§ PARAGRAFO RIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI Paragrafo Rivista di Letteratura & Immaginari pubblicazione semestrale Redazione FABIO CLETO, DANIELE GIGLIOLI, MERCEDES GONZÁLEZ DE SANDE, FRANCESCO LO MONACO, FRANCESCA PASQUALI, VALENTINA PISANTY, LUCA CARLO ROSSI, STEFANO ROSSO, AMELIA VALTOLINA Segreteria di Redazione STEFANIA CONSONNI Ufficio 211 Università degli Studi di Bergamo P.za Rosate 2, 24129 Bergamo - tel: +39-035-2052744 / 2052706 email: [email protected] - web: www.unibg.it/paragrafo webmaster: VICENTE GONZÁLEZ DE SANDE La veste grafica è a cura della Redazione La responsabilità di opinioni e giudizi espressi negli articoli è dei singoli collaboratori e non impegna la Redazione Questo numero è pubblicato con il contributo del Dipartimento di Lettere, Arti e Multimedialità dell’Università di Bergamo © Università degli Studi di Bergamo ISBN – 978-88-95184-10-0 Edizioni Sestante / Bergamo University Press Via dell’Agro 10, 24124 Bergamo tel. 035-4124204 - fax 035-4124206 email: [email protected] - web: www.sestanteedizioni.it Stampato da Stamperia Stefanoni - Bergamo Paragrafo II (2006) Sommario QUESTIONI §1. ANDREA BELLAVITA, L’emersione del Reale. Perché una psicoanalisi del cinema contemporaneo? 7 §2. ANDREA MICONI, Dal real maravilloso al realismo magico. Approccio evolutivo alla formazione di un genere 27 FORME §3. CLAUDIO CATTANEO, Cornici per un assassinio. I confini del testo in Libra di Don DeLillo 51 §4. MASSIMO VERZELLA, Embers di Christopher Hampton e la traduzione della malinconia 69 §5. ENRICO LODI, La retorica del potere nei discorsi del primo franchismo 83 TEMI §6. SILVIA ULRICH, Gli eredi di Felix Krull. Dai ‘falsi’ di Wolfgang Hildesheimer alle imposture del caso Gert Postel 105 §7. FRANCESCA PAGANI, Dal ‘cielo stellato’ di Mallarmé alle ‘bolle d’inchiostro’ di Reverdy. L’immaginario del libro magico nella poesia francese della modernità 121 LETTURE §8. LUCIA QUAQUARELLI, La vittoria di un’onda. Palomar di Italo Calvino 135 §9. VALENTINA LOCATELLI, Christa Wolf, una moderna Medea in California 149 I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO 169 NUMERI ARRETRATI 171 § 2 Andrea Miconi Dal real maravilloso al realismo magico Approccio evolutivo alla formazione di un genere I. “Dopo il boom latinoamericano”, scrive Homi Bhabha, “il realismo magico diviene il linguaggio letterario del mondo postcoloniale emergente”:1 il reincanto della cultura moderna, come in tanti hanno detto, fermentato proprio nella semi-periferia del sistema. Perché qui, recita un celebre passaggio di Carpentier, ci si ritrova “a contatto quotidiano con quello che potremmo chiamare il reale meraviglioso”, “patrimonio dell’America intera, dove non si è ancora finito di fissare […] un inventario di cosmogonie” – il continente, insomma, dei licantropi e della fonte della giovinezza, di avventurieri che cercano la città d’oro, ribelli da leggenda e semidei che mutano in animali.2 Poi, vuole il caso che real maravilloso venga tradotto con realismo magico (anziché con realtà meravigliosa, che propriamente significa), e l’errore, una volta tanto, ha una sua utilità: perché sottolinea (involontariamente, è chiaro) lo scarto tra le condizioni socioculturali (la realtà) e la loro traduzione letteraria (il realismo). E allora, qui vale la domanda di sempre: il realismo magico è davvero una forma inscritta nella storia del subcontinente? Date determinate condizioni dello spirito, non era possibile immaginare altro, un po’ come si è detto dell’Europa moderna e del romanzo, o del mondo premoderno e dell’epica? No, non si poteva im1 Homi K. Bhabha, “Introduction” (1994), in Homi K. Bhabha (a cura di), Nation and Narration, trad. it. a cura di Mariella Pandolci, Narrazione e narrazione, Roma: Meltemi, 1997, p. 41. 2 Alejo Carpentier, El reino de este mundo (1949), trad. it. di Angelo Morino, Il regno di questo mondo, Torino: Einaudi, 1990, pp. viii-x. Anche se attribuita solitamente a Carpentier, l’espressione fu usata già nel 1925 dal critico d’arte Franz Roh, e ricorre poi in diversi autori: Rodolfo Usigli, Itinerario del autor dramático, 1940; Alvaro Lins, O romançe brasileiro contemporáneo, 1944; Artuto Uslar Petri, Letras y hombres de Venezuela, 1948. PARAGRAFO II (2006), pp. 27-48 28 / ANDREA MICONI maginare altro, se si crede che una forma appaia quando il corso della storia ha già tracciato la mappa delle vie percorribili – e spesso lo si crede ancora, nella storiografia letteraria. Sì, eccome, se si crede ad una storia (e mica solo letteraria) diversa: ad una storia materialista, se il termine ha ancora un valore. Perché la qualità letteraria, come scrive Roberto Schwarz del romanzo brasiliano, dipende sì dalle condizioni storicosociali: ma in modi inattesi, e mai prevedibili.3 Una dialettica tra forma e società, ancora: ma aperta alla varietà delle soluzioni possibili. Lo scopo di questa analisi, modellata sull’approccio darwiniano proposto da Franco Moretti,4 è tentare una nuova articolazione del campo letterario, che renda giustizia alle tante strade cercate dal romanzo latinoamericano del boom, e spieghi, fin dove possibile, perché il realismo magico emerga come versione dominante. II. Ad applicare il paradigma evoluzionista alla storia della cultura, scrive Luigi Luca Cavalli Sforza, il guaio peggiore è che non sappiamo quali “sono gli equivalenti del gene”; il che ci pone, in sostanza, “allo stesso punto in cui si trovava la genetica prima di scoprire che il DNA è la struttura fisica responsabile dell’eredità”.5 In altre parole, se il processo di evoluzione per adattamento sembra intuitivamente applicabile alle forme culturali, resta il grande dilemma di quale sia l’elemento soggetto a mutazione. Al di là del problema generale, su cui naturalmente non ho alcuna risposta, la premessa è che in questo caso è più semplice individuare l’elemento sensibile – appunto il magico, per come si manifesta, o non si manifesta, nei diversi testi. Ora, nessun dubbio che raramente un unico elemento morfologico ha una centralità nell’equilibrio di un genere letterario, come l’evento razionalmente inspiegabile nel realismo magico (o, per altri versi, come l’indizio nel crime novel studiato da Moretti); si tratta, al momento, di un limite di applicazione notevole, su cui cercherò di tornare in conclusione. La produzione letteraria tende a differenziarsi, in una sorta di lotta per 3 Roberto Schwarz, Misplaced Ideas. Essays on Brazilian Culture, London-New York: Verso, 1992, p. 84. 4 Franco Moretti, “L’evoluzione letteraria”, Nuova Corrente, 35:102, 1988, pp. 215-38; Id., “The Slaughterhouse of Literature”, Modern Language Quarterly, 61:1, 2000, pp. 207-27; Id., La letteratura vista da lontano, Torino: Einaudi, 2005. 