imperium essere - Gabriele Adinolfi

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ESSERE
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Gabriele Adinolfi
IMPERIUM
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QUADERNI LANZICHENECCHI
Gabriele Adinolfi
IMPERIUM
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Imperium Gabriele Adinolfi
ITALIANO
Imperium non era soltanto la fonte e l’attributo del comando militare, ma una
prerogativa assiale, come la spada, il fascio, lo scettro, che, in quanto tale,
rappresentava l’asse del mondo. Esso fu originariamente collegato al Littorio
nell’antica Roma monarchica, quando, cioè, assumere la Regalità significava
soprattutto essere Rex et Pontifex, e quindi fungere da ponte tra il mondo visibile e
l’invisibile e soprattutto da polo stabile.
Chi rivestiva l’Imperium deteneva un potere numinoso che, come spiega Mario Polia
riassumendo Julius Evola « consente che cose ed eventi passino dalla sfera della
possibilità a quella dell’esistere, che si tratti della vittoria in guerra o della fecondità,
della salute e dell’ordinato succedersi dei cicli stagionali ».
Dall’Imperium discendeva l’Auctoritas, strettamente legata al concetto e alla
funzione del verbo augere (augeo, es, auxi, auctum, augere), ovvero accrescere
(ricchezza, salute, fecondità ecc), da cui viene la parola Augusto, come si proclamò
Ottaviano, che per la storiografia fu il fondatore dell’Impero.
Augusto fu infatti originariamente un aggettivo e venne scritto “Augusto Augurio
Roma Condita”
In quella che noi avremmo poi definito come la fondazione dell’Impero, Augusto
compì un atto eccelso legando le tradizioni dell’Urbe alla necessità di assumere la
centralità universale. Quasi ispirato da Giano bifronte, il figlio adottivo di Giulio
Cesare riuscì a saldare tra loro in modo indissolubile due diverse esigenze che si
rivolgevano alla ricerca di un Centro. La riforma del Consolato – che formalmente
rimase in vigore durante tutto l’Impero - con l’istituzione di un Princeps che era
soprattutto un Tribuno dai poteri espansi, rispose alle aspettative romane, mentre
quelle universali vennero soddisfatte facendo di questo Princeps il Divus che
assicurava l’unione sacrale di un mondo al contempo unito e diversificato, nel quale
tutti i costumi, tutti gli dèi e perfino tutte le leggi godevano della piena libertà,
purché non contraddicessero lo Ius.
Si noti, di sfuggita, come Ius si leghi al verbo iubere (iubeo, es, iussi, iussum iubere) che,
rispetto ad imperare, indica un’altra accezione del comandare, quella di ordinare,
di disporre. Si tratta della saggezza normativa che proviene dall’Imperium.
Sono queste le peculiarità dell’Impero Romano, degli attributi che storicamente
lo precedono, in quanto erano presenti anche in Monarchia e in Repubblica, e che
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Gabriele Adinolfi Imperium
lo contraddistinguono da tutte le forme successive che ad esso si sono ispirate anche
nelle attribuzioni dei titoli (Kaiser e Czar vengono da Caesar). Sono delle
caratteristiche che lo differenziano poi in modo totale dal colonialismo e
dall’imperialismo che vantano la pretesa di uniformare tutto, allorché l’Impero, di
contro, garantisce, difende ed esalta le particolarità.
Lo fa da un punto di vista religioso, culturale, morale e perfino sociale, visto che nel
fondamento stesso dl’Impero è insito appunto il Cesarismo (o il Tribunato
augusteo) che si fonda sul legame tribunizio tra Capo e Popolo e sulla salvaguardia
dei più deboli.
Partiamo di lì per rispondere a due esigenze della nostra epoca, una esteriore e una
interiore.
L’esigenza esteriore è trovare una via d’uscita storica all’attuale crisi di civiltà e
d’identità.
Per via d’uscita storica intendiamo che debba essere obbligatoriamente identificata
nell’alveo della nostra epoca e delle sue esigenze. Le dinamiche in atto sono
imperanti, quel che si può esprimere rispetto ad esse non è di certo una resistenza
passiva o un richiamo nostalgico a quel che era e non è più, bensì si tratta di agire
per imporre un cambio di segno e di significato agli eventi, se riteniamo che questi
non vadano nel modo giusto.
