L`approdo sereno della Sant`Antonio

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SABATO 8 OTTOBRE 2011
il Cittadino
Primo Piano
INSEDIAMENTI RURALI DEL LODIGIANO ­ 222
LE VICENDE, LE MEMORIE, LE FIGURE DI UN MONDO CONTADINO SCOMPARSO
L’approdo sereno della Sant’Antonio
Qui si è trasferito il ramo sanmartinese della famiglia Invernizzi
I
n un tramonto sfumato di colori,
gli ultimi raggi del sole giocano a
rimpiattino con le fronde dei ti­
gli: sono cinquantatre alberi che,
ai lati opposti di un vialetto, lascia­
no filtrare ora un residuo scintillio
di luci, ora le prime penombre della
sera. Anche la cascina Sant’Antonio
di San Martino in Strada è un alter­
narsi di eterogenee geometrie archi­
tettoniche, tra profili abitativi mo­
derni, stalle per bovine a lunghe
percorrenze, ed un giardino di lusin­
ghieri propositi, abitato da salici
piangenti, aceri, pini.
n RADICI E APPRODI
Sono ospite della famiglia Inverniz­
zi, che vanta radici lontane ed ap­
prodi recenti. Il ramo degli Inverniz­
zi di San Martino in Strada ha il suo
ceppo originario nel paese più picco­
lo d’Italia: Monterone, provincia di
Lecco, sotto al Resegone. A spostarsi
nel Lodigiano era stato Giovanni In­
vernizzi, ai primi del Novecento: la
prima tappa l’aveva fatta alla casci­
na Campagna di Borghetto Lodigia­
no, mentre durante la Prima guerra
mondiale si era spostato in una ca­
scina della zona di Vercelli; egli era
un malghese, e i suoi spostamenti
erano frequenti. Anche il figlio, che
si chiamava Annibale, aveva scelto
lo stesso genere di impegno, e lo ave­
va proseguito sino al 1930.
Il desiderio di offrire una stabilità
maggiore alla propria famiglia, ave­
va però convinto Annibale Inverniz­
zi ad optare per una vita più tran­
quilla: così era divenuto affittuario
dell’azienda dove in quel periodo
svolgeva il lavoro come malghese: la
corte Vittoria di Turano Lodigiano.
Annibale aveva sposato Giulia Lu­
nati di Castiglione d’Adda, anch’ella
figlia di agricoltori. La coppia ebbe
quattro figli: Luigi detto Gino, nato
nel 1933, Luciana, che morì purtrop­
po ancora infante, Luciano che della
sfortunata sorellina prese il nome,
nato nel ‘37, e testimone di questa
odierna pagina, ed infine Lucia nata
nel 1939.
n IL FIUTO DI ANNIBALE
Il signor Annibale era un agricolto­
re con un fiuto eccellente per gli af­
fari, ma gli piaceva pure lavorare di­
rettamente in cascina, e molte in­
combenze anche amministrative
aveva preferito delegarle alla mo­
glie; la signora Giulia era una vera
lady di ferro: pur dedicandosi tantis­
simo alla famiglia, si interessava di
ogni cosa, e sempre con piglio fer­
mo, deciso. Annibale aveva una sola
apprensione: le piene dell’Adda. Lo
terrorizzavano, ogni volta che piove­
va più forte trascorreva giorni d’ap­
prensione perché sapeva bene i fa­
stidi che avvenivano, in quella zona,
ad ogni esondazione.
Così, nel 1941, allorché si profilò un
buon affare, volle spostarsi alla ca­
scina Vesca di San Martino in Stra­
da, proprietà della famiglia Castel­
lotti. Così, abituato ad essere chia­
mato dagli amici con la scumagna di
“Giuanin”, nome appioppatogli per­
ché così si chiamava il padre e per
via della sua bassa statura, Anniba­
le divenne universalmente noto co­
me “Giuanin de la Vesca”.
