ESSERE 1 10 € Gabriele Adinolfi IMPERIUM Italiano • Español • Français • English λ QUADERNI LANZICHENECCHI Gabriele Adinolfi IMPERIUM 3 Imperium Gabriele Adinolfi ITALIANO Imperium non era soltanto la fonte e l’attributo del comando militare, ma una prerogativa assiale, come la spada, il fascio, lo scettro, che, in quanto tale, rappresentava l’asse del mondo. Esso fu originariamente collegato al Littorio nell’antica Roma monarchica, quando, cioè, assumere la Regalità significava soprattutto essere Rex et Pontifex, e quindi fungere da ponte tra il mondo visibile e l’invisibile e soprattutto da polo stabile. Chi rivestiva l’Imperium deteneva un potere numinoso che, come spiega Mario Polia riassumendo Julius Evola « consente che cose ed eventi passino dalla sfera della possibilità a quella dell’esistere, che si tratti della vittoria in guerra o della fecondità, della salute e dell’ordinato succedersi dei cicli stagionali ». Dall’Imperium discendeva l’Auctoritas, strettamente legata al concetto e alla funzione del verbo augere (augeo, es, auxi, auctum, augere), ovvero accrescere (ricchezza, salute, fecondità ecc), da cui viene la parola Augusto, come si proclamò Ottaviano, che per la storiografia fu il fondatore dell’Impero. Augusto fu infatti originariamente un aggettivo e venne scritto “Augusto Augurio Roma Condita” In quella che noi avremmo poi definito come la fondazione dell’Impero, Augusto compì un atto eccelso legando le tradizioni dell’Urbe alla necessità di assumere la centralità universale. Quasi ispirato da Giano bifronte, il figlio adottivo di Giulio Cesare riuscì a saldare tra loro in modo indissolubile due diverse esigenze che si rivolgevano alla ricerca di un Centro. La riforma del Consolato – che formalmente rimase in vigore durante tutto l’Impero - con l’istituzione di un Princeps che era soprattutto un Tribuno dai poteri espansi, rispose alle aspettative romane, mentre quelle universali vennero soddisfatte facendo di questo Princeps il Divus che assicurava l’unione sacrale di un mondo al contempo unito e diversificato, nel quale tutti i costumi, tutti gli dèi e perfino tutte le leggi godevano della piena libertà, purché non contraddicessero lo Ius. Si noti, di sfuggita, come Ius si leghi al verbo iubere (iubeo, es, iussi, iussum iubere) che, rispetto ad imperare, indica un’altra accezione del comandare, quella di ordinare, di disporre. Si tratta della saggezza normativa che proviene dall’Imperium. Sono queste le peculiarità dell’Impero Romano, degli attributi che storicamente lo precedono, in quanto erano presenti anche in Monarchia e in Repubblica, e che 5 Gabriele Adinolfi Imperium lo contraddistinguono da tutte le forme successive che ad esso si sono ispirate anche nelle attribuzioni dei titoli (Kaiser e Czar vengono da Caesar). Sono delle caratteristiche che lo differenziano poi in modo totale dal colonialismo e dall’imperialismo che vantano la pretesa di uniformare tutto, allorché l’Impero, di contro, garantisce, difende ed esalta le particolarità. Lo fa da un punto di vista religioso, culturale, morale e perfino sociale, visto che nel fondamento stesso dl’Impero è insito appunto il Cesarismo (o il Tribunato augusteo) che si fonda sul legame tribunizio tra Capo e Popolo e sulla salvaguardia dei più deboli. Partiamo di lì per rispondere a due esigenze della nostra epoca, una esteriore e una interiore. L’esigenza esteriore è trovare una via d’uscita storica all’attuale crisi di civiltà e d’identità. Per via d’uscita storica intendiamo che debba essere obbligatoriamente identificata nell’alveo della nostra epoca e delle sue esigenze. Le dinamiche in atto sono imperanti, quel che si può esprimere rispetto ad esse non è di certo una resistenza passiva o un richiamo nostalgico a quel che era e non è più, bensì si tratta di agire per imporre un cambio di segno e di significato agli eventi, se riteniamo che questi non vadano nel modo giusto. L’epoca della Globalizzazione, del Mondialismo, della confusione, del melting pot, della trans-nazionalità e della sovra-nazionalità, è inesorabilmente destinata ad essere anche l’era dell’imperialismo (o degli imperialismi collegati tra di loro in relazione di unità e scissione reciproca) e a travolgere ogni libertà, ogni identità e ogni differenza, magari nel nome dell’esaltazione delle differenze che, però, si vanno omologando tra loro in un edificio ideale fatto di un gelatinoso conformismo morale, sia nel senso dei mores, i costumi, che in quello della rigidità etica, da ethos, il comportamento. L’unica alternativa possibile? L’Impero. Quando diciamo Impero non parliamo necessariamente di una forma politica definita e precisa, ma del recupero dell’assialità imperiale con tutte le sue prerogative originarie, nessuna esclusa. Non c’è modo di porre alternativa al mostro burocratico e tecnocratico del federalismo uniformante al di fuori di una spinta fondatrice e normativa che, nel nome dell’Auctoritas e dell’Imperium, risponda alle esigenze imposte dall’avvento inesorabile dell’era delle dimensioni continentali, del Nomos satellitare dell’aria, del 6 Imperium Gabriele Adinolfi tempo zero, garantendo ed esaltando però, tutte le specificità. Come? Non stiamo proponendo necessariamente l’instaurazione di un Impero proclamato, con un Imperatore che si faccia carico di tutti noi, bensì la necessità di seguire una linea direttrice che ci consenta di effettuare la nostra Fondazione, ovvero di tracciare un Mundus e di mettere Ordine. Per accingersi a quest’impresa è sufficiente ricollegarci al fiume carsico che scorre da quel 476 dopo Cristo quando l’ultimo Imperatore romano, Romolo Augustolo, cedette il trono a Odoacre che noi conosciamo come Re degli Eruli ma che era in effetti il capo della tribu germanica che deteneva il segreto delle Rune, di cui egli era l’Odowahkr, traducibile più o meno come il gran maestro. Da allora, da quel lascito, l’Imperium discretamente proseguì in quel che sarebbe poi divenuto l’Asse ghibellino, legando indissolubilmente tra loro Roma e la Germania, sua protostorica progenitrice, e assumendo in un modo nuovo, meno vistoso ma nondimeno solidissimo, tutte le valenze imperiali che da Costantinopoli a San Pietroburgo, da Vienna a Berlino, passando per la Parigi napoleonica, si sarebbero espresse nei secoli. Assumere l’Asse imperiale significa dunque conoscere e riconoscere i vincoli preistorici e storici tra i poli d’Europa, sì da poterli sviluppare al tempo stesso in congiunzione e separatamente. Da tale conoscenza e da simile riconoscimento deriva la capacità di prendere immancabilmente posizione, rigettando le beghe particolaristiche dei ricorrenti sciovinismi bottegai che fanno il bene di ogni imperialismo ma non della nostra potenza, della nostra unità, delle nostre autonomie e delle nostre libertà. Una visione imperiale e non imperialistica dell’Europa implica la disposizione a perseguire la sua potenza e a immaginarne lo sviluppo a est e a sud, senza con ciò smarrirne il significato. Se parte dalla consapevolezza reale delle origini e dal radicamento nel Mito, questa concezione definisce anche i limiti dell’identità e dell’affinità, riconosce i contorni dell’empatia e dell’antipatia che non possono essere determinati arbitrariamente dai singoli gusti dell’io atomizzato, ma soltanto da ciò che è e che dev’essere. Partendo di qui si possono delineare e sviluppare le soluzioni per la fuoriuscita dalla crisi contemporanea. Non è questo il luogo per le proposte – che abbiamo avanzato più volte nel dettaglio e che non ci stancheremo di aggiornare – ma è quello adatto a mettere a fuoco i fondamentali. 7 Gabriele Adinolfi Imperium Ragionare in ottica imperiale vuol dire essere imperniati su di un’assialità interiore, che deve sempre restare presente in noi, e, quindi, animati dall’idea della trascendenza eroica, e non soltanto eroica, delle nostre singole identità che si fondono senza confondersi, come direbbe Meister Eckhart. Lo fanno in alto, ma dall’alto, a loro volta, formano noi, rendendoci uomini e non individui consumanti. Se questo è il presupposto, e sinceramente non ne vediamo altri che non restino prigionieri del Caos, sappiamo anche che ottica imperiale significa altresì qualità, autonomia, libertà e corpus. Le qualità indicano il “quale”. Tutte le identità, sociali, culturali, antropologiche, claniche, tribali, regionali, nazionali, si esprimono in qualità o prerogative. Una logica imperiale, contraria per sua natura all’uniformazione, garantisce la difesa di tutte le singole qualità, non solo le garantisce, ma le esalta. Quindi sia il nazionalismo, sia il regionalismo, a questo livello, diventano compatibili oltre ad essere protetti. Non sopravvivono però nell’accezione oggi più diffusa, che è quella della difesa dei privilegi economici degli uni rispetto agli altri, né in quello della fuga indietro nella storia per paura di volare, ma si confermano rigenerati nella mentalità vincente di chi è sicuro di sé, dei suoi Lari e del suo divenire, un futuro che scrive armonicamente con gli altri pur restando se stesso. La visione imperiale è d’altra parte la sola che possa garantire l’unità nazionale in un’epoca in cui lo Stato-Nazione è defunto, perché fa, di quest’unità nazionale oggi alla deriva, un qualcosa che, essendo radicata piuttosto che istituzionalizzata, non ha bisogno di essere tenuta in piedi con la colla né ricostruita come un golem con i “codici di cittadinanza”. Tra l’altro, nell’era post-giacobina, anche le regioni, intendiamo quelle con un passato e delle qualità proprie, non i distretti amministrativi, possono tranquillamente convivere con l’idea di Nazione senza sentirsi negate da essa e senza doverla forzatamente negare. La carta della Völkische Europa che venne disegnata lo scorso secolo, a causa di una visione fondata sull’essenza e sulla consapevolezza prima ancora che sui regolamenti, oggi diventa improvvisamente compatibile con la difesa della nazionalità e con l’orgoglio di appartenervi. Nella coscienza imperiale ognuno può essere rappresentato e si può riconoscere a diversi livelli che non si elidono né si contrappongono. Regionale, nazionale e imperiale sono dimensioni diverse che si completano vicendevolmente, anche all’interno di ognuno di noi. Un’assialità interiore tiene connesse tutte le verghe di un fascio. A questo livello di consapevolezza e di disciplina non serve più il pullulare di codici, di regolamenti, 8 Imperium Gabriele Adinolfi di divieti che incessantemente si ripetono nel tentativo impossibile di tenere unite le parti atomizzate