Subido por Nora Sforza

Le tre donne di Alvise Cornaro - (Nora Sforza)

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Le due donne di Alvise Cornaro
Nora Sforza (FFyL-UBA)
Lungo la sua estesa vita, il nobile mecenate Alvise Cornaro (Venezia, 1484 – Padova,
1566) scrisse una serie di trattati in volgare (e non più in latino) il cui obiettivo era cercar di
spiegare la ricetta secondo la quale era possibile raggiungere la longevità in ottime
condizioni psico-fisiche. In un’epoca di aspre discussioni riguardanti lo studio delle
caratteristiche fisiologiche degli individui e dei modi possibili di conservare la salute per
raggiungere la vecchiaia in piena salute, il Cornaro ci presenta lo svolto più discreto di un
Rinascimento abituato, invece, all’edonismo nonché all’esaltazione dei sensi.
Il presente lavoro intende dimostrare il modo in cui il Cornaro, membro “contestatario”
della nobiltà veneziana, presenta nei suoi scritti quest’altro modo di condurre una vita che
neghi gli eccessi ed esalti quella sobrietà che in qualche maniera preannuncia certe
trasformazioni che la società veneziana porterà avanti soprattutto sin dal secolo XVII,
quando deciderà di abbandonare la lagura per penetrare nel bucolico mondo dell’entroterra.
Abstract
El noble mecenas Alvise Cornaro (Venecia, 1484 – Padua, 1566) escribió a lo largo de su
extensa vida una serie de tratados en italiano (y no ya en latín) dedicados a explicar la
receta según la cual era posible llegar a la longevidad en óptimas condiciones psico-físicas.
En una época de ásperas discusiones que giraban en torno al estudio de las características
fisiológicas de los individuos y de los modos posibles de conservar la salud para alcanzar la
vejez en plena forma, Cornaro nos presenta la arista más discreta de un Renacimiento
acostumbrado, en cambio, al hedonismo y a la exhaltación de los sentidos.
El presente trabajo pretende demostrar de qué manera Cornaro, miembro “contestatario” de
la nobleza veneciana, presenta en sus escritos esta otra manera de conducir una vida que
niegue los excesos y exalte una sobriedad que de alguna manera preanuncia ciertas
transformaciones que la sociedad veneciana llevará adelante principalmente a partir del
siglo XVII, cuando decidirá de abandonar la laguna para penetrar en el bucólico mundo del
entroterra.
Summary
Alvise Cornaro (Venice, 1454- Padua, 1566) was a noble maecenas who wrote throughtout
his long life a serie of treatises (not in Latin but in Italian) in order to explain the best recipe
for reaching optimum longevity both in psychological and physical conditions.
At a time of heated arguments as regards the study of human physiology and which were
the best possible ways to lead a healthy life in order to reach old age in shape, Cornaro
shows us the most prudent side of Renaissance, a period that was marked by hedonism, an
age when everyone gave way to passion.
1
This work tries to prove the way Cornaro, who was a rebellious member of Venetian
nobility, shows as he sees it this method to lead a life renouncing to all kind of excess in
order to praise restraint and soberness. A way of living that in a way predicts the change
that Venetian society was about to embrace on the XVII century by leaving the pond
behind to enter in the bucolic world of the “entroterra”.
2
A mamma, Mariquita, Mammina e
“Meka”, in memoriam.
“Donna non vidi mai, simile a questa.”
Ruggiero Leoncavallo, Domenico Oliva, Marco Praga,
Giuseppe Giacosa, Luigi Illica, Giulio Ricordi e
Giacomo Puccini, Manon Lescaut (1893)
Da persona a personaggio
“L’ordine insegna le discipline più
facilmente. L’ordine rende l’esercito
vittorioso, e finalmente l’ordine mantiene
le Città, le Famiglie e i Regni stessi.”
Alvise Cornaro, Trattato della Vita Sobria
(1558)
“Pure quando la libertà della cultura del Rinascimento era in pieno auge, altri
sviluppi testimoniavano un forte interesse per l’ordine che si manifestava in diversi luoghi e
a diversi livelli di esperienza.”1 Con queste parole, lo storico statunitense William J.
Bouwsma (1923-2004) spiegava la sua particolare visione del tardorinascimento, momento
in cui, secondo lui, si organizzarono le basi di una vera e propria “cultura dell’ordine”.
Bouwsma affermava che in quel periodo si andò costruendo quello che egli stesso definiva
come un “io” riordinato, il quale doveva realizzare degli sforzi davvero titanici per poter
controllare le svariate passioni e del corpo e dello spirito che allora -come ora- trascinavano
l’individuo verso gli “abissi dei sensi”. Certamente, molti sarebbero gli esempi in proposito
1
Bouwsma, William J., El otoño del Renacimiento. 1550 – 1640. Barcelona, Crítica, 2000, p. 195.
3
che potremmo ricordare in questa sede2; tuttavia, centreremo il nostro intervento in un
personaggio
-eventualmente
“periferico”
nel
ricchissimo
contesto
della
cultura
rinascimentale italiana, ma allo stesso tempo “centrale” nello sviluppo della vita culturale
veneta del secolo XVI- come lo è stato Alvise Cornaro (¿1482? ¿1484?3-1566), veneziano
di nascita, ma padovano per propria elezione.4
Orbene, perché mai scegliere come oggetto di analisi letteraria un uomo di simili
caratteristiche? Perché focalizzare la nostra indagine negli scritti di un personaggio che è
ben lungi dal rappresentare un modello letterario vero e proprio? La risposta, pur destando
ancora in noi certe perplessità, si cimenterebbe, innanzitutto, nel fatto di pensarlo come
colui che, grazie alla sua committenza5 contribuì allo svilppo del lavoro drammaturgico ed
attorale del geniale Angelo Beolco, il Ruzante (Pernumia, nei pressi di Padova, 1502? 2
Cfr., per esempio, il “Saggio IV”: “Come l'anima riversa le sue passioni su oggetti falsi quando i veri le
vengono a mancare ” del Libro I dei Saggi di Michel de Montaigne (1588).
