al realismo magico. Approccio evolutivo alla formazione di un genere

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PARAGRAFO
RIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI
Paragrafo
Rivista di Letteratura & Immaginari
pubblicazione semestrale
Redazione
FABIO CLETO, DANIELE GIGLIOLI, MERCEDES GONZÁLEZ DE SANDE,
FRANCESCO LO MONACO, FRANCESCA PASQUALI, VALENTINA PISANTY,
LUCA CARLO ROSSI, STEFANO ROSSO, AMELIA VALTOLINA
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STEFANIA CONSONNI
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Questo numero è pubblicato con il contributo del
Dipartimento di Lettere, Arti e Multimedialità dell’Università di Bergamo
© Università degli Studi di Bergamo
ISBN – 978-88-95184-10-0
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Stampato da Stamperia Stefanoni - Bergamo
Paragrafo
II (2006)
Sommario
QUESTIONI
§1. ANDREA BELLAVITA, L’emersione del Reale. Perché una psicoanalisi
del cinema contemporaneo?
7
§2. ANDREA MICONI, Dal real maravilloso al realismo magico.
Approccio evolutivo alla formazione di un genere
27
FORME
§3. CLAUDIO CATTANEO, Cornici per un assassinio. I confini del testo
in Libra di Don DeLillo
51
§4. MASSIMO VERZELLA, Embers di Christopher Hampton e la traduzione della malinconia
69
§5. ENRICO LODI, La retorica del potere nei discorsi del primo franchismo
83
TEMI
§6. SILVIA ULRICH, Gli eredi di Felix Krull. Dai ‘falsi’ di Wolfgang
Hildesheimer alle imposture del caso Gert Postel
105
§7. FRANCESCA PAGANI, Dal ‘cielo stellato’ di Mallarmé alle ‘bolle
d’inchiostro’ di Reverdy. L’immaginario del libro magico nella
poesia francese della modernità
121
LETTURE
§8. LUCIA QUAQUARELLI, La vittoria di un’onda. Palomar di Italo
Calvino
135
§9. VALENTINA LOCATELLI, Christa Wolf, una moderna Medea in
California
149
I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO
169
NUMERI ARRETRATI
171
§
2
Andrea Miconi
Dal real maravilloso al realismo magico
Approccio evolutivo alla formazione di un genere
I. “Dopo il boom latinoamericano”, scrive Homi Bhabha, “il realismo magico diviene il linguaggio letterario del mondo postcoloniale emergente”:1
il reincanto della cultura moderna, come in tanti hanno detto, fermentato
proprio nella semi-periferia del sistema. Perché qui, recita un celebre passaggio di Carpentier, ci si ritrova “a contatto quotidiano con quello che
potremmo chiamare il reale meraviglioso”, “patrimonio dell’America intera, dove non si è ancora finito di fissare […] un inventario di cosmogonie” – il continente, insomma, dei licantropi e della fonte della giovinezza, di avventurieri che cercano la città d’oro, ribelli da leggenda e semidei
che mutano in animali.2
Poi, vuole il caso che real maravilloso venga tradotto con realismo magico (anziché con realtà meravigliosa, che propriamente significa), e l’errore, una volta tanto, ha una sua utilità: perché sottolinea (involontariamente, è chiaro) lo scarto tra le condizioni socioculturali (la realtà) e la
loro traduzione letteraria (il realismo). E allora, qui vale la domanda di
sempre: il realismo magico è davvero una forma inscritta nella storia del
subcontinente? Date determinate condizioni dello spirito, non era possibile immaginare altro, un po’ come si è detto dell’Europa moderna e del
romanzo, o del mondo premoderno e dell’epica? No, non si poteva im1
Homi K. Bhabha, “Introduction” (1994), in Homi K. Bhabha (a cura di), Nation and
Narration, trad. it. a cura di Mariella Pandolci, Narrazione e narrazione, Roma: Meltemi,
1997, p. 41.
2
Alejo Carpentier, El reino de este mundo (1949), trad. it. di Angelo Morino, Il regno di
questo mondo, Torino: Einaudi, 1990, pp. viii-x. Anche se attribuita solitamente a Carpentier, l’espressione fu usata già nel 1925 dal critico d’arte Franz Roh, e ricorre poi in diversi
autori: Rodolfo Usigli, Itinerario del autor dramático, 1940; Alvaro Lins, O romançe brasileiro contemporáneo, 1944; Artuto Uslar Petri, Letras y hombres de Venezuela, 1948.
PARAGRAFO II (2006), pp. 27-48
28 /
ANDREA MICONI
maginare altro, se si crede che una forma appaia quando il corso della
storia ha già tracciato la mappa delle vie percorribili – e spesso lo si crede
ancora, nella storiografia letteraria. Sì, eccome, se si crede ad una storia (e
mica solo letteraria) diversa: ad una storia materialista, se il termine ha
ancora un valore. Perché la qualità letteraria, come scrive Roberto
Schwarz del romanzo brasiliano, dipende sì dalle condizioni storicosociali: ma in modi inattesi, e mai prevedibili.3
Una dialettica tra forma e società, ancora: ma aperta alla varietà delle
soluzioni possibili. Lo scopo di questa analisi, modellata sull’approccio
darwiniano proposto da Franco Moretti,4 è tentare una nuova articolazione del campo letterario, che renda giustizia alle tante strade cercate dal
romanzo latinoamericano del boom, e spieghi, fin dove possibile, perché il
realismo magico emerga come versione dominante.
II. Ad applicare il paradigma evoluzionista alla storia della cultura, scrive
Luigi Luca Cavalli Sforza, il guaio peggiore è che non sappiamo quali
“sono gli equivalenti del gene”; il che ci pone, in sostanza, “allo stesso
punto in cui si trovava la genetica prima di scoprire che il DNA è la struttura fisica responsabile dell’eredità”.5 In altre parole, se il processo di evoluzione per adattamento sembra intuitivamente applicabile alle forme
culturali, resta il grande dilemma di quale sia l’elemento soggetto a mutazione. Al di là del problema generale, su cui naturalmente non ho alcuna
risposta, la premessa è che in questo caso è più semplice individuare l’elemento sensibile – appunto il magico, per come si manifesta, o non si manifesta, nei diversi testi. Ora, nessun dubbio che raramente un unico elemento morfologico ha una centralità nell’equilibrio di un genere letterario, come l’evento razionalmente inspiegabile nel realismo magico (o, per
altri versi, come l’indizio nel crime novel studiato da Moretti); si tratta, al
momento, di un limite di applicazione notevole, su cui cercherò di tornare in conclusione.
La produzione letteraria tende a differenziarsi, in una sorta di lotta per
3
Roberto Schwarz, Misplaced Ideas. Essays on Brazilian Culture, London-New York:
Verso, 1992, p. 84.
4
Franco Moretti, “L’evoluzione letteraria”, Nuova Corrente, 35:102, 1988, pp. 215-38;
Id., “The Slaughterhouse of Literature”, Modern Language Quarterly, 61:1, 2000, pp.
207-27; Id., La letteratura vista da lontano, Torino: Einaudi, 2005.
5
Luigi Luca Cavalli Sforza, L’evoluzione della cultura. Proposte concrete per studi futuri,
Torino: Codice, 2004, pp. 67-68.
DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO
/ 29
la sopravvivenza: l’ambiente – per quanto qui mi interessa, il mercato internazionale del libro – porta alla selezione di una varietà, e alla sua codifica in un genere (qui, il realismo magico). Così facendo, si considera il
campo letterario come un ecosistema: uno “spettro di variazioni”, in cui,
specie “quando un genere è agli inizi, e nessuna convenzione si è ancora
affermata come centrale, lo spazio delle forme è aperto di solito agli esperimenti più diversi”;6 in cui, insomma, ogni autore cerca, più o meno casualmente, la sua strada, finché la forma più adatta si afferma, e sopravvive alle altre. La “canonizzazione del ramo minore” di Šklovskij, con quello che in Šklovskij mancava: il come, e il perché, avvenga la selezione.