di una civiltà in crisi di significati. La logica che tiene coese le singole parti è la medesima che unisce tra loro i cives dell’Impero: “massima libertà, massima responsabilità”. Il che garantisce immancabilmente l’autonomia. Autonomia significa, letteralmente, darsi la legge da soli, una cosa che sarebbe deleteria e rovinosa, destinata a scadere in anarchia, in assenza di un collante fortissimo e una coscienza precisa dei princìpi, dei valori, delle valenze, delle gerarchie etiche, valoriali e spirituali che quelle leggi dettano in modo corretto. Eppure oggi paradossalmente, senza autonomia, l’anarchia morale e l’ingiustizia a tutti i livelli sono inevitabili. In epoca di omologazione, quando cioè le leggi non provengono più dallo Ius e non mirano innanzitutto al Diritto, ma si sono tramutate in Atti di regolamentazione tendente all’uniformità, è palese che esse mettono sovente a rischio le identità, le libertà e persino le economie e le proprietà senza con ciò produrre altro che una forma dello stare insieme precaria, artificiale, nevrotica e angosciata. Vi si risponde in due soli modi: andando progressivamente e inesorabilmente in rovina oppure organizzandosi da soli, localmente, come ceto, come categoria sociale. L’idea imperiale, non solo concettualmente ma anche storicamente, ha favorito e non può non favorire le autonomie provviste di tutte le loro singole caratteristiche: autonomie che l’imperialismo – violentandone il nome - intende invece soltanto come cellule uniformi, replicanti di un tutto. L’idea imperiale detta infatti le direttrici che consentono di realizzare le organizzazioni locali e quelle di categoria in senso organico e armonico, non atomizzato e atrofico come accade in Globalizzazione. Anche in questo ramo abbiamo una serie di proposte dettagliate che sono state affrontate in altro luogo. Infine il Corpus. La società organica, cui l’ideale imperiale è strettamente connesso, non è composta da individui e masse, o da individui-massa, né da classi sociali affastellate in modo informe e che traggono la propria forza solo dagli elementi bruti che evocano con spirito negativo, ma dalla propensione a e dalla capacità di fare corpo, da cui Corporazioni e Corporativismo, il cui significato esatto è l’opposto di quello comunemente inteso, in quanto imposto come tale dai suoi avversari. Essere ognuno non un’ipotesi che si costruisce da sé – come suggeriscono la teoria di genere e quello del codice di cittadinanza – bensì una personalità individuale ma strettamente connessa alla propria eredità e alle proprie funzioni, interpretate non 9 Gabriele Adinolfi Imperium in senso meramente funzionale ma come parti di un’armonia cosmica, è l’alternativa a ogni forma di mercantilismo materialista esistente o possibile. L’ideale imperiale non può non articolarsi unendo all’Imperium, all’Auctoritas, alle Qualità e all’Autonomia, il fare corpo sociale, nel senso letterale di Societas – insieme di alleati – e di partecipanti a una Comunità Organica di Destino. Dall’alto in basso, dalla potenza all’economia, dal territoriale al nazionale fino al continentale, l’ideale imperiale espone, propone e vuole imporre un’alternativa compiuta e assoluta. Delineare un programma politico e legislativo sulla base di queste premesse non è sufficiente perché viviamo in epoca di dis-sociazione, di post-democrazia e d’intreccio di poteri e di anarchie. Non è più il tempo della conquista dello Stato da cui, con i poteri infine acquisiti, cambiare la società. Oggi è l’epoca del potere confuso e diffuso e dei luoghi atomizzati, degli individualismi sociali che si estendono ai particolarismi geografici, degli egoismi economici e lobbistici che si confrontano con i poteri forti, scavalcando i poteri formali. E, per chi non riveste nessun ruolo nella società, ovvero per la maggioranza, restano l’associazionismo assistenzialista e quello dei consumatori. Per agire in questa realtà non si può assolutamente attendere di concludere un’ascesa elettorale ma lo si deve fare nel quotidiano, senza esitazione. Va fatto sempre, ovunque, a qualsiasi livello, per ordinarlo ed organizzarlo, al fine di creare un potere autonomo ma sempre centrato, in grado di resistere ai poteri uniformanti e liberticidi. Questo lo si può fare solo immaginandosi e comportandosi come Unità Imperiali. Se l’idea imperiale sarà stata correttamente acquisita e metabolizzata, l’Impero Invisibile sarà la nostra spina dorsale e la nostra stella polare e ci consentirà di agire ovunque. Tracciando il solco e difendendolo con il gladio. Questo ci conduce alla seconda esigenza della nostra epoca: quella del nostro foro interiore. L’era di omologazione planetaria lede, nega e soffoca le libertà. Lo fa nel nome della libertà, anzi delle libertà. Le libertà sessuali e di genere, cui si sommano quelle genetiche, malgrado le intenzioni proclamate, tendono a omologare e moralizzare le trasgressioni che, così, però, risultano codificate anziché libere; al contempo, intanto, spingendosi a negare perfino le identità genetiche e aprendo il campo alle possibilità infinite, i loro mentori intendono recidere ogni radice e ogni legame con 10 Imperium Gabriele Adinolfi il profondo, sia da parte dei singoli che dell’intera comunità. I figli del progressismo liberal che erano partiti con il “vietato vietare” stanno invece proibendo tutto ciò che è sempre stato (dall’eros al fumo, dal bere alcool al mangiare maiale) per imporre al suo posto un progetto mutante. Dal punto di vista essenziale è la rivolta dell’Utopia contro il Mito, da quello del simbolo e del riferimento si tratta dell’informe tellurico che cerca la sua rivincita contro la Virilità Olimpica. Un vero e proprio scontro di civiltà – l’unico vero – di cui bisogna essere consapevoli. L’Impero è l’asse del Mito e della Virilità Olimpica. “Il Mito – ci rammenta Ernst Jünger ne Il trattato del Ribelle - non è storia remota: è realtà senza tempo che si ripete nella storia.” Di qui dobbiamo partire per cambiare segno alla storia. Tuttavia dobbiamo essere consci che viviamo sotto dittatura, ché non potrebbe essere altrimenti quando le danze sono menate da chi cerca utopicamente di negare le leggi del Cosmo. “La maggioranza – continua Jünger - può contemporaneamente agire nella legalità e produrre illegalità. (…) I soprusi possono farsi sempre più feroci e diventare veri e propri delitti, contro determinati gruppi.” D’altra parte questa presunta normalità, che oggi si definisce politicamente corretta, non può tenersi in piedi se non identifica “minoranze, diversi da perseguitare: va da sé che chiunque si distingua per doti ereditarie da un lato e per talento dall’altro, non si sottrae a questo rischio.” Chi si batta per la norma, per la giustizia e per la verità, non può dunque ignorare di essere impegnato in una lotta impari nei confronti di chi non solo detta le regole del gioco, ma continuamente bara. E al tavolo di gioco egli non può non perdere. Può fare rapide, fuggevoli ed efficaci incursioni ma non può trattenersi a lungo. Se lo fa deve saper perdere la posta e, come nel Se di Kipling “ricominciare di nuovo dal principio senza mai fare parola della propria perdita”. La prima libertà e la prima autonomia, il primo potere e la prima potenza, risiedono quindi nel non stare al gioco. Non dipendere, moralmente, economicamente o psicologicamente, dalle necessità indotte dal Leviatano e non lasciarsi ipnotizzare dalle sue paure è l’unica, immancabile, premessa per un atto liberatorio e di rifondazione. L’unica possibilità che il Ribelle imperiale abbia di prevalere, risiede innanzitutto nella sua capacità di restare impermeabile a tutte le lusinghe e a tutte le minacce, 11 Gabriele Adinolfi Imperium di non perdersi quando si cimenta nei confronti, di non sentirsi attratto a parlare la lingua o a compiere i gesti di chi non è come lui. Egli deve, agostinianamente, saper essere in questo mondo senza essere di questo mondo. Gli tocca, come suggerisce sempre lo Jünger, “passare al bosco” o, più precisamente, e più oltre ancora, riuscire a essere egli stesso il bosco nel pieno della città. Non si può però passare al bosco, e tanto meno essere bosco, se non si è recuperato quel che di fiero si ha in sé, se non si sono riscoperte le radici che consentono al fusto di ergersi dritto. L’Imperium – che è assialità interiore prima di ogni altra cosa - è proprio quanto consente che ciò avvenga. Ragion per cui la risposta imperiale, che sarà popolare e comune, nasce come risposta elitaria, ma di un’élite aperta, generosa, che si dona. Ancora Jünger: “Saranno quindi delle élites a dare battaglia per una nuova libertà – battaglia che esige grandi sacrifici e pretende un’interpretazione che non sia impari alla loro dignità.” Esse devono soprattutto essere consapevoli che “non si torna indietro verso il Mito, il Mito lo s’incontra di nuovo quando il tempo vacilla sin dalle fondamenta, sotto l’incubo di un pericolo estremo.” Ernst Jünger ci richiama anch’egli ad essere sempre attivi e presenti “Il motto del Ribelle è Hic et nunc – essendo il Ribelle uomo d’azione libera e indipendente.” Hic et nunc, qui e ora. Queste due parole significano Imperium e garantiscono, se sappiamo esserne all’altezza, la nostra libertà. Anche se essere liberi, ormai, non è più un diritto ma un compito difficile, sempre meno gradito dalla gente, ma è un impegno che dovremo assumere sulle nostre spalle, se non altro per la fedeltà verso i nostri avi e per i nostri discendenti ai quali dobbiamo restituirla, la libertà, insieme alla dignità. Imperium, Hic et Nunc: per assicurare l’avvenire alla nostra gente, alle nostre nazioni, alle nostre regioni, alla nostra Europa e per essere liberi, come gli uomini della foresta e i cavalieri erranti. 