permesso di assenza non si tramuti,
di fatto, in una uscita dall’istituto.
Questo permesso di assenza si concede solo per un breve periodo di tempo e poi eventualmente
questo permesso di assenza può essere rinnovato. La questione del chiedere il permesso di assenza
non deve essere un mezzo per evitare il peso e la fatica della vita comunitaria.
Can. 668: A livello patrimoniale:
§1) ogni religioso, prima della emissione della prima professione temporanea, deve cedere
l’amministrazione dei propri beni e liberamente dispongano del loro uso e dell’usufrutto, a meno
che non sia stabilito altro nel diritto proprio.
Logicamente questo deve accadere se ci sono dei beni. Se la persona non ha nessun bene
patrimoniale proprio, logicamente non deve cedere nulla.
Che cosa sono i beni patrimoniali per un individuo? Sono quelli che aveva la persona prima di
entrare nell’Istituto. Quei beni che servivano alla persona per la vita lavorativa, i conti correnti…
A chi deve cedere l’amministrazione di questi beni? A una terza persona.
Può cedere questa amministrazione di beni all’istituto stesso? Sì, se l’istituto lo consente.
Questa cessazione dell’amministrazione deve essere fatta in modo che sia valida anche secondo il
diritto civile. Dunque, che cosa rimane al religioso? Solo la nuda proprietà.
Almeno prima della professione perpetua, il membro dell’istituto deve redigere un testamento. Un
testamento olografo (scritto di proprio pugno) è valido o no? Canonicamente è valido? Né sì ne no,
dobbiamo vedere se è valido a livello civile oppure no. In certi Paesi sì, in altri no.
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§2) E per cambiare un testamento o per modificare le disposizioni riguardanti
l’amministrazione dei beni? Il religioso deve chiedere la licenza al Superiore competente, ma se
non lo fa compie solo un atto illecito, perché questi atti sono tranquillamente validi a livello civile.
§3) Tutto ciò che un religioso acquista con la propria industria o a motivo dell'istituto, rimane
acquisito per l'istituto stesso. Ciò che riceve come pensione, sussidio, assicurazione, a qualunque
titolo, rimane acquisito dall'istituto, a meno che il diritto proprio non disponga diversamente.
I beni acquisiti mediante il proprio lavoro o la propria attività (predicazione, applicazione di Messe,
insegnamento, pubblicazioni) o a motivo dell’istituto, ossia dal religioso in quanto tale, spettano
all’istituto stesso!! E anche ciò che riceve come pensione, sussidio, assicurazione…tutto
all’istituto! Tutti gli altri beni, come lasciti, donazioni, eredità…non spettano all’Istituto, ma al
religioso stesso (ma solo quel religioso che a norma dei §4-5 non abbia fatto la rinuncia radicale ai
suoi beni e perciò non abbia perso la capacità di acquistare e di possedere).
§4) Un religioso può fare la rinuncia radicale ai propri beni e il diritto proprio può stabilire
delle norme per la concessione della licenza della rinuncia. Ma deve essere possibilmente una
rinuncia civilmente valida. Ma attenzione: la legge civile, in certi paesi, non permetta la rinuncia
volontaria a tutti i beni. Spesso è concessa solo una rinuncia parziale ai propri beni.
Sulla rinuncia si deve essere molto attenti, sia nel consigliarla, sia nel chiederla, perché la persona
diventa, a tutti gli effetti, una persona indigente, un nullatenente.
§5) la rinuncia radicale ai beni può essere fatta perché è una norma obbligatoria dell’istituto
(in questo caso va fatta prima della professione perpetua), oppure per un desiderio del religioso (in
quest’altro caso può essere fatta solo dal professo di voti perpetui e con la licenza del Moderatore
Supremo). In entrambi i casi la rinuncia, dove ciò sia possibile, va fatta in modo che sia valida anche
secondo il diritto civile. Con la rinuncia radicale ai beni, il religioso perde la capacità di acquistare
e di possedere, per cui, a norma del diritto canonico (ma non del diritto civile), pone
invalidamente ogni atto contrario al voto di povertà, e i beni che a qualunque titolo gli provengano
dopo tale rinuncia, toccano all’Istituto!