E allora: si sceglie un campione di testi (qui, 135 romanzi, tradotti in
Europa nell’arco di circa mezzo secolo), e si costruisce una ‘morfosfera’,7
che misura le variazioni dell’elemento sensibile (qui, l’episodio magico),
come mostra il primo diagramma.
Primo livello: assenza e presenza dell’elemento magico.8 Primo bivio, e
primo dilemma: perché, se in oltre la metà del campione (72 romanzi su
135: e sono tutti testi tradotti in Europa, vale la pena ripeterlo) l’elemento
magico è assente, questo vuol dire che qualcosa non torna, nell’ipotesi di
6
Franco Moretti, La letteratura vista da lontano, cit., p. 96.
“L’universo semiotico”, scrive Jurij Lotman, “può essere considerato un insieme di testi e di linguaggi separati l’uno dall’altro [ma] è più feconda l’impostazione opposta. Tutto
lo spazio semiotico si può considerare infatti come un unico meccanismo […]. Ad avere
un ruolo primario non sarà allora questo o quel mattone, ma il ‘grande sistema’ chiamato
semiosfera”. Jurij M. Lotman, Vnutri mysljascih mirov: celovek-tekst-semiosfera-istorija
(1985), trad. it. a cura di Simonetta Salvestroni, La semiosfera. L’asimmetria e il dialogo
nelle strutture pensanti, Venezia: Marsilio, 1992, p. 58. Ecco, a me interessa esattamente
l’aspetto opposto: il ventaglio delle variazioni, e non la sintesi complessiva delle strutture
di senso. Quanto ai guai procurati dall’uso delle categorie di sintesi, nelle scienze della
cultura, prima o poi bisognerà occuparsene seriamente.
8
E quanto all’origine del diagramma, alla radice dell’albero? Da dove proviene, esattamente, l’elemento magico soggetto a mutazione? Dalla lunga durata della cultura orale?
Dall’impianto del surrealismo? Una risposta precisa, al momento, è difficile darla; me la
caverò dicendo che, da un punto di vista metodologico, quelli su cui ho lavorato sono alberi “senza radice”, che, in quanto tali, “non danno alcuna indicazione riguardo all’origine
– cioè la suddivisione o ramificazione iniziale” (Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi
e Alberto Piazza, Storia e geografia dei geni umani, Milano: Adelphi, 1997, p. 59). Dato
che l’elemento magico, di per sé, non è certamente un fattore nuovo, lavorare in termini
evolutivi significa qui isolare un certo periodo storico, e verificare la differenziazione
morfologica, senza affrontare il problema della sua origine. Un albero senza radice, appunto: si parte dal recupero e dalla ri-funzionalizzazione del tema magico, e si arriva alla
codifica del nuovo genere – ma da dove provenga l’elemento sensibile, questo è davvero
difficile stabilirlo.
7
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ANDREA MICONI
Diagramma 1 - Il magico nel romanzo latinoamericano
partenza. Di certo, l’analogia tra realtà meravigliosa e realismo magico subisce qui un duro colpo: a partire da una comune condizione di fondo,
insomma, è evidente come le vie del romanzo siano forse non infinite,
ma certamente plurali – e come, anzi, sia proprio la differenziazione a
spiegare la storia letteraria, ben più dell’omologia. Da una parte il magico:
il bagliore dei Caraibi; i luoghi estremi delle Ande; i cronotopi epici del
deserto e della foresta. Dall’altra la pressione degli stati nazionali; le aperture dialogiche; le forme realiste o sperimentali – che, non a caso, si spazializzano per lo più nelle grandi città. In altre parole, l’albero – che è un
modello di evoluzione temporale – incontra qui un principio di organizzazione spaziale, che lo spacca in due: incontra quella discontinuità geografica che è alla base dell’adattamento, e dell’evoluzione. Nelle grandi città,
il romanzo latinoamericano impara una lingua europea (la struttura del
Bildungsroman; la soluzione di compromesso dell’indiretto libero; il
chiasso della polifonia urbana); ma altrove, nell’ebbrezza delle coste o nel-
DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO
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l’isolamento dell’entroterra, si appropria di quello che resta del magico, lo
rifunzionalizza, e lo restituisce al mercato letterario.9 “La città la fa finita
con il sertão”, dice il narratore di Guimarães Rosa; azzera il tempo mitico
dei banditi e dei demoni: e se non fossimo così abituati a cercare una sintesi, nella storia della cultura, potremmo vederla così, come un conflitto
tra due spazi letterari, con le proprie forme e la propria implicita volizione di mondo. E che qui la partita finisca diversamente, rispetto alla storia
del grande romanzo europeo – che premia il realismo e poi lo sperimentalismo urbano, mettendo ai margini l’estetica gotica delle frontiere – è
una conferma della varietà delle cose, ma è anche segno che alla letteratura latinoamericana, nell’economia simbolica del mercato mondiale, sarà
affidato un compito molto diverso.10
Secondo bivio: l’elemento magico è presente, ma è soltanto evocato
dal narratore, o da un personaggio. La magia, qui, non fa propriamente
parte della storia: qualcuno ne parla, spunta in un aneddoto, il narratore
la inserisce in un inciso, ma niente più – il magico è nell’aria, ma nessuno
ha ancora capito come trattarlo.
Partiamo dal primo caso: l’evocazione al presente. Le allusioni mitologiche in Arguedas; un breve dialogo su misteriose creature (Juan Carlos
Onetti, La vita breve); un riferimento ai riti di guarigione, che però non
si sa bene se siano davvero efficaci (Jorge Icaza, Huasipungo); un aneddoto
sulle streghe, tanto per riempire una conversazione (José Donoso, L’osceno
uccello della notte): esempi di come la soluzione sia a portata di mano, ma
arrivarci non è poi così semplice (caso estremo, quello dei fatti inspiegabili di Adolfo Bioy Casares: si aspetta per tutto il romanzo una risposta magica, che regolarmente non arriva).
Secondo caso: l’evocazione del magico come forza del passato. Come
nella Ricerca del giardino di Hector Bianciotti, che associa la magia agli
9
“Da qui ha origine il fenomeno che contraddistingue la società e la cultura ispanoamericana fino ai nostri giorni: la netta divisione, cioè, tra il clima sofisticato della città e
l’arretratezza e il conservatorismo culturale delle aree rurali”, che “mantenevano un contatto soltanto saltuario con il mondo al di fuori dell’America. In tali zone sopravvissero
antiche forme letterarie, che avevano le loro radici nell’Europa medievale”. Jean Franco,
An Introduction to Spanish-American literature (1969), trad. it. di Guglielmina Zucchino,
Introduzione alla letteratura ispano-americana, Milano: Mursia, 1972, pp. 13, 17.
10
Naturalmente, una categoria residuale (assenza di elementi magici) che occupi il 50
per cento e più del campione è del tutto inaccettabile: si tratta di una spaccatura più netta
tra due filoni romanzeschi, e ciascuno dei due andrebbe – andrà – studiato per le sue caratterizzazioni in positivo.
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ANDREA MICONI
“echi di un passato ormai impersonale”, incarnandolo nella figura più arcaica, la vecchia nonna del protagonista (nel Cavaliere insonne, Manuel
Scorza darà lo stesso ruolo alla vedova Félix). O, più infelicemente ancora, come nella Misteriosa scomparsa della marchesina di Loria, di José Donoso, dove la protagonista si trasferisce in Europa, e le allusioni al magico
(le “carte del destino delle serve negre”) accompagnano sempre le rievocazioni del passato in Nicaragua – una spaccatura così netta tra i due mondi, e così poco incantata, da stonare decisamente, in clima postcoloniale.
Terzo bivio: il magico è presente nella storia, ma non manifesto. Cosa
che accade appena due volte, peraltro: in Terre del finimondo di Jorge
Amado, dove uno stregone governa gli elementi dal profondo della foresta, e nell’Arpa e l’ombra di Alejo Carpentier, dove il fantasma di Cristoforo Colombo appare, ‘invisibile’, per assistere alla causa (fallita) della
sua beatificazione. Al di là della bassa ricorrenza, è anche questa una conferma della grande imperfezione dell’edificio: è chiaro a molti che l’elemento magico ha una sua importanza, ma non si sa bene come usarlo, e
si finisce per metterlo da una parte, al di fuori delle vicende degli uomini.