5 Luigi Luca Cavalli Sforza, L’evoluzione della cultura. Proposte concrete per studi futuri, Torino: Codice, 2004, pp. 67-68. DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO / 29 la sopravvivenza: l’ambiente – per quanto qui mi interessa, il mercato internazionale del libro – porta alla selezione di una varietà, e alla sua codifica in un genere (qui, il realismo magico). Così facendo, si considera il campo letterario come un ecosistema: uno “spettro di variazioni”, in cui, specie “quando un genere è agli inizi, e nessuna convenzione si è ancora affermata come centrale, lo spazio delle forme è aperto di solito agli esperimenti più diversi”;6 in cui, insomma, ogni autore cerca, più o meno casualmente, la sua strada, finché la forma più adatta si afferma, e sopravvive alle altre. La “canonizzazione del ramo minore” di Šklovskij, con quello che in Šklovskij mancava: il come, e il perché, avvenga la selezione. E allora: si sceglie un campione di testi (qui, 135 romanzi, tradotti in Europa nell’arco di circa mezzo secolo), e si costruisce una ‘morfosfera’,7 che misura le variazioni dell’elemento sensibile (qui, l’episodio magico), come mostra il primo diagramma. Primo livello: assenza e presenza dell’elemento magico.8 Primo bivio, e primo dilemma: perché, se in oltre la metà del campione (72 romanzi su 135: e sono tutti testi tradotti in Europa, vale la pena ripeterlo) l’elemento magico è assente, questo vuol dire che qualcosa non torna, nell’ipotesi di 6 Franco Moretti, La letteratura vista da lontano, cit., p. 96. “L’universo semiotico”, scrive Jurij Lotman, “può essere considerato un insieme di testi e di linguaggi separati l’uno dall’altro [ma] è più feconda l’impostazione opposta. Tutto lo spazio semiotico si può considerare infatti come un unico meccanismo […]. Ad avere un ruolo primario non sarà allora questo o quel mattone, ma il ‘grande sistema’ chiamato semiosfera”. Jurij M. Lotman, Vnutri mysljascih mirov: celovek-tekst-semiosfera-istorija (1985), trad. it. a cura di Simonetta Salvestroni, La semiosfera. L’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, Venezia: Marsilio, 1992, p. 58. Ecco, a me interessa esattamente l’aspetto opposto: il ventaglio delle variazioni, e non la sintesi complessiva delle strutture di senso. Quanto ai guai procurati dall’uso delle categorie di sintesi, nelle scienze della cultura, prima o poi bisognerà occuparsene seriamente. 8 E quanto all’origine del diagramma, alla radice dell’albero? Da dove proviene, esattamente, l’elemento magico soggetto a mutazione? Dalla lunga durata della cultura orale? Dall’impianto del surrealismo? Una risposta precisa, al momento, è difficile darla; me la caverò dicendo che, da un punto di vista metodologico, quelli su cui ho lavorato sono alberi “senza radice”, che, in quanto tali, “non danno alcuna indicazione riguardo all’origine – cioè la suddivisione o ramificazione iniziale” (Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza, Storia e geografia dei geni umani, Milano: Adelphi, 1997, p. 59). Dato che l’elemento magico, di per sé, non è certamente un fattore nuovo, lavorare in termini evolutivi significa qui isolare un certo periodo storico, e verificare la differenziazione morfologica, senza affrontare il problema della sua origine. Un albero senza radice, appunto: si parte dal recupero e dalla ri-funzionalizzazione del tema magico, e si arriva alla codifica del nuovo genere – ma da dove provenga l’elemento sensibile, questo è davvero difficile stabilirlo. 7 30 / ANDREA MICONI Diagramma 1 - Il magico nel romanzo latinoamericano partenza. Di certo, l’analogia tra realtà meravigliosa e realismo magico subisce qui un duro colpo: a partire da una comune condizione di fondo, insomma, è evidente come le vie del romanzo siano forse non infinite, ma certamente plurali – e come, anzi, sia proprio la differenziazione a spiegare la storia letteraria, ben più dell’omologia. Da una parte il magico: il bagliore dei Caraibi; i luoghi estremi delle Ande; i cronotopi epici del deserto e della foresta. Dall’altra la pressione degli stati nazionali; le aperture dialogiche; le forme realiste o sperimentali – che, non a caso, si spazializzano per lo più nelle grandi città. In altre parole, l’albero – che è un modello di evoluzione temporale – incontra qui un principio di organizzazione spaziale, che lo spacca in due: incontra quella discontinuità geografica che è alla base dell’adattamento, e dell’evoluzione. Nelle grandi città, il romanzo latinoamericano impara una lingua europea (la struttura del Bildungsroman; la soluzione di compromesso dell’indiretto libero; il chiasso della polifonia urbana); ma altrove, nell’ebbrezza delle coste o nel- DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO / 31 l’isolamento dell’entroterra, si appropria di quello che resta del magico, lo rifunzionalizza, e lo restituisce al mercato letterario.9 “La città la fa finita con il sertão”, dice il narratore di Guimarães Rosa; azzera il tempo mitico dei banditi e dei demoni: e se non fossimo così abituati a cercare una sintesi, nella storia della cultura, potremmo vederla così, come un conflitto tra due spazi letterari, con le proprie forme e la propria implicita volizione di mondo. E che qui la partita finisca diversamente, rispetto alla storia del grande romanzo europeo – che premia il realismo e poi lo sperimentalismo urbano, mettendo ai margini l’estetica gotica delle frontiere – è una conferma della varietà delle cose, ma è anche segno che alla letteratura latinoamericana, nell’economia simbolica del mercato mondiale, sarà affidato un compito molto diverso.10 Secondo bivio: l’elemento magico è presente, ma è soltanto evocato dal narratore, o da un personaggio. La magia, qui, non fa propriamente parte della storia: qualcuno ne parla, spunta in un aneddoto, il narratore la inserisce in un inciso, ma niente più – il magico è nell’aria, ma nessuno ha ancora capito come trattarlo. Partiamo dal primo caso: l’evocazione al presente. Le allusioni mitologiche in Arguedas; un breve dialogo su misteriose creature (Juan Carlos Onetti, La vita breve); un riferimento ai riti di guarigione, che però non si sa bene se siano davvero efficaci (Jorge Icaza, Huasipungo); un aneddoto sulle streghe, tanto per riempire una conversazione (José Donoso, L’osceno uccello della notte): esempi di come la soluzione sia a portata di mano, ma arrivarci non è poi così semplice (caso estremo, quello dei fatti inspiegabili di Adolfo Bioy Casares: si aspetta per tutto il romanzo una risposta magica, che regolarmente non arriva). Secondo caso: l’evocazione del magico come forza del passato. Come nella Ricerca del giardino di Hector Bianciotti, che associa la magia agli 9 “Da qui ha origine il fenomeno che contraddistingue la società e la cultura ispanoamericana fino ai nostri giorni: la netta divisione, cioè, tra il clima sofisticato della città e l’arretratezza e il conservatorismo culturale delle aree rurali”, che “mantenevano un contatto soltanto saltuario con il mondo al di fuori dell’America. In tali zone sopravvissero antiche forme letterarie, che avevano le loro radici nell’Europa medievale”. Jean Franco, An Introduction to Spanish-American literature (1969), trad. it. di Guglielmina Zucchino, Introduzione alla letteratura ispano-americana, Milano: Mursia, 1972, pp. 13, 17. 10 Naturalmente, una categoria residuale (assenza di elementi magici) che occupi il 50 per cento e più del campione è del tutto inaccettabile: si tratta di una spaccatura più netta tra due filoni romanzeschi, e ciascuno dei due andrebbe – andrà – studiato per le sue caratterizzazioni in positivo. 