SEPARAZIONE DEI MEMBRI DALL’ISTITUTO:
1) PASSAGGIO AD UN ALTRO ISTITUTO
2) USCITA TEMPORANEA (indulto di esclaustrazione volontaria o imposta) O USCITA
DEFINITIVA DALL’ISTITUTO (indulto di secolarizzazione)
3) DIMISSIONE PENALE DALL’ISTITUTO (espulsione)
1) il PASSAGGIO (TRANSITO) che può essere da un IVC a un altro IVC.
Il legislatore sottolinea che il transito deve essere fatto tra due istituti che siano religiosi (IR →
IR), dunque che abbiano una stessa legislazione comune, invece quando si tratta di realizzare un
passaggio a un IS o a una SVA si richiede il permesso della Santa Sede. Come mai? Perché gli IS e
le SVA sono strutture molto diverse dagli IR.
Deve esserci innanzitutto la richiesta scritta dell’individuo sia al suo istituto di appartenenza sia
all’istituto in cui vuole entrare (ad entrambi i Moderatori Supremi). Deve chiedere la grazia di
poter usufruire del “Passaggio”. È un grazia, non un diritto: i moderatori supremi devono anche
ottenere il consenso dei propri Consigli. È una grazia, quindi non si può ricorrere contro un
eventuale rifiuto.
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Il Superiore competente dell’Istituto in cui il religioso vuole passare, alla fine del periodo di prova
che deve durare almeno tre anni, può decidere se ammettere o no il religioso alla professione
perpetua. Chi sono i “Superiori competenti”? Il Superiore generale oppure un Priore o l’abate.
Il legislatore stabilisce la durata minima del periodo di prova, non la massima: quindi il diritto
proprio può anche stabilire un tempo superiore, se vuole.
Secondo Jimenez, è opportuno che questo periodo di prova sia più lungo di 3 anni, anche 5 anni.
Questo perché? Perché bisogna verificare:
1) La retta intenzione dell’individuo che vuole entrare.
2) La capacità di assumere il carisma specifico dell’istituto
3) Che il soggetto dia prova di avere una vocazione specifica per l’istituto in cui è entrato.
Il candidato che fa il periodo di prova non è tenuto a fare il noviziato nell’istituto. Deve fare
un’esperienza concreta, reale, specifica di apostolato che l’Istituto in cui vuole passare svolge nel suo
campo.
Che abito deve indossare durante il periodo di prova? Non può portare l’abito proprio
dell’istituto in cui è in prova, perché non è ancora membro di quell’istituto. Sarà il diritto proprio a
stabilire come si deve vestire.
Compiuto il tempo della prova, o anche durante il periodo di prova, la persona è libera di
tornare al proprio istituto di provenienza. Oppure l’istituto nuovo può rifiutare la incorporazione e
quindi rimandarlo a casa: in questo caso la persona deve tornare al suo istituto o deve liberamente
chiedere la uscita dal suo istituto (con dispensa dai voti), altrimenti si considera assente
ingiustificato. La persona non può rimanere nel limbo, in una situazione giuridica incerta, cioè
irregolare!
Se alla fine della prova la persona è convinta che la chiamata sia appartenere a questo nuovo
istituto e se l’istituto è convinto della bontà della persona, deve essere ammesso alla professione
perpetua (non la temporanea). Dunque si incorpora a pieno diritto nell’istituto nel quale ha fatto il
periodo di prova. Automaticamente viene escardinato dall’istituto di provenienza e incardinato in
quello di destinazione.
Questa figura del TRANSITO, è prevista logicamente solo per le persone di professione
perpetua, non per i religiosi di professione temporanea! La figura del transito si ammette soltanto
per quelli che sono membri di voti perpetui!
Attenzione sul transito: potrebbe essere adoperato dai membri come una “fuga” dal proprio istituto
per non voler sottomettersi all’autorità del Superiore! Le statistiche dicono che spesso questi
passaggi hanno esiti poco felici.