Quarto bivio: il magico è presente, attivo nella storia, manifesto, ma
compare soltanto in un satellite, o ‘riempitivo’ della narrazione. Se questa
soluzione ricorre a sua volta in pochi casi, è probabilmente perché nel romanzo del boom c’è, in assoluto, una chiara prevalenza dei nuclei rispetto
ai satelliti (e questo è un tema da sviluppare, non c’è dubbio). In Mascarò
di Haroldo Conti, ad esempio, l’evento magico – un rito per placare la furia del mare – occupa lo spazio di un episodio minore; in Io, il supremo, la
spiegazione mitica del mondo appare, ma persa nel flusso degli argomenti.
Quinto bivio: il magico occupa il centro della scena, ma è localizzato
soltanto in un personaggio. Al livello successivo, come si vede, questo caso viene sviluppato nelle due varianti possibili, a seconda che la magia
(incarnata in un personaggio, in una manifestazione, in un episodio) sia
vista come cosa normale o come cosa inaccettabile. In alcuni casi, i poteri
magici sono infatti percepiti come anormali: santoni che scatenano la repressione militare e la guerra civile; bambine internate come streghe;
donne che attraversano le barriere del tempo. Un bel pasticcio: perché il
magico è presente, non c’è dubbio, ma incarnato in una figura deviante,
come i fantasmi o i licantropi di tanti racconti europei. Un pasticcio, intendo, perché il magico visto come un’anomalia è un dato ovvio, a cui il
pubblico occidentale è già abituato da tempo: la familiarità con le figure
del mito, con la consapevolezza, sotto sotto, che non ci si può credere fino
DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO
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in fondo. Ecco, un magico così poco reale non aggiunge nulla, all’orizzonte di aspettative del lettore: un’arma spuntata nelle mani del narratore.
Come vincere la lotteria, e smarrire il biglietto.
Più curiosa, e infatti assai rara, è la soluzione alternativa: il magico è
incarnato in un personaggio – un monaco volante; uno stregone; un
grottesco cavaliere invisibile – ma tutti gli altri lo accettano come se fosse
una cosa normale. Una specie di correzione in corsa: incarnare la magia in
un solo personaggio significa associarle lo stigma dell’eccezionalità, decentrarla – però evidentemente c’è la sensazione che la cosa non funzioni, e
si cerca di recuperare facendola passare come una prerogativa sì rara, ma
tutto sommato accettabile (e quanta imperfezione, anche qui).
Cinque bivi, che portano via l’85% del campione: magico assente; solo nominato; non manifesto; sacrificato nei riempitivi; localizzato. Eppure, al di là della prima diramazione, quella più radicale (e che andrà studiata a parte, va da sé), il magico è presente in tutte le storie: ma perché
non è sufficiente? Perché questi appaiono come rami minori?
Non certo perché queste soluzioni narrative, di per sé, fossero insufficienti, questa è la risposta: ma solo perché hanno trovato avversari più
forti. È il senso stesso di un modello ispirato alla lotta per la vita, mi pare:
mostrare come la dimensione di mercato non sia una caratterizzazione
posticcia della storia letteraria – prima la creazione, e poi la circolazione –
ma la sua vera, principale ragione. In altre parole, il primato di un’opera
non è nell’incarnare lo spirito del tempo (l’anima e il mondo; la forma e
l’idea), ma nel rappresentarlo meglio della concorrenza.
E chi ci riesce meglio della concorrenza, qui, è visibile al punto 11,
dove l’elemento magico è presente, attivo, distribuito nella storia, e diffuso in una grande varietà di personaggi e di situazioni, al punto da essere
esso stesso la normalità. Un magico, per così dire, oggettivo: non dilaniato
dal dubbio, e non compromesso dalle ideologie; e che infatti, nella più
parte dei casi, è calato in una struttura narrativa fortemente monologica.
Non più un fatto magico a sé, insomma: ma una realtà in cui esistono il
patto con il diavolo e la lievitazione, la resurrezione dei corpi e l’apparire
delle divinità; dove gli eroi combattono per centinaia di anni, i vivi parlano con i morti, e i veggenti intrecciano il destino del mondo.
Tante strade possibili, si era detto all’inizio: ed è così, prima tante vie
erano percorribili, e ognuna probabile come le altre. Ma poi uno guarda
la categoria del magico diffuso, e in una ventina di titoli trova Cent’anni
di solitudine, Foglie morte, Grande sertão, Il ladrone, Il regno di questo mon-
34 /
ANDREA MICONI
do, Pedro Páramo, Uomini di mais, Vento forte, Teresa Batista stanca di
guerra, La casa degli spiriti – trova, in breve, il cuore del boom latinoamericano, e allora si dice che no, non tutte le strade erano percorribili allo
stesso modo; ma saperlo prima, non è cosa di questo mondo.
Un magico diffuso, ho detto, o anche ambientale: perché non solo avvolge l’intero spazio della narrazione, manifestandosi in personaggi diversi, ma è accettato da tutti, e si presta a spiegare in sé il corso della storia.
Come la meravigliosa serie di carabattole di Cent’anni di solitudine: la profezia del bambino con la coda di maiale, il fantasma di Prudencio Aguilar
e le carte di Pilar Tenera; e poi cantastorie che vivono duecento anni e sacerdoti che galleggiano in aria, il funerale sotto una pioggia di fiori, la peste dell’insonnia e le maledizioni, fino alle profezie di Melquiades, che
riavvolgono la storia mentre si alza il vento che distrugge Macondo.
A voler cercare un genere prossimo, siamo nella categoria di ‘meraviglioso puro’ fissata da Todorov, e precisamente nella variante del ‘meraviglioso esotico’, in cui “si riferiscono avvenimenti soprannaturali senza
presentarli come tali”,11 come nel Milione e nelle Mille e una notte, e questo perché non c’è alcun “motivo di metterli in dubbio”. Un mondo dove
la magia è normale, e dove semmai è la normalità, a rivestirsi di mistero:
“la resurrezione di un morto non provoca la minima sorpresa”, scrive Vargas Llosa di Cent’anni di solitudine, “mentre il laboratorio di dagherrotipia provoca a José Arcadio il massimo stupore: […] per raccontare una
resurrezione il narratore si trasferisce sul piano della realtà oggettiva, per
raccontare una fotografia, sul piano dell’immaginario”.12 Al termine di
questo straniamento, insomma, la spiegazione magica è diventata la norma: ho la facoltà di presentire le cose, dice un personaggio dolente di Miguel Angel Asturias, “ma beninteso, codesta facoltà ce l’hanno in molti”
(Uomini di mais, “Maria Tecún”, XVI).
E così Carpentier: “Tutti sapevano che l’iguana verde, la farfalla notturna, il cane sconosciuto, il pellicano inverosimile erano semplici trave11
Tzvetan Todorov, Introduction à la litterature fantastique (1970), trad. it. di Klersy
Imberciadori, La letteratura fantastica, Milano: Garzanti, 1977, p. 58. Il modello di Todorov (strano puro; fantastico strano; fantastico meraviglioso; meraviglioso puro, diviso in
iperbolico, esotico e strumentale) è certamente la migliore tassonomia disponibile sul tema. Il suo limite, tuttavia, è il limite di tutte le tipologie, ovvero quello di prevedere in sé
tutti gli sviluppi possibili – mentre a me, come detto, interessa la tensione tra la differenziazione delle forme, e la selezione codificata nel canone.
12
Mario Vargas Llosa, García Márquez: historia de un deicidio, Barcelona: Barral, 1971,
p. 572.
DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO
/ 35
stimenti. Dotato del potere di trasformarsi in ruminante, in uccello, pesce o insetto, Mackandal visitava di continuo le fazende”.13 Ce l’hanno in
molti; tutti sapevano… Una magia diffusa nell’ambiente: che inebria i
personaggi; rende le donne irresistibili e i guerrieri invincibili; spiega le
leggi della storia; intreccia il passato al futuro; punteggia le vicende con la
successione struggente delle piogge e dei giorni. Lukács, Problemi di teoria del romanzo:
[nel realismo fantastico] realistico è il modo di scrittura, il disegno preciso
dei particolari necessari nel loro legame organico con le grandi forze sociali
[…]. Ma la storia narrata è consapevolmente non realistica e fantastica.