32 / ANDREA MICONI “echi di un passato ormai impersonale”, incarnandolo nella figura più arcaica, la vecchia nonna del protagonista (nel Cavaliere insonne, Manuel Scorza darà lo stesso ruolo alla vedova Félix). O, più infelicemente ancora, come nella Misteriosa scomparsa della marchesina di Loria, di José Donoso, dove la protagonista si trasferisce in Europa, e le allusioni al magico (le “carte del destino delle serve negre”) accompagnano sempre le rievocazioni del passato in Nicaragua – una spaccatura così netta tra i due mondi, e così poco incantata, da stonare decisamente, in clima postcoloniale. Terzo bivio: il magico è presente nella storia, ma non manifesto. Cosa che accade appena due volte, peraltro: in Terre del finimondo di Jorge Amado, dove uno stregone governa gli elementi dal profondo della foresta, e nell’Arpa e l’ombra di Alejo Carpentier, dove il fantasma di Cristoforo Colombo appare, ‘invisibile’, per assistere alla causa (fallita) della sua beatificazione. Al di là della bassa ricorrenza, è anche questa una conferma della grande imperfezione dell’edificio: è chiaro a molti che l’elemento magico ha una sua importanza, ma non si sa bene come usarlo, e si finisce per metterlo da una parte, al di fuori delle vicende degli uomini. Quarto bivio: il magico è presente, attivo nella storia, manifesto, ma compare soltanto in un satellite, o ‘riempitivo’ della narrazione. Se questa soluzione ricorre a sua volta in pochi casi, è probabilmente perché nel romanzo del boom c’è, in assoluto, una chiara prevalenza dei nuclei rispetto ai satelliti (e questo è un tema da sviluppare, non c’è dubbio). In Mascarò di Haroldo Conti, ad esempio, l’evento magico – un rito per placare la furia del mare – occupa lo spazio di un episodio minore; in Io, il supremo, la spiegazione mitica del mondo appare, ma persa nel flusso degli argomenti. Quinto bivio: il magico occupa il centro della scena, ma è localizzato soltanto in un personaggio. Al livello successivo, come si vede, questo caso viene sviluppato nelle due varianti possibili, a seconda che la magia (incarnata in un personaggio, in una manifestazione, in un episodio) sia vista come cosa normale o come cosa inaccettabile. In alcuni casi, i poteri magici sono infatti percepiti come anormali: santoni che scatenano la repressione militare e la guerra civile; bambine internate come streghe; donne che attraversano le barriere del tempo. Un bel pasticcio: perché il magico è presente, non c’è dubbio, ma incarnato in una figura deviante, come i fantasmi o i licantropi di tanti racconti europei. Un pasticcio, intendo, perché il magico visto come un’anomalia è un dato ovvio, a cui il pubblico occidentale è già abituato da tempo: la familiarità con le figure del mito, con la consapevolezza, sotto sotto, che non ci si può credere fino DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO / 33 in fondo. Ecco, un magico così poco reale non aggiunge nulla, all’orizzonte di aspettative del lettore: un’arma spuntata nelle mani del narratore. Come vincere la lotteria, e smarrire il biglietto. Più curiosa, e infatti assai rara, è la soluzione alternativa: il magico è incarnato in un personaggio – un monaco volante; uno stregone; un grottesco cavaliere invisibile – ma tutti gli altri lo accettano come se fosse una cosa normale. Una specie di correzione in corsa: incarnare la magia in un solo personaggio significa associarle lo stigma dell’eccezionalità, decentrarla – però evidentemente c’è la sensazione che la cosa non funzioni, e si cerca di recuperare facendola passare come una prerogativa sì rara, ma tutto sommato accettabile (e quanta imperfezione, anche qui). Cinque bivi, che portano via l’85% del campione: magico assente; solo nominato; non manifesto; sacrificato nei riempitivi; localizzato. Eppure, al di là della prima diramazione, quella più radicale (e che andrà studiata a parte, va da sé), il magico è presente in tutte le storie: ma perché non è sufficiente? Perché questi appaiono come rami minori? Non certo perché queste soluzioni narrative, di per sé, fossero insufficienti, questa è la risposta: ma solo perché hanno trovato avversari più forti. È il senso stesso di un modello ispirato alla lotta per la vita, mi pare: mostrare come la dimensione di mercato non sia una caratterizzazione posticcia della storia letteraria – prima la creazione, e poi la circolazione – ma la sua vera, principale ragione. In altre parole, il primato di un’opera non è nell’incarnare lo spirito del tempo (l’anima e il mondo; la forma e l’idea), ma nel rappresentarlo meglio della concorrenza. E chi ci riesce meglio della concorrenza, qui, è visibile al punto 11, dove l’elemento magico è presente, attivo, distribuito nella storia, e diffuso in una grande varietà di personaggi e di situazioni, al punto da essere esso stesso la normalità. Un magico, per così dire, oggettivo: non dilaniato dal dubbio, e non compromesso dalle ideologie; e che infatti, nella più parte dei casi, è calato in una struttura narrativa fortemente monologica. Non più un fatto magico a sé, insomma: ma una realtà in cui esistono il patto con il diavolo e la lievitazione, la resurrezione dei corpi e l’apparire delle divinità; dove gli eroi combattono per centinaia di anni, i vivi parlano con i morti, e i veggenti intrecciano il destino del mondo. Tante strade possibili, si era detto all’inizio: ed è così, prima tante vie erano percorribili, e ognuna probabile come le altre. Ma poi uno guarda la categoria del magico diffuso, e in una ventina di titoli trova Cent’anni di solitudine, Foglie morte, Grande sertão, Il ladrone, Il regno di questo mon- 34 / ANDREA MICONI do, Pedro Páramo, Uomini di mais, Vento forte, Teresa Batista stanca di guerra, La casa degli spiriti – trova, in breve, il cuore del boom latinoamericano, e allora si dice che no, non tutte le strade erano percorribili allo stesso modo; ma saperlo prima, non è cosa di questo mondo. Un magico diffuso, ho detto, o anche ambientale: perché non solo avvolge l’intero spazio della narrazione, manifestandosi in personaggi diversi, ma è accettato da tutti, e si presta a spiegare in sé il corso della storia. Come la meravigliosa serie di carabattole di Cent’anni di solitudine: la profezia del bambino con la coda di maiale, il fantasma di Prudencio Aguilar e le carte di Pilar Tenera; e poi cantastorie che vivono duecento anni e sacerdoti che galleggiano in aria, il funerale sotto una pioggia di fiori, la peste dell’insonnia e le maledizioni, fino alle profezie di Melquiades, che riavvolgono la storia mentre si alza il vento che distrugge Macondo. A voler cercare un genere prossimo, siamo nella categoria di ‘meraviglioso puro’ fissata da Todorov, e precisamente nella variante del ‘meraviglioso esotico’, in cui “si riferiscono avvenimenti soprannaturali senza presentarli come tali”,11 come nel Milione e nelle Mille e una notte, e questo perché non c’è alcun “motivo di metterli in dubbio”. Un mondo dove la magia è normale, e dove semmai è la normalità, a rivestirsi di mistero: “la resurrezione di un morto non provoca la minima sorpresa”, scrive Vargas Llosa di Cent’anni di solitudine, “mentre il laboratorio di dagherrotipia provoca a José Arcadio il massimo stupore: […] per raccontare una resurrezione il narratore si trasferisce sul piano della realtà oggettiva, per raccontare una fotografia, sul piano dell’immaginario”.12 Al termine di questo straniamento, insomma, la spiegazione magica è diventata la norma: ho la facoltà di presentire le cose, dice un personaggio dolente di Miguel Angel Asturias, “ma beninteso, codesta facoltà ce l’hanno in molti” (Uomini di mais, “Maria Tecún”, XVI). E così Carpentier: “Tutti sapevano che l’iguana verde, la farfalla notturna, il cane sconosciuto, il pellicano inverosimile erano semplici trave11 Tzvetan Todorov, Introduction à la litterature fantastique (1970), trad. it. di Klersy Imberciadori, La letteratura fantastica, Milano: Garzanti, 1977, p. 58. Il modello di Todorov (strano puro; fantastico strano; fantastico meraviglioso; meraviglioso puro, diviso in iperbolico, esotico e strumentale) è certamente la migliore tassonomia disponibile sul tema. Il suo limite, tuttavia, è il limite di tutte le tipologie, ovvero quello di prevedere in sé tutti gli sviluppi possibili – mentre a me, come detto, interessa la tensione tra la differenziazione delle forme, e la selezione codificata nel canone. 