USCITA TEMPORANEA (volontaria o imposta)
a) esclaustrazione volontaria: Solo per un tempo determinato. Non comporta mai nessuna dispensa
dai voti. Si rimane membro professo dell’istituto, pur uscendo per un periodo di tempo. Può essere, a
sua volta, di due tipi:
a) liberamente richiesta dal religioso
b) esclaustrazione imposta dall’istituto e dunque devi lasciare temporaneamente l’istituto.
Esclaustrazione liberamente richiesta: deve sussistere ad validitatem un motivo grave. Sulla
valutazione della gravità del motivo valuta il Moderatore Supremo con il suo Consiglio.
L’esclaustrazione deve essere chiesta al Moderatore Supremo, il quale può concedere indulto di
esclaustrazione con il consenso del suo Consiglio. Un indulto di esclaustrazione è una grazia.
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Per quanto tempo? Per non più di tre anni. Può essere concesso per un periodo continuato oppure
intervallato: l’importante è che non superi i tre anni. Sull’opportunità o meno della concessione o sul
tempo di concessione, si decide in base alla gravità della motivazione (cura dei propri genitori
ammalati, perché si sente fondatore di una nuova realtà, perché ha dei dubbi sulla propria
vocazione….questi sono i motivi più ricorrenti).
Nel caso si tratti di un religioso chierico, si deve avere anche previamente, il consenso
dell’Ordinario del luogo in cui il professo dovrà risiedere ed esercitare il suo ministero.
Nel caso di dubbi sulla vocazione, il Superiore deve concedere l’esclaustrazione per un periodo che
non sia troppo lungo e poi ci deve essere la nomina di una guida spirituale che guidi la persona nel
discernimento vocazionale. Esempio: per un periodo di 6 mesi, con la possibilità di un rinnovo per
altri 6 mesi.
Un membro che è esclaustrato non gode di voce passiva e attiva all’interno dell’istituto e gli vengono
tolti i diritti e i doveri propri dei membri dell’istituto, così per esempio anche l’abito religioso. Sarà il
decreto di indulto a stabilire tutto questo. Il decreto di indulto può anche stabilire l’obbligo di
trovarsi un lavoro del quale vivere, una casa dove abitare. Non è che l’istituto sia tenuto a
mantenere l’esclaustrato.
L’esclaustrazione, sia imposta che libera, può essere sollecitata dalla Santa Sede (nel caso in cui si
tratti di un istituto di diritto pontificio) e dal Vescovo diocesano (nel caso si tratti di un istituto di
diritto diocesano).
Finito il periodo massimo di 3 anni, c’è la possibilità di chiedere una proroga, ma questa proroga
deve essere sempre chiesta alla Sede Apostolica. L’individuo dovrà fare una domanda scritta e
motivata al Santo Padre, poi il Superiore generale dovrà, con il parere del Consiglio, inoltrare la
domanda del religioso al Santo Padre, accompagnandola con il voto del Superiore (deve esprimersi
sulle motivazioni e sulla opportunità o meno della concessione della proroga chiesta dalla persona +
anche il currculum vitae) e con il voto del suo Consiglio. Se la Santa Sede è di parere favorevole, la
Santa Sede può concedere la proroga, ma sempre per un periodo determinato.
La Santa Sede non concede mai (prassi attuale della Santa Sede) ai singoli Superiori Generali la
facoltà di discernere sulla motivazione per fare la proroga di un indulto di esclaustrazione. È una
forma cautelativa della Santa Sede che vuole sempre verificare bene le motivazioni.
b) esclaustrazione imposta: soltanto la Santa Sede (o il Vescovo diocesano) ha la potestà di
imporre la esclaustrazione a un membro di un IVC o di SVA. La può imporre, normalmente, su
richiesta del Moderatore Supremo. Si devono osservare delle procedure:
1) Il Superiore deve fare una relazione dettagliata sulla persona, sui motivi che la portano a
chiedere la esclaustrazione imposta (deve avere il consenso del suo Consiglio)
2) Si deve anche avvisare la persona in questione che si procederà alla richiesta
dell’esclaustrazione imposta alla Santa Sede e notificare, sommariamente, quali sono le
motivazioni per le quali il Superiore sta chiedendo questa esclaustrazione, concedendo
anche la possibilità di difendersi. Questo è molto importante, perché questa persona ha il
diritto di difendersi, se lo vuole. Una volta che è stato emesso il decreto di esclaustrazione
imposta, la persona ha diritto di fare ricorso.