Questo elemento fantastico nasce qui […] dalla comparazione satirica del
vecchio mondo in dissoluzione e di quello nuovo che sta nascendo.14
Il contatto tra due mondi, scrive Lukács – il vecchio che muore, il nuovo
che ancora non nasce – è la faglia in cui prende corpo la forma di compromesso del ‘realismo fantastico’: una struttura realista, che contiene in
sé una storia incredibile. La cornice narrativa importata dall’Europa, che
abbraccia i contenuti della cultura locale – è davvero così semplice, la genesi del realismo magico?
Il tema meriterà maggiore spazio; qui dirò brevemente che, dopo aver
accettato per buona questa spiegazione – il romanzo che incornicia gli
elementi della tradizione mitico-orale, e li guida ad una lenta transizione
verso il realismo – ho iniziato a pensare che le cose fossero più complicate. Ancora una volta, la definizione di Lukács è infatti corretta per la storia della letteratura europea (il romanzo del seicento; il realismo magico
fiorito tra le nevi dell’immensa semiperiferia russa) – ma generalizzare al
mondo quello che vale per l’Europa non è, forse, uno dei peccati capitali
della critica letteraria?
Che il realismo fantastico sia una forma di transizione tra il mondo
epico-mitico e l’età del romanzo, insomma, è certamente plausibile; eppure, a me pare che nella letteratura latinoamericana accada piuttosto il
contrario. È il romanzo realista, la prima conquista morfologica del subcontinente: e la forma egemone, per tutto l’ottocento e fino agli anni
trenta del novecento, è quella delle storie ‘di fondazione’, ispirate ai temi,
13
14
153.
Alejo Carpentier, op. cit., p. 25.
Vittorio Strada (a cura di), Problemi di teoria del romanzo, Torino: Einaudi, 1976, p.
36 /
ANDREA MICONI
tutt’altro che magici, dell’amore e della nazione.15 Poi, però, la progressione della storia letteraria si arresta: ed è solo liberandosi del realismo, che il
romanzo latinoamericano produce i suoi capolavori riconosciuti. E di
certo, rispetto alla nostra abitudine storiografica, questo è un curioso ritorno all’indietro – un po’ come quel breve racconto di Alejo Carpentier,
in cui la vita del protagonista scorre placidamente all’inverso, dalla morte
alla nascita. Altro che giacenze di un’antica cultura: prima il realismo, e
dopo – con la mediazione del surrealismo; della cultura dei mass media;
delle mode primitiviste – il recupero del tema magico e della sua forza di
evocazione, in cui l’inserimento della retorica orale, come già scrive Alessandro Portelli del romanzo nordamericano, è una strategia espressiva
controllata dalla “capacità progettuale della scrittura”.16 Prima il realismo,
e dopo il realismo magico – ma come si spiega? Panofsky, La prospettiva
come forma simbolica:
Quando la ricerca attorno ad un determinato problema artistico è giunta
a un punto tale di maturazione che – a partire dalle vecchie premesse –
sembra infruttuoso procedere nella stessa direzione, avvengono di solito
quei grandi ritorni al passato o meglio quei cambiamenti di rotta che
[…] creano, proprio attraverso la rinuncia alle posizioni già raggiunte,
cioè attraverso un ritorno a forme di rappresentazione apparentemente
‘più primitive’, la possibilità di valersi del materiale di scarto del vecchio
edificio per la costruzione del nuovo.17
“Quei grandi ritorni al passato”, di cui è punteggiata la storia dell’arte:
una ricerca all’indietro, con buona pace di tutte le filosofie della storia;
un recupero di vecchi materiali di scarto, utili per rispondere ad esigenze
simboliche altrimenti non risolvibili. Il ciclo della storia letteraria si inverte, ho detto prima: ma se questo accade, nel romanzo latinoamericano, è perché è la storia stessa a segnare un’inversione di rotta, ed aprire
15
Doris Sommer, Foundactional Fictions: The National Romances of Latin America,
Berkeley: University of California Press, 1991.
16
Alessandro Portelli, Il testo e la voce. Oralità, letteratura e democrazia in America, Roma: Manifestolibri, 1992, pp. 87-104. Però: in America del Nord, come spiega Portelli,
l’oralità è tradotta prevalentemente in forma di dialogo; nel realismo magico latinoamericano, in strutture narrative decisamente monologiche. Una differenza accidentale, o lo
scarto tra due esigenze simboliche davvero diverse – la retorica della democrazia, e l’indolenza delle periferie?
17
Erwin Panofsky, Die Perspektive als ‘symbolische Form’ (1927), trad. it. di Enrico Filippini, La prospettiva come ‘forma simbolica’ e altri scritti, Milano: Feltrinelli, 1980, p. 50.
DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO
/ 37
una crisi di senso a cui soltanto una nuova forma simbolica poteva dare
sollievo. Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, scrive Doris
Sommer, la “storia latinoamericana non sembrò più progressiva”, rispetto
alla linea idealtipica dello sviluppo, e quindi, questo è il punto, non più
rappresentabile con la “biografia nazionale positivista”18 incarnata dal romanzo europeo. Con il consolidamento dell’egemonia statunitense sul sistema-mondo, insomma, le lancette della storia si bloccano: il cammino
di emancipazione degli stati nazionali si svuota di sostanza storico-politica, e lascia intravedere un nuovo posizionamento nelle periferie del sistema. Un nuovo spazio geopolitico, e una nuova esigenza simbolica, a cui il
realismo, abituato a nuotare nelle acque tranquille dello stato-nazione,
non sa davvero rispondere: e qui, la ‘risposta casuale’ dell’innovazione
morfologica finisce per piegare all’indietro la curva del tempo, pescando a
piene mani nel ‘materiale di scarto del vecchio edificio’ – i miti orali; il
retaggio dell’epica; le leggende locali; le forme grottesche e iperboliche
del racconto popolare. Imperfezione, non significa anche arrangiarsi con
quello che capita?
Bene: cede l’impalcatura del realismo, ed affiora la ricchezza delle forme narrative precedenti al romanzo moderno. Ora, è questa davvero, come spesso si dice, una risposta mitica all’egemonia culturale dell’occidente?19 Una rielaborazione autonoma della forma romanzesca, in grado di
fare da controcanto alla visione coloniale del mondo? La risposta presuppone alcuni approfondimenti teorici, e quindi ci tornerò in separata sede;
ma avanzo qualche dubbio, al proposito. Perché il Sud America del realismo magico – quello dei neri giganteschi, dei cantastorie ciechi e dei galeoni arenati, dei riti magici e dei vecchi sapienti, di donne dalla bellezza
che fa impazzire gli uomini, danze e desolazione, pergamene misteriose e
demoni nascosti dalla foresta – ecco, questo Sud America somiglia davvero troppo allo stereotipo proprio della cultura occidentale. Ora, certamente, il pubblico europeo colto sa di non potersi permettere più una visione così stereotipica del mondo (dopo decenni di dibattiti postcoloniali: davvero no) – ma se può cercarla altrove, questa visione, e se magari la
18
Doris Sommer, op. cit., p. 2.
Faccio riferimento, in sostanza, alla tesi postcolonialista forte (Bill Ashcroft, Gareth
Griffiths, Helen Tiffin, The Empire Writes Back: Theory and Practice in Post-Colonial Literatures, London-New York: Routledge, 1989), che francamente non mi convince del tutto; anche se questo articolo ha un taglio più analitico che teorico, e cercherò di riprendere
il tema al più presto.