12 Imperium Gabriele Adinolfi ESPAÑOL Imperium no era sólo la fuente y el atributo de mando militar sino una prerrogativa axial, como la espada, el fascio y el cetro, el cual, en tanto que tal, representaba el eje del mundo. Éste estuvo ligado originariamente al Lictorio en la antigua Roma monárquica, cuando asumir la realeza significaba sobre todo ser Rex et Pontifex y, por tanto, ejercer de puente entre el mundo visible y el invisible y, ante todo, de polo estable. Quien se revestía con el Imperium detentaba un poder numinoso que, como explica Mario Polia compendiando a Julius Evola, « determina qué cosas y eventos pasen de la esfera de la posibilidad a la del existir, ya se trate de la victoria en la guerra o de la fecundidad, de la salud o del ordenado sucederse de los ciclos estacionales ». Del Imperium descendía la Auctoritas, estrechamente ligada al concepto y a la función del verbo augere (augeo, es, auxi, auctum, augere), o bien a « acrecentar » (riqueza, salud, fecundidad, etc.), de donde procede la palabra Augusto, como se proclamó Octaviano, que para la historiografía es el fundador del Imperio. « Augusto » fue, en efecto, en origen un adjetivo y se ha escrito « Augusto Augurio Roma Condita ». En lo que posteriormente se definirá como la fundación del Imperio, Augusto llevó acabo un acto excelso, ligando las tradiciones de la Urbe a la necesidad de asumir la centralidad universal. Casi inspirado por Jano bifronte, el hijo adoptivo de Julio César logró soldar entre sí de manera indisoluble dos exigencias diferentes que se dirigían a la búsqueda de un centro. La reforma del Consulado –que formalmente continuó en vigor durante todo el Imperio– con la institución de un Princeps que era sobre todo un Tribuno con poderes ampliados, respondía a las expectativas romanas, mientras que las universales fueron satisfechas haciendo de este Princeps un Divus que aseguraba la unión sagrada de un mundo que a un mismo tiempo estaba unido y se mostraba diversificado, en cual todas las costumbres, todos los dioses e incluso todas las leyes gozaban de plena liberad mientras no contradijeran el Ius. Nótese de pasada que Ius está vinculado al verbo iubere (iubeo, es, iussi, iussum, iubere) que respecto a imperare, indica otra acepción de mandar, la de ordenar y disponer. Se trata de la sabiduría normativa que proviene del Imperium. Éstas son las peculiaridades del Imperio Romano, los atributos que históricamente 13 Gabriele Adinolfi Imperium lo preceden, en la medida en que estaban presentes también en la monarquía y la República, y que lo distinguen de todas las formas sucesivas que se han inspirado en él, incluso en las atribución des de títulos (Kaiser y Czar proceden de Caesar). Son las características que, después, lo diferenciará de manera absoluta del colonialismo y del imperialismo, que conllevan la pretensión de uniformarlo todo, mientras que el Imperio, por el contrario, garantiza, defiende y exalta las particularidades. Lo hace desde un punto de vista religioso, cultural, moral e incluso social, puesto que el propio fundamento del Imperio está ínsito el Cesarismo (o el Tribunado augústeo) que se funda sobre el vínculo tribunicio entre Jefe y Pueblo y sobre la salvaguardia de los más débiles. De aquí partimos para dar respuesta a dos exigencias de nuestra época, una exterior y otra interior. La exigencia exterior es encontrar una vía de salida histórica a la actual crisis de civilización y de identidad. Por « vía de salida histórica » entendemos un camino que ha de identificar necesariamente dentro de los márgenes de nuestra época y de sus exigencias. Las dinámicas actualmente en curso son imperativas, la actitud a mantener frente a ellas no es, ciertamente, una resistencia pasiva o una llamada nostálgica a lo que fue y ya no es, sino que se trata de actuar para imponer un cambio de objetivo y de significado a los acontecimientos, si es que consideramos que éstos no se están sucediendo del modo correcto. La época de la Globalización, del Mundialismo, de la confusión, del melting pot, de la trans-nacionalidad y de la supra-nacionalidad está inexorablemente destinada a ser también la era del imperialismo (o de los imperialismos vinculados entre sí en función de una relación de unidad y escisión recíprocas) y a laminar toda libertad, toda identidad y toda diferencia, quizás incluso en el nombre de la exaltación de las diferencias que, sin embargo, se van homologando entre sí en un edificio ideal construido a base de un conformismo moral gelatinoso, ya sea en el sentido de las tradiciones, las costumbres, que en el de la rigidez ética, de ethos, el comportamiento. Cuando decimos Imperio o hablamos necesariamente de una forma política definida y precisa, sino de la recuperación de la axialidad imperial con todas sus prerrogativas originarias, sin exclusión de ninguna. No es posible plantear una alternativa al monstruo burocrático y tecnocrático del federalismo uniformizador fuera de un impulso fundacional y normativo que, en 14 Imperium Gabriele Adinolfi el nombre de la Auctoritas y del Imperium, responda a las exigencias impuestas por la llegada inexorable de la era de las dimensiones continentales, del Nomos satelital del aire, del tiempo cero, no obstante garantizando y exaltando, todas las especificidades. ¿Cómo? No estamos proponiendo necesariamente la instauración de un Imperio proclamado, como Emperador que se haga cargo de todos nosotros, sino la necesidad de seguir una línea directriz que nos permita realizar nuestra Fundación, o bien, trazar un Mundus y crear Orden. Para disponerse a esta empresa es suficiente volver a vincularse al río cárstico que corre desde aquel 467 de nuestra era, cuando el último Emperador romano, Rómulo Augústulo, cedió el trono a Odoacro, a quien conocemos como rey de los hérulos, pero que era, en efecto, el jefe de la tribu germánica que detentaba el secreto de las Runas, del cual él era el Odowahkr, traducible más o menos como el gran maestro. Desde entonces, desde aquel legado, el Imperium prosiguió discretamente en lo que después se convertiría en el Eje Gibelino, ligando indisolublemente entre sí Roma y Germania, su progenitor protohistórica, y asumiendo de un modo nuevo, menos vistoso pero no por ello menos sólido, todas las valencias imperiales que desde Constantinopla a San Petersburgo, desde Viena a Berlín, pasando por la París napoleónica, se habrían expresado a través de los siglos. Asumir el Eje imperial significa por tanto conocer reconocer los vínculos prehistóricos e históricos entre los pueblos de Europa, de manera de poder desarrollarlos al mismo en conexión y separadamente. De un conocimiento y un reconocimiento tales deriva la capacidad de tomar inevitablemente posición, rechazando las disputas particularistas de los recurrentes chovinismos de tenderos que benefician a todo imperialismo pero no a nuestra potencia, a nuestra unidad, a nuestras autonomías y nuestras libertades. Una visión imperial pero no imperialista de Europa implica la disposición a perseguir su potencia y a imaginar su desarrollo a este y al sur, sino con ello extraviar su significado. Partiendo de la conciencia real de los orígenes y del arraigo en el Mito, esta concepción define también los límites de la identidad y de la afinidad, reconoce los contornos de la empatía y de la antipatía, que no pueden estar determinados arbitrariamente por los gustos individuales del yo atomizado sino sólo por lo que es y por lo que debe ser. Partiendo de aquí se pueden delinear y desarrollar las soluciones para salir de la 15 Gabriele Adinolfi Imperium crisis contemporánea. No es éste el lugar para las propuestas –que hemos avanzado varias veces en detalle y que no nos cansaremos de poner al día– pero sí el adecuado para enfocar las fundamentales. Razonar según una óptica imperial quiere decir estar fundamentados sobre una axialidad interior, que siempre debe estar presente en nosotros y, por tanto, estar animados por la idea de la trascendencia heroica, y no sólo heroica, de nuestras identidades individuales que se funden sin confundirse, como diría el Maestro Eckhart. Lo hacen en lo alto, pero desde lo alto, a su vez, nos marcan, haciendo de nosotros hombres y no individuos abocados a la consunción. Si éste es el presupuesto, y sinceramente no se perciben otros que no permanezcan prisioneros del Caos, sabemos también que óptica imperial significa además cualidad, autonomía, libertad y corpus. Las cualidades indican el « cual ». Todas las identidades –sociales, culturales, antropológicas, clánicas, tribales, regionales, nacionales– se expresan en cualidades o prerrogativas. Una lógica imperial, contraria por su naturaleza a la uniformidad, garantiza la defensa de todas las cualidades individuales, y no sólo las garantiza sino que las exalta. Por tanto, tanto el nacionalismo como el regionalismo, a este nivel, se hacen compatibles, además de ser protegidos. Sin embargo, no sobreviven en la acepción más difundida hoy, que es la de la defensa de los privilegios económicos de los unos respecto a los otros, ni en el de la fuga hacia atrás en la historia por miedo a volar, sino que se confirman regenerados en la mentalidad victoriosa de quien está seguro de sí mismo, de sus Lares y de su devenir, un futuro que escribe armónicamente con los demás pero permaneciendo él mismo. La visión imperial es, por otro lado, la única que puede garantizar la unidad nacional en una época en la que el Estado-Nación ha muerto, porque hace de esta unidad nacional hoy a la deriva, algo que, estando más radicada que institucionalizada, no tiene necesidad de ser mantenida en pie con pegamento ni reconstruida como un golem con los « códigos de ciudadanía ». Por lo demás, en la era post-jacobina, también las regiones, entendemos las que poseen un pasado y cualidades propias, no los distritos administrativos, pueden convivir tranquilamente con la idea de Nación sin sentirse negadas por ésta y sin tener que negarla a su vez forzadamente. La carta de la Völkische Europa que fue diseñada en el siglo pasado, a causa de una visión fundada antes sobre la esencia y sobre la conciencia que sobre los reglamentos, hoy se hace repentinamente compatible con la defensa de la nacionalidad y con el orgullo de pertenecer a ella. En la conciencia imperial cada uno puede estar representado y se puede reconocer a diversos niveles que no se eliden ni se 16 Imperium Gabriele Adinolfi contraponen. Regional, nacional e imperial son dimensiones diversas que se complementan mutuamente, también en el interior de cada uno de nosotros. Una axialidad interior mantiene conectadas todas las varillas de un fascio. A este nivel de conciencia y de disciplina ya no sirve el pulular de códigos, reglamentos, prohibiciones que incesantemente se repiten en la pretensión imposible de mantener unidas las partes atomizadas de una civilización en crisis de significantes. La lógica que mantiene unidas las partes individuales y la misma que une entre sí a los cives del Imperio: « máxima libertad, máxima responsabilidad ». Lo que garantiza inevitablemente la autonomía. Autonomía significa, literalmente, darse la ley por uno mismo, una cosa que sería deletérea y ruinosa, destinada a degenerar en anarquía en ausencia de un adhesivo extremadamente fuerte y una conciencia precisa de los principios, de