Nel caso di un istituto di diritto diocesano, l’esclaustrazione imposta deve essere fatta dal Vescovo
diocesano. Nel caso in cui ci fosse discordanza tra la relazione del Superiore e il Vescovo
diocesano….si può fare un ricorso alla Santa Sede, la quale spesso si mette in contatto con la
persona. Se una persona non è d’accordo sul decreto di esclaustrazione imposta, deve obbedire o
deve chiedere la dispensa.
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Il Superiore competente può sempre chiedere la proroga dell’esclaustrazione imposta. La
procedura è la stessa: dovrà informare la persona, darle la possibilità di difendersi, inviare la richiesta
motivata con il consenso del suo Consiglio, inviare il Curriculum vitae, inviare la lettera alla Santa
Sede ecc.. ecc… La Santa Sede può concedere o non concedere quanto il Superiore Generale chiede:
non è obbligata!
USCITA DEFINITIVA DALL’ISTITUTO: RICHIESTA DELLA SECOLARIZZAZIONE E
DISPENSA DAI VOTI
N.B.: Alla scadenza della professione (temporanea), il religioso è del tutto libero di lasciare
giuridicamente l’Istituto e di ritornare nel mondo, poiché i suoi voti sono cessati e anche ogni effetto
ipso facto. Nessuno può trattenerlo, contrastando la sua libertà.
Un religioso può chiedere liberamente di lasciare l’IR, cioè di tornare “al secolo”. Ci sono due tipi:
a) Può essere una richiesta di secolarizzazione fatta da parte di un membro di voti temporanei.
b) Può essere una richiesta di secolarizzazione fatta da parte di un membro di voti perpetui.
a) Richiesta da parte di un membro di voti temporanei. Deve esserci una causa grave e
l’indulto viene concesso dal Moderatore Supremo, con il consenso del suo Consiglio. Nel
caso si tratti di Istituto di diritto diocesano, l’indulto deve essere confermato dal Vescovo
della casa di assegnazione.
b) Richiesta da parte di un membro di voti perpetui. È la Santa Sede l’autorità competente a
concedere la dispensa dai voti perpetui. In quegli istituti in cui c’è la professione definitiva
(quelli che si rinnovano annualmente) è l’autorità interna all’istituto (Moderatore Supremo).
Per concedere l’indulto di lasciare l’Istituto e la relativa dispensa dai voti, come pure da
tutti gli obblighi derivanti dalla professione, ci devono essere cause gravissime, che
devono essere state ponderate dal religioso davanti a Dio.
Ci accorgiamo che il Legislatore, giustamente, ha stabilito una scaletta di gravità:
1) Per assenza dalla comunità: giusta causa
2) Per richiesta di esclaustrazione: grave causa
3) Per dispensa dai voti perpetui: cause gravissime.
Procedura per la richiesta di indulto di lasciare l’istituto: l’istanza, diretta all’autorità competente
deve essere motivata e scritta e va presentata in via gerarchica al Moderatore Supremo e da questo
poi trasmessa, unitamente al suo voto e a quello, distinto, del Consiglio, al Santo Padre. I Superiori
devono verificare che la lettera sia veramente motivata.
Negli Istituti di diritto pontificio, la concessione dell’indulto è riservata alla Santa Sede, negli
istituti di diritto diocesano, la facoltà è anche del VD, in cui è situata la casa di assegnazione.
Can. 692 - L'indulto di lasciare l'istituto, una volta legittimamente concesso e notificato al religioso,
se da lui non fu rifiutato all'atto della notificazione, comporta per il diritto stesso la dispensa dai
voti, come pure da tutti gli obblighi derivanti dalla professione.
Voti perpetui: la dispensa dai voti è riservata alla Santa Sede. Il religioso deve scrivere al Superiore
generale indicando il suo desiderio di uscire e deve anche chiedere al Santo Padre (tramite lettera)
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la dispensa dai voti perpetui. Alle volte scrivono allo stesso Superiore Generale (fanno un’unica
lettera), anche se non sarebbe questa la prassi idonea.