12 Mario Vargas Llosa, García Márquez: historia de un deicidio, Barcelona: Barral, 1971, p. 572. DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO / 35 stimenti. Dotato del potere di trasformarsi in ruminante, in uccello, pesce o insetto, Mackandal visitava di continuo le fazende”.13 Ce l’hanno in molti; tutti sapevano… Una magia diffusa nell’ambiente: che inebria i personaggi; rende le donne irresistibili e i guerrieri invincibili; spiega le leggi della storia; intreccia il passato al futuro; punteggia le vicende con la successione struggente delle piogge e dei giorni. Lukács, Problemi di teoria del romanzo: [nel realismo fantastico] realistico è il modo di scrittura, il disegno preciso dei particolari necessari nel loro legame organico con le grandi forze sociali […]. Ma la storia narrata è consapevolmente non realistica e fantastica. Questo elemento fantastico nasce qui […] dalla comparazione satirica del vecchio mondo in dissoluzione e di quello nuovo che sta nascendo.14 Il contatto tra due mondi, scrive Lukács – il vecchio che muore, il nuovo che ancora non nasce – è la faglia in cui prende corpo la forma di compromesso del ‘realismo fantastico’: una struttura realista, che contiene in sé una storia incredibile. La cornice narrativa importata dall’Europa, che abbraccia i contenuti della cultura locale – è davvero così semplice, la genesi del realismo magico? Il tema meriterà maggiore spazio; qui dirò brevemente che, dopo aver accettato per buona questa spiegazione – il romanzo che incornicia gli elementi della tradizione mitico-orale, e li guida ad una lenta transizione verso il realismo – ho iniziato a pensare che le cose fossero più complicate. Ancora una volta, la definizione di Lukács è infatti corretta per la storia della letteratura europea (il romanzo del seicento; il realismo magico fiorito tra le nevi dell’immensa semiperiferia russa) – ma generalizzare al mondo quello che vale per l’Europa non è, forse, uno dei peccati capitali della critica letteraria? Che il realismo fantastico sia una forma di transizione tra il mondo epico-mitico e l’età del romanzo, insomma, è certamente plausibile; eppure, a me pare che nella letteratura latinoamericana accada piuttosto il contrario. È il romanzo realista, la prima conquista morfologica del subcontinente: e la forma egemone, per tutto l’ottocento e fino agli anni trenta del novecento, è quella delle storie ‘di fondazione’, ispirate ai temi, 13 14 153. Alejo Carpentier, op. cit., p. 25. Vittorio Strada (a cura di), Problemi di teoria del romanzo, Torino: Einaudi, 1976, p. 36 / ANDREA MICONI tutt’altro che magici, dell’amore e della nazione.15 Poi, però, la progressione della storia letteraria si arresta: ed è solo liberandosi del realismo, che il romanzo latinoamericano produce i suoi capolavori riconosciuti. E di certo, rispetto alla nostra abitudine storiografica, questo è un curioso ritorno all’indietro – un po’ come quel breve racconto di Alejo Carpentier, in cui la vita del protagonista scorre placidamente all’inverso, dalla morte alla nascita. Altro che giacenze di un’antica cultura: prima il realismo, e dopo – con la mediazione del surrealismo; della cultura dei mass media; delle mode primitiviste – il recupero del tema magico e della sua forza di evocazione, in cui l’inserimento della retorica orale, come già scrive Alessandro Portelli del romanzo nordamericano, è una strategia espressiva controllata dalla “capacità progettuale della scrittura”.16 Prima il realismo, e dopo il realismo magico – ma come si spiega? Panofsky, La prospettiva come forma simbolica: Quando la ricerca attorno ad un determinato problema artistico è giunta a un punto tale di maturazione che – a partire dalle vecchie premesse – sembra infruttuoso procedere nella stessa direzione, avvengono di solito quei grandi ritorni al passato o meglio quei cambiamenti di rotta che […] creano, proprio attraverso la rinuncia alle posizioni già raggiunte, cioè attraverso un ritorno a forme di rappresentazione apparentemente ‘più primitive’, la possibilità di valersi del materiale di scarto del vecchio edificio per la costruzione del nuovo.17 “Quei grandi ritorni al passato”, di cui è punteggiata la storia dell’arte: una ricerca all’indietro, con buona pace di tutte le filosofie della storia; un recupero di vecchi materiali di scarto, utili per rispondere ad esigenze simboliche altrimenti non risolvibili. Il ciclo della storia letteraria si inverte, ho detto prima: ma se questo accade, nel romanzo latinoamericano, è perché è la storia stessa a segnare un’inversione di rotta, ed aprire 15 Doris Sommer, Foundactional Fictions: The National Romances of Latin America, Berkeley: University of California Press, 1991. 16 Alessandro Portelli, Il testo e la voce. Oralità, letteratura e democrazia in America, Roma: Manifestolibri, 1992, pp. 87-104. Però: in America del Nord, come spiega Portelli, l’oralità è tradotta prevalentemente in forma di dialogo; nel realismo magico latinoamericano, in strutture narrative decisamente monologiche. Una differenza accidentale, o lo scarto tra due esigenze simboliche davvero diverse – la retorica della democrazia, e l’indolenza delle periferie? 17 Erwin Panofsky, Die Perspektive als ‘symbolische Form’ (1927), trad. it. di Enrico Filippini, La prospettiva come ‘forma simbolica’ e altri scritti, Milano: Feltrinelli, 1980, p. 50. DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO / 37 una crisi di senso a cui soltanto una nuova forma simbolica poteva dare sollievo. Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, scrive Doris Sommer, la “storia latinoamericana non sembrò più progressiva”, rispetto alla linea idealtipica dello sviluppo, e quindi, questo è il punto, non più rappresentabile con la “biografia nazionale positivista”18 incarnata dal romanzo europeo. Con il consolidamento dell’egemonia statunitense sul sistema-mondo, insomma, le lancette della storia si bloccano: il cammino di emancipazione degli stati nazionali si svuota di sostanza storico-politica, e lascia intravedere un nuovo posizionamento nelle periferie del sistema. Un nuovo spazio geopolitico, e una nuova esigenza simbolica, a cui il realismo, abituato a nuotare nelle acque tranquille dello stato-nazione, non sa davvero rispondere: e qui, la ‘risposta casuale’ dell’innovazione morfologica finisce per piegare all’indietro la curva del tempo, pescando a piene mani nel ‘materiale di scarto del vecchio edificio’ – i miti orali; il retaggio dell’epica; le leggende locali; le forme grottesche e iperboliche del racconto popolare. Imperfezione, non significa anche arrangiarsi con quello che capita? Bene: cede l’impalcatura del realismo, ed affiora la ricchezza delle forme narrative precedenti al romanzo moderno. Ora, è questa davvero, come spesso si dice, una risposta mitica all’egemonia culturale dell’occidente?19 Una rielaborazione autonoma della forma romanzesca, in grado di fare da controcanto alla visione coloniale del mondo? La risposta presuppone alcuni approfondimenti teorici, e quindi ci tornerò in separata sede; ma avanzo qualche dubbio, al proposito. Perché il Sud America del realismo magico – quello dei neri giganteschi, dei cantastorie ciechi e dei galeoni arenati, dei riti magici e dei vecchi sapienti, di donne dalla bellezza che fa impazzire gli uomini, danze e desolazione, pergamene misteriose e demoni nascosti dalla foresta – ecco, questo Sud America somiglia davvero troppo allo stereotipo proprio della cultura occidentale. Ora, certamente, il pubblico europeo colto sa di non potersi permettere più una visione così stereotipica del mondo (dopo decenni di dibattiti postcoloniali: davvero no) – ma se può cercarla altrove, questa visione, e se magari la 18 Doris Sommer, op. cit., p. 2. Faccio riferimento, in sostanza, alla tesi postcolonialista forte (Bill Ashcroft, Gareth Griffiths, Helen Tiffin, The Empire Writes Back: Theory and Practice in Post-Colonial Literatures, London-New York: Routledge, 1989), che francamente non mi convince del tutto; anche se questo articolo ha un taglio più analitico che teorico, e cercherò di riprendere il tema al più presto. 