3
Le variazioni intorno alla sua data di nascita sorgono, in realtà, dagli stessi testi del Cornaro. In essi, egli
modificherà più volte la sua età, sempre desideroso di far conoscere ai suoi amici e conoscenti la sua ricetta
della prolongatio vitae.
4
Sebbene appartenesse ad un’antichissima famiglia del patriziato veneto, egli non riuscì mai ad essere
riconosciuto veramente nobile, dato che le severe autorità veneziane, consideravano che in realtà Alvise
apparteneva ad un ramo cadetto della suddetta famiglia, e che, quindi, non poteva usufruire delle prerrogative
proprie della nobiltà. La “saga” della nobile, ma non tanto ricca famiglia Cornaro ci risulta alquanto
interessante, non soltanto perché nella lunga storia del dogarato veneziano essa diede ben quattro dogi alla
Repubblica (Marco, 1305-1368; Giovanni I, 1625-1629; Francesco, 1656 e Giovanni II, 1709-1722), ma
anche per la presenza che essa sarebbe riuscita ad avere nel mondo dell’arte. Pensiamo ad esempio ai suoi
rapporti con Pietro Bembo (Venezia, 1470-Roma, 1547), autore de Gli Asolani (1505), opera dedicata a
Lucrezia Borgia, nella quale il Bembo immagina un dialogo nella villa di Caterina Cornaro (Venezia, 1454ivi, 1510). Questa, bisnipote del doge Marco Cornaro e già vedova di Iacopo II Lusignan, re di Cipro, dovette
cedere il suo regno alla Repubblica Veneta, ragion per cui si ritirò nella sua splendida dimora di Asolo, dove
seppe rinnovare gli antichi fasti della sua perduta corte nel cui giardino il Bembo avrebbe fatto rappresentare
la suddetta opera. Prima di morire, Caterina diede in eredità la villa a suo fratello Giorgio e, dopo la morte di
costui, ai suoi figli Marco -futuro cardinale fatto tale dal papa Alessandro VI Borgia, e a chi Ruzante avrebbe
dedicato la sua Prima Oratione- e Francesco. Nel 1513, Giulio II farà Marco vescovo di Verona e, nel 1517,
Leone X Medici gli assegnerà il vescovato di Padova, del cui patrimonio sarà amministratore proprio Alvise
Cornaro.
5
Nella sua lettera allo Speroni del 2 aprile 1542, il Cornaro farà, ancora una volta, un suo interessante
“autoelogio”, questa volta mostrando la sua veste di mecenate: “... et ho, facendo la roba, fati richi molti miei
fatori, e molti miei servitori, e sempre ho con lo mio iovato alli leterati, alli musici, alli architeti, alli pitori,
alli scultori, e simili.” In Alvise, Cornaro, Scritti sulla vita sobria. Elogio e lettere. Prima edizione critica a
cura di Marisa Milani. Venezia, Corbo e Fiore Editori, 1983, p. 142.
4
Padova, 1542),6 e poi, nel ricordare l’utilizzo che il Cornaro seppe fare del genere
epistolare, come mezzo per diffondere, fra volute incoerenze cronologiche,7 seduzioni
narrative e imposizioni normative, le sue idee intorno alla da lui definita “vita sobria”.
In effetti Alvise, profondo conoscitore sin dalla fanciullezza degli studia
humanitatis, fu inoltre un grande studioso di igiene, agricoltura, idraulica ed architettura
civile e teatrale. Questi poliedrici saperi, del resto tipici della propria natura dell’uomo
rinascimentale e di un “intellettuale miscelaneo” -se ci si consente quest’anacronismo-,8
acquisiti lungo tutta la sua lunga esistenza, lo porteranno a cercar di costruire dentro di se ed intorno a sé- un mondo assolutamente ordinato, regolamentato, disciplinato, seguendo in
questo senso gli ideali normativi della cultura controriformistica, mentre, suo malgrado
“gli uomini per il più sono molto sensuali e incontinenti, e vorrebbono saziare tutti i
loro appetiti e far sempre infiniti disordini.”9
6
Durante la sua vita universitaria, e cioè prima ancora dell’epoca della sua amicizia con Ruzante, Alvise
aveva formato parte della “compagnia teatrale”, dei Zaridinieri, una delle compagnie della calza, più
importanti dell’area veneta, composta da attori dilettanti, generalmente appartenenti tuttavia ai settori del
patriziato.
7
“La coerenza cronologica, tante volte considerata condizione sine qua non dell’odierna autobiografia, appare
appena appena nella scrittura moderna in prima persona.” Cfr. Amelang, James, S., El vuelo de Ícaro. La
autobiografía popular en la Europa Moderna. Madrid, Siglo XXI, 2003, p. 112.
8
“Il moderno termine ‘intellettuale’, che indica non una qualità, ma una categoria di persone, entra in uso
molto tardi, nella Francia di fine Ottocento con il Manifeste des intellectuels (dove un gruppo di scrittori si
proclamava solidale a Zola a proposito dell’affaire Dreyfus). Cfr. Fumagalli Beonio Brocchieri, Mariateresa,
“L’intellettuale”. In Fumagalli Beonio Brocchieri e Garin, Eugenio, L’intellettuale tra Medioevo e
Rinascimento. Bari, Laterza, 1994.