È molto importante verificare bene che la lettera sia veramente motivata!! Non si può mai
accettare una lettera senza motivazioni!! Per la uscita devono esserci motivazioni molto gravi. Deve
dire perché vuole uscire!! Si devono dire quali sono le motivazioni.
È molto importante che insieme alla lettera che scrive la persona che chiede la dispensa dai voti, si
deve aggiungere anche il votum del superiore generale che deve dare un parere sulla persona che
chiede la dispensa (deve fare una sintesi del percorso vocazionale e formativo della persona).
Poi anche si deve allegare, distinto, il votum del Consiglio: anche questo va allegato.
Inoltre si deve anche allegare il curriculum vitae della persona.
Poi la Santa Sede farà le sue valutazioni e poterà concedere o meno l’indulto di lasciare l’Istituto. A
volte la Santa Sede non concede la dispensa: ad esempio se le motivazioni sono insufficienti, oppure
l’età non è adeguata (come può chiedere la dispensa un religioso di 80 anni?), oppure se la richiesta è
semplicemente frutto di una malattia (demenza senile?). Si dovranno sempre verificare bene tutte le
circostanze che sono collegate al caso e alla persona.
L’indulto di lasciare l’Istituto, comporta, per il diritto stesso, la dispensa dai voti e da quel
momento cessano anche tutti i diritti e gli obblighi da parte dell’individuo. Chi esce da un istituto sa
che non deve chiedere assolutamente nulla all’istituto. Ma il legislatore chiede di agire con equità e
carità: che significa? Che se anche la persona non ha diritto a nulla, l’istituto dovrà comunque dare
un aiuto economico per almeno i primi mesi. Chiaramente non si può esigere dall’istituto una sorta
di pensionamento o una mensilità!!
Se un istituto ha l’obbligo di versare soldi per il pensionamento per prestazioni lavorative svolte,
l’istituto li deve elargire anche se il membro esce: il membro che esce ha il diritto al
pensionamento secondo le leggi civili. Gli obblighi civili vanno adempiuti sempre molto bene dagli
istituti, altrimenti poi possono nascere dei grossi problemi in sede civile.
Nel caso in cui la Santa Sede non conceda l’indulto, non è che deve motivare esaustivamente
perché non la concede! Attenzione: una semplice malattia non può essere motivo sufficiente per
chiedere l’indulto di uscita. Un istituto, infatti, ha sempre l’obbligo di curare il membro che si
ammala.
Anche nei casi di malattie gravi psichiche, un istituto deve curare i suoi membri.
Per chiedere la dispensa dai voti ci deve essere sempre la richiesta dell’individuo: non si ammette
che sia il Superiore, per sua libera volontà, a chiedere la dispensa dai voti per uno dei suoi membri!
Mai una dispensa dai voti può essere richiesta dal Superiore!! Se non la chiede liberamente
l’individuo, non può essere concessa nessuna dispensa.
Anche se un religioso vuole incardinarsi nel clero diocesano, deve chiedere la dispensa dai voti.
Può succedere che una persona che aveva chiesto la dispensa dai voti, chieda di essere riammessa
nell’istituto. Può succedere in varie ipotesi:
a) Se la persona era uscita legittimamente al termine del noviziato
b) Se la persona era uscita legittimamente al termine della professione temporanea
c) Sia dopo la professione perpetua cessata con un legittimo indulto
È una possibilità reale che va valutata: chi può essere riammesso? Solo quelli che avevano
validamente lasciato l’istituto (quindi non quelli che erano stati dimessi dall’istituto!): ma si tratta
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sempre di una grazia, di una possibilità: non è mai un diritto quello di chiedere di essere
riammessi nell’istituto!!
Can. 690 - § 1. Chi al termine del noviziato, oppure dopo la professione, è uscito legittimamente
dall'istituto può esservi riammesso dal Moderatore supremo col consenso del suo consiglio, senza
l'onere di ripetere il noviziato; spetterà tuttavia al Moderatore stesso stabilire un conveniente
periodo di prova prima della professione temporanea e la durata dei voti temporanei prima della
professione perpetua, a norma dei cann. 655 e 657. § 2. Della stessa facoltà gode il Superiore di un
monastero sui iuris, con il consenso del suo consiglio.