19 38 / ANDREA MICONI trova nella stessa narrativa latinoamericana, allora la tentazione è davvero troppo forte. Uno stereotipo storicamente fondato, si dirà, se si pensa al tempo ciclico delle narrazioni precolombiane; all’incontro di etnie e religioni diverse; alla cultura instabile delle semi-periferie – sarà, ma pur sempre uno stereotipo. Karl Marx, Discorso sul libero scambio: Voi pensate forse, signori, che la produzione del caffè e dello zucchero sia il destino naturale delle Indie occidentali. Ebbene, due secoli fa la natura, che non si immischia troppo nelle faccende commerciali, non vi aveva messo né la pianta del caffè, né la canna da zucchero.20 Uno stereotipo: ma prodotto in proprio. Ecco, tutto questo spiega, secondo me, la centralità del ‘meraviglioso esotico’, o, come l’ho più semplicemente definito, del ‘magico diffuso’. Perché di narrazioni magiche, diciamo il vero, il lettore europeo ne conosce già molte: ma se il mito è un fattore secondario, appena evocato, o addirittura deviante, come nei rami secchi di questo diagramma evolutivo, allora davvero niente di nuovo. Ecco, ad un magico non oggettivo il pubblico occidentale era già abituato da tempo: solo un magico, per così dire, di sistema, poteva offrire qualcosa di nuovo. O detto altrimenti: che il fantastico potesse costituire un problema, una perturbazione nell’ordine delle cose, lo sapevamo da tempo (e l’uccisione di Dracula ha salvato l’anima nera dell’occidente). Ma non sarebbe un mondo migliore, quello in cui il magico è la risposta? III. E va bene: molti ci provano, e solo qualcuno ci riesce; c’era bisogno di scomodare Darwin, si dirà? Non sarà, più semplicemente, che alcuni scrittori sono più bravi degli altri, e sopravvivono alla competizione per ragioni di qualità? Sì, se per qualità si intende, in modo laico, una particolare combinazione di elementi morfologici, che rende un’opera più idonea alle esigenze del pubblico. No, se dietro alla qualità si ripropone la tronfia abitudine del giudizio estetico – e magari, l’idea del disegno intelligente come motore della storia della cultura. Può essere, allora, che un autore sia semplicemente (e, per così dire, intenzionalmente) più bravo degli altri? Per rispondere, ho ripetuto l’esperimento sugli autori più letti tra quanti hanno codificato il realismo magi20 Karl Marx, Discour sur la question du libre-échange (1848), trad. it. di Franco Rodano, Discorso sul libero scambio, in Id., Opere, Roma: Editori Riuniti, 1973, vol. 6, p. 481. DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO / 39 co (e anche quelli con una produzione sufficientemente ampia per sviluppare il modello), Jorge Amado e Gabriel García Márquez, come mostrato dal diagramma 2. Il campione, qui, è ridotto ad una trentina di testi, ma l’articolazione complessiva non si restringe: segno che, almeno nelle fasi di formazione di un genere, la logica della risposta casuale sembra davvero dominante. Amado, come si vede, intercetta la dimensione del magico ‘diffuso’ – pur destinandole uno spazio testuale ridotto, rispetto alla futura stagione del boom – già in due opere degli anni trenta (Mar morto e Capitani della spiaggia), in cui la narrazione mitica fa da sfondo alle vicende, portando con sé la spiegazione di tutti i dilemmi – il vaiolo; il mistero dell’avvenire; il maltempo. Un esempio: Un’altra sera, una sera buia d’inverno, in cui i pescherecci non s’avventuravano in mare, notte di collera di Yemanjà e Xangô, […] Pedro Proiettile, il Gamba-Zoppa e João Grande andarono ad accompagnare la madredi-santo Don’Aninha […]. ‘Ogun è offeso’, aveva spiegato la madre-di-santo Don’Aninha.21 1937, un quarto di secolo prima del boom: una sera in cui la collera degli dèi fa ribollire l’oceano, tre ragazzi accompagnano una donna a placare l’ira della divinità del ferro… Certo, nella fattispecie la magia è intrisa di idolatria pagana, e forse questo non ne fa l’esempio più calzante, quanto a contenuti. Ma se uno guarda la morfologia del discorso – la magia come spiegazione oggettiva del reale; il dialogo dei personaggi ridotto ad attestazione passiva di eventi decisi in altre sfere; perfino la marca temporale in apertura – allora sembra chiaro che la soluzione era proprio lì, ancora una volta, a portata di mano. Però, è un aspetto di cui evidentemente l’autore non sa bene come servirsi, e così l’accantona, e per una trentina di anni si dedica a racconti a sfondo sociale e politico: le lotte dei lavoratori; il malaffare del Brasile; la dittatura; le faide sanguinarie tra fazenderos. Certo, per un po’ l’elemento magico deve rimanergli in testa, e infatti ne appaiono alcune ombre: in Terre del finimondo, viene nascosto nella capanna di uno stregone della foresta, in modo che non intralci troppo la storia; poi si sbriciola nell’accenno alla veggenza e alla maledizione (Sudore) o nel riferimento ad una profezia (Messe di sangue), ma già 21 Jorge Amado, Capitaes de areia (1937), trad. it. di Elena Grechi, Capitani della spiaggia, Milano: Garzanti, 1997, p. 99. 40 / ANDREA MICONI Diagramma 2 - Storie parallele: Il magico in Jorge Amado e Gabriel García Márquez 22 22 Legenda del diagramma 2: Amado [A]: 1930, Il paese del carnevale; 1933, Cacao; 1935, Jubiabà; 1936, Mar Morto; 1937, Capitani della spiaggia; 1942,Terre del finimondo; 1944, I padroni della terra; 1946, Messe di sangue; 1954a, La luce in fondo al tunnel; 1954b, Tempi difficili; 1954c, Agonia della notte; 1954d, Sudore; 1958, Gabriella garofano e cannella; 1964a, Due storie del porto di Bahia; 1964b, I guardiani della notte; 1966, Dona Flor e i suoi due mariti; 1969, La bottega dei miracoli; 1973, Teresa Batista stanca di guerra; 1976, Vita e miracoli di Tieta d’Agreste; 1979, Alte uniformi e camicie da notte; 1984, Tocaia grande; 1988, Santa Barbara dei fulmini; 1992, I turchi alla scoperta dell’America García Márquez [GM]: 1955, Foglie morte; 1961, Nessuno scrive al colonnello; 1962a, I funerali della Mamà Grande; 1962b, La mala ora; 1967, Cent’anni di solitudine; 1970, DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO / 41 non è più chiaro se i personaggi ci credano realmente. E infatti, nell’opera più ambiziosa della sua carriera, la trilogia dei Sotterranei della libertà, di magico non c’è traccia. Poi, il pendolo riprende l’oscillazione opposta, e negli ultimi decenni Amado si dedica in modo più coerente all’affresco delle mitologie popolari, con il loro corredo di profezie e di religioni meticcie. Ora, la perfezione non è di questo mondo, e infatti il celebre romanzo della svolta (Gabriella garofano e cannella) è ancora sospeso a metà tra le due istanze, e perfino un personaggio assai prossimo ai motivi del magico come Gabriella – che spande odore di cannella, e danza invece di camminare – è coinvolto in una parentesi politica a dir poco insensata. Ma ormai il più è fatto; dietro l’angolo, c’è già un mondo in cui i demoni abitano