9
Cornaro, Alvise, Trattato de la Vita Sobria (1558). In Di Benedetto, Arnaldo (a cura di), La Vita Sobria.
Milano, TEA, 1993, p. 43.
5
Verso la compostezza della vita
“E par quasi, che la morte
sbigottita dal terrore di quella acuta
spada de la sobrietà, che vi vede in mano,
tanto più da voi s’allontani, quanto più
agi ‘altri s’avvicina.”
Lettera dedicatoria del Citolini ad Alvise Cornaro premessa
al Diamerone di Valerio Marcellino (10 luglio 1564).10
In un’epoca di aspre discussioni filosofiche intorno alle vere caratteristiche
fisiologiche degli individui e al modo in cui bisognava provvedere al mantenimento della
salute e del corpo e dello spirito, Alvise presenta nel suo esteso epistolario (nonché nei suoi
trattati, e perfino nelle diverse versioni del suo stesso testamento), il volto più discreto e
composto di un Rinascimento abituato allora ai grandi banchetti ed alla libera esaltazione
dei sensi.
Certo è che la gastronomia legata all’idea della festa in senso ampio occupava una
della pagine più solari con cui gli uomini del Rinascimento si dedicarono a spiegare la loro
cosmovisione. In effetti, in un universo culturale retto da un’impronta fortemente
edonistica, la ricercata ed abbellita descrizione di banchetti, ricette, preparazione di feste ed
altri elementi in stretto rapporto ai piaceri della tavola era, in effetti, quantitativamente e
qualitativamente importante. Basti pensare ad alcuni dei testi redatti in questo periodo -ben
valgano qui a modo di esempio gli appunti probabilmente scritti da Leonardo da Vinci,
oppure il famoso trattato del ferrarese Cristoforo da Messisbugo, già scalco presso la corte
Estense, Banchetti, composizioni di vivande e apparecchio generale, pubblicato nel 1549-, i
10
Il Flaminio. Rivista quadrimestrale di studi vittoriesi. N° 9 – 1996. Pubblicata dalla Comunità Montana
delle Prealpi Trevigiane.
6
quali tuttora mantengono la loro attualità, consultati come sono da cuochi, medici,
farmacisti, studiosi di cerimoniale ed altri adetti ai lavori.
Tuttavia, quel contesto fortemente sensuale del Rinascimento, aprirà la strada -in
modo particolare a partire dall’enorme strage materiale, emotiva e simbolica prodotta del
Sacco di Roma, nel 1527-, ad una fase di maggiore introspezione e di perdita di buona parte
di quella solarità che aveva maggiormente caratterizzato il Quattrocento ed il primo
Cinquecento. A partire da allora, e grazie anche alla volontà regolatrice della politica
controriformistica, gli uomini cercheranno di autoimporsi una certa disciplina o,
all’incontrario, tenteranno di esaltare ancora di più il loro edonismo. Fra i primi,
indubbiamente i testi cornariani rappresentano degli esempi di grande valore, non soltanto
perché in essi egli seppe esaltare le svariate bontà della vita di campagna -costruendo cosí
una sorta di rapporto letterario speculare con le commedie dialettali del suo nunzio,
familiare e amico Angelo Beolco-, ma perché, per mezzo dei suoi scritti egli riuscì anche a
creare nuove forme di sapere: infatti, i suoi trattati, redatti non più in latino ma in italiano,
contribuirono ad aprire la strada alla nuova prosa scientifica in volgare, la quale, qualche
decennio più tardi, sarebbe stata magistralmente e definitivamente istituita, costruita e
affermata da Galileo Galilei.11 In effetti, se Alvise fu un noto latifondista che dedicò buona
parte della sua lunga esistenza a costruire e mantenere le reti sociali necessarie a ridare alla
11
Ricordiamo che, per il critico romano Alberto Asor Rosa, Galileo Galilei – tra l’altro intimamente legato
all’ambiente universitario padovano- con il suo Il saggiatore, scritto fra il 1620 ed il 1623 come risposta ad
un’opera del gesuita Orazio Grassi, Libra astronomica ac philosofica, pubblicato dal suo autore sotto lo
pseudonimo di Lotario Farsi, “conferma l’abbandono [...] della lingua tradizionale dell’esposizione scientifica
e l’uso elevato e sistematico dell’italiano, o per meglio dire, del toscano. Questi assume un maggiore valore
culturale se si pensa che le opere italiane di Galilei furono spesso tradotte all’estero in latino, ciò che gli
consentì più facilmente una circolazione soprannazionale.” In Asor Rosa, Alberto, Historia de la literatura
italiana. Vol. 2. Siglos XV, XVI y XVII (2000). Buenos Aires, Asociación Dante Alighieri de Buenos Aires,
2007, p. 367.