Se una persona chiede di essere riammessa, non deve rifare di nuovo il noviziato, ma dovrà
trascorrere un tempo di prova (l’istituto deve decidere quanto deve durare questo tempo congruo).
La problematica per la quale la persona aveva chiesto di uscire dall’istituto, è stata superata oppure è
ancora latente?? Ciò va verificato.
LA DIMISSIONE DEI RELIGIOSI
La dimissione può essere di tre tipi diversi:
1) Dimissione ipso facto: si verifica nel momento in cui la persona commette un determinato
delitto (molto grave). Automaticamente non è più membro dell’istituto. Sono due i casi:
a) chi attenta o contrae matrimonio. (lo contrare il professo non chierico di voti
temporanei)
b) chi abbandona notoriamente la fede cattolica con i delitti di apostasia, eresia, scisma.
In questi casi basta avere la prova certa che il fatto è veramente accaduto. Non c’è bisogno di
nessuna conferma da parte della Santa Sede: la dimissione è ipso facto!! Non serve nessun decreto
di conferma! La dimissione è automatica. Pe l’efficacia giuridica della dimissione ipso facto non vi è
bisogno di alcuna formalità. Tuttavia il Moderatore supremo è invitato a raccogliere le prove, giusto
per avere una dichiarazione autentica del fatto.
2) Dimissione obbligatoria: è il Legislatore che obbliga il Superiore a procedere alla
dimissione. Il Superiore deve agire contro l’individuo, per evitare dei mali peggiori. In questo
senso il legislatore rimanda al libro VI sui delitti (can. 1395 §2 - 1397-1398). Una volta
ottenute le prove, il Superiore deve notificare all’individuo il delitto che ha commesso, sia
le prove che sono in suo possesso, affinché la persona possa difendersi. La persona ha il
diritto naturale di difesa. Questo diritto non può mai essere negato!
3) Dimissione facoltativa. Sono i casi più ricorrenti. Ci vuole un processo molto preciso e
accurato. Quali sono i motivi per una dimissione facoltativa?
Le cause devono essere gravi, esterne, imputabili, comprovate giuridicamente.
Il canone riporta alcuni esempi: ripetute violazioni dei voti, disobbedienza ostinata o
pertinace ai Superiori in materia grave, grave scandalo derivato dal comportamento del
religioso, l’adesione pubblica ad ideologie inficiate da materialismo e ateismo, l’assenza
illegittima dalla casa religiosa per più di 6 mesi o altri motivi gravi che il diritto proprio abbia
stabilito. La disobbedienza deve essere sempre oggettivamente provata. Deve essere sempre
molto chiara qual è l’imputazione che si fa al disobbediente! Si deve sempre anche dare il
diritto alla difesa! Tra la prima e la seconda ammonizione canonica devono sempre
passare più di 15 giorni. È importante rispettare il tempo: si deve concedere eventualmente
il tempo alla persona di ravvedersi, di cambiare atteggiamento. Se non si sono rispettati questi
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tempi, automaticamente il processo è nullo. E tra la seconda ammonizione e il decreto di
dimissione devono ancora passare almeno altri 15 giorni!
Attenzione: una volta iniziato il processo di dimissione, lo si deve portare fino in fondo, fino alla
fine! Non ci si può fermare a metà strada! Una volta iniziato il processo di dimissione, deve essere
portato a termine, perché altrimenti la ammonizione data non ha più senso e dunque il
Superiore viene a perdere tantissimo in autorevolezza e in credibilità!
È fondamentale il diritto alla difesa! Nel decreto dell’ammonizione si deve sempre dire per iscritto
che esiste il diritto alla difesa! Il tempo a quo decorre dal momento in cui la persona riceve il
decreto. Per questo è sempre molto importante avere la prova della data della ricezione! Ecco
perché si mandano le raccomandate con avviso di ricevuta.
Attenzione: tra la prima ammonizione e la seconda, i motivi non devono cambiare!! A volte, a causa
di questi pasticci, viene dichiarata la nullità del decreto di dimissione. E l’autorità, facendo questi
pasticci, perde molta credibilità. È sempre molto importante fare bene le cose sin dall’inizio.
