Gervaise finisce sulla strada

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Unità 7
Il romanzo e la realtà: il romanzo storico, naturalista e verista
Èmile Zola
L’ammazzatoio
Autore Èmile Zola nacque nel 1840 a Parigi; rimasto presto orfano di padre, visse l’infanzia e la giovinezza in grande
povertà. Trasferitosi con la madre a Parigi, fu assunto dalla casa editrice Hachette, dove ebbe modo di conoscere alcuni grandi
scrittori del tempo.
Nel 1864 pubblicò una raccolta di racconti intitolata Racconti a Ninetta, cui seguirono i grandi romanzi ispirati al Naturalismo:
Teresa Raquin (1867), Il ventre di Parigi (1873), L’ammazzatoio (1877), Nanà (1880), Germinale (1885), La bestia umana
(1890), poi raccolti nel ciclo de I Rougon Macquart. In tutti i suoi romanzi Zola descrive in modo
crudo e diretto le condizioni di vita di operai, minatori, abitanti dei bassifondi della città, abbrutiti
dalla miseria e dall’alcol, per illustrare in tutta la sua spietatezza la lotta per la vita che gli uomini
combattono ogni giorno.
Nel 1898 fu coinvolto nel caso Dreyfus (un ufficiale dell’esercito accusato di tradimento e ingiustamente condannato a causa delle sue origini ebraiche), di cui prese le difese, rischiando il carcere;
morì improvvisamente nel 1902 per ragioni mai del tutto chiarite (forse per le esalazioni di una
stufa, ma si sospettò a lungo l’omicidio).
Opera L’Ammazzatoio, il settimo romanzo del ciclo dei Rougon-Macquart, uscito nel 1877,
vuole essere un’indagine sull’alcolismo, un problema molto diffuso tra i membri della classe operaia
parigina di fine Ottocento. La protagonista, Gervaise Macquart, riesce, dopo anni di fatiche e di
stenti, a raggiungere una discreta condizione economica: quando però il marito diventa un alcolista
cede anch’essa all’alcol e conclude la sua vita di nuovo in miseria.
Brano Anche Gervaise è ormai vittima dell’Ammazzatoio, la bottega dei liquori in cui gli operai dimenticano i loro
problemi e i loro affanni. Alla fine del romanzo, affamata e in miseria, Gervaise decide di cominciare a prostituirsi.
Gervaise finisce sulla strada
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tava salendo rue Poissoniers, quando intese la voce di Coupeau1. Eccolo lì, alla Petite-Civette2.
Mes-Bottes3 gli offriva da bere. Quel buffone di Mes-Bottes, verso la
fine dell’estate, aveva fatto il colpo di sposare una madama4, piuttosto sfatta,
ma con un fracco di soldi. Batteva i quartieri alti, si capisce! Dovevi vederlo,
quel felice mortale! Vestito da gran signore, le mani in tasca, grasso come un
pascià. Gli amici dicevano che la moglie aveva molto lavoro con dei signori di
1.Intese… Coupeau: sentì la voce
del marito.
3.Mes-Bottes: un amico di Coupeau.
2Petite-Civette: “Piccolo zibetto”: è
il nome di un’osteria.
4. Una madama: una prostituta.
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Modulo 3
Le forme della narrazione
sua conoscenza. Con una moglie così preziosa e una casa in campagna, che
altro si può desiderare dalla vita! Coupeau guardava Mes-Bottes con ammirazione, aveva perfino un anello d’oro al mignolo!
Quando il marito uscì dalla Petite-Civette, Gervaise gli posò una mano sulla
spalla:
- Senti un po’, io aspetto... Ho fame. Dammi qualcosa…- Ma quello rispose:
- Se hai fame mangiati una mano! ... e conserva l’altra per domani.
- Insomma vuoi che vada a rubare? - mormorò Gervaise con voce sorda5.
Mes-Bottes si carezzava il mento con aria conciliante.
- No, questo è proibito. Ma quando una moglie sa cavarsela...