19
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ANDREA MICONI
trova nella stessa narrativa latinoamericana, allora la tentazione è davvero
troppo forte. Uno stereotipo storicamente fondato, si dirà, se si pensa al
tempo ciclico delle narrazioni precolombiane; all’incontro di etnie e religioni diverse; alla cultura instabile delle semi-periferie – sarà, ma pur
sempre uno stereotipo. Karl Marx, Discorso sul libero scambio:
Voi pensate forse, signori, che la produzione del caffè e dello zucchero sia
il destino naturale delle Indie occidentali. Ebbene, due secoli fa la natura,
che non si immischia troppo nelle faccende commerciali, non vi aveva
messo né la pianta del caffè, né la canna da zucchero.20
Uno stereotipo: ma prodotto in proprio. Ecco, tutto questo spiega, secondo me, la centralità del ‘meraviglioso esotico’, o, come l’ho più semplicemente definito, del ‘magico diffuso’. Perché di narrazioni magiche,
diciamo il vero, il lettore europeo ne conosce già molte: ma se il mito è
un fattore secondario, appena evocato, o addirittura deviante, come nei
rami secchi di questo diagramma evolutivo, allora davvero niente di nuovo. Ecco, ad un magico non oggettivo il pubblico occidentale era già abituato da tempo: solo un magico, per così dire, di sistema, poteva offrire
qualcosa di nuovo.
O detto altrimenti: che il fantastico potesse costituire un problema,
una perturbazione nell’ordine delle cose, lo sapevamo da tempo (e l’uccisione di Dracula ha salvato l’anima nera dell’occidente). Ma non sarebbe
un mondo migliore, quello in cui il magico è la risposta?
III. E va bene: molti ci provano, e solo qualcuno ci riesce; c’era bisogno
di scomodare Darwin, si dirà? Non sarà, più semplicemente, che alcuni
scrittori sono più bravi degli altri, e sopravvivono alla competizione per
ragioni di qualità? Sì, se per qualità si intende, in modo laico, una particolare combinazione di elementi morfologici, che rende un’opera più idonea alle esigenze del pubblico. No, se dietro alla qualità si ripropone la
tronfia abitudine del giudizio estetico – e magari, l’idea del disegno intelligente come motore della storia della cultura.
Può essere, allora, che un autore sia semplicemente (e, per così dire,
intenzionalmente) più bravo degli altri? Per rispondere, ho ripetuto l’esperimento sugli autori più letti tra quanti hanno codificato il realismo magi20
Karl Marx, Discour sur la question du libre-échange (1848), trad. it. di Franco Rodano, Discorso sul libero scambio, in Id., Opere, Roma: Editori Riuniti, 1973, vol. 6, p. 481.
DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO
/ 39
co (e anche quelli con una produzione sufficientemente ampia per sviluppare il modello), Jorge Amado e Gabriel García Márquez, come mostrato
dal diagramma 2. Il campione, qui, è ridotto ad una trentina di testi, ma
l’articolazione complessiva non si restringe: segno che, almeno nelle fasi
di formazione di un genere, la logica della risposta casuale sembra davvero
dominante.
Amado, come si vede, intercetta la dimensione del magico ‘diffuso’ –
pur destinandole uno spazio testuale ridotto, rispetto alla futura stagione
del boom – già in due opere degli anni trenta (Mar morto e Capitani della
spiaggia), in cui la narrazione mitica fa da sfondo alle vicende, portando
con sé la spiegazione di tutti i dilemmi – il vaiolo; il mistero dell’avvenire;
il maltempo. Un esempio:
Un’altra sera, una sera buia d’inverno, in cui i pescherecci non s’avventuravano in mare, notte di collera di Yemanjà e Xangô, […] Pedro Proiettile, il Gamba-Zoppa e João Grande andarono ad accompagnare la madredi-santo Don’Aninha […].
‘Ogun è offeso’, aveva spiegato la madre-di-santo Don’Aninha.21
1937, un quarto di secolo prima del boom: una sera in cui la collera degli
dèi fa ribollire l’oceano, tre ragazzi accompagnano una donna a placare
l’ira della divinità del ferro… Certo, nella fattispecie la magia è intrisa di
idolatria pagana, e forse questo non ne fa l’esempio più calzante, quanto
a contenuti. Ma se uno guarda la morfologia del discorso – la magia come spiegazione oggettiva del reale; il dialogo dei personaggi ridotto ad attestazione passiva di eventi decisi in altre sfere; perfino la marca temporale in apertura – allora sembra chiaro che la soluzione era proprio lì, ancora una volta, a portata di mano. Però, è un aspetto di cui evidentemente
l’autore non sa bene come servirsi, e così l’accantona, e per una trentina
di anni si dedica a racconti a sfondo sociale e politico: le lotte dei lavoratori; il malaffare del Brasile; la dittatura; le faide sanguinarie tra
fazenderos. Certo, per un po’ l’elemento magico deve rimanergli in testa,
e infatti ne appaiono alcune ombre: in Terre del finimondo, viene nascosto
nella capanna di uno stregone della foresta, in modo che non intralci
troppo la storia; poi si sbriciola nell’accenno alla veggenza e alla maledizione (Sudore) o nel riferimento ad una profezia (Messe di sangue), ma già
21
Jorge Amado, Capitaes de areia (1937), trad. it. di Elena Grechi, Capitani della spiaggia, Milano: Garzanti, 1997, p. 99.
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ANDREA MICONI
Diagramma 2 - Storie parallele: Il magico in Jorge Amado e Gabriel García Márquez 22
22
Legenda del diagramma 2:
Amado [A]: 1930, Il paese del carnevale; 1933, Cacao; 1935, Jubiabà; 1936, Mar Morto;
1937, Capitani della spiaggia; 1942,Terre del finimondo; 1944, I padroni della terra; 1946,
Messe di sangue; 1954a, La luce in fondo al tunnel; 1954b, Tempi difficili; 1954c, Agonia
della notte; 1954d, Sudore; 1958, Gabriella garofano e cannella; 1964a, Due storie del porto
di Bahia; 1964b, I guardiani della notte; 1966, Dona Flor e i suoi due mariti; 1969, La bottega dei miracoli; 1973, Teresa Batista stanca di guerra; 1976, Vita e miracoli di Tieta d’Agreste; 1979, Alte uniformi e camicie da notte; 1984, Tocaia grande; 1988, Santa Barbara
dei fulmini; 1992, I turchi alla scoperta dell’America
García Márquez [GM]: 1955, Foglie morte; 1961, Nessuno scrive al colonnello; 1962a, I
funerali della Mamà Grande; 1962b, La mala ora; 1967, Cent’anni di solitudine; 1970,
DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO
/ 41
non è più chiaro se i personaggi ci credano realmente. E infatti, nell’opera più ambiziosa della sua carriera, la trilogia dei Sotterranei della libertà,
di magico non c’è traccia.
Poi, il pendolo riprende l’oscillazione opposta, e negli ultimi decenni
Amado si dedica in modo più coerente all’affresco delle mitologie popolari, con il loro corredo di profezie e di religioni meticcie. Ora, la perfezione non è di questo mondo, e infatti il celebre romanzo della svolta
(Gabriella garofano e cannella) è ancora sospeso a metà tra le due istanze,
e perfino un personaggio assai prossimo ai motivi del magico come Gabriella – che spande odore di cannella, e danza invece di camminare – è
coinvolto in una parentesi politica a dir poco insensata. Ma ormai il più è
fatto; dietro l’angolo, c’è già un mondo in cui i demoni abitano la notte e
le prostitute recuperano la verginità per incanto; un mondo in cui non ci
si meraviglia di niente, vista la consuetudine “con ogni sorta di cose stupefacenti: il lupo mannaro, la mula-senza-testa, il gigante Adamastor, la
signora coperta d’oro” (Tocaia grande, “Le prime case”, VIII) – e chi più ne
ha, più ne metta.
García Márquez, per conto suo, scopre il magico già nel suo primo romanzo, Foglie morte, che apre il ciclo di Macondo: il velo struggente della
predestinazione; il potere insondabile dell’almanacco; il vento che porta
la fine – insomma, tutti gli elementi poi perfezionati nella formidabile
macchina narrativa di Cent’anni di solitudine (salvo che la poetica non si
sposa bene con la forma, e il racconto omodiegetico non consente ancora
quello stato di oggettività della storia, e di dolente fatalismo dei personaggi, che renderà indimenticabile il suo capolavoro).