7
sua famiglia il perduto patrimonio e la antica nobiltà, non son meno certi i suoi interessi
legati alla diffusione dei più svariati argomenti: dall’idraulica all’architettura -civile e
persino teatrale12-; dalla “medicina dilettante” -per dirla con le sue stesse parole- ai consigli
per raggiungere la longevità in modo salutare. Tuttavia, Cornaro sarà finalmente ricordato
soprattutto per i suoi testi dediti a spiegare e a difendere la sua “ricetta”, secondo la quale
era possibile raggiungere la longevità in ottime condizioni fisico-psichiche, vivendo una
“vita sobria”. Malgrado questo, è pur vero che, almeno fino al XIX secolo, la sua fama si
cimentò piuttosto sui suoi scritti di architettura ed idraulica13, mentre che, la riscoperta
critica del Beolco, contribuì ad accrescere lo studio della sua opera, finché, una rinnovata
visione dei suoi testi permise che, molti studiosi della vecchiaia (fra cui medici, farmacisti e
scientisti sociali), si riunissero, a partire dal 1995, nella città di Padova, per fondare il
Centro Studi “Alvise Cornaro”, il quale ogni anno premia, all’interno di un convegno di
studi di gerontologia, la cosiddetta “vecchiaia di successo”.14
Addio alla Crapula; benvenuta Continenza
“O misera e infelice Italia, non t’avedi che la
crapula t’ammazza ogni anno tante persone
che tante non ne potrebbono morire al
tempo di gravissime pestilenze né di ferro o
di fuoco in molti fatti d’arme?”
Alvise Cornaro, Trattato de la Vita Sobria
(1558)
12
In questo senso, si veda il suo progetto teatrale per il bacino di San Marco, scritto da Cornaro intorno al
1560.
13
Si ricordino, fra altri, il suo Trattato di architettura (1537 – 40?) ed il suo Trattato di acque (1566).
14
In questo senso, ricordiamo fra i premiati la senatrice Susanna Agnelli, il mezzosoprano Giulietta
Simionato ed il regista cinematografico Mario Monicelli (1995), la dottoressa Rita Levi Montalcini, già
Premio Nobel di Medicina (1998); il direttore d’orchestra Peter Maag (2000); la cantante Nila Pizzi (2002);
l’attrice Gina Lollobrigida (2003); il medico Luc Montaigner, notevole ricercatore nel campo dell’AIDS
(2005) e, infine, la direttrice cinematografica Lina Wertmüller (2006).
8
Dopo una gioventù non proprio ordinata (almeno da quanto si desume dai suoi stessi
scritti), profondamente legata ai suoi anni di studente di giurisprudenza nell’ateneo
padovano, e, come abbiamo già accennato, ai suoi rapporti con il dilettantismo teatrale delle
compagnie delle calze, Alvise incomincerà, intorno al 1522, la sua conversione alla “vita
sobria”, anche se passeranno ancora molti anni prima che egli si decidesse a darla a
conoscere, prima fra i suoi amici e conoscenti e poi, pubblicamente, grazie alle edizioni
imprese del suo Trattato de la vita sobria. In esso, egli spiegava le caratteristiche di ciò che
andava definendo come il “suo metodo”, capace di allungare salutevolmente la vita degli
uomini. Cosí, dopo aver espresso queste sue idee anche in svariate lettere, il Trattato… sarà
stampato per i tipi di Gratioso Percacino, a Padova, nel 1558, mentre altri tre scritti sullo
stesso argomento verranno pubblicati negli anni 1561, 1563 e 156515, essendo l’edizione
integrale dell’opera quella del 1591, la quale, tuttavia, escludeva la cosiddetta Aggionta al
Trattato de la Vita Sobria. Tutti questi testi avranno un notevole successo, tanto che, nei
secoli XVII e XVIII saranno tradotti al francese, al tedesco, all’inglese, al russo, e perfino
al latino, lingua quest’ultima che lottava ancora, come abbiamo visto e malgrado lo
sviluppo e l’affermazione delle lingue volgari, per mantenere la supremazia nella redazione
di testi di stampo scientifico e saggistico.16
A partire da allora, sia il suo Trattato..., dedicato dal Cornaro al predicatore
francescano Cornelio Musso (Piacenza, 1511-Roma, 1574), non a caso attivo partecipante
15
L’edizione del 1565, pubblicata a Padova da Gratioso Perchacino s’intitolava Amorevole essortatione...
nella quale con vere ragioni persuadendo ognuno a seguire la vita ordinata e sobria affine di pervenire alla
lunga etate nella quale l’huomo può godere tutte le gratie et beni che Iddio per sua bontà a’ mortali si degnò
concedere.
16
Vidi Bouwsma, William J., El otoño del Renacimiento 1550 – 1640. Barcelona, Crítica, 2000, pp. 27-28.
9
alle sedute del Concilio di Trento17, che le lettere che Alvise scriverà a vari fra i suoi amici
e membri della sua famiglia, gireranno intorno a quest’argomento, ormai divenuto una vera
e propria ossessione. In essi il Cornaro facendo uso di una lingua alquanto lineare, ma in un
punto estremamente ripetitiva, ci si presenterà come un vero e proprio crociato. Pur essendo
talvolta conscio dell’inutilità dei suoi sforzi, tuttavia insisterà più volte nel suo proposito
didascalico e, utilizzando ogni tanto i consueti toni petrarcheschi, tanto amati dal gusto del
suo tempo, e riportando degli esempi provenienti dall’Antichità,18 inciterà gli uomini a
cambiare le loro sbagliate consuetudini alimentari, al tempo che cercherà di dare una
spiegazione generale ai mali che afliggevano l’Italia dell’epoca. Cosí, per esempio, nella
lettera che, datata 2 aprile 1542, egli invierà al celeberrimo letterato padovano Sperone
Speroni degli Alvarotti (1500-1588), alla tristezza provocata dalla recente morte del loro
comune amico Ruzante, unirà il suo desiderio di insegnare il modo di ordinare quelle
sregolatezze provocate dalle passioni
“Io cercho per trovare modo che gli miei amici credano che gli desordeni del corpo
che fan gli huomeni, fan morire essi huomeni ioveni. Io gelo dico e essi non me lo credono e pur se
non per desordeni se ne moreno e tengono me in questa infelicità, ne la quale son hora e più che mai
fusse per la morte del nostro carissimo messer Ruzzante (sic).”19
17
La dedica di Alvise a Musso non è per niente innocente, in particolare se ricordiamo la forte opposizione
del primo riguardo il protestantesimo in generale e Martino Lutero in particolare, cosa molto presente nei suoi
testamenti (soprattutto quello del 1555, momento di grande fervore controriformistico).