E Coupeau l’interruppe per gridargli: - Bravo, una moglie deve saper cavarsela da sola. Ma la mia è stata sempre una buona a niente, una carrettaccia.
Colpa sua se ora crepa di fame sulla paglia. - Poi ripiombò nella sua ammirazione per Mes-Bottes. Poco fortunato, l’animale! Un vero proprietario:
camicia bianca, scarpini quasi civettuoli, capperi! ecco una moglie che sa il
suo mestiere.
I due scendevano verso il boulevard6 esterno, e Gervaise dietro. Dopo un
silenzio riprese:
- Ho fame e... sai contavo su te. Trovami qualcosa da metter sotto i denti.
Lui non rispose e lei ripeteva con un tono straziato d’angoscia:
- Non vuoi proprio darmi niente?
- Ma santa Madonna, se ti dico che non ho un soldo! - sbraitò, voltandosi
furioso. - Levati dai piedi, se non vuoi che ti massacri di botte.
E alzò un braccio minaccioso. La donna indietreggiò: - Bene, mi cercherò un
altro uomo.
Il lattoniere7 si mise a ridere. Faceva finta di prendere la cosa in scherzo.
- Ecco una bella idea! Di notte, sotto i lampioni, puoi ancora far conquiste.
Se trovi l’uomo, ti consiglio il ristorante Capucin, ci stanno bei separée e vi si
mangia benissimo. E, dietro Gervaise che s’allontanava nel buio, gridò ancora, livido8 e feroce:
- E se ti avanza, portami un po’ di dolce... E se il tuo signore è ben vestito, fatti
dare un cappotto anche per me!
Gervaise, inseguita dall’infernale chiassata, camminava in fretta. Poi, finalmente sola tra la folla, rallentò il passo. Era ben risoluta9. Tra il rubare e darsi
a un uomo, preferiva darsi a un uomo, almeno non avrebbe fatto torto a
nessuno. Era solo suo, quello che sacrificava. Certo non era bello, ma quando
uno crepa di fame non sta a discuter di filosofia, mangia il pane che trova. Era
salita fino a rue Clignancourt. Il buio non arrivava, mai.
Nell’attesa si incamminò per i boulevards come una signora che prende il
fresco prima di rientrare per la cena.
Il quartiere si apriva da tutte le parti all’aria libera. Il boulevard Magenta sa 5.Con voce sorda: con voce smorzata.
6.Boulevard: viale.
7.Il lattoniere: Coupeau faceva il
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lattoniere (lo stagnaio): un giorno,
però, è caduto da un tetto a cui stava lavorando. Egli si è salvato grazie alle amorose cure di Gervaise,
ma nella lunga convalescenza si è
abituato all’ozio e a poco a poco ha
preso il vizio del bere.
8.Livido: rabbioso.
9.Risoluta: decisa.
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lendo dal cuore di Parigi e il boulevard Ornano, che andava verso la campagna, vi avevano aperto una breccia, nella vecchia barriera10.
Un bel mucchio di case abbattute, due grandi strade ancor bianche di gesso,
con ai lati rue du faubourg11 Poissonnière e rue Poissonniers, spaccate, mutilate, ritorte come due oscuri budelli. Da molto tempo la demolizione del
muro del dazio12 aveva allargato i boulevards esterni, coi larghi marciapiedi
laterali e il terrapieno in mezzo per i pedoni, piantato di giovani platani. Era
un immenso incrocio, da cui partivano vie senza fine, brulicante folla natante
nel caos perduto delle costruzioni. Ma tra le altre case nuove, quante baracche in bilico sulla loro miseria! Tra le belle facciate scolpite, s’aprivan crepacci
nerastri, sbadiglianti canili che spalancavano i brandelli delle loro finestre.
Sotto il crescente lusso di Parigi, la miseria fendeva e imputridiva il cantiere
della nuova città così attivamente costruita.