Ad ogni modo, la strada è spianata, e il successo planetario di Cien
anos sembra codificare definitivamente il genere: e invece, chissà perché,
l’elemento magico inizia a stingere. Viene confinato nei riempitivi, ridotto ad allusioni, citato di passaggio; e infine, in Dell’amore e di altri
demoni, caricato per intero sulle spalle della giovanissima Sierva María
(che infatti non regge la pressione, e paga con la vita). Il magico era la soluzione, e adesso diventa il problema: cos’è accaduto, nel mezzo?
L’autunno del patriarca, 1975. Tecnicamente, qui l’elemento magico è
ancora presente: il dittatore governa per centinaia di anni, il che non è
Racconto di un naufrago; 1972, La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della
sua nonna snaturata; 1975, L’autunno del patriarca; 1981, Cronaca di una morte annunciata; 1985, L’amore ai tempi del colera; 1986, Le avventure di Miguel Littín, clandestino in
Cile; 1989, Il generale nel suo labirinto; 1994, Dell’amore e di altri demoni.
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ANDREA MICONI
normalissimo; e tra le altre cose lo fa, più esplicitamente, consultando le
cartomanti (e naturalmente le fa giustiziare, se la predizione non è di suo
gusto). Ma è ormai un dettaglio, una rimanenza poetica, perché, nella
maggior parte dei casi, l’elemento mitico è letteralmente rifiutato dalla
storia: l’apparizione delle caravelle di Colombo, si capisce dopo qualche
pagina, avviene in un sogno del protagonista; la morte e resurrezione del
dittatore trova la spiegazione più banale, perché a morire davvero era stato un sosia, Patricio Aragonés; e le guarigioni miracolose, null’altro che
suggestione dei sudditi. E all’incontro con la morte, poi,
lui disse che no, morte, che non era ancora la sua ora, che doveva accadere durante il sonno nella penombra dell’ufficio come era stato annunciato
fin da sempre nelle acque premonitrici dei catini, ma lei ribatté che no,
generale, che è accaduto qui, scalzo e coi vestiti di bisognoso che aveva
indosso.23
Dal primo della stirpe incatenato ad un albero, alla fine che arriva nel posto e nel momento sbagliato: ma se non era questa, la morte annunciata
dalla profezia, vuol dire che la profezia era falsa, tutto qua – vuol dire che
l’età del magico è tramontata (anche se, naturalmente, “coloro che trovarono il corpo avrebbero detto che era stato sul pavimento dell’ufficio con
l’uniforme di tela”). Gli eventi, insomma, sembrano richiedere ancora una
spiegazione magica, ma non c’è più niente da fare: a spiegare le stranezze
del reale sono soltanto l’arbitrio e la meschinità del potere. E così, tanto
limpida e oggettiva era la struttura di Cent’anni di solitudine, tanto L’autunno del patriarca si contorce in un diluvio di subordinate che rende il
senso mefitico delle gerarchie – e la distanza tra il patriarca ed i sudditi è
tale che nessuno, infine, sarà in grado di riconoscerne il corpo. La forma si
contorce su se stessa: la collettività – il noi che regge buona parte della narrazione – non riesce a contenere l’ego del dittatore, e ne subisce ogni arbitrio. E così, il patriarca impone il finale delle soap operas; vende il mare per
sanare il bilancio di stato; ordina le repressioni più assurde; dichiara guerra
alla chiesa di Roma; manipola le estrazioni della lotteria… Con le parole
di un altro dittatore, quello di Augusto Roa Bastos: “Io sono l’arbitro. Posso decidere una cosa. Ideare i fatti. Inventare gli avvenimenti”.24
23
Gabriel García Márquez, El otono del patriarca (1975), trad. it. di Enrico Cicogna,
L’autunno del patriarca, Milano: Mondadori, 1983, p. 260.
24
Augusto Roa Bastos, Yo el Supremo (1974), trad. it. di Stefano Bossi, Io il supremo,
Milano: Feltrinelli, 1978, p. 212.
DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO
/ 43
La frase completa; poi il soggetto sottointeso; infine, sottointeso anche il verbo ausiliario: con la più semplice delle soluzioni grammaticali, la
cornice di arbitrarietà scompare nello spazio di tre proposizioni, e il punto di vista unico del supremo viene oggettivato nella realtà circostante.
Cos’era dunque accaduto, nel mezzo? Che il circolo della storia si è compiuto, e le nefandezze militari precipitano il Sud America nella pagina
oscura della politica recente. Il ‘mondo giovane’ di Cien Anos – in cui perfino la guerriglia del colonnello Buendía era ascritta all’ordine superiore
nel mito – ha perso la sua verginità. Una risposta obbligata alla storia contemporanea, anche qui? Nient’affatto: più semplicemente, la risposta di
Márquez – al mercato, il compito di giudicarla.
Giravolte, errori, scoperte casuali, recupero di materiali abbandonati –
“le cose più strane e diverse, pezzi di spago o di legno, vecchi cartoni”…25
Ma insomma, è davvero l’autore, il soggetto della storia letteraria? Dipende da quale storia si vuole rappresentare, non c’è dubbio; eppure, più si
guarda la morfologia dei testi, e più l’evoluzione del romanzo appare
quello che è, un guazzabuglio di tentativi, in cui – nelle fasi di latenza del
paradigma – ciascuno impara e disimpara continuamente, torna sui suoi
passi, accantona la soluzione giusta per riscoprirla chissà come più avanti.
Ora, allo stato attuale – e, va da sé, date soprattutto le mie competenze –
non sono in grado di proporre una valutazione complessiva dell’approccio evolutivo (tra breve, comunque, ne discuterò alcuni limiti); ma di certo, questa mi sembra la sua conquista maggiore: sottrarre la storia della
cultura ad ogni ipoteca idealista, e restituirla al profilo irregolare, e quindi
assai più interessante, delle sue condizioni materiali.
Gli adattamenti biologici sono “straordinari ma goffi”, scrivono Cavalli Sforza, Menozzi e Piazza, “come se fossero il risultato di continui aggiustamenti […] non secondo un disegno preciso, ma attraverso tentativi
ed errori, in un processo storico dettato dall’occasionale verificarsi di mutazioni spontanee in momenti e luoghi particolari”.26 Continui ‘adattamenti funzionali’, che portano ad un risultato straordinario, ma goffo: che
nasca qui, un genere letterario, anziché dal fuoco che brucia nell’anima?
IV. Da ultime, alcune considerazioni sul modello darwiniano, che cercano di rispondere ad un paio di dubbi cresciuti nel corso di questo lavoro:
25
François Jacob, Evoluzione e bricolage. Gli ‘espedienti’ della selezione naturale, Torino:
Einaudi, 1978, p. 17.
26
Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza, op. cit., p. 19.
44 /
ANDREA MICONI
se davvero un singolo fattore può essere considerato decisivo in un processo evolutivo; e, come valutazione complessiva, fino a che punto è sostenibile l’analogia con le leggi dell’evoluzione.
Quanto al primo argomento – se un singolo fattore può essere considerato decisivo in un processo evolutivo – rispondo brevemente, e onestamente, di no. L’ho già anticipato: il realismo magico, come il romanzo
poliziesco, costituisce un caso certamente privilegiato, in cui un elemento
morfologico è (probabilmente) sufficiente a caratterizzare il genere. Può
darsi che esistano altri casi paragonabili (non so: il tema dell’amore nel
romanzo rosa), ma di certo, nella enorme maggioranza dei casi, le cose
stanno diversamente, ed è semmai una combinazione di fattori, a risultare decisiva. E anche nel mio caso, per di più, l’approfondimento del modello presuppone sempre un incrocio tra diverse variabili: il senso mitico
unito all’oggettività malinconica del monologismo, si è detto del romanzo del boom; il mito raccontato in forma eterodiegetica, quanto a Cent’anni di solitudine; un incontro tra i temi ed i luoghi, ho ripetuto più volte, e
più in generale, del romanzo latinoamericano. E questi sono, appunto,
incroci tra diverse variabili di analisi. E allora, come se ne esce?