los valores, de las valencias, de la jerarquía éticas, de valores y espirituales que aquellas leyes dictan de modo correcto. Sin embargo hoy, paradójicamente, sin autonomía, la anarquía moral y la injusticia a todos los niveles son inevitables. En una época de homologación, cuando las leyes no provienen del Ius ni aspiran ante todo al Derecho, sino que se han transmutado en Actos de reglamentación tendentes a la uniformidad es evidente que con frecuencia ponen en peligro las identidades, las libertades e incluso las economías y las propiedades sin con ello producir otra cosa que una forma convivencia precaria, artificial, neurótica y angustiada. A esto sólo se puede responder de dos modos diferentes: yendo de manera progresiva e inexorable a la ruina u organizándose por sí solos, localmente, como clase, como categoría social. La idea imperial, no sólo conceptualmente sino también históricamente, ha favorecido y no puede dejar de hacerlo, las autonomías provistas de todas sus características individuales: autonomías que el imperialismo –violentando el nombre– entiende únicamente como células uniformes, replicantes de un todo. La idea imperial dicta, en efecto, las directrices que permiten realizar las organizaciones locales y las de categoría en sentido orgánico y armónico, no atomizado y atrofiado como sucede con la Globalización. También en este apartado contamos con una serie de propuestas detalladas que se han expuesto en otro lugar. Por último el Corpus. La sociedad orgánica, a la que está estrechamente vinculado el ideal imperial, no está compuesta por individuos y masas, o por individuos-masa, ni por clases sociales hacinadas de modo informe y que obtiene su propia fuerza sólo de los elementos brutos que evocan con espíritu negativo, sino de la propensión a y de la capacidad de hacer cuerpo, de donde Corporaciones y Corporativismo, 17 Gabriele Adinolfi Imperium cuyo significado exacto es el opuesto al que se entiende comúnmente, en tanto que ha sido impuesto por sus adversarios. Ser cada uno no una hipótesis que se construye por sí –como sugieren la teoría de género y el código de ciudadanía– sino una personalidad individual pero estrechamente conectada a la propia herencia y a las propias funciones, interpretadas no es sentido meramente funcional sino como partes de una armonía cósmica, es la alternativa a toda forma de mercantilismo materialista existente o posible. El ideal imperial no puede no articularse uniendo al Imperium, a la Auctoritas, a las Cualidades y a la Autonomía, el hacer cuerpo social, en el sentido literal de Societas –conjunto de aliados– y de participantes en un Comunidad Orgánica de Destino. Delinear un programa político y legislativo sobre la base de estas premisas no es suficiente porque vivimos en una época de dis-sociación, de post-democracia y de trenzado de poderes y anarquía. Ya no es el tiempo de la conquista del Estado desde el cual, con los poderes finalmente obtenidos, cambiar la sociedad. Hoy es la época del poder confuso y difuso y de los lugares atomizados, de los individualismos sociales que se extienden a los particularismos geográficos, de los egoísmos económicos y lobbísticos que se confrontan con los poderes fuertes, desbancando a los poderes formales. Y para quien no juega ningún papel en la sociedad, es decir, para la mayoría, quedan el asociacionismo asistencialista y el de los consumidores. Para actuar en esta realidad no se puede esperar en absoluto a lograr un ascenso electoral sino que se debe hacerlo en lo cotidiano, sin titubeos. Hay que hacerlo siempre, en todo lugar, a cualquier nivel, para ordenarlo y organizarlo, con el fin de crear un poder autónomo, pero siempre centrado, susceptible de resistir ante los poderes uniformadores y liberticidas. Esto sólo se puede hacer imaginándose y comportándose como Unidades Imperiales. Si la idea imperial se asume y se metaboliza correctamente, el Imperio Invisible será nuestra espina dorsal y nuestra estrella polar y nos permitirá actuar en cualquier situación. Trazando el surco y defendiéndolo con el gladio. Esto nos conduce a la segunda exigencia de nuestra época: la de nuestro foro interior. La era de homologación planetaria vulnera, niega y sofoca las libertades. Lo hace en nombre de la libertad, es más, de las libertades. La liberad sexual y de género, a la que se suman las genéticas, a pesar de las intenciones proclamadas, tienden a homologar y moralizar las transgresiones que, así, sin embargo, resultan codificadas 18 Imperium Gabriele Adinolfi en vez de libres; al mismo tiempo, llegando a negar incluso las identidades genéticas y abriendo el camino a las posibilidades infinitas, sus mentores pretenden cortar toda raíz y todo vínculo con lo profundo, tanto por parte del individuo como del conjunto de la comunidad. Los hijos del progresismo liberal que habían comenzado con el « prohibido prohibir » lo están prohibiendo a su vez todo lo que siempre ha estado presente (desde el eros hasta el humo del tabaco, desde el beber alcohol hasta comer cerdo) para imponer en su lugar un proyecto mutante. Desde el punto de vista esencial es la revuelta de la Utopía contra el Mito, desde el del símbolo y la referenciase trata de lo telúrico informe que busca su revancha contra la Virilidad Olímpica. Un verdadero choque de civilizaciones –el único verdadero– del que es necesario que seamos conscientes. « El Mito » –nos dice Ernst Jünger en El tratado del Rebelde– « no es historia remota: es realidad sin tiempo que se repite en la historia ». De aquí debemos partir para cambiar el signo de la historia. Sin embargo, debemos ser conscientes de que vivimos bajo la dictadura, que no podría ser de otra manera cuando el baile es dirigido por que busca utópicamente negar las leyes del Cosmos. « La mayoría » – continúa Jünger – « puede actuar en la legalidad y al mismo tiempo producir ilegalidades (...) Los atropellos pueden ser cada vez más feroces y convertirse en verdaderos delitos contra determinados grupos ». Por otra parte, esta presunta normalidad, que hoy se define políticamente correcta, no se puede sostener en pie si no identifican « minoría, diferentes, a perseguir: es evidente que cualquiera que se distinga por sus dotes hereditarias por un lado y por su talento por otro no se sustrae a este peligro ». Quien combata por la norma, por la justicia y por la verdad no puede ignorar estar empeñado en una lucha desigual contra quien no sólo dicta las reglas del juego sino que continuamente hace trampas. Y en el tablero de juego no puede más que perderse. Puede realizar incursiones rápidas, fugaces y eficaces pero no puede mantenerse por mucho tiempo. Si lo hace, debe saber perder la apuesta y, como en el Si de Kipling « recomenzar de nuevo desde el principio sin jamás hablar de lo que ha perdido ». La primera libertad y la primera autonomía, el primer poder y la primera potencia, residen por tanto en el no permanecer en el juego. No depender moralmente, económicamente o psicológicamente de las necesidades inducidas por el Leviatán y no dejarse hipnotizar por sus miedos es la única, imprescindible, premisa para una acción liberadora y de refundación. 19 Gabriele Adinolfi Imperium La única posibilidad que el Rebelde imperial tiene de prevalecer reside ante todo en su capacidad de permanecer impermeable ante todo halago y frente a toda amenaza, de no perderse cuando se prueba a sí mismo en los enfrentamientos, de no sentirse atraído a hablar la lengua y a realizar los gestos de quien no es como él. Debe, agustinamente, saber estar en este mundo sin ser de este mundo. Debe, como sugiere Jünger, « pasar al bosque » o, más exactamente, y más allá todavía, lograr ser él mismo el bosque en medio de la ciudad. Sin embargo, no se puede pasar al bosque, y mucho menos ser el bosque, sin ose ha recuperado lo que hay de orgulloso en uno mismo, sin no se han descubierto las raíces que permiten al tronco erguirse recto. El Imperium –que es axialidad interior antes que cualquier otra cosa– es precisamente lo que permite que esto se produzca. Razón por la cual la respuesta imperial, que será popular y común, nace como respuesta de elite, pero de una elite abierta, generosa, que se ofrece. Siempre Jünger: « Serán por tanto las elites las que darán la batalla por la nueva libertad, batalla que exige grandes sacrificios y aspira a una interpretación que nos sea inferior a su dignidad ». Estas elites deben ser conscientes de que « no se vuelve atrás hacia el Mito, el Mito se encuentra de nuevo cuando el tiempo vacila desde sus propios cimientos bajo el íncubo de un peligro extremo ». Ernst Jünger no exige ser siempre activos y estar presentes: « El lema del Rebelde es Hic et Nunc, siendo el Rebelde un hombre de acción libre e independiente ». Hic et Nunc, aquí y ahora. Estas dos palabras significan Imperium y garantizan, si sabemos estar a la altura, nuestra libertad. También si ser libres, hoy, no es un derecho sino un trabajo difícil, nunca agradecido por la gente, pero es un empeño que debemos cargar sobre nuestras espaldas, si no por otra razón, por fidelidad a nuestros ancestros y a nuestros descendientes a quienes deberemos restituir la libertad junto a la dignidad. Imperium, Hic et Nunc: para asegurar el futuro de nuestro pueblo, de nuestras naciones, de nuestras regiones, de nuestra Europa y para ser libres, como los hombres del bosque y los caballeros andantes. 