Nella calca del largo marciapiede, sotto i platani, Gervaise si sentiva sola e
abbandonata. Quella fuga di strade le svuotava ancor più lo stomaco. Pensare che fra tanta gente, anche ben vestita, non un cristiano intuiva la sua
situazione e le allungava dieci soldi! Sì, per Gervaise, tutto era troppo grande,
troppo bello, e la testa le girava, sotto quella coltre smisurata di cielo grigio,
teso su uno spazio così vasto. Il crepuscolo aveva quel color giallo sporco dei
crepuscoli parigini, un colore che mette voglia di farla finita, tanto la vita delle
strade sembra lurida. L’ora si faceva tarda, le lontananze si tingevano d’un vapore fangoso. Gervaise, già così stanca, capitò in pieno nell’uscita degli operai
dalle officine. A quell’ora, le dame in cappello e gli eleganti cavalieri venivano
travolti da un’ondata di popolo slavato, ingrigito dall’aria viziata degli atelier13. Il boulevard Magenta e rue du faubourg Poissonniers riversavano frotte
ansimanti per la salita. Nel viavai assordante degli omnibus14 e delle carrozze,
tra i carri di trasporto che rientravano vuoti e al galoppo, un pullular di bluse
e di camiciotti ricopriva il selciato. I facchini rincasavano con le gerle15 vuote
sulle spalle. Due operai, fianco a fianco, conversavano ad alta voce e con grandi gesti, senza guardarsi mai. Altri, soli, camminavano sul ciglio della strada, a
testa bassa. Altri venivano a gruppi di quattro o cinque, in silenzio, le mani in
tasca, gli occhi smorti. Su un carretto preso a nolo, alcuni muratori passavano
con aria spavalda mostrando ai portieri le facce bianche di calce. I pittori sballottavano i barattoli dei colori e uno zincaio16 reggeva una lunga scala a pioli
con cui rischiava di cavar gli occhi alla gente. Per ultimo veniva un idraulico;
con una trombetta, suonava l’aria del buon re Dagoberto17, una triste melodia
che sembrava far da accompagnamento al calpestio di quel gregge di bestie da
soma che si trascinavano sfiancate, a giornata finita. Travolta dalla folla, Gervaise accettava tutto, gli spintoni, le gomitate, indifferente. Quando gli uomini
sono stanchi morti e assediati dalla fame, non hanno il tempo di fare i galanti.
10. Nella vecchia barriera: la vecchia
cinta di mura della città.
11.Muro del dazio: il muro dove bisognava pagare la tassa per le merci introdotte in città.
12. Natante: che s’aggirava.
13. Atelier: laboratori.
14. Omnibus: mezzi di trasporto pubblico trainati da cavalli.
15. Gerle: ceste di vimini.
16. Zincaio: operaio addetto a ricoprire di zinco gli oggetti di ferro.
17. L’aria… Dagoberto: una canzone
popolare dell’epoca.
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Modulo 3
Le forme della narrazione
D’improvviso, alzando gli occhi, la lavandaia scorse di fronte il vecchio hotel
Boncoeur. La piccola casa, dopo essere stata un caffè equivoco che la polizia aveva chiuso, stava lì abbandonata; le finestre coperte di manifesti, sgretolata, imputridita dalla pioggia. Intorno tutto era come allora. C’era il tabaccaio e il cartolaio.
Dietro, sopra i palazzi in costruzione s’intravvedevano ancora i profili delle
case semidistrutte.
Proprio là, nel cuore di quella catapecchia d’albergo, era cominciata la sua
vita dannata. Una finestra del primo piano, le persiane tutte rotte e penzoloni, le ricordò la sua giovinezza con Lantier, le prime liti e il modo ignobile
con cui l’aveva abbandonata. Ma c’era la giovinezza allora, e a vent’anni di
distanza tutto sembrava bello. Solo vent’anni, diomio! Finita sul marciapiede! Risalì il boulevard dalla parte di Montmartre.