Se ne esce, credo, con una soluzione molto usata nelle scienze naturali
e nella ricerca sociale, che è l’analisi multivariata: l’uso sincronico di una
serie di variabili. Ma questa è una storia tutta da scrivere, perché l’analisi
multivariata presuppone un paio di passaggi essenziali – la scelta del campione di analisi, e soprattutto la quantificazione delle variabili – che sono
il pane quotidiano di tanti ricercatori, ma ancora un oggetto misterioso,
per chi si occupa di letteratura. Staremo a vedere.
E infine, che dire della grande eresia di un modello ispirato alle scienze naturali? Quello che ci interessa, ha scritto un secolo fa Georg Simmel,
non è l’analogia tra “le realtà della società e dell’organismo”, ma “l’analogia del metodo di trattazione”27: non è sulla biologia che bisogna appiattire lo studio dei fatti sociali, insomma, ma sulle leggi dell’evoluzione biologica. Leggi di evoluzione, ma del campo letterario: qualcuno provò anche
a fissarle, verso la fine del XIX secolo (esistenza; differenziazione; fissazione; azione dei modificatori; trasformazione),28 ma si trattava davvero di
27
Georg Simmel, Soziologie (1908), trad. it. a cura di Alessandro Cavalli, Sociologia, Torino: Comunità, 1998, p. 21.
28
Ferdinand Brunetière, L’evolution des genres dans l’histoire de la letterature (1890),
trad. it. a cura di Paolo Bagni, L’evoluzione dei generi nella storia della letteratura, Parma:
Pratiche, 1980, pp. 15-16.
DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO
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un positivismo un po’ rozzo. Ma ora, c’è da chiedersi, è davvero necessario rifarsi al paradigma evoluzionista? O non basta, magari, lavorare su
una ‘morfosfera’, uno ‘spettro’ delle variazioni tecnico-stilistiche (basato
sul concetto di canonizzazione di Šklovskij, ad esempio)? Insomma, va
bene una storia letteraria come storia delle forme (si fa per dire: è cosa
tutt’altro che accettata, purtroppo); va bene la diversificazione morfologica e lo strozzatura del canone; ma poi Darwin, serve davvero? Domanda
complessa, secondo me: a cui, infatti, non so proprio rispondere. Sì e no,
direi, se dovessi basarmi sulle mie conoscenze attuali.
No, perché un approccio propriamente evoluzionista richiede un lavoro su scala molto più ampia, rispetto, ad esempio, al caso che ho cercato
di proporre. E questo perché un modello evolutivo ha bisogno di individuare un momento di origine delle tecniche prese in esame – e in questo
il realismo magico, la struttura indiziaria del poliziesco, o lo stile indiretto
libero, a modo loro, costituiscono ancora dei casi privilegiati. Tuttavia,
più in generale, se accettiamo che la storia letteraria non funzioni per invenzione di nuove forme, ma per adattamento dei materiali esistenti –
“mutamento di funzione”, secondo i formalisti russi –29 apparirà come,
nella grande maggioranza dei casi, questo momento di origine sia di fatto
impossibile da localizzare, o perso in tempi lontanissimi. E allora, una
storia evolutiva delle tecniche letterarie sembra recuperabile appunto su
una scala molto ampia – quella, insomma, di una geografia letteraria
comparata aperta a mutamenti e trasformazioni che durano secoli (le innovazioni morfologiche), e magari a volte millenni (la lunga durata dei
temi epico-mitici). Un progetto straordinario, un po’ sulla linea della storia economica di lunga durata, o della Storia e geografia dei geni umani: e
per questo, diciamolo pure, realisticamente improponibile.
Sì, invece, se si concorda sulla necessità di una meta-teoria, di un paradigma capace di orientare le analisi testuali (ed è difficile non concordare) – e se si accetta di prendere, in parole un po’ rozze, il meno peggio che
si ha a disposizione (parole rozze, per un concetto nobile: scegliere il meno peggio, o la spiegazione più probabile, è la logica stessa della ricerca
scientifica). E allora, rispetto alle alternative – la metafisica paralizzante
delle categorie di sintesi; la dottrina normativa delle humanities; il pasticciato paradigma della sociologia del romanzo; lo sfrenato individualismo
29
Jurj Tynjanov, “O literaturnoj evoljucii” (1927), trad. it. “L’evoluzione letteraria”, in
Tzvetan Todorov (a cura di), I formalisti russi, Torino: Einaudi, 1968, pp. 125-43.
46 /
ANDREA MICONI
metodologico del postmoderno – il pur delicato modello darwiniano offre, di certo, almeno un vantaggio (oltre al vantaggio generale: quel rigore
‘un po’ calvinista’ della ricerca, proprio delle scienze naturali, che tanto
male non farebbe). L’origine delle specie:
sembra incredibilmente assurdo che la selezione naturale possa aver formato l’occhio, con tutti i suoi inimitabili congegni […]. Tuttavia […] se
è possibile dimostrare che esistono numerose gradazioni da un occhio
perfetto e complesso ad un altro molto imperfetto e semplice […] allora
la difficoltà di credere che, grazie alla selezione naturale, si possa formare
un occhio perfetto […] cessa di essere consistente.30
La perfezione come anomalia, che si spiega soltanto sullo sfondo delle
mille forme imperfette proprie dell’evoluzione: e allora, per quanto ci riguarda, la storia letteraria come un dialogo continuo tra generi alti e bassi, tra forme canoniche e non canoniche (come nel disegno teorico di
Šklovskij e Bachtin) – una storia per cui la lettura ossequiosa dei capolavori non basta più, ma quello che conta è il perché alcune opere risaltano
sullo sfondo di tanta letteratura normale (e solo un’analisi comparata, qui,
può essere produttiva).
L’imperfezione: ecco il vantaggio (e Moretti, in effetti, ci ha lavorato già
da Opere mondo). Una storia letteraria irregolare, dominata dalla casualità
delle variazioni morfologiche, nelle fasi di apertura, e dalla codifica di un
genere, vincente sulle ‘linee minori’, nelle fasi di stabilità (questo, almeno,
in una versione della teoria evoluzionista, quella degli ‘equilibri punteggiati’). Una oscillazione continua tra lunghe fasi di stabilità, e di imitazione
del canone, e brevissime ma brucianti fasi di strappo, in cui i paradigmi si
incrinano, e la risposta casuale attiva la concorrenza per la definizione di
un nuovo canone. Lunghe parentesi di stabilità, e brevi periodi di rottura –
ma non è una cosa già sentita? Altroché: è la logica dell’evoluzione biologica in una delle sue versioni forti, come detto; ma anche dei grandi sistemi
dell’economia-mondo (i rarissimi passaggi di egemonia);31 delle rivoluzioni
30
Charles Darwin, The Origin of Species (1859), trad. it. a cura di Pietro Omodeo, L’origine delle specie, Roma: Newton Compton, 2000, pp. 176-77.
31
“Ogni volta che si ha un décentrage, si opera una polarizzazione attorno ad un nuovo
centro, come se ogni economia-mondo non potesse vivere senza un centro di gravità, senza un polo. Questi processi di décentrage e récentrage sono comunque rari e, per questo, tanto più importanti”. Fernand Braudel, La dynamique du capitalisme (1977), trad. it. di Giuliana Gemelli, La dinamica del capitalismo, Bologna: Il Mulino, 1981, p. 80; corsivo aggiunto.
DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO
/ 47
del sapere (i paradigmi di Kuhn);32 dello sviluppo delle tecnologie della conoscenza (le fasi di Innis);33 della storia del costume e delle mentalità (le
Annales). Una storia letteraria, insomma, più vicina ai cicli della storia generale (anche se destinata a rispondere con regole sue proprie, che sono
quelle della forma) – e una storiografia letteraria, di conseguenza, più vicina ai procedimenti della altre scienze. Se la posta in gioco è questa, come
mi sembra, è un’occasione da non lasciarsi scappare.