18
“Oltre a ciò i sopradetti sensuali dicono che la vita ordinata è vita che non si può fare. A questo si risponde:
Galeno, che fu sí gran medico, la fece e la elesse per la miglior medicina; la fece Platone, Marco Tullio,
Isocrate e tanti altri grandi uomini delli tempi passati, i quali per non tediare alcuno non nominerò.” Cornaro,
Alvise, Trattato de la vita sobria..., op. cit., p. 44.
19
Cornaro, Alvise, “Lettera a Sperone Speroni del 2 aprile 1542.” Pubblicata da Carpeggiani, Paolo in
Cornaro, Alvise, Scritti sull’architettura. Padova, Centro Grafico Editoriale, 1980, pp. 66 – 67.
10
Sarà proprio il ricordo del commediografo deceduto, la “scusa” utilizzata da Alvise
per esporre all’altro amico, le caratteristiche del suo “programma” ed i benefici dell’ordine
sulla salute delle persone
“[la suddetta morte] harebe amazato ancora me per lo estremo dolore se essa
potesse amazare un huomo ordinato, prima che pervengi alla etade di novanta anni. Ma non ha
potuto perché lo ordine ha fato me immortalle20 e ha fato che di etade de cinquanta oto anni io sia se
non di trentacinque e ogni dì fa esso ordine che uno infermo con solo ordine si risana.”21
Questo schema di pensiero, questa volontà di far circolare dei precetti scritti con
parole praticamente “calcate” fra uno scritto e l’altro, si ripeterà quasi ad infinitum nelle
altre epistole cornariane, redatte a posteriori di questa, ed indirizzate a diversi membri della
più importante cerchia di intellettuali veneti della sua epoca, molti dei quali frequentavano
regolarmente l’Odeo, “fabrica honestamente bella, ma perfettamente commoda”. Questo
vero e proprio locus amoenus, fatto costruire intorno al 1524 dallo stesso Cornaro d’intesa
con il suo amico e familiare, l’architetto Giovanni Maria Falconetto (Verona, c. 1468Padova, 1535) nei pressi della sua dimora padovana fu sede di riunioni in cui si discutevano
non soltanto questioni teoriche intorno ai più svariati argomenti, ma persino si mettevano in
scena rappresentazioni teatrali e musicali, il più delle volte allestite dallo stesso Ruzante e
la sua brigata di “buoni compagni.” Indubbiamente, la formazione umanistica di Alvise, ed
il suo amore per i classici, lo portarono a concepire questo spazio -il quale oggi potremmo
20
Nell’epistola sicuramente inviata da Alvise al Cardinale Ranuccio Farnese nell’inverno del 1555, Cornaro
chiarirà quest’idea la quale, in principio, provoca nel lettore una forte perplessità. In effetti, lì, il nostro autore
dirà che “è necessario che lo huomo mori per ordine di Dio” idea che ripeterà più tardi, nella sus “Lettera per
essere scrita a diversi duchi et mandata con il tratato della vita sobria”, probabilmente datata nel 1559.
Ambedue i testi completi si trovano in Lippi, Emilio, Cornariana. Studi su Alvise Cornaro. Padova,
Antenore, 1988, pp. 184 e sgg.
21
Cornaro, Alvise, Lettera a Sperone..., op. cit., p. 67.
11
ben chiamare “multifunzionale”- come una vera imitazione delle antiche ville romane, nel
quale l’architettura consente di “prolungare la vita degli uomini”. “L’architettura è dunque
complemento essenziale di quella ‘santa continenza’, di quella ‘sacrosanta vita sobria’
ordinata, che assicurano una lunga vita e ‘sollazzi’, non solo dello spirito, anche in tarda
età.”22
Tuttavia, e malgrado questi poliedrici interessi cornariani, una delle questioni
magari più curiose degli suoi scritti è proprio che, forse per rafforzare le sue idee intorno
alla longevità, in nessun caso è possibile esser certi della sua vera età, la quale verrà da lui
sempre cambiata, a seconda del destinatario dei suoi testi. Ciononostante, possiamo farci
un’idea della circolazione capillare delle sue idee, ogni volta che ricordiamo i nomi dei
suddetti destinatari, tutti appartenenti, come abbiamo detto, alla cerchia di “intellettuali” di
più spicco legata allo Studio padovano. Cosí, per esempio, nella lettera a Domenico
Morosini, datata il 4 maggio 1454, Alvise tornerà ancora una volta a ripetere ciò che aveva
già detto allo Speroni nel ’42, centrandosi ancora di più sulla sua storia personale, presa
come modello da imitare, e su una feroce critica ai medici del suo tempo, e, in modo
particolare, a quelli provenienti dall’ateneo padovano
“Vi notifico, signore, che in questa mia bella età de 75 anni io son sanissimo e asai
prosperoso, seben la natura mi generò di debole complessione e con uno stomacheto frigidissimo e
humidissimo, et perché io non dovesse vivere se non alla età deli 35 infin li 40 anni, come fu
iudicato da molti medici, i quali, vedendomi infermo e pieno di diverse infirmità incurabili, cosí
iudicorono causate dalla mala complesione mia e dal tristissimo stomaco, ma sopra tuto dalli infiniti
22
Bruschi, Arnaldo, “L’Odeo ‘fabrica honestamente bella, ma perfettamente commoda’, nella ‘casa’ di Alvise
Cornaro.” In AA.VV., Angelo Beolco detto Ruzante. Atti del IV Convegno Internazionale…, op. cit., p. 306.