20 Imperium Gabriele Adinolfi FRANÇAIS L’Imperium n’était pas seulement la source et l’attribut du commandement militaire, mais également une prérogative « axiale », comme l’épée, le faisceau, le sceptre, qui, en tant que telle, représentait l’axe du monde. Lequel fut originairement associé au Licteur, dans l’ancienne Rome monarchique, quand assumer la Royauté signifiait avant tout être Rex et Pontifex, et, par conséquent, servir de « pont » entre le monde visible et le monde invisible, et, surtout, de pôle de stabilité. Celui qui était investi de l’Imperium, détenait un pouvoir lumineux qui, comme l’explique Mario Polia, résumant Julius Evola, « permet que choses et événements passent de la sphère du possible à celle de l’existence réelle, qu’il s’agisse de la victoire au combat ou de la fécondité, de la santé ou de la succession ordonnée des cycles saisonniers. » De l’Imperium descendait l’« Auctoritas », étroitement liée à l’idée et à la fonction du verbe « augere » (augeo, es, auxi, auctum, augere), c’est-à-dire « augmenter » (richesse, santé, fécondité, etc.), d’où vient le nom « Auguste », qu’adopta Octave, lequel fut, pour l’historiographie, le fondateur de l’Empire. Mais « auguste » fut à l’origine un adjectif, que l’on retrouve, par exemple, dans l’inscription « Rome, fondée sur d’augustes augures ». En ce que nous avons ensuite défini comme étant la fondation de l’Empire, Auguste réalisa un acte d’une très grande portée, liant les traditions de l’Urbs à la nécessité d’assumer la centralité universelle. Quasiment inspiré par Janus aux deux faces, le fils adoptif de Jules César réussit à souder entre elles, de manière indissoluble, deux exigences différentes, mais l’une et l’autre en recherche d’un Centre. La réforme du Consulat – qui resta formellement en vigueur durant toute la durée de l’empire–, avec l’institution d’un Princeps qui était avant tout un Tribun aux pouvoirs étendus, répondait aux attentes romaines, tandis que d’autres, universelles, se voyaient satisfaites dès lors que ce Princeps devenait également le Divus assurant l’union sacrée d’un monde à la fois uni et divesifié, dans lequel toutes les coutumes, tous les dieux, et jusqu’à toutes les lois, jouissaient d’une pleine liberté, à partir du moment où ils ne contredisaient pas le Ius. On notera en passant comment le Ius se relie au verbe « iubere » (iubeo, es, iussi, iussum iubere) qui, par rapport à « imperare », indique une autre acception du verbe « commander », celle d’ordonner, de disposer. Il s’agit ici de la sagesse normative qui vient de l’Imperium. 21 Gabriele Adinolfi Imperium Telles sont les particularités et attibuts de l’Empire romain, qui existaient historiquement avant lui, aussi bien à l’époque de la Monarchie qu’à celle de la République, et qui ont également marqué toutes les formes politiques qui, ensuite, se sont inspirées de lui, ce jusque dans l’attribution des titres (Kaiser et Czar proviennent directement de Caesar). Par ailleurs, ce sont des caractéristiques qui le différencient totalement du colonialisme et de l’impérialisme, lesquels affichent clairement la prétention de tout uniformiser, alors que l’Empire, par contre, garantit, défend et exalte les particularités. Il le fait d’un point de vue religieux, culturel, moral ou encore social, vu que, dans les fondations mêmes de l’Empire, est enraciné le « Césarisme » (ou « Tribunat auguste »), lequel repose sur les liens tribuniciens existant entre la Tête et le Peuple, ainsi que sur la sauvegarde des plus faibles. Partons de là pour répondre à deux exigences de notre époque, l’une externe et l’autre interne. L’exigence externe consiste à trouver une voie de sortie historique à l’actuelle crise de civilisation et d’identité. Par « voie de sortie historique », nous entendons que celle-ci doit obligatoirement être identifiée dans ce qui constitue la réalité de notre époque et de ses exigences. Les dynamiques actuellement à l’oeuvre sont en effet dominantes, quoique l’on puisse en penser, et ce n’est certainement pas en leur opposant une résistance passive ou un rappel nostalgique de ce qui était et n’est plus, mais en agissant pour imposer un « changement de signe » et de sens aux événements que l’on doit répondre à ceux-ci, dès lors qu’ils ne vont pas dans la bonne direction. L’époque de la Gobalisation, du Mondialisme, de la confusion, du melting pot, de la transnationalité et de la « surnationalité » est inexorablement destinée à être également l’ère de l’impérialisme (où d’impérialismes reliés entre eux par des rapports d’unité et de concurrence tout en même temps) et à emporter chaque liberté, chaque identité et chaque différence, peut-être au nom même de l’exaltation de différences, que, cependant, on va homologuer en un édifice “idéal” fait d’un conformisme moral gélatineux, que cela soit dans le domaine des moeurs et des coutumes, ou dans celui de la rigidité éthique, de l’« ethos » et du comportement. La seule alternative possible ? L’Empire. Quand nous disons « l’Empire », nous ne parlons pas nécessairement d’une forme politique définie et précise, mais de la récupération de l’axialité impériale avec toutes ses prérogatives originelles, sans en exclure aucune. 22 Imperium Gabriele Adinolfi Il n’y a pas moyen de poser une alternative au monstre bureaucratique et technocratique du fédéralisme uniformisateur, sinon en faisant référence à une impulsion fondatrice et normative qui, au nom de l’Auctoritas et de l’Imperium, réponde aux exigences imposées par l’avènement inexorable de l’ère des espaces continentaux, du « Nomos » (ou ensemble des représentations culturelles) attaché à la situation actuelle et du « temps zéro », tout en garantissant et en exhaltant toutes les spécificités de cette impulsion fondatrice. Comment ? Nous ne sommes pas nécessairement en train de proposer l’instauration d’un Empire proclamé comme tel, avec un Empereur en charge de notre avenir, mais plutôt la nécessité de suivre une ligne directrice à laquelle notre Fondation devrait se conformer, en vue de tracer, comme le fit Romulus, les limites d’un nouveau « Mundus » et d’instaurer un Ordre. Pour se préparer à cette entreprise, il est suffisant de se relier à nouveau au fleuve karstique qui coule depuis 476 après J.-C., lorsque le dernier empereur romain, Romulus Augustule, céda le trône à Odoacre, que nous connaissons comme Roi des Hérules, mais qui était en fait le chef de la tribu germanique détenant le secret des Runes, dont il était l’Odowahkr, mot que l’on peut traduire à peu près correctement par le « grand maître ». A partir de ce moment-là, à partir de ce legs, l’Imperium se poursuivit discrètement dans ce qui allait devenir l’Axe gibelin, liant indissolublement entre elles Rome et l’Allemagne, son aïeule protohistorique, et assumant, sur un mode nouveau, moins visible mais non moins solide, toutes les valeurs impériales qui, de Constantinople à Saint-Pétersbourg, de Vienne à Berlin, en passant par le Paris napoléonien, s’exprimèrent au cours des siècles. Assumer l’Axe impérial signifie donc connaître et reconnaître les liens préhistoriques et historiques entre les pôles européens concernés, de façon à pouvoir développer ceux-ci tout à la fois séparément et harmonieusement. D’une telle connaissance et d’une telle reconnaissance, dérive la capacité de prendre une position correcte, en rejetant les disputes particularistes des récurrents chauvinismes boutiquiers, qui servent les intérêts de chaque impérialisme, mais certainement pas ceux de notre puissance, de notre unité, de nos autonomies et de nos libertés. Une vision impériale et non impérialiste de l’Europe implique la capacité de rechercher sa puissance et d’en imaginer le développement à l’Est et au Sud, sans pour cela en perdre de vue le sens profond. Il faut partir de la conscience réelle des origines et de l’enracinement dans le Mythe, soit une démarche qui définit 23 Gabriele Adinolfi Imperium également les limites de l’identité et des affinités, reconnaît les contours de l’empathie et de l’antipathie, lesquels ne peuvent être arbitrairement déterminés sur la base des penchants d’un moi atomisé, mais seulement sur la base de ce qui est et devrait être. En partant de là, on peut tracer le contour et développer les solutions pour sortir de la crise contemporaine. Ce n’est pas le lieu de rappeler ces solutions -que nous avons déjà présentées à plusieurs reprises dans le détail et dont la mise à jour serait ici fastidieuse- mais plutôt celui de mettre au point les principes fondamentaux. Raisonner dans une optique impériale veut dire être centré sur un axe intérieur, qui doit rester toujours présent en nous, et, par conséquent, être animé de l’idée de la transcendance héroïque, mais pas seulement héroïque, de nos identités particulières, lesquelles se fondent sans se confondre, comme l’aurait dit Maître Eckhart. Elles le font par le haut, mais de là, à leur tour, elles nous forment, en faisant de nous des hommes, et non des individus dédiés à la consommation. Si ceci constitue le fondement, et nous n’en voyons sincèrement pas d’autre qui ne soit pas prisonnier du Chaos, nous savons également qu’« optique impériale » signifie aussi qualités, autonomie, liberté et « corpus ». Les qualités sont la marque de la personnalité. Toutes les identités, qu’elles soient sociales, culturelles, anthropologiques, claniques, tribales ou régionales, s’expriment en termes de qualités ou de prérogatives. Une logique impériale, contraire, de par sa nature, à l’uniformisation, garantit la défense de toutes les qualités particulières, et non seulement les garantit, mais aussi les exalte. Par conséquent, à ce niveau, le nationalisme comme le régionalisme deviennent compatibles, en plus d’être protégés. Ces qualités ne survivent évidemment pas dans l’acception plus diffuse qui en est donnée aujourd’hui, celle de la défense des privilèges économiques des uns par rapport aux autres, ou celle de la fuite en arrière dans l’Histoire, par peur de s’envoler, mais bien dans la confirmation régénérée qu’en donne la mentalité victorieuse de qui est sûr de soi, de ses Lares, de son devenir, un devenir qu’il écrit harmonieusement avec les autres tout en restant lui-même. La vision impériale est, d’autre part, la seule qui puisse garantir l’unité nationale, en une époque où l’Etat-nation est défunt, parce qu’elle fait, de cette unité nationale aujourd’hui à la dérive, un élément qui, en étant enraciné plutôt qu’institutionnalisé, n’a pas besoin d’être recollé pour tenir debout, ni d’être reconstruit comme un golem à l’aide de « codes de la nationalité ». Entre autres, dans l’ère post-jacobine, les régions, si l’on entend par là celles qui ont un passé et des qualités propres, et 24 Imperium Gabriele Adinolfi non des districts administratifs, peuvent elles aussi cohabiter tranquillement avec l’idée de Nation, sans se sentir niées par celle-ci et sans devoir nécessairement la nier. La carte de l’Europe « Völkische », telle que l’on a pu la dessiner au siècle dernier, sur la base d’une vision fondée sur l’essence et sur la conscience plutôt que sur les règlements, devient aujourd’hui compatible, de manière imprévue, avec la défense de la nationalité et avec l’orgueil de s’appartenir à soi-même. Dans la conscience impériale, chacun peut être représenté et reconnu à différents niveaux, qui ne s’élident pas ni ne s’opposent. Régionale, nationale et impériale, sont des dimensions différentes, qui se complètent les unes et les autres, y compris à l’intérieur de chacun d’entre nous. Une axialité intérieure permet de maintenir ensemble toutes les « verges du faisceau ». A ce niveau de conscience et de discipline, ne sert