Appendice
Cronologia delle opere analizzate
1926
1930
1933
1934
1935
Don Segundo Sombra, Ricardo Guiraldes
Il paese del carnevale, Jorge Amado
Cacao, Jorge Amado
Huasipungo, Jorge Icaza
Jubiabà, Jorge Amado
Canaima, Romulo Gallegos
1936
Mar Morto, Jorge Amado
1937
Capitani della spiaggia, Jorge Amado
1938
I cani affamati, Ciro Alegría
1941
L’invenzione di Morel, Adolfo Bioy Casares
Museo del romanzo della Eterna (primo romanzo bello), Macedonio Fernández
Tutto il verde perirà, Eduardo Mallea
Il mondo è grande e alieno, Ciro Alegría
1942
Terre del finimondo, Jorge Amado
Per questa notte, Juan Carlos Onetti
1944
I padroni della terra [São Jorge dos Ilhéus], Jorge Amado
1944-46 Racconti, José Lezama Lima
1945
Piano d’evasione, Adolfo Bioy Casares
1946
Messe di sangue, Jorge Amado
Il duello, João Guimarães Rosa
L’ora e il momento di Augusto Matraga, João
Guimarães Rosa
1947
Nessuno accendeva le lampade, Felisberto
Hernández
1948
Il tunnel, Ernesto Sabato
1949
Il regno di questo mondo, Alejo Carpentier
1950
La vita breve, Juan Carlos Onetti
1951
Bestiario, Julio Cortázar
1953
I passi perduti, Alejo Carpentier
La morte al Messico, Juan Rulfo
La pianura in fiamme, Juan Rulfo
1954
Tempi difficili, Jorge Amado
Sudore, Jorge Amado
32
1955
1956
1957
1958
1960
1961
1962
1963
Fine del gioco, Julio Cortázar
Agonia della notte, Jorge Amado
La luce in fondo al tunnel, Jorge Amado
Il sogno degli eroi, Adolfo Bioy Casares
Foglie morte, Gabriel García Márquez
Evaristo Carriego, Jorge Luis Borges
Pedro Páramo, Juan Rulfo
La fucilazione, Alejo Carpentier
Il Signor Presidente, Miguel Angel Asturias
Miguilim, João Guimarães Rosa
Uomini di mais, Miguel Angel Asturias
Gabriella garofano e cannella, Jorge Amado
La via lattea, Alejo Carpentier
Ritorno alle origini, Alejo Carpentier
Festa di sangue, José María Arguedas
L’ombelico della luna, Carlos Fuentes
Figlio di uomo, Augusto Roa Bastos
Gli occhi che non si chiudono, Miguel Angel
Asturias
Nessuno scrive al colonnello, Gabriel García
Márquez
Due storie del porto di Bahia, Jorge Amado
La mala ora, Gabriel García Márquez
Storie di cronopios e di famas, Julio Cortázar
Il secolo dei lumi, Alejo Carpentier
I funerali della Mamà Grande, Gabriel García
Márquez
Vento forte, Miguel Angel Asturias
La morte di Artemio Cruz, Carlos Fuentes
La città e i cani, Mario Vargas Llosa
Aura, Carlos Fuentes
I Peruviani, Ciro Alegría
Grande Sertão, João Guimarães Rosa
I sette pazzi, Roberto Arlt
La bomba dell’Avana, Severo Sarduy
Thomas S. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions (1962), trad. it. di Adriano
Cargo, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino: Einaudi, 1995.
33
Harold A. Innis, Empire and Communications (1950), trad. it. a cura di Andrea Miconi, Impero e comunicazioni, Roma: Meltemi, 2001.
48 /
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
ANDREA MICONI
I lanciafiamme, Roberto Arlt
Così in pace così in guerra, Guillermo Cabrera
Infante
Mulatta senza nome, Miguel Angel Asturias
I guardiani della notte, Jorge Amado
Il persecutore, Julio Cortazar
Tre tristi tigri, Guillermo Cabrera Infante
La casa verde, Mario Vargas Llosa
Il gioco del mondo, Julio Cortázar
Il posto che non ha confini, José Donoso
Dona Flor e suoi due mariti, Jorge Amado
Cent’anni di solitudine, Gabriel García Márquez
Cambio di pelle, Carlos Fuentes
Il mondo allucinante, Reinaldo Arenas
Conversazione nella “Catedral”, Mario Vargas
Llosa
La bottega dei miracoli, Jorge Amado
Il ladrone, Miguel Angel Asturias
Diario della guerra al maiale, Adolfo Bioy Casares
Rulli di tamburo per Rancas, Manuel Scorza
Racconto di un naufrago, Gabriel García Márquez
L’osceno uccello della notte, José Donoso
Il banchetto di Severo Arcangelo, Leopoldo
Marechal
Il manoscritto di Brodie, Jorge Luis Borges
I fiumi profondi, José Maria Arguedas
La volpe di sopra e la volpe di sotto, José Maria
Arguedas
Storia di Garabombo, l’invisibile, Manuel
Scorza
La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata, Gabriel
García Márquez
Cobra, Severo Sarduy
Teresa Batista stanca di guerra, Jorge Amado
Triste, solitario y final, Osvaldo Soriano
Pantaleòn e le visitatrici, Mario Vargas Llosa
Dormire al sole, Adolfo Bioy Casares
Io il supremo, Augusto Roa Bastos
Concerto barocco, Alejo Carpentier
Tutte le stirpi, José Maria Arguedas
Il sexto, José Maria Arguedas
Il ricorso del metodo, Alejo Carpentier
L’autunno del patriarca, Gabriel García Márquez
Il libro di sabbia, Jorge Luis Borges
Il bacio della donna ragno, Manuel Puig
Vita e miracoli di Tieta d’Agreste, Jorge Amado
La zia Julia e lo scribacchino, Mario Vargas
Llosa
La ricerca del giardino, Héctor Bianciotti
Il cavaliere insonne, Manuel Scorza
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1988
1989
1990
1991
1992
1994
2001
Alte uniformi e camicie da notte, Jorge Amado
La vampata, Manuel Scorza
L’Avana per un infante defunto, Guillermo
Cabrera Infante
L’arpa e l’ombra, Alejo Carpentier
Tanto amore per Glenda, Julio Cortázar
Il gallo d’oro, Juan Rulfo
La misteriosa scomparsa della marchesina di
Loria, José Donoso
Le relazioni lontane, Carlos Fuentes
Cronaca di una morte annunciata, Gabriel
García Márquez
La guerra della fine del mondo, Mario Vargas
Llosa
Mascarò, il cacciatore americano, Haroldo
Conti
La casa degli spiriti, Isabel Allende
L’amore non è amato, Héctor Bianciotti
L’arcano, Juan José Saer
La danza immobile, Manuel Scorza
Artisti, pazzi e criminali, Osvaldo Soriano
Tocaia grande, Jorge Amado
Storia di Mayta, Mario Vargas Llosa
L’amore ai tempi del colera, Gabriel García
Márquez
Il gringo vecchio, Carlos Fuentes
L’avventura di un fotografo a La Plata, Adolfo
Bioy Casares
La neve dell’ammiraglio, Álvaro Miutis
Chi ha ucciso Palomino Molero?, Mario Vargas
Llosa
La resa del leone, Osvaldo Soriano
Le avventure di Miguel Littín, clandestino in
Cile, Gabriel García Márquez
Memoria del fuoco, Eduardo Galeano
Elogio della matrigna, Mario Vargas Llosa
Ilona arriva con la pioggia, Álvaro Mutis
L’ultimo scalo del Tramp Steamer, Álvaro Mutis
Santa Barbara dei fulmini, Jorge Amado
La notte delle stelle azzurre, Hector Bianciotti
Il generale nel suo labirinto, Gabriel García
Márquez
Il mondo alla fine del mondo, Luis Sepùlveda
Armibar, Álvaro Mutis
Un’ombra ben presto sarai, Osvaldo Soriano
Abdul Bashur, sognatore di navi, Álvaro Mutis
Il piano infinito, Isabel Allende
Una bambola russa, Adolfo Bioy Casares
I turchi alla scoperta dell’America, Jorge Amado
Dell’amore e di altri demoni, Gabriel García
Márquez
La frontiera scomparsa, Luis Sepùlveda
La metà di una vita, Viadiadhar Surajprasad
Naipaul
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