Nella notte addensantesi i bambini giocavano ancora tra i mucchi di sabbia
e le panchine. Un fumista18, che tirava una carriola di calcinacci, poco mancò
che si facesse schiacciare da un omnibus. Nella folla sempre più rada, correvano donne scarmigliate, che avevano lasciato il fuoco acceso e s’affannavano nelle ultime compere. E v’erano bambine di otto anni, mandate per commissioni, che camminavano lungo i negozi, serrando al petto pani più alti di
loro come grosse bambole gialle, e si perdevano incantate davanti ai cartelli
pubblicitari, la guancia poggiata sui loro grandi pani. Poi il flutto si placò, i
gruppi diradarono. E, a giornata finita, nel fiammeggiare dei lampioni, saliva
la sorda vendetta del vizio e delle baldorie.
Anche Gervaise aveva finito la sua giornata! Era affranta, più di tutti quei
lavoratori che l’avevano urtata.
Poteva addormentarsi lì e crepare.[...]
Gli uomini passavano, ma non la guardavano. Allora si decise. S’avvicinò a
un giovane che zufolava19, le mani in tasca, e gli mormorò con voce strozzata:
- Monsieur, ascoltate...
L’uomo la guardò e se ne andò zufolando più forte. Gervaise, intestardita, si
perdette nell’asprezza di quella caccia, il ventre svuotato, accanita contro la
cena sfuggente. Camminò a lungo, dimentica dell’ora e della strada. Intorno
a lei le donne, mute e nere sotto gli alberi, andavano nell’oscurità con la vaga
lentezza delle apparizioni, raggiungevano l’alone di luce, dov’erano per un
attimo attratte dal fascino sinistro delle tenebre del marciapiede. [...]
Gervaise cambiò posto, e si portò dalla chaussée de Clignancourt alla grande
rue de la Chapelle.
- Monsieur, ascoltate...
Ma gli uomini passavano oltre. Costeggiò i mattatoi odoranti di sangue, gettò uno sguardo al vecchio hotel Boncoeur, sprangato, bieco20. Passò davanti
all’ospedale di Lariboisière, contando macchinalmente le finestre illuminate,
deboli come vecchie in agonia. Tornò sui suoi passi, si riempì gli occhi delle
stesse cose, del sempre uguale passeggio, di quel pezzo di via, dieci, venti volte, senza cedere, senza riposare un momento. No, nessuno la voleva.
18. Un fumista: operaio addetto alla
manutenzione dei camini.
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19. Che zufolava: che fischiettava.
20. Bieco: inquietante.
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Questo disprezzo accresceva la sua vergogna. Scese ancora una volta verso
l’ospedale e risalì il mattatoio. Era l’ultimo giro. Andava dai cortili sanguinanti, dove si ammazzavano le bestie, alle tetre corsie, dove la morte irrigidiva i corpi. La sua vita si era svolta fra quei due poli.
- Monsieur, sentite...
Gervaise continuava a passeggiare: sarebbe andata all’infinito. A tratti era
presa dalla sonnolenza e s’addormentava cullata dal suo zoppicare. Poi, di
soprassalto, si guardava intorno, e s’accorgeva d’aver fatto cento metri incosciente, come morta. I piedi, a furia di dormir dritta, s’appiattivano nelle scarpe sfondate. Non si sentiva più, stanca e vuota com’era. L’ultima idea precisa
rimastale in mente era che, forse, in quello stesso istante quella sgualdrina
di Nanà21 stava mangiando delle ostriche. Poi tutto si confuse. La sola sensazione persistente, nell’annientamento di tutto il suo essere, era quella di
un freddo cane, un freddo acuto e mortale come mai aveva provato. Certo i
morti, sottoterra, non hanno freddo. Sollevò pesantemente la testa e ricevette in viso una sferzata glaciale. La neve s’era decisa a scendere, turbinosa. La
si aspettava da tre giorni: cadeva al momento giusto.
Sorpresa, Gervaise affrettò il passo. E appena vide un uomo che procedeva
lentamente sotto gli alberi, gli si avvicinò e disse ancora:
- Monsieur, sentite...