la notte e le prostitute recuperano la verginità per incanto; un mondo in cui non ci si meraviglia di niente, vista la consuetudine “con ogni sorta di cose stupefacenti: il lupo mannaro, la mula-senza-testa, il gigante Adamastor, la signora coperta d’oro” (Tocaia grande, “Le prime case”, VIII) – e chi più ne ha, più ne metta. García Márquez, per conto suo, scopre il magico già nel suo primo romanzo, Foglie morte, che apre il ciclo di Macondo: il velo struggente della predestinazione; il potere insondabile dell’almanacco; il vento che porta la fine – insomma, tutti gli elementi poi perfezionati nella formidabile macchina narrativa di Cent’anni di solitudine (salvo che la poetica non si sposa bene con la forma, e il racconto omodiegetico non consente ancora quello stato di oggettività della storia, e di dolente fatalismo dei personaggi, che renderà indimenticabile il suo capolavoro). Ad ogni modo, la strada è spianata, e il successo planetario di Cien anos sembra codificare definitivamente il genere: e invece, chissà perché, l’elemento magico inizia a stingere. Viene confinato nei riempitivi, ridotto ad allusioni, citato di passaggio; e infine, in Dell’amore e di altri demoni, caricato per intero sulle spalle della giovanissima Sierva María (che infatti non regge la pressione, e paga con la vita). Il magico era la soluzione, e adesso diventa il problema: cos’è accaduto, nel mezzo? L’autunno del patriarca, 1975. Tecnicamente, qui l’elemento magico è ancora presente: il dittatore governa per centinaia di anni, il che non è Racconto di un naufrago; 1972, La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata; 1975, L’autunno del patriarca; 1981, Cronaca di una morte annunciata; 1985, L’amore ai tempi del colera; 1986, Le avventure di Miguel Littín, clandestino in Cile; 1989, Il generale nel suo labirinto; 1994, Dell’amore e di altri demoni. 42 / ANDREA MICONI normalissimo; e tra le altre cose lo fa, più esplicitamente, consultando le cartomanti (e naturalmente le fa giustiziare, se la predizione non è di suo gusto). Ma è ormai un dettaglio, una rimanenza poetica, perché, nella maggior parte dei casi, l’elemento mitico è letteralmente rifiutato dalla storia: l’apparizione delle caravelle di Colombo, si capisce dopo qualche pagina, avviene in un sogno del protagonista; la morte e resurrezione del dittatore trova la spiegazione più banale, perché a morire davvero era stato un sosia, Patricio Aragonés; e le guarigioni miracolose, null’altro che suggestione dei sudditi. E all’incontro con la morte, poi, lui disse che no, morte, che non era ancora la sua ora, che doveva accadere durante il sonno nella penombra dell’ufficio come era stato annunciato fin da sempre nelle acque premonitrici dei catini, ma lei ribatté che no, generale, che è accaduto qui, scalzo e coi vestiti di bisognoso che aveva indosso.23 Dal primo della stirpe incatenato ad un albero, alla fine che arriva nel posto e nel momento sbagliato: ma se non era questa, la morte annunciata dalla profezia, vuol dire che la profezia era falsa, tutto qua – vuol dire che l’età del magico è tramontata (anche se, naturalmente, “coloro che trovarono il corpo avrebbero detto che era stato sul pavimento dell’ufficio con l’uniforme di tela”). Gli eventi, insomma, sembrano richiedere ancora una spiegazione magica, ma non c’è più niente da fare: a spiegare le stranezze del reale sono soltanto l’arbitrio e la meschinità del potere. E così, tanto limpida e oggettiva era la struttura di Cent’anni di solitudine, tanto L’autunno del patriarca si contorce in un diluvio di subordinate che rende il senso mefitico delle gerarchie – e la distanza tra il patriarca ed i sudditi è tale che nessuno, infine, sarà in grado di riconoscerne il corpo. La forma si contorce su se stessa: la collettività – il noi che regge buona parte della narrazione – non riesce a contenere l’ego del dittatore, e ne subisce ogni arbitrio. E così, il patriarca impone il finale delle soap operas; vende il mare per sanare il bilancio di stato; ordina le repressioni più assurde; dichiara guerra alla chiesa di Roma; manipola le estrazioni della lotteria… Con le parole di un altro dittatore, quello di Augusto Roa Bastos: “Io sono l’arbitro. Posso decidere una cosa. Ideare i fatti. Inventare gli avvenimenti”.24 23 Gabriel García Márquez, El otono del patriarca (1975), trad. it. di Enrico Cicogna, L’autunno del patriarca, Milano: Mondadori, 1983, p. 260. 24 Augusto Roa Bastos, Yo el Supremo (1974), trad. it. di Stefano Bossi, Io il supremo, Milano: Feltrinelli, 1978, p. 212. DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO / 43 La frase completa; poi il soggetto sottointeso; infine, sottointeso anche il verbo ausiliario: con la più semplice delle soluzioni grammaticali, la cornice di arbitrarietà scompare nello spazio di tre proposizioni, e il punto di vista unico del supremo viene oggettivato nella realtà circostante. Cos’era dunque accaduto, nel mezzo? Che il circolo della storia si è compiuto, e le nefandezze militari precipitano il Sud America nella pagina oscura della politica recente. Il ‘mondo giovane’ di Cien Anos – in cui perfino la guerriglia del colonnello Buendía era ascritta all’ordine superiore nel mito – ha perso la sua verginità. Una risposta obbligata alla storia contemporanea, anche qui? Nient’affatto: più semplicemente, la risposta di Márquez – al mercato, il compito di giudicarla. Giravolte, errori, scoperte casuali, recupero di materiali abbandonati – “le cose più strane e diverse, pezzi di spago o di legno, vecchi cartoni”…25 Ma insomma, è davvero l’autore, il soggetto della storia letteraria? Dipende da quale storia si vuole rappresentare, non c’è dubbio; eppure, più si guarda la morfologia dei testi, e più l’evoluzione del romanzo appare quello che è, un guazzabuglio di tentativi, in cui – nelle fasi di latenza del paradigma – ciascuno impara e disimpara continuamente, torna sui suoi passi, accantona la soluzione giusta per riscoprirla chissà come più avanti. Ora, allo stato attuale – e, va da sé, date soprattutto le mie competenze – non sono in grado di proporre una valutazione complessiva dell’approccio evolutivo (tra breve, comunque, ne discuterò alcuni limiti); ma di certo, questa mi sembra la sua conquista maggiore: sottrarre la storia della cultura ad ogni ipoteca idealista, e restituirla al profilo irregolare, e quindi assai più interessante, delle sue condizioni materiali. Gli adattamenti biologici sono “straordinari ma goffi”, scrivono Cavalli Sforza, Menozzi e Piazza, “come se fossero il risultato di continui aggiustamenti […] non secondo un disegno preciso, ma attraverso tentativi ed errori, in un processo storico dettato dall’occasionale verificarsi di mutazioni spontanee in momenti e luoghi particolari”.26 Continui ‘adattamenti funzionali’, che portano ad un risultato straordinario, ma goffo: che nasca qui, un genere letterario, anziché dal fuoco che brucia nell’anima? IV. Da ultime, alcune considerazioni sul modello darwiniano, che cercano di rispondere ad un paio di dubbi cresciuti nel corso di questo lavoro: 25 François Jacob, Evoluzione e bricolage. Gli ‘espedienti’ della selezione naturale, Torino: Einaudi, 1978, p. 17. 26 Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza, op. cit., p. 19. 