plus à rien le pullulement de codes, de règlements et d’interdictions qui se répètent sans cesse, dans la tentative impossible de maintenir ensemble les parties atomisées d’une civilisation en crise de sens. La logique assurant la cohésion de chaque partie avec l’ensemble est la même que celle qui unissait entre eux les « cives » de l’Empire : « à maximum de liberté, maximum de responsabilité ». Ce qui, immanquablement, garantit l’autonomie. Autonomie signifie, littéralement, se donner soi-même une loi, chose qui serait délétère et ruineuse, destinée à provoquer l’anarchie, en l’absence d’une connaissance et d’une adhésion à des principes, à des valeurs, à des hiérarchies éthiques et spirituelles dont cette loi donne une représentation correcte. Aujourd’hui pourtant, paradoxalement, sans autonomie, l’anarchie morale et l’injustice sont inévitables à tous les niveaux. En une époque d’« homologation », c’est-à-dire lorsque les lois ne proviennent plus du « Ius » et ne visent pas avant tout à assurer le Droit, mais se sont transformées en Actes de réglementation tendant à l’uniformité, il est évident qu’elles présentent souvent un risque pour les identités, les libertés et même les économies et les propriétés, ce sans rien produire d’autre qu’une forme de vivre ensemble précaire, artificielle, névrotique et angoissée. On ne peut répondre à cela que de deux manières : en allant progressivement et inexorablement vers une ruine totale, ou bien en s’organisant soi-même, localement, en tant que classe et catégorie sociale. L’idée impériale, non seulement conceptuellement, mais aussi historiquement, a favorisé, et ne pouvait pas ne pas favoriser, les autonomies pourvues de toutes leurs caractéristiques particulières : autonomies que l’impérialisme -en faisant violence au nom dont il est issu- entend au contraire réduire seulement à l’état de cellules 25 Gabriele Adinolfi Imperium uniformes, simples répliques d’un tout. L’idée impériale dicte en effet les orientations qui permettent de réaliser les organisations locales et catégorielles de façon organique et harmonisée, et non pas atomisée et atrophiée, comme c’est le cas dans le cadre de la Mondialisation. Dans ce domaine-là aussi, nous avons une série de propositions détaillées qui ont été exposées en d’autres lieux. Enfin, le « Corpus ». La société organique, à laquelle l’idéal impérial est étroitement lié, n’est pas composée d’individus et de masses, ou d’individus-masses, ni de classes sociales accumulées de manière informe et tirant leur force propre uniquement d’éléments néfastes évoqués dans un esprit négatif, mais de la propension et de la capacité à faire corps, d’où procèdent les Corporations et le Corporatisme, dont la signification exacte est le contraire de celle communément admise et qui a été imposée comme telle par ses adversaires. Etre soi, non comme une hypothèse que l’on construit à partir de soi -comme le suggèrent la théorie du genre et celle du code de la nationalité- mais bien plutôt comme une personnalité à la fois individuelle et étroitement connectée à son hérédité et à ses fonctions propres, interprétées non en un sens purement fonctionnel, mais comme parties d’une harmonie cosmique, voilà quelle est l’alternative à chaque forme de mercantilisme matérialiste réelle ou potentielle. L’idéal impérial ne peut pas ne pas s’articuler avec l’Imperium, l’Auctoritas, les Qualités et l’Autonomie, d’où il résulte un corps social conforme au sens littéral de Societas, c’est-à-dire un ensemble d’alliés et de participants à une Communauté organique de destin. Du haut en bas, des cercles de puissance à ceux de la production, du territorial au national, et jusqu’au continental, l’idéal impérial expose, propose et a la volonté d’imposer une alternative achevée et absolue. Tracer le contour d’un programme politique et législatif sur la base de ces préliminaires ne suffit pas, parce que nous vivons à une époque de dissociation, de post-démocratie et d’entrelacement de pouvoir et d’anarchie. Nous ne sommes plus au temps où la conquête de l’Etat donnait des pouvoirs qui permettaient de changer la société. Aujourd’hui, nous sommes dans une époque de pouvoirs confus et diffus, d’aires géographiques atomisées, d’individualismes sociaux qui s’étendent aux particularismes régionaux, d’égoïsmes de lobbies et économiques qui se mesurent aux pouvoirs forts en contournant les pouvoirs formels. Et, pour ceux qui ne jouent aucun rôle dans la société, c’est-à-dire pour la 26 Imperium Gabriele Adinolfi majorité, il reste les associations d’assistance et de consommateurs. Pour agir dans cette réalité, on ne peut absolument pas attendre d’achever une ascension électorale, mais on doit au contraire travailler dans le quotidien, sans hésitation aucune. C’est ce qu’il faut faire, toujours et partout, à tout niveau, en vue d’ordonner et d’organiser celui-ci, afin de créer un pouvoir à la fois autonome et centré, apte à résister aux pouvoirs uniformisateurs et liberticides. Cela, on ne peut le faire qu’en se considérant comme des « Unités impériales » et en se comportant en conséquence. Si l’idée impériale a été correctement acquise et métabolisée, c’est ce que l’on pourra qualifier d’« Empire invisible » qui sera notre épine dorsale et notre étoile polaire, et nous permettra d’agir partout. En traçant le sillon et en le défendant avec le glaive. Cela nous amène à traiter de la seconde exigence de notre époque : celle de notre forum intérieur. L’ère de l’homologation planétaire nuit aux libertés, les nie et les étouffe. Et elle le fait au nom de la liberté, voire au nom des libertés elles-mêmes. La liberté sexuelle et du « genre », à laquelle s’ajoute celle de la génétique, en dépit des intentions proclamées, tendent à homologuer et à moraliser les transgressions qui, toutefois, se révèlent être codifiées plutôt que libres ; dans le même temps, en les poussant à nier les identités génétiques mêmes et en ouvrant un champ de possibilités infinies, leurs mentors entendent couper chaque racine et chaque lien avec ce qui relève du domaine de la profondeur, que cela soit dans le cas d’une personne singulière ou dans celui de la communauté tout entière. Les enfants du progressisme libéral, qui étaient entrés en scène avec le slogan « Il est interdit d’interdire ! », sont en train, au contraire, d’interdire tout ce qui a toujours été (de l’éros à la cigarette, de boire de l’alcool à manger du porc), pour imposer à la place un projet mutant. Si l’on veut aller à l’essentiel, on se trouve là en face de la révolte de l’Utopie contre le Mythe, de la recherche, par l’informe tellurique, de sa revanche contre la Virilité olympienne et ce qu’elle représente, comme symbole et comme référence. Il s’agit là, pour le coup, d’un véritable « choc de civilisations » – le seul qui existe réellement – dont il faut absolument être conscient. Et l’Empire, quant à lui, est l’axe du Mythe et de la Virilité olympienne. « Le Mythe – nous rappelle Ernst Jünger dans Le Traité du Rebelle – n’est pas de l’histoire ancienne : il est une réalité intemporelle qui se répète dans l’Histoire ». C’est de là que nous devons partir, afin de changer le signe qui est aujourd’hui celui de l’Histoire. 27 Gabriele Adinolfi Imperium Toutefois, nous devons être conscients que nous vivons sous une dictature, et qu’il ne peut en être autrement dès lors que ceux qui mènent la danse cherchent de manière utopique à nier les lois du Cosmos. « La majorité, continue Jünger, peut agir dans la légalité tout en produisant de l’illégalité. (…) Les injustices peuvent se révéler de plus en plus féroces et devenir de véritables délits à l’encontre de groupes déterminés ». D’autre part, cette normalité présumée que l’on définit aujourd’hui comme « politiquement correcte », ne peut se tenir debout si elle n’identifie pas des « minorités différentes à persécuter : il va de soi que quiconque se distingue, d’un côté, par des qualités héréditaires, et, d’un autre, par le talent, ne pourra se soustraire à ce risque. » Qui se bat pour le respect de certaines règles, ainsi que pour la justice et la vérité, ne peut donc ignorer s’être engagé dans une lutte inégale, non seulement en ce qui concerne les règles du jeu, mais aussi parce que l’on y triche continuellement. Il est à la table de jeu et il ne peut pas ne pas perdre. Il peut faire des incursions rapides, fugitives et efficaces, mais ne peut tenir longtemps. Et s’il le fait, il doit savoir s’attendre à perdre la mise et, comme dans le If de Kipling, « recommencer du début une nouvelle fois, sans jamais faire cas de sa perte. La première liberté et la première autonomie, le premier pouvoir et la première puissance, consistent, par conséquent, à quitter la table de jeu. Ne pas dépendre, moralement, économiquement ou psychologiquement des nécessités induites par l’action du Léviathan, et ne pas se laisser hypnotiser par ses peurs est le seul et immanquable préliminaire à un acte libératoire et de refondation. La seule possibilité qu’ait le Rebelle impérial d’avoir l’avantage réside avant tout dans sa capacité à rester imperméable à toutes les flatteries et à toutes les menaces, de ne pas se perdre quand il se risque à des controverses, de ne pas se sentir attiré à parler la langue ou à accomplir les gestes de qui n’est pas comme lui. Il doit, tel un personnage augustéen, savoir être dans ce monde sans être de ce monde. Il lui faut, comme le suggère toujours Jünger, « faire retour à la forêt » ou, plus précisément et plus radicalement encore, réussir à être lui-même la forêt, ce alors qu’il est plongé au cœur de la ville. On ne peut pas faire retour à la forêt, et encore moins être la forêt elle-même, si l’on n’a pas récupéré ce que l’on a de fier en soi, si ne sont pas redécouvertes les racines qui permettent au tronc de se dresser tout droit. La première manifestation de l’Imperium – qui est une axialité intérieure avant tout autre chose- consiste justement à accepter que les choses se déroulent ainsi. 