L’uomo s’era fermato, ma allungò una mano e mormorò: - La carità, per
favore.
Da E. Zola, L’Assommoir, Editori Riuniti, Roma
21. Nanà: sua figlia, che fa l’attrice. È la protagonista di un altro romanzo di questo ciclo.
Analisi del testo
Un romanzo di denuncia…
Gervaise, la lavandaia protagonista di questo romanzo di
Zola, è colta in un momento tragico della sua esistenza,
particolarmente rappresentativo dell’amaro destino di chi,
come lei, è vittima di una società ingiusta, che schiaccia
i più deboli e indifesi. Raccontando la storia di Gervaise,
Zola vuol provare a cambiare le cose: la sua narrazione,
per ottenere questo scopo, deve essere chiara e attendibile, un vero e proprio documento della vita nei sobborghi parigini. Per questo motivo Zola, allineandosi alle scelte narrative tipiche del Naturalismo, adotta un narratore e
una focalizzazione esterni, che gli consentono di riferire
gli eventi in maniera oggettiva e impersonale.
Nei momenti emotivamente più intensi, però, il narratore
assume il punto di vista della protagonista (Gervaise
si sentiva sola e abbandonata… per Gervaise tutto era
troppo grande, troppo bello…) perché la descrizione
dello stato d’animo fatta “dall’interno” rende ancora più
forte la denuncia della sua condizione.
La narrazione dei fatti è dunque condotta con il rigore
della focalizzazione esterna; l’esposizione delle loro conseguenze si avvale, invece, della forza della focalizzazione
interna: entrambe le focalizzazioni concorrono allo stesso
scopo, la dimostrazione di come l’ambiente possa rovinare un soggetto debole come Gervaise.
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Le forme della narrazione
… e la sua protagonista
Il comportamento di Gervaise, infatti, è determinato dal
suo aspetto fisico e dall’ambiente storico e sociale in cui
vive.
L’aspetto fisico ha un ruolo importante nel fallimento esistenziale della lavandaia: Gervaise, che è zoppa
(s’addormentava cullata dal suo zoppicare), non solo
è umiliata fin dalla nascita, ma anche quando decide di
fare la prostituta si vede rifiutata (nessuno la voleva) per
questo suo difetto.
Il condizionamento più forte viene però esercitato da parte
dell’ambiente storico e sociale in cui la donna vive: il
primo è la Parigi del Secondo Impero, distrutta dai lavori di
ricostruzione e caratterizzata da un forte squilibrio economico, il secondo un quartiere di poveri derelitti come lei,
dal marito (un uomo squallido e volgare, che la spinge,
con il suo comportamento, prima a cominciare a bere e
poi a scegliere la strada della prostituzione) al poveraccio
a cui si offre, che le chiede invece a sua volta l’elemosina.
È la conferma del rigido determinismo che, secondo
Zola, è alla base della vita degli uomini: l’ambiente gretto
e decadente della periferia non può che abbrutire il proletariato che lo abita.
Il contesto umano e sociale
Le masse che si muovono e agiscono nel passo proposto,
quella delle dame in cappello e degli eleganti cavalieri e
quella del popolo slavato, ingrigito dall’aria viziata degli
atelier, rappresentano due realtà drammaticamente opposte e lontanissime tra loro, perché i ricchi, che potrebbero aiutare i poveri, sono del tutto indifferenti alle loro
drammatiche condizioni (fra tanta gente, anche ben vestita, non un cristiano intuiva la sua situazione e le allungava dieci soldi!). Queste masse sono collocate in ambienti
descritti in modo realistico e dettagliato, con precisi riferi-
menti alle vie e ai viali di Parigi: è evidente, però, che essi
hanno anche una forte valenza simbolica, perché le vie
senza fine in cui Gervaise si perde alludono alla sua condizione di donna sola e disperata. Questa valenza simbolica
diventa ancora più evidente nelle antitesi, che oppongono
alle case nuove dei ricchi le baracche in bilico sulla miseria e alle belle facciate i crepacci nerastri. È questo uno
dei momenti in cui la denuncia dell’iniqua distribuzione
delle ricchezze, ritenuta dall’autore la causa prima di ogni
malessere sociale, si fa più scoperta e sentita.