Cornaro compose la prima redazione del suo Trattato d’Architettura nel 1554; la seconda e ultima è
posteriore al 1556.
12
desordeni fati da me. Pur, io son vivo e sanno in questa de 75, e molto più sano che non era in
quella delli 25 anni, et questo ha operato per la vita ordinata e sobria che non per morire così iovene
deliberai tenere, intendendo dalli medici che altra medicina non mi poteva giovare; la quale vita non
solamente me ha tenuto sano il corpo e ben purgato da tristi umori,23 ma ancora me ha giovato al
cervello e tenuto in cervello, liberandolo da fumi del stomaco che lo soleno tenire fora di
cervello.”24
Orbene, qual è l’”ordine” al quale fa costantemente riferimento il nostro autore? La
varietà dei suoi destinatari non lascia tuttavia spazio per pensare a diverse “ricette”: le sue
“donne” saranno le incaricate di portare avanti le trasformazioni da lui ambite
“si può possedere uno paradiso terrestre dopo la età delli ottanta anni, [...]; ma non
si può possedere se non con il mezzo della santa Continenza e della virtuosa Vita Sobria, amate
molto dal grande Idio, perché sono nemiche dil senso e amiche della ragione.”25
Cosí, Alvise proporrà sempre questa sorte di triade della salute: mangiar poco, bere poco e
mantenere scarsi rapporti sessuali. Come si può osservare, al Cornaro interessa soprattutto
il poter trasmettere le sue idee, come parte di un programma che potremmo considerare
23
Come si può osservare, Alvise, centra parte della sua spiegazione fisiologica nella cosiddetta “teoria degli
umori” o “umorale”. Questa, i cui fondamenti risalgono a Empedocle (Agrigento, c. 495/490-435/430 a.C.) ed
Ippocrate (Coo, c. 460-Larissa, prima del 377 a. C.), spiega che il corpo è formato da quattro umori (liquidi)
in equilibrio fra di essi: il sangue, la flemma, la bile gialla e la bile nera, chiamata anche malinconia. Ogni
umore è dotato dalle sue proprie caratteristiche e qualità, e si corrispondono alle stazioni della terra, all’età
dell’uomo, allo spazio, ai segni dello zodiaco. La proporzione in cui gli umori sono combinati diferisce da un
uomo all’altro, e costituisce la sua propria complexio o temperamentum. La prevalenza di uno di questi umori
sugli altri determina certi caratteri o “temperamenti”: quello bilioso , quello flemmatico, quello sanguineo e,
infine, quello malinconico. In rapporto ai problemi provocati da una dieta inefficace, è interessante ricordare
in questa sede la classifica della follia, fatta da Teofrasto Bombasto von Hohenheim (Paracelso) (1495-1541),
chi definiva i pazzi “vesani” come coloro la cui malattia derivava da un’alimentazione sbagliata e dalla scelta
di bevande pure esse sbagliate. Riguardo alla questione della proporzione e caratteristiche degli umori nel
corpo umano, vide Lewis, Clive Staples, La imagen del mundo. Introducción a la literatura medieval y
renacentista (1964). Madrid, Península, 1997, pp. 133 – 136.
24
Cornaro, Alvise, “Lettera a Domenico Morosini del 4 maggio 1554.” In Lippi, Emilio, Cornariana... Op.
Cit., p. 180.
25
“Lettera scritta dal Magnifico M[esser] Alvise Cornaro al Reverendiss[imo] Barbaro, Patriarca eletto di
Aquileia.” In Cornaro, Alvise, La vita sobria. A cura di Arnaldo Di Benedetto. Milano, TEA, 1993, p. 82.
13
“etico-alimentare”, basato principalmente sulla sua propria esperienza, in cui le teorie
scientifiche accettate “ufficialmente” dalle comunità accademiche, valgono poco o niente.
Si osservi, inoltre, l’uso dell’”io” narrante,26 utilizzato dal nostro autore in tutti i suoi scritti,
come mezzo per convincere tutti i destinatari dei suoi scritti -quelli veri, ai quali egli
indirizzava la sua corrispondenza, e quelli possibili, i quali magari sarebbero venuti a
sapere dei suoi propositi in un secondo tempo- riguardo i suoi obiettivi. Cosí, parafrasando
ciò che Michel de Montaigne avrebbe detto soltanto alcuni pochi decenni più tardi all’inizio
dei suoi Saggi, anche Cornaro è, proprio lui l’argomento stesso dei suoi scritti27
“È da sapere, reverendissimo signore, che più cala la forza e il calore al suo
stomaco e più si infrigidisse, ma pur per lo caldo della estate e per la forza del sole è più sustentato
il calore a tal stomaco, siché po degerire lo suo ordinario cibo; ma perché lo fredo del verno fa
contrario effeto, tal stomaco non po degerire quella stesa quantità, et la parte indigesta si converte in
tristi humori e tiene tal vechio indisposto, e alla fine lo amala [...] me consigliai con li medici, i
quali concluseno che tanta parte de cibo che semase, che tanta prosperità e forza semerei al corpo
mio, perché la indespositione mia procedea dal multiplicare delli anni e non dal tropo cibo; [...]. E
per non parere più medico di loro e per compiacere alli miei e alli amici, lo cresei, unde fra pochi dì
io me amalai, e di infirmità sì grande come era stato grande il desordine, [...]. Pur, medicandomi da
me, a modo mio, naturalmente, e non al suo, me risanai; e ritornando la està, cresei il cibo allo
ordinario, et lo verno seguente volsi ancora a semarlo e da loro fui sconsigliato, unde me amalai
ancora, [...]. E per non amalarmi questo terzo [invierno], lo ho semato, [...].”]28
Alvise farà sempre manifesta la sua mordace ed ironica critica contro la scientificità
e contro il principio di autorità utilizzato dai medici per imporre i loro metodi terapeutici
26
Riguardo la questione dell’autobiografia e dell’estesa tipologia di testi scritti in prima persona durante l’Età
Moderna, vidi Amelang, James. S., El vuelo de Ícaro. La autobiografia popular en la Europa Moderna.