44 / ANDREA MICONI se davvero un singolo fattore può essere considerato decisivo in un processo evolutivo; e, come valutazione complessiva, fino a che punto è sostenibile l’analogia con le leggi dell’evoluzione. Quanto al primo argomento – se un singolo fattore può essere considerato decisivo in un processo evolutivo – rispondo brevemente, e onestamente, di no. L’ho già anticipato: il realismo magico, come il romanzo poliziesco, costituisce un caso certamente privilegiato, in cui un elemento morfologico è (probabilmente) sufficiente a caratterizzare il genere. Può darsi che esistano altri casi paragonabili (non so: il tema dell’amore nel romanzo rosa), ma di certo, nella enorme maggioranza dei casi, le cose stanno diversamente, ed è semmai una combinazione di fattori, a risultare decisiva. E anche nel mio caso, per di più, l’approfondimento del modello presuppone sempre un incrocio tra diverse variabili: il senso mitico unito all’oggettività malinconica del monologismo, si è detto del romanzo del boom; il mito raccontato in forma eterodiegetica, quanto a Cent’anni di solitudine; un incontro tra i temi ed i luoghi, ho ripetuto più volte, e più in generale, del romanzo latinoamericano. E questi sono, appunto, incroci tra diverse variabili di analisi. E allora, come se ne esce? Se ne esce, credo, con una soluzione molto usata nelle scienze naturali e nella ricerca sociale, che è l’analisi multivariata: l’uso sincronico di una serie di variabili. Ma questa è una storia tutta da scrivere, perché l’analisi multivariata presuppone un paio di passaggi essenziali – la scelta del campione di analisi, e soprattutto la quantificazione delle variabili – che sono il pane quotidiano di tanti ricercatori, ma ancora un oggetto misterioso, per chi si occupa di letteratura. Staremo a vedere. E infine, che dire della grande eresia di un modello ispirato alle scienze naturali? Quello che ci interessa, ha scritto un secolo fa Georg Simmel, non è l’analogia tra “le realtà della società e dell’organismo”, ma “l’analogia del metodo di trattazione”27: non è sulla biologia che bisogna appiattire lo studio dei fatti sociali, insomma, ma sulle leggi dell’evoluzione biologica. Leggi di evoluzione, ma del campo letterario: qualcuno provò anche a fissarle, verso la fine del XIX secolo (esistenza; differenziazione; fissazione; azione dei modificatori; trasformazione),28 ma si trattava davvero di 27 Georg Simmel, Soziologie (1908), trad. it. a cura di Alessandro Cavalli, Sociologia, Torino: Comunità, 1998, p. 21. 28 Ferdinand Brunetière, L’evolution des genres dans l’histoire de la letterature (1890), trad. it. a cura di Paolo Bagni, L’evoluzione dei generi nella storia della letteratura, Parma: Pratiche, 1980, pp. 15-16. DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO / 45 un positivismo un po’ rozzo. Ma ora, c’è da chiedersi, è davvero necessario rifarsi al paradigma evoluzionista? O non basta, magari, lavorare su una ‘morfosfera’, uno ‘spettro’ delle variazioni tecnico-stilistiche (basato sul concetto di canonizzazione di Šklovskij, ad esempio)? Insomma, va bene una storia letteraria come storia delle forme (si fa per dire: è cosa tutt’altro che accettata, purtroppo); va bene la diversificazione morfologica e lo strozzatura del canone; ma poi Darwin, serve davvero? Domanda complessa, secondo me: a cui, infatti, non so proprio rispondere. Sì e no, direi, se dovessi basarmi sulle mie conoscenze attuali. No, perché un approccio propriamente evoluzionista richiede un lavoro su scala molto più ampia, rispetto, ad esempio, al caso che ho cercato di proporre. E questo perché un modello evolutivo ha bisogno di individuare un momento di origine delle tecniche prese in esame – e in questo il realismo magico, la struttura indiziaria del poliziesco, o lo stile indiretto libero, a modo loro, costituiscono ancora dei casi privilegiati. Tuttavia, più in generale, se accettiamo che la storia letteraria non funzioni per invenzione di nuove forme, ma per adattamento dei materiali esistenti – “mutamento di funzione”, secondo i formalisti russi –29 apparirà come, nella grande maggioranza dei casi, questo momento di origine sia di fatto impossibile da localizzare, o perso in tempi lontanissimi. E allora, una storia evolutiva delle tecniche letterarie sembra recuperabile appunto su una scala molto ampia – quella, insomma, di una geografia letteraria comparata aperta a mutamenti e trasformazioni che durano secoli (le innovazioni morfologiche), e magari a volte millenni (la lunga durata dei temi epico-mitici). Un progetto straordinario, un po’ sulla linea della storia economica di lunga durata, o della Storia e geografia dei geni umani: e per questo, diciamolo pure, realisticamente improponibile. Sì, invece, se si concorda sulla necessità di una meta-teoria, di un paradigma capace di orientare le analisi testuali (ed è difficile non concordare) – e se si accetta di prendere, in parole un po’ rozze, il meno peggio che si ha a disposizione (parole rozze, per un concetto nobile: scegliere il meno peggio, o la spiegazione più probabile, è la logica stessa della ricerca scientifica). E allora, rispetto alle alternative – la metafisica paralizzante delle categorie di sintesi; la dottrina normativa delle humanities; il pasticciato paradigma della sociologia del romanzo; lo sfrenato individualismo 29 Jurj Tynjanov, “O literaturnoj evoljucii” (1927), trad. it. “L’evoluzione letteraria”, in Tzvetan Todorov (a cura di), I formalisti russi, Torino: Einaudi, 1968, pp. 125-43. 46 / ANDREA MICONI metodologico del postmoderno – il pur delicato modello darwiniano offre, di certo, almeno un vantaggio (oltre al vantaggio generale: quel rigore ‘un po’ calvinista’ della ricerca, proprio delle scienze naturali, che tanto male non farebbe). L’origine delle specie: sembra incredibilmente assurdo che la selezione naturale possa aver formato l’occhio, con tutti i suoi inimitabili congegni […]. Tuttavia […] se è possibile dimostrare che esistono numerose gradazioni da un occhio perfetto e complesso ad un altro molto imperfetto e semplice […] allora la difficoltà di credere che, grazie alla selezione naturale, si possa formare un occhio perfetto […] cessa di essere consistente.30 La perfezione come anomalia, che si spiega soltanto sullo sfondo delle mille forme imperfette proprie dell’evoluzione: e allora, per quanto ci riguarda, la storia letteraria come un dialogo continuo tra generi alti e bassi, tra forme canoniche e non canoniche (come nel disegno teorico di Šklovskij e Bachtin) – una storia per cui la lettura ossequiosa dei capolavori non basta più, ma quello che conta è il perché alcune opere risaltano sullo sfondo di tanta letteratura normale (e solo un’analisi comparata, qui, può essere produttiva). L’imperfezione: ecco il vantaggio (e Moretti, in effetti, ci ha lavorato già da Opere mondo). Una storia letteraria irregolare, dominata dalla casualità delle variazioni morfologiche, nelle fasi di apertura, e dalla codifica di un genere, vincente sulle ‘linee minori’, nelle fasi di stabilità (questo, almeno, in una versione della teoria evoluzionista, quella degli ‘equilibri punteggiati’). Una oscillazione continua tra lunghe fasi di stabilità, e di imitazione del canone, e brevissime ma brucianti fasi di strappo, in cui i paradigmi si incrinano, e la risposta casuale attiva la concorrenza per la definizione di un nuovo canone. Lunghe parentesi di stabilità, e brevi periodi di rottura – ma non è una cosa già sentita? Altroché: è la logica dell’evoluzione biologica in una delle sue versioni forti, come detto; ma anche dei grandi sistemi dell’economia-mondo (i rarissimi passaggi di egemonia);31 delle rivoluzioni 30 Charles Darwin, The Origin of Species (1859), trad. it. a cura di Pietro Omodeo, L’origine delle specie, Roma: Newton Compton, 2000, pp. 176-77. 