Le scelte espressive e stilistiche
La presentazione dei pensieri e delle parole dei personaggi avviene mediante il discorso diretto e quello
indiretto libero (Poco fortunato l’animale!…), che consentono all’autore di mantenere, oltre alla genuinità di
quanto detto o pensato, anche il registro popolaresco del
linguaggio (capperi!).
Lo stile è semplice e diretto, anche se a volte la drammaticità del contenuto ha la meglio sul rigore espressivo con cui
l’autore conduce la descrizione del suo esperimento scientifico: è il caso di alcune metafore particolarmente intense,
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perché racchiudono il dolore e la sofferenza di Gervaise,
ormai consapevole dell’irrimediabile fallimento della sua
esistenza (una finestra del primo piano, le persiane tutte
rotte e penzoloni, le ricordò la sua giovinezza … andava
dai cortili sanguinanti, dove si ammazzavano le bestie, alle
tetre corsie, dove la morte irrigidiva i corpi. La sua vita si
era svolta fra quei due poli), oppure perché denunciano le
disumane condizioni in cui vivono le persone come lei, umiliate e sfruttate dalla vita (quel gregge di bestie da soma
che si trascinavano sfiancate, a giornata finita).
Unità 7
Il romanzo e la realtà: il romanzo storico, naturalista e verista
sercizi sul testo
Comprensione
  1 Quali sono i pensieri di Gervaise, mentre percorre i viali di Parigi dopo essere stata trattata in malo modo dal marito?
  2 Dove si ritrova, senza rendersene conto? Quali sono i suoi pensieri, in questo momento?
  3 Chi è Nanà? Che cosa prova Gervaise, nei suoi confronti?
Analisi
  1 Il narratore del passo proposto è
 interno
 esterno.
  2 Quante focalizzazioni usa? Per quale motivo?
  3 Identifica le sequenze descrittive presenti nel testo e spiega qual è la loro funzione.
  4 Traccia un ritratto dell’aspetto fisico e del carattere di Gervaise, facendo ampi riferimenti al testo.
  5 In piena sintonia con le scelte del Naturalismo, che privilegia la dimensione fisica e materialistica, i sensi di Gervaise sono spesso protagonisti del racconto. Rintraccia, nel passo, almeno tre espressioni che possono confermare
quest’affermazione.
  6 In quale ambiente si svolge la narrazione? Quest’ambiente è tipico del romanzo naturalista? Per quale motivo?
  7 Nelle descrizioni presenti nel testo sono molto importanti i colori: rintraccia i passi a cui ci riferiamo e spiega a che
cosa alludono i diversi colori.
  8 Numerosi vocaboli del passo proposto possono essere ricondotti all’area semantica della distruzione e del disfacimento: quali sono questi vocaboli? E perché è stata preferita proprio quest’area semantica?
  9 Lo stile impersonale e oggettivo del narratore non riesce a mascherare del tutto la partecipazione e la solidarietà
di Zola nei confronti di questi infelici. Quali espressioni del testo dimostrano quest’affermazione?
10 Trascrivi un esempio di
 discorso diretto: .............................................................................................................................................................................................................................................................................................
 discorso indiretto libero: .....................................................................................................................................................................................................................................................................
Spiega, ora, in che modo queste due tecniche di presentazione delle parole e dei pensieri del personaggio
consentono a Zola di delineare il carattere della protagonista.
Riflessione e produzione
  1 Quale potrebbe essere il senso del casuale ritorno di Gervaise proprio nei luoghi in cui ha trascorso la sua giovinezza?
  2 E quale potrebbe essere il senso del freddo che scende nell’ultima parte del passo proposto?
  3 Riassumi il passo che hai appena letto.
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