Madrid, Siglo XXI Editores, 2003
27
“Cosí, io stesso sono l’argomento del mio libro.” Montaigne, Michel de, “Lettera dell’Autore al Lettore del
12 giugno 1589.” In Saggi completi I. Buenos Aires, Orbis, 1984, 1984, p. 3.
28
Cornaro, Alvise, “Lettera ad ecclesiastico.” En Lippi, Emilio, Cornariana... Op. Cit., p. 185.
14
“essi non san consigliare in vita ordinata e sobria et è ben raggionevole che non
sapiano, perché la sua sientia è fondata tuta sopra la desordinata e crapula, che la ordinata non ha
bisogno né de medici né di medicine, ma solamente de ordeni naturali.”29
e insisterà nel suo elogio alla vecchiaia e alla possibilità certa degli uomini di morire
senza male, grazie ad un ordine che è pure, in ultima analisi, frutto della ragione, tale e
quale lo scrisse allora ad un eclessiastico, la cui identità resta per noi -almeno finora- ignota
“... et alora l’huomo muore per resolutione, senza male. E questo avenirà a me, ma
prima che questo a me avenga, è necessario che io di anno in anno, a poco a poco, vadi perdendo
deli miei sentimenti, sicome l’humori perderano della sua virtù. E perduti queli, per non poter
caminare, mi metterò alo leto e finirò in quelo, senza noglia né despiacere, sendo fine hordinario e
naturale, e non sforciato e violente come è quello dela morte non naturale ananti tempo; et sicome
quello è dispiacevole, teribile e orendo, cossì questo mio sarà piacevole e quieto e desiderabile, [...].
E ragionevolissima cossa, e naturale e necessaria, è il morire, perché, quando la madre natura me
produse, io, per nasere, promesi de morire, e mancando con dolermi del pato, mancherei dela
promessa, et cossí ala ragione.”30
Come si può osservare nei brani trascritti supra, il nostro autore presenta la
possibilità di raggiungere una cura naturale dei mali del corpo, dovuti questi agli eccessi
nell’alimentazione, mentre, allo stesso tempo, egli nega che, per acquisire e conservare una
tale salute, occorra l’intervento di un medico. Per lui, allora, “la santa continenza” e “la
divina ragione” sono i due elementi che devono aiutare gli uomini ad avvicinarsi all’ordine
ed alla sobrietà. In questo senso, un’altra sua lettera, questa volta indirizzata a Daniele
Barbaro (Venezia, 1514-ivi, 1570), storico ufficiale della Serenissima, trattatista, mecenate
29
30
Ibídem, p. 185.
Cornaro, Alvise, “Lettera ad ecclesiastico.” En Lippi, Emilio, Cornariana... Op. Cit., pp. 208 – 209.
15
e patriarca electo31 di Aquileia, ci avvicina ad una definizione globale del pensiero di
Alvise
“... si può possedere uno paradiso terrestre dopo la età delli ottanta anni, il quale
possedo io; ma non si può possedere se non con il messo della santa Continenza e della virtuosa
Vita Sobria, amate molto dal grande Idio, perché son nemiche dil senso e amiche della ragione. [...]
Ma l’uomo non volo lasciare il senso né il gusto né l’appetito, là onde more avanti tempo.”32
IV.
“Mi único propósito en la
publicación de todos mis libros ha
sido siempre hacer algo útil con mi
trabajo. Y caso de no conseguirlo,
por lo menos no dañar a nadie.
Tenemos ejemplos de grandes hombres
que abusaron de su saber para servir
a sus pasiones.”
Erasmo di Rotterdam, Risposta a Martín Dorp
(1515)
Abbiamo già visto alcune fra le tante e tanto estese lettere che il Cornaro scrisse a
partire dal 1542. Ma, quale fu la vera ricezione delle sue idee di ordine e sobrietà fra i
destinatari delle sue epistole? Fino a che punto possiamo credere o meno ad Alvise ogni
volta che si lagna della mancanza di attenzione dei suoi amici, ostinati a mantenersi nella
vita disordinata e nella crapula? In questo senso, impossibile non ricordare la risposta ad
una lettera perduta di Alvise, scritta con squisito e fine umore e sottilissima ironia da
Sperone Speroni, venti anni dopo di quella in cui Cornaro aveva espresso il suo dolore di
fronte alla, allora, recente morte di Ruzante. In effetti, il celebre autore del Dialogo delle
lingue, redasse a Roma il 22 febbraio 1562 -no a caso in epoca di Carnevale, e quando lo
Speroni aveva ormai superato i sessant’anni di età e si vantava di aver vissuto di maniera
31
Vale a dire successore dell’allora patriarca di Aquileia.
Cornaro, Alvise, “Lettera scritta dal Magnifico M[esser] Alvise Cornaro al Reverendiss[imo] Barbaro,
Patriarca eletto di Aquileia.” In La vita sobria, op. cit., pp. 82 - 89.