28 Imperium Gabriele Adinolfi Et c’est la raison pour laquelle la réponse impériale, qui sera d’une nature profondément populaire, naîtra sous la forme d’une réponse élitaire, mais provenant d’une élite ouverte, généreuse, qui se donne. Encore Jünger : « Il s’agira, par conséquent, d’élites aptes au combat pour une nouvelle liberté – un combat qui exige de grands sacrifices et également une interprétation conforme à la dignité de ces élites. » Celles-ci doivent par-dessus tout être conscientes que « si l’on ne se retourne pas vers le Mythe, on le rencontre de nouveau, le Mythe, quand le temps vacille sur ses fondations, sous le cauchemar d’un péril extrême. ». Ernst Jünger nous appelle également à être toujours actifs et présents : « La devise du Rebelle est Hic et Nunc » – le Rebelle étant l’homme d’une action libre et indépendante. » Hic et Nunc, ici et maintenant. Ces deux mots signifient Imperium et sont, si nous savons être à la hauteur, la garantie de notre liberté. Même si être libre, désormais, n’est plus un droit mais un devoir difficile, de moins en moins apprécié des gens, un engagement que nous devons assumer au moins par fidélité à nos aïeux et en pensant à nos descendants, à qui nous devons la restituer, la liberté, avec la dignité. Imperium, Hic et Nunc : pour assurer l’avenir des nôtres, de nos nations, de nos régions, de notre Europe, et pour être libres, comme les hommes de la forêt et les cavaliers errants. 29 Gabriele Adinolfi Imperium ENGLISH Imperium was not only the source and the attribute of the military command in Rome, but an axial prerogative, like the sword, the fasces and the sceptre, which, as such, represented the Axis of the world. It was originally connected to Lictorian fasces in ancient Roman monarchy, when, to take the kingship meant especially to be Rex et Pontifex, and so to act as a bridge between the visible and the invisible, and especially as a firm pole. Who took the Imperium held a numinous power that, like Mario Polia summing Julius Evola says “allows things and events to pass from the sphere of possibility to the one of existence, whether of victory in war or fertility, health or the ordered succession of seasons”. The Auctoritas descended from the Imperium. They are closely related to the concept and function of the augere verb (augeo, es, auxi, auctum, augere) that means “to increase” (wealth, health, fertility, etc.), from which the word Augustus comes from, as Octavian proclaimed himself. Historiography considers Octavian as the founder of the Empire. Augustus was in fact originally an adjective and it was written “Augusto Augurio Roma Condita”. In what we would have defined as the foundation of the Empire, Augustus performed a sublime act by binding the traditions of the Urbs with the need to assume universal centrality. Almost inspired by the double-faced Janus, the adopted son of Julius Caesar was able to weld together indissolubly two different needs both looking for a centre. With the Consulate reform, which formally remained in force throughout all the age of the empire, and with the establishment of the figure of a Princeps, who was primarily a Tribune with expanded powers, he fulfilled Roman expectations. Meanwhile universal expectations were satisfied making this Princeps the Divus that ensured the sacred union of a world that was at the same time united and diversified, in which all costumes, every god and even all laws enjoyed full freedom, provided they did not contradict the Ius. Note, by the way, that Ius binds to the verb iubere (iubeo, es, Iussi, iussum iubere) that compared to imperare, indicates another meaning of commanding, to order, to dispose. This is the legislative wisdom that comes from the Imperium. 30 Imperium Gabriele Adinolfi These are the peculiarities of the Roman Empire, of the attributes that historically precede it, as they were also present both in the Monarchy and in the Republic, and that distinguish it from all subsequent forms that were thereafter inspired even in the attributions of titles (i.e. Kaiser and Czar both come from Caesar). These are the characteristics that differentiate it totally from colonialism and imperialism, that have both the pretence to standardize everything, whereas the Empire, on the opposite, provides, protects and enhances peculiarities. It does so from a religious, cultural, moral and even social point of view, as in the very fundament of the Empire there is the concept of Caesarism (or Augustan Tribunat), which is based on the relationship between the tribunitian Leader, the Emperor, and the People and on the defence of the weakling. Let us start from this point to respond to two needs of our time, an outer need and an inner one. The exterior need is to find an “historical” way out of the current crisis of civilization and identity. For “historical way out”, we mean that such a way out must necessarily be identified in the flow of our era and of its needs. Current involved dynamics are prevailing, what can be expressed with respect to them is certainly not a passive resistance or a nostalgic reminder of what was and is no more, but it is a urge for action to force a change of sign and meaning to events, if we believe that these do not go the right way. The era of Globalization, of Globalism, of confusion, of the melting pot, of the transnational and the supra-national, is certainly destined to be the era of imperialism (or of those imperialisms that are connected to each other in relations of unity and mutual spin-off), sweeping away all types of freedom, all identities and all differences, and maybe, all of this in the name of the exaltation of differences that, however, are endorsing each other in an ideal building made of a gelatinous moral conformism, both in the sense of mores, costumes, and in the stiffness of ethics, from ethos, behaviour. The only alternative? The Empire. When we say Empire, we are not necessarily talking about a definite and precise political form, but of the retrieval of Imperial Axiality with all of its original prerogatives, without exception. There is no other way to set an alternative to the technocratic and bureaucratic monster, of levelling federalism outside of a founding and law-creating thrust, which, in the name of Auctoritas and Imperium, may answer to the inexorable 31 Gabriele Adinolfi Imperium demands, imposed by the advent of the era of continental dimensions, of the air satellite Nomos, of the time zero, however, ensuring and enhancing all specificities. How? We are not necessarily suggesting the establishment of a proclaimed Empire, with an Emperor to be in charge of all of us, but rather the need to follow a guideline that may allow us to make our own Foundation, that is to say, to trace a Mundus and to set an Order. To begin this venture, we must reconnect ourselves to the karst river that flows since 476 AD. That year, the last Roman emperor, Romulus Augustus, gave the throne to Odoacer, known as King of the Heruli, but who was in fact the head of the Germanic tribe that held the secret of the runes, of which Odoacer was the Odowahkr, translated more or less as the grand master. Since then, and, the Imperium discreetly continued from that legacy, in what would have later become the Ghibelline Axis. This inextricably linked Rome and its protohistoric ancestor Germany, with each other, assuming all the Imperial valences that, from Constantinople to St. Petersburg, from Vienna to Berlin, passing by the Napoleon’s Paris, would have been expressed through the centuries, in a new way, less boisterous but nevertheless very solid, Therefore, rising the imperial Axis means to know and to recognize the prehistoric and historical links between the poles of Europe, so that they can develop at the same time in conjunction and separately. From such knowledge and such recognition comes the ability to unfailingly taking position, rejecting the particularistic quarrels of recurring small-minded chauvinisms who do the good of all sorts of imperialisms but not of our own power, our unity, our autonomy and our freedom. An imperial and not imperialistic vision of Europe implies the willingness to pursue its power and to imagine its development in the east and in the south, without thereby loosing meaning. If it starts from the real awareness of the origins and roots in Myth, this concept also defines the limits of identity and affinity, it recognizes the contours of empathy and of antipathy, which cannot be determined arbitrarily by the individual tastes of the atomized ego, but only by what it is, and that should be. Starting from here, you can define and develop solutions for the escape from the contemporary crisis. This is not the place for the proposals - which we have 32 Imperium Gabriele Adinolfi advanced several times in detail and of which we never get tired of updating - but it is suitable to focus on fundamentals. Thinking from an imperial point of view, means being focused on an inner axiality, which must always be present in us, and, therefore, animated by the idea of heroic transcendence, and not only heroic, of our individual identities that merge without melting, as Meister Eckhart would say. They do this at the top, but from above, in turn, form us, making us men and not consuming individuals. If this is the premise, and I honestly do not see other premises who do not remain prisoners of Chaos, we also know that imperial perspective means, autonomy, freedom and corpus. Qualities indicate the qualis, the “what”, the substance. All identities, social, cultural, anthropological, clanic, tribal, regional, national, express themselves in qualities or prerogatives. An imperial logic, for its own nature contrary to levelling, guarantees the protection of all individual qualities, not only it guarantees but exalts them. So both nationalism and regionalism, at this level, become compatible in addition to being protected. They do not survive in the most widespread connotation of today, which is to say the defence of economic privileges of one respect another, neither in an escape, back into history for the fear of flying. They confirm themselves regenerated in the winning mentality of those who are selfconfident, confident in their own Lari and in their becoming, in a future that they harmoniously write with others while remaining themselves. The imperial vision is on the other hand the only one that can guarantee national unity in a time in which the nation-state is dead, because it makes this national unity today adrift, something that, being rooted rather than institutionalized, does not need to be held together with glue or rebuilt as a golem with “Codes of citizenship”. Incidentally, in the post-Jacobin era, even regions, we mean those with a past and with qualities and not the mere administrative districts, can safely live with the idea of nation without feeling denied and without having to forcibly deny it. The map of Völkische Europa designed during the last century, because of a vision based on the essence and awareness even before