Problema: quando non si riesce a trovare da nessuna parte la persona che si deve dimettere, che si fa?
Si deve andare dalla polizia a fare una denuncia per scomparsa?
Che cosa si può fare quando non ci arriva la posta? Quando il corriere perde la lettera? O comunque
quando la posta non arriva?
Ci sono altri modi di agire: si può inviare alla Curia diocesana, chiedendo che si convochi la
persona per ricevere la lettera dinanzi a due testimoni. E poi bisogna fare il verbale.
Oppure altra modalità: tre membri dell’istituto si recano presso la persona e gliela consegnano a
mano. E poi fanno un verbale della avvenuta consegna. Attenzione: non devono leggere dinanzi
alla persona la lettera! Non è mai compito di chi consegna la lettera leggerla o addirittura
commentarla!! Sempre evitare commenti a quello che c’è scritto nella lettera!!
Quando la lettera la ricevono i famigliari, spesso questi non aiutano a trovare la persona, perché
quasi sempre vogliono proteggere a oltranza il proprio famigliare. Anche se sanno dove si trova,
spesso fanno finta di non sapere. Ma non per questo il processo si deve fermare. Nel caso in cui non
si sappia dove sia finita una persona, allora si fa un EDITTO, cioè si pubblica un avviso sulle
bacheche di tutte le ultime case religiose dove il religioso è vissuto. Infatti si presuppone che la
persona abbia l’obbligo della residenza, quindi il dovere di stare nella casa religiosa senza
allontanarsene senza permesso. EDITTO: il Superiore delle comunità religiose in cui è vissuto
ultimamente il soggetto, è obbligato a esporre la lettera nella bacheca per più di 15 giorni,
gavvisando altresì i membri della comunità che se qualcuno sapesse dove si trova il tizio è obbligato
a dirlo. Passati i 15 giorni, il Superiore della comunità deve redigere un verbale, che poi sarà
presentato alla Santa Sede con tutte le altre carte.
Chi è il competente per fare la dimissione? È il superiore maggiore immediato, che sarebbe il
superiore provinciale, il quale, udito il suo Consiglio, inizia il processo di dimissione all’interno del
quale si esprimono due monizioni fatte a distanza di 15 giorni l’una dall’altra.
Se il religioso da dimettere non retrocede obbedendo a quanto indicato nelle monizioni, il
superiore provinciale invia la relazione di ammonizione al Moderatore Supremo, il quale agisce
con il suo Consiglio, formato, per la validità, da almeno quattro membri.
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Se, collegialmente, decidono di dimettere il religioso emanano un decreto che deve essere
confermato dalla Santa Sede, perché la dimissione è valida solo se c’è la conferma della Santa
Sede.
Con la legittima dimissione cessa l’obbligo di osservare i consigli evangelici, insieme anche a tutti
gli obblighi e i diritti della vita religiosa.
Se il religioso dimesso è anche sacerdote, il religioso viene sospeso a divinis, e quindi non può
esercitare il suo sacerdozio, finché non trova un Vescovo benevolo che lo accolga in diocesi e lo
incardini nella Diocesi: altrimenti è sospeso.
Can. 703 - In caso di grave scandalo esterno o nel pericolo imminente di un gravissimo danno per
l'istituto il religioso può essere ESPULSO dalla casa religiosa immediatamente, da parte del
Superiore maggiore oppure, qualora il ritardo risultasse pericoloso, dal Superiore locale col
consenso del suo consiglio. Se è necessario, il Superiore maggiore curi che si istruisca il processo
di dimissione a norma del diritto, oppure deferisca la cosa alla Sede Apostolica.
Nel caso di GRAVE SCANDALO ESTERNO o PERICOLO IMMINENTE E GRAVISSIMO, il religioso può
essere espulso immediatamente dalla casa religiosa dal Superiore locale.
Dalla casa religiosa, non dallo stato religioso! Lo può fare con il consenso del suo Consiglio. Poi lo
deve comunicare al superiore maggiore. Poi il superiore maggiore inizierà un processo di dimissione
a norma del diritto universale.
GLI ISTITUTI SECOLARI
Le norme sono semplici e facili. Leggere da soli.
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