32
16
assolutamente contraria a quella promossa dall’amico-, una specie di epistola “contro” la
sobrietà, in chiara risposta alle insistenti ragioni di Alvise
“La vita sobria non si può dir sana, perché la sanità è uno accidente [...]. Dunque se
nella vita sobria non può essere infermità, non può essere sanità.”33
In questa amichevole contesa, non mancheranno gli esempi tratti dalla mitologia, i
quali sono cui capovolti dall’incisiva vena speroniana
“dovete sapere che quando Giove, Nettuno e Plutone si partirno il mondo a Giove
toccò il cielo, et per conseguente la vita humana perciò che l’anima nostra vien dal cielo, et a
Nettuno toccò il mare, et a Pluton l’inferno; di queste parte se dolsero Nettuno e Plutone. Nettuno
perché il mar non si navigava onde veniva a essere dio di pesci, et non d’altro. Plutone perché si
viveva all’hora nove cento, et mille anni onder era gran solitudine nell’inferno. Giove si contentò
che li homini impazzissero et cominciassero a morir non pur in terra ma in mare, et questa fu la
satisfatione di Nettuno; volse anco che la nostra vita si abreviasse, et non potendo ciò fare durando
la vita sobria deliberò di fulminare non Esculapio, ma sotto il nome di Esculapio la vita sobria, et
cosí la estinse; onde subito l’inferno divene più populato della terra et furno poco spatio più li morti
che li vivi. Dunque se V. M. resuscitasse la vita sobria tornerebbono al mondo le brighe che già vi
furno con pericolo di desolation del mondo, et di ridurlo un’altra volta in quel chaos dal quale Dio
ne guardi; et mi ricordo haver letto che li homeni, parlo de’ savii, si dolsero a Giove di questo
danno fatto alla humana generatione dell’haversi cosí abreviata la vita con uccider la sobrietà, et
volevano pur tornar a viver almen loro, se non il vulgo, quelle tante centinaia d’anni che si viveva al
tempo di Matusalem, et Giove disse loro che la sententia fatta non si poteva mutare...”34
È interessante osservare come, anche se Speroni indubbiamente dubita dei consigli
di Alvise e critica umoristicamente l’ossessione di costui, in ultima analisi, pure lui centra il
suo discorso, nella questione di un ordine che ben potremo chiamare “rovesciato”
33
Speroni degli Alvarotti, Sperone, “Lettera a Alvise Cornaro del 22 febbraio 1562.” In Lippi, Emilio,
Cornariana..., op. cit., pp. 34 e sgg.
34
“Littera de M. Speron Speroni al S.r Alvise Corner”. In Cornaro, Alvise, Scritti sulla vita sobria. Elogio e
lettere..., op. cit., p. 205.
17
“Che se la vita sobria comanda che si mangi tanto e non più né manco, e di tai cose
ed a tal ora, e non più tardi o più per tempo, non bisogna dunque mai digiunare, né mai far cosa che
possa interrompere questo ordine: né studiare, né camminare, né combattere per la patria; perché,
ciò facendo, s’interrompe l’ordine de’ cibi e qualità di essi, e il tempo del mangiare.”35
Tuttavia, e magari a mo’ di scusa per quello che aveva affermato nella lettera del
‘62, Speroni scriverà un’altra epistola al Nostro -della quale però non si conserva la data-,
presentando, anche questa volta con grande sottigliezza, le ben meritate lodi alla vita sobria
“Dissi male in una lettera della sobrietà [...]. Io era cieco nell’intelletto, non
conoscendo quanto io peccassi in scriver lettera cosí cattiva: ed ora, non senza grazia di Dio, credo
esser mosso a disdirmi [...] non solamente veggio il mio errore, ma veggio chiaro tutte le laudi di
questa rara virtù: e se cosí bene le saprò scrivere, come io le miro e distinguo tra me, spero di
operare in lei non men di gloria scrivendo, che voi facciate esercitandola”36
per lasciare definitivamente in chiaro, il trionfo dell’ideale personale ed universale
di Alvise, almeno nella lettera...
“Il non sobrio noce a sé ed a’ suoi più cari ed a’ popoli ed a’ regni [...]. La sobrietà
[...] ci farà sani, divoti, utili a casa nostra e a tutti i prossimi della città, diligenti ne’ nostri ufficci.”37
V. A modo di conclusione
In un momento in cui si cercava incesantemente l’ordine dell’universo e quello del
microcosmo umano, come forme di creare nuove norme disciplinari dopo lo scoppio della
Riforma religiosa, è interessante osservare la modernità dell’argomento trattato da Cornaro
35
Ibidem, p. 36.
Speroni degli Alvarotti, Sperone, “Lettera a Alvise Cornaro” (senza data). In Lippi, Emilio, Cornariana...,
op. cit., p. 37.
37
Ibidem, p. 44.
36
18
e del genere epistolare da lui utilizzato con l’oggetto di diffondere capillarmente le
informazioni che desiderava presentare ai suoi interlocutori diretti e indiretti. Malgrado la
sua -a delle volte- pedante insistenza e ad una certa dose di egocentrismo, il fatto è che,
Alvise, per mezzo di un linguaggio chiaro e preciso, caratteristico di molti dei testi che
alcuni decenni più tardi avrebbero inaugurato la moderna prosa scientifica italiana, riuscì a
(ri)sistemare un programma di medicina naturale, anticipandosi cosí a tanti trattati di
medicina della prima Modernità, al tempo che si sforzava ostinatamente di avviare le
passioni -proprie e altrui-, tale come cercava di farlo, in un contesto più generale, il
programma culturale del tardorinascimento.
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