the set of rules and regulations, now suddenly becomes compatible with the defence of nationality and with the pride of belonging. In imperial consciousness, each can be represented and recognized at different levels, neither cancelling, nor opposing each other. Regional, national and imperial are different sizes that complement each other, even within every one of us. 33 Gabriele Adinolfi Imperium An inner axiality keeps connected all the rods of the fasces. At this level of awareness and of discipline there is no longer need of the proliferation of codes, regulations, prohibitions that constantly repeat themselves in the impossible attempt to hold together the atomized parts of a civilization in crisis of meaning. The logic that keeps together the single parts is the same that unites the cives of the Empire: “maximum freedom, maximum responsibility”. Which invariably guarantees autonomy. Autonomy means, literally, to give oneself one’s own law, something that would be harmful and ruinous, destined to fall in anarchy, in the absence of a strong cement and a precise awareness of the principles and of the values, of ethics, of value and spiritual hierarchies that those laws dictate in the proper manner. Yet today, paradoxically, without autonomy, moral anarchy and injustice at all levels are inevitable. In an era of conformism, when rules do not come more from the Ius, and they do not primarily aim at the law, but have been transformed into regulatory acts, which tend to uniformity, it is clear that they often threaten identities, freedoms, economies and properties, thereby only a way of being together that is precarious, artificial, neurotic and anxious. There are only two ways to respond: going gradually and inexorably towards ruin or organizing yourself, locally, as a class, as a social category. The imperial idea, not only conceptually but also historically, has favoured and can only encourage the autonomies provided with all their individual characteristics: autonomies that imperialism - raping the very name - rather means only as uniform cells, replicating a whole. The imperial idea dictates in fact the lines that permit local organizations and unions to grow in an organic and harmonious way, not atomized and atrophied as in Globalization. Also in this branch, we have a number of detailed proposals which were addressed elsewhere. Finally, the Corpus. The organic society, which the imperial ideal is closely related to, is not made up of individuals and masses, or mass-individuals, nor formless piled-up social classes that draw their strength only by brute elements that evoke with negative spirit. It is made by the propension-to and the ability-at creating a Corpus, a “body”, from which the words corporation and corporatism, whose exact meaning is the opposite of what is commonly understood, as imposed as such by its opponents. Everyone should not to be a self-built hypothesis - as suggested by the gender theory and that of the codes of citizenship - but an individual personality, closely 34 Imperium Gabriele Adinolfi linked to its heritage, and to its rightful role; not interpreted in purely functional sense, but as parts of a cosmic harmony. This is the alternative to all forms of materialistic commercialism existing or possible. The imperial ideal cannot be articulated by joining the Imperium, the Auctoritas, the Quality and Autonomy, to the capacity of forming a social body, in the literal sense of Societas - set of allies - and participants to a Community of Organic Destiny. From top to bottom, from power to economy, from the territorial to the national, to the mainland, the imperial ideal exhibits, offers and wants to impose an accomplished and absolute alternative. Shaping a political and law-making program based on these premises is not enough, because we live in the era of dis-association, of post-democracy and of the intertwining of powers and forms of anarchy. It is no longer the time of the conquest of the State from which, with finally acquired powers, change society. Today is the era of confused and diffuse power and, of atomized areas, of social individualism, which extends to geographical particularities, of economic and lobby-type egoisms that confront themselves with the “strong powers”, bypassing formal powers. In addition, for those who do not play any role in society, that is to say the majority of people, the only possibility left is welfare and consumers forms of association. To act in this reality we cannot possibly wait to conclude any sort of electoral ascent but we must do it in everyday life, without hesitation. It should always be acted, anywhere, at any level, to order it and organize it, in order to create an autonomous power, that is always centred, able to withstand the all-levelling freedom-destroying powers. This can be done only imagining and acting as Imperial Units. If the imperial idea will be successfully acquired and metabolised, the Invisible Empire will be our backbone and our guiding star and will allow us to act everywhere. Tracing the furrow and defending it with the sword. This leads us to the second need of our age: our inner-self. The era of planetary levelling, damages, denies and suppresses freedom. It does so in the name of liberty, indeed of “the liberties”. Sexual and gender freedom, to which we should add genetic freedom, despite the declared intentions, tend to standardize and moralize transgressions that, however, become codified instead of being free. In the meantime, by denying even genetic identities and opening the field to endless possibilities, their mentors intend to sever all ties with any root to the profound, 35 Gabriele Adinolfi Imperium this both from the side of the individual and of the entire community. The sons of liberal progressivism that had started with the “forbidden to forbid” motto are rather forbidding everything that has always been (from eros to smoking, from drinking alcohol to eating pork) to impose in its place a sort of mutant project. From the fundamental point of view, this is the revolt of Utopia against Myth, from the point of view of symbols and of reference, this it is shapeless Tellurism that seeks its revenge against Olympic Virility. A real clash of civilizations - the only true one – of which we need to be aware. The Empire is the axis of Myth and of Olympic Virility. “The Myth - reminds us Ernst Jünger in the “Treaty of the Rebel” –is not past history it is a timeless reality that repeats itself in history”. Hence, we must start from here to change the sign of history. However, we must be aware that we live under dictatorship, because it could not be otherwise, when the dances are led by those, who are utopically striving to deny the laws of the Cosmos. “The majority – continues Jünger - can simultaneously act within the law and produce lawlessness. (...) The abuse may become more and more fiercer, and turn to real crimes against certain groups”. On the other hand, this alleged normality, that today is called political correctness, cannot stand up if it does not identify “minorities, the non-conforming, to persecute: it goes without saying that anyone really standing out for hereditary qualities, on the one hand and talent on the other, is not exempt from this risk”. Who fights for the norm, for justice and for truth, cannot therefore be unaware of being engaged in an unequal struggle against those who do not only dictates the rules of the game, but is constantly cheating. And at this gaming table he can only loose. He can make quick, fleeting and effective raids but, cannot stand long. If he does so he must know that he will lose the stake, as in Kipling’s “If” he shall have to “start again at beginnings - And never breathe a word about the loss”. The first freedom and the first autonomy, the first power and the first might, remain in not playing the game. Do not depend, morally, economically or psychologically, from the needs induced by the Leviathan and do not to be mesmerized by his induced fears. This is the only, inevitable, premise for a liberating act of re-foundation. The only chance that the Imperial Rebel has to prevail, lies primarily in his ability 36 Imperium Gabriele Adinolfi to remain untouched by all forms of flattery and by all threats, not to get lost when he engages in confrontations, not to feel attracted in speaking the language or making gestures of those who are not like him. He must, Augustinianly, know how to be in this world but, without being of this world. As Jünger suggests, he has to “pass to the forest” or, more precisely, and still further, be able to be himself the woods in the middle of the city. However, you cannot go to the woods, and even less, be the woods themselves, if you have not recovered the proudness within yourself, if the roots that allow the stem to stand up straight have not been rediscovered yet. Imperium - which is interior axiality before anything else - is precisely what allows this to happen. This is the reason why the imperial answer, which will be popular and common, shall be born as an elitist answer, but coming from an open elite, generous, and self-giving. Again Jünger: “There will be then elites that will battle for a new freedom - the battle that demands great sacrifices and demands an interpretation that must not be less of their dignity.’ They should in particular be aware that “there is no turning back towards the Myth; the Myth is met again when the very foundations of time waver from the ground, under the threat of an extreme danger.” Imperium, Hic et Nunc: per assicurare l’avvenire alla nostra gente, alle nostre nazioni, alle nostre regioni, alla nostra Europa e per essere liberi, come gli uomini della foresta e i cavalieri erranti. Ernst Jünger also calls us to be always active and present “The motto of the Rebel is “Hic et Nunc” - being the Rebel a man of free and independent action.” Hic et Nunc, here and now. These two words mean Imperium and guarantee, if we live up to them, our freedom. Although if being free, now, is no longer a right but a difficult task, more and more less accepted by people, but it is a commitment that we must take on our shoulders, if only this should be for loyalty to our ancestors and to our descendants, to whom we have to return both freedom as well as the dignity. Imperium, Hic et Nunc: to ensure the future of our people, our nations, our regions, our Europe and to be free, like the men of the forest and knights errant. 37 λ QUADERNI LANZICHENECCHI 2016