I primi anni a San Martino in Strada
furono veramente soddisfacenti. An­
nibale (o altrimenti “Giuanin de la
Vesca”) era indaffaratissimo con i
lavori agricoli, e la signora Giulia
verificava che ogni cosa funzionasse
alla perfezione. In quel periodo il lat­
te continuava ad essere lavorato an­
cora in cascina: Annibale era un ca­
saro d’eccellenza, produceva un otti­
mo gorgonzola. Pare che il segreto
fosse in un gioco di miscelature. Pra­
ticamente di sera si metteva il latte
all’interno di un fagotto, da cui tra­
panava la cagliata, che si lasciava
raffreddare. Con la nuova mungitu­
ra del mattino si effettuava lo stesso
procedimento, ma la nuova cagliata,
calda, veniva mescolata con la pri­
ma, fredda. Si formavano così le
muffe naturali e il gorgonzola era
servito. Per 15 giorni il formaggio ri­
maneva in cascina; poi, per la suc­
cessiva stagionatura, veniva conse­
gnato allo stabilimento Croce di Ca­
salpusterlengo. Maestri in queste
operazioni erano proprio Annibale
“Giuanin” Invernizzi e un altro
agricoltore, suo grande amico: Bor­
tolo Arioli.
n UN ASSURDO INCIDENTE
Il periodo così sereno fu interrotto
da una gravissima disgrazia, che si
abbatté sulla famiglia Invernizzi: a
soli 46 moriva Annibale, a causa di
un assurdo incidente; il cavallo che
trainava il calessino s’era imbizzar­
rito, lui aveva provato a tenere fer­
me le briglie, ma il quadrupede s’era
ancora più innervosito, e aveva ro­
vesciato all’indietro la vettura: An­
nibale era caduto sullo sterrato, mo­
rendo istantaneamente. Mancava
dieci metri e sarebbe arrivato in ca­
scina. Ed invece così tragicamente
moriva “Giuanin de la Vesca”. Ma la
signora Giulia, con tre piccoli bam­
bini sulle spalle, non disarmò. E mo­
strò tutto il suo carattere.
In cascina aveva la fortuna di con­
sultarsi con due bravissimi dipen­
denti: il fattore Giuseppe Massari ed
il capo mungitore Alessandro Bru­
netti. Il primo era stato alle dipen­
denze degli Invernizzi anche ai tem­
pi della cascina Vittoria, mentre il
secondo era arrivato ad un anno dal­
la sciagurata morte di Annibale,
chiamato proprio perché per la stal­
la serviva un uomo competente e
d’esperienza. Brunetti aveva dalla
sua una dote straordinaria: possede­
va occhio. Bastava che guardasse,
anche solo distrattamente, una bovi­
na per rendersi conto del suo stato
di salute: orecchie basse ed occhi af­
fossati erano segnali d’allarme mol­
to eloquenti. Era un lavoratore in­
stancabile: una volta che gli altri
mungitori avevano aderito agli scio­
peri, lui era andato dritto in stalla ed
aveva munto sessanta vacche di fila,
roba da stecchire chiunque altro; lui
ne era uscito infatti provato, ma sod­
disfattissimo per la sua forza.
n RAGAZZI IN GAMBA
Crescendo, i ragazzi di casa Inver­
nizzi rientrarono dal collegio e co­
minciarono a lavorare in cascina.
Veramente a Luciano sarebbe pia­
ciuto proseguire gli studi: aveva ap­
preso la grande
lezione morale
del padre, a cui
piaceva tantissi­
mo la cultura; al
povero Annibale,
infatti, piaceva
l’istruzione e tra­
scorrere il tempo
con gente che ne
sapesse più di
lui: ma quando i
discorsi si face­
vano complicati,
provava un senso
di frustrazione,
di disagio. Aveva
perciò raccoman­
dato ai figli di fa­
re i compiti con
la necessaria
concentrazione,
senza mai la­
gnarsi, perché
l’istruzione nella
vita serviva. La
madre, però, gli
spiegò che l’im­
pegno dei due fi­
gli le consentiva
di risparmiare la
paga di due con­
tadini e li richia­
mò in cascina:
forse contò pure
il discorso sulle
esigenze del bor­
sellino, ma certa­
mente la signora,
che aveva un otti­
mo intuito, rico­
nobbe in Gino e
Luciano la stoffa
degli agricoltori.