31 “Ogni volta che si ha un décentrage, si opera una polarizzazione attorno ad un nuovo centro, come se ogni economia-mondo non potesse vivere senza un centro di gravità, senza un polo. Questi processi di décentrage e récentrage sono comunque rari e, per questo, tanto più importanti”. Fernand Braudel, La dynamique du capitalisme (1977), trad. it. di Giuliana Gemelli, La dinamica del capitalismo, Bologna: Il Mulino, 1981, p. 80; corsivo aggiunto. DAL REAL MERAVILLOSO AL REALISMO MAGICO / 47 del sapere (i paradigmi di Kuhn);32 dello sviluppo delle tecnologie della conoscenza (le fasi di Innis);33 della storia del costume e delle mentalità (le Annales). Una storia letteraria, insomma, più vicina ai cicli della storia generale (anche se destinata a rispondere con regole sue proprie, che sono quelle della forma) – e una storiografia letteraria, di conseguenza, più vicina ai procedimenti della altre scienze. Se la posta in gioco è questa, come mi sembra, è un’occasione da non lasciarsi scappare. Appendice Cronologia delle opere analizzate 1926 1930 1933 1934 1935 Don Segundo Sombra, Ricardo Guiraldes Il paese del carnevale, Jorge Amado Cacao, Jorge Amado Huasipungo, Jorge Icaza Jubiabà, Jorge Amado Canaima, Romulo Gallegos 1936 Mar Morto, Jorge Amado 1937 Capitani della spiaggia, Jorge Amado 1938 I cani affamati, Ciro Alegría 1941 L’invenzione di Morel, Adolfo Bioy Casares Museo del romanzo della Eterna (primo romanzo bello), Macedonio Fernández Tutto il verde perirà, Eduardo Mallea Il mondo è grande e alieno, Ciro Alegría 1942 Terre del finimondo, Jorge Amado Per questa notte, Juan Carlos Onetti 1944 I padroni della terra [São Jorge dos Ilhéus], Jorge Amado 1944-46 Racconti, José Lezama Lima 1945 Piano d’evasione, Adolfo Bioy Casares 1946 Messe di sangue, Jorge Amado Il duello, João Guimarães Rosa L’ora e il momento di Augusto Matraga, João Guimarães Rosa 1947 Nessuno accendeva le lampade, Felisberto Hernández 1948 Il tunnel, Ernesto Sabato 1949 Il regno di questo mondo, Alejo Carpentier 1950 La vita breve, Juan Carlos Onetti 1951 Bestiario, Julio Cortázar 1953 I passi perduti, Alejo Carpentier La morte al Messico, Juan Rulfo La pianura in fiamme, Juan Rulfo 1954 Tempi difficili, Jorge Amado Sudore, Jorge Amado 32 1955 1956 1957 1958 1960 1961 1962 1963 Fine del gioco, Julio Cortázar Agonia della notte, Jorge Amado La luce in fondo al tunnel, Jorge Amado Il sogno degli eroi, Adolfo Bioy Casares Foglie morte, Gabriel García Márquez Evaristo Carriego, Jorge Luis Borges Pedro Páramo, Juan Rulfo La fucilazione, Alejo Carpentier Il Signor Presidente, Miguel Angel Asturias Miguilim, João Guimarães Rosa Uomini di mais, Miguel Angel Asturias Gabriella garofano e cannella, Jorge Amado La via lattea, Alejo Carpentier Ritorno alle origini, Alejo Carpentier Festa di sangue, José María Arguedas L’ombelico della luna, Carlos Fuentes Figlio di uomo, Augusto Roa Bastos Gli occhi che non si chiudono, Miguel Angel Asturias Nessuno scrive al colonnello, Gabriel García Márquez Due storie del porto di Bahia, Jorge Amado La mala ora, Gabriel García Márquez Storie di cronopios e di famas, Julio Cortázar Il secolo dei lumi, Alejo Carpentier I funerali della Mamà Grande, Gabriel García Márquez Vento forte, Miguel Angel Asturias La morte di Artemio Cruz, Carlos Fuentes La città e i cani, Mario Vargas Llosa Aura, Carlos Fuentes I Peruviani, Ciro Alegría Grande Sertão, João Guimarães Rosa I sette pazzi, Roberto Arlt La bomba dell’Avana, Severo Sarduy Thomas S. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions (1962), trad. it. di Adriano Cargo, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino: Einaudi, 1995. 33 Harold A. Innis, Empire and Communications (1950), trad. it. a cura di Andrea Miconi, Impero e comunicazioni, Roma: Meltemi, 2001. 48 / 1964 1965 1966 1967 1968 1969 1970 1971 1972 1973 1974 1975 1976 1977 ANDREA MICONI I lanciafiamme, Roberto Arlt Così in pace così in guerra, Guillermo Cabrera Infante Mulatta senza nome, Miguel Angel Asturias I guardiani della notte, Jorge Amado Il persecutore, Julio Cortazar Tre tristi tigri, Guillermo Cabrera Infante La casa verde, Mario Vargas Llosa Il gioco del mondo, Julio Cortázar Il posto che non ha confini, José Donoso Dona Flor e suoi due mariti, Jorge Amado Cent’anni di solitudine, Gabriel García Márquez Cambio di pelle, Carlos Fuentes Il mondo allucinante, Reinaldo Arenas Conversazione nella “Catedral”, Mario Vargas Llosa La bottega dei miracoli, Jorge Amado Il ladrone, Miguel Angel Asturias Diario della guerra al maiale, Adolfo Bioy Casares Rulli di tamburo per Rancas, Manuel Scorza Racconto di un naufrago, Gabriel García Márquez L’osceno uccello della notte, José Donoso Il banchetto di Severo Arcangelo, Leopoldo Marechal Il manoscritto di Brodie, Jorge Luis Borges I fiumi profondi, José Maria Arguedas La volpe di sopra e la volpe di sotto, José Maria Arguedas Storia di Garabombo, l’invisibile, Manuel Scorza La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata, Gabriel García Márquez Cobra, Severo Sarduy Teresa Batista stanca di guerra, Jorge Amado Triste, solitario y final, Osvaldo Soriano Pantaleòn e le visitatrici, Mario Vargas Llosa Dormire al sole, Adolfo Bioy Casares Io il supremo, Augusto Roa Bastos Concerto barocco, Alejo Carpentier Tutte le stirpi, José Maria Arguedas Il sexto, José Maria Arguedas Il ricorso del metodo, Alejo Carpentier L’autunno del patriarca, Gabriel García Márquez Il libro di sabbia, Jorge Luis Borges Il bacio della donna ragno, Manuel Puig Vita e miracoli di Tieta d’Agreste, Jorge Amado La zia Julia e lo scribacchino, Mario Vargas Llosa La ricerca del giardino, Héctor Bianciotti Il cavaliere insonne, Manuel Scorza 1979 1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1988 1989 1990 1991 1992 1994 2001 Alte uniformi e camicie da notte, Jorge Amado La vampata, Manuel Scorza L’Avana per un infante defunto, Guillermo Cabrera Infante L’arpa e l’ombra, Alejo Carpentier Tanto amore per Glenda, Julio Cortázar Il gallo d’oro, Juan Rulfo La misteriosa scomparsa della marchesina di Loria, José Donoso Le relazioni lontane, Carlos Fuentes Cronaca di una morte annunciata, Gabriel García Márquez La guerra della fine del mondo, Mario Vargas Llosa Mascarò, il cacciatore americano, Haroldo Conti La casa degli spiriti, Isabel Allende L’amore non è amato, Héctor Bianciotti L’arcano, Juan José Saer La danza immobile, Manuel Scorza Artisti, pazzi e criminali, Osvaldo Soriano Tocaia grande, Jorge Amado Storia di Mayta, Mario Vargas Llosa L’amore ai tempi del colera, Gabriel García Márquez Il gringo vecchio, Carlos Fuentes L’avventura di un fotografo a La Plata, Adolfo Bioy Casares La neve dell’ammiraglio, Álvaro Miutis Chi ha ucciso Palomino Molero?, Mario Vargas Llosa La resa del leone, Osvaldo Soriano Le avventure di Miguel Littín, clandestino in Cile, Gabriel García Márquez Memoria del fuoco, Eduardo Galeano Elogio della matrigna, Mario Vargas Llosa Ilona arriva con la pioggia, Álvaro Mutis L’ultimo scalo del Tramp Steamer, Álvaro Mutis Santa Barbara dei fulmini, Jorge Amado La notte delle stelle azzurre, Hector Bianciotti Il generale nel suo labirinto, Gabriel García Márquez Il mondo alla fine del mondo, Luis Sepùlveda Armibar, Álvaro Mutis Un’ombra ben presto sarai, Osvaldo Soriano Abdul Bashur, sognatore di navi, Álvaro Mutis Il piano infinito, Isabel Allende Una bambola russa, Adolfo Bioy Casares I turchi alla scoperta dell’America, Jorge Amado Dell’amore e di altri demoni, Gabriel García Márquez La frontiera scomparsa, Luis Sepùlveda La metà di una vita, Viadiadhar Surajprasad Naipaul