Gino si occupava
dei mercati, men­
tre Luciano era
più uomo di fati­
ca, rivolto alla ge­
stione della stalla
e alla cura dei
campi. Sino alla
fine degli anni
Sessanta, gli In­
vernizzi manten­
nero una sessantina di bovine, suc­
cessivamente, quando la proprietà
della cascina Vesca realizzò la stalla
all’aperto, il numero fu aumentato.
Nel 1966 Luciano sposò Luigia Po­
denzani di San Martino in Strada, il
cui padre aveva una macelleria nel
centro del paese. La signora rimase
colpita dal carattere determinato di
Luciano, atteggiamento che apprez­
zò tantissimo anche nel vederlo lavo­
rare in cascina, sempre attento, pre­
sente, concentrato, instancabile. La
coppia ha avuto due figli: Elisabetta
e Giovanni.
n UNA CORTE RECENTE
Nell’anno 2000 la proprietà decise di
subentrare direttamente nella con­
duzione della cascina Vesca. Lucia­
no scelse allora di acquistare la ca­
scina Sant’Antonio, una corte co­
struita solo di recente, cioè nel 1970,
dall’allora proprietario Desiderio
Pavoni, che aveva pensato bene di la­
sciare l’attività agricola per dedicar­
si ad altra originale avventura im­
prenditoriale.
Così, dopo una vita trascorsa insie­
me, in grande armonia e reciproca
fiducia, i fratelli Invernizzi, sopra­
tutto pensando all’avvenire dei pro­
La cascina
Sant’Antonio
a San Martino,
costruita nel ‘70
da Desiderio
Pavoni
pri figli, decisero di dividersi: Gino
andò alla corte Gualdane di Lodi
Vecchio, mentre Luciano venne alla
cascina Sant’Antonio. Inoltre Lucia­
no Invernizzi ha anche un centinaio
di bovine presso la cascina Grande
di Caviaga, così che in certo senso
sembra avere ripreso spunti di vita
malghese. Il latte viene conferito al
caseificio Raimondi di Villanova Sil­
laro.
E poiché la storia sembra a volte ri­
petersi, oggi Luciano è affiancato
dai propri figli, Elisabetta e Giovan­
ni. La prima si dedica a tutti gli
aspetti contabili, mentre il secondo
si occupa maggiormente di aspetti
pratici: in questo periodo, ad esem­
pio, si dedica particolarmente alla
stalla. I ragazzi hanno cominciato a
macinare idee e su alcuni tetti dei
caseggiati rurali della corte sono
stati posti pannelli per il fotovoltai­
co. Elisabetta è una donna a cui pia­
cerebbe recuperare i valori più bu­
colici della natura, e dell’agricoltura
apprezza i ritmi quasi abitudinari, e
comunque stabili delle lavorazioni.
Figli e moglie, vorrebbero che Lu­
ciano Invernizzi, ormai con settan­
taquattro primavere sulle spalle, ral­
lentasse i ritmi. Ma lui è un uomo
d’acciaio, ha la stessa perseveranza
dei suoi tempi d’oro. Ma siccome è
anche un uomo intelligente, dice che
più che alla forze si affida, come gli
aveva insegnato il suo indimentica­
to maestro Alessandro Brunetti, al­
l’intuito dell’occhio. In stalla, oltre
che dare da mangiare alla mandria,
osserva con attenzione le bovine: si
accorge delle loro necessità, si ado­
pera per le cure necessarie. È un ma­
estro nel cogliere anche lo stato di
calore di una bovina, allorchè le va
praticata l’inseminazione artificia­
le: sapere interpretare il momento
giusto significa anticipare le rese
del latte almeno di un mese pieno.
Dopo una mattinata trascorsa in
stalla, il meritato riposo non giunge
neppure al pomeriggio: il signor Lu­
ciano è ancora fra le sue bovine. Os­
serva, scruta, discute con i figli. E un
po’ di pace la trova alla sera, quando,
nel rientrare nella sua bella casa, fa
il giro esterno, lungo il vialetto dei ti­
gli. Osserva il sole al tramonto e at­
tende la nuova alba per tornare al la­
voro.
Eugenio Lombardo
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