L’epoca della Globalizzazione, del Mondialismo, della confusione, del melting pot,
della trans-nazionalità e della sovra-nazionalità, è inesorabilmente destinata ad
essere anche l’era dell’imperialismo (o degli imperialismi collegati tra di loro in
relazione di unità e scissione reciproca) e a travolgere ogni libertà, ogni identità e
ogni differenza, magari nel nome dell’esaltazione delle differenze che, però, si vanno
omologando tra loro in un edificio ideale fatto di un gelatinoso conformismo
morale, sia nel senso dei mores, i costumi, che in quello della rigidità etica, da ethos,
il comportamento.
L’unica alternativa possibile? L’Impero.
Quando diciamo Impero non parliamo necessariamente di una forma politica
definita e precisa, ma del recupero dell’assialità imperiale con tutte le sue prerogative
originarie, nessuna esclusa.
Non c’è modo di porre alternativa al mostro burocratico e tecnocratico del
federalismo uniformante al di fuori di una spinta fondatrice e normativa che, nel
nome dell’Auctoritas e dell’Imperium, risponda alle esigenze imposte dall’avvento
inesorabile dell’era delle dimensioni continentali, del Nomos satellitare dell’aria, del
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tempo zero, garantendo ed esaltando però, tutte le specificità.
Come?
Non stiamo proponendo necessariamente l’instaurazione di un Impero proclamato,
con un Imperatore che si faccia carico di tutti noi, bensì la necessità di seguire una
linea direttrice che ci consenta di effettuare la nostra Fondazione, ovvero di
tracciare un Mundus e di mettere Ordine.
Per accingersi a quest’impresa è sufficiente ricollegarci al fiume carsico che scorre
da quel 476 dopo Cristo quando l’ultimo Imperatore romano, Romolo Augustolo,
cedette il trono a Odoacre che noi conosciamo come Re degli Eruli ma che era in
effetti il capo della tribu germanica che deteneva il segreto delle Rune, di cui egli
era l’Odowahkr, traducibile più o meno come il gran maestro. Da allora, da quel
lascito, l’Imperium discretamente proseguì in quel che sarebbe poi divenuto l’Asse
ghibellino, legando indissolubilmente tra loro Roma e la Germania, sua
protostorica progenitrice, e assumendo in un modo nuovo, meno vistoso ma
nondimeno solidissimo, tutte le valenze imperiali che da Costantinopoli a San
Pietroburgo, da Vienna a Berlino, passando per la Parigi napoleonica, si sarebbero
espresse nei secoli.
Assumere l’Asse imperiale significa dunque conoscere e riconoscere i vincoli
preistorici e storici tra i poli d’Europa, sì da poterli sviluppare al tempo stesso in
congiunzione e separatamente.
Da tale conoscenza e da simile riconoscimento deriva la capacità di prendere
immancabilmente posizione, rigettando le beghe particolaristiche dei ricorrenti
sciovinismi bottegai che fanno il bene di ogni imperialismo ma non della nostra
potenza, della nostra unità, delle nostre autonomie e delle nostre libertà.
Una visione imperiale e non imperialistica dell’Europa implica la disposizione a
perseguire la sua potenza e a immaginarne lo sviluppo a est e a sud, senza con ciò
smarrirne il significato. Se parte dalla consapevolezza reale delle origini e dal
radicamento nel Mito, questa concezione definisce anche i limiti dell’identità e
dell’affinità, riconosce i contorni dell’empatia e dell’antipatia che non possono
essere determinati arbitrariamente dai singoli gusti dell’io atomizzato, ma soltanto
da ciò che è e che dev’essere.
Partendo di qui si possono delineare e sviluppare le soluzioni per la fuoriuscita dalla
crisi contemporanea. Non è questo il luogo per le proposte – che abbiamo avanzato
più volte nel dettaglio e che non ci stancheremo di aggiornare – ma è quello adatto
a mettere a fuoco i fondamentali.
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Gabriele Adinolfi Imperium
Ragionare in ottica imperiale vuol dire essere imperniati su di un’assialità interiore,
che deve sempre restare presente in noi, e, quindi, animati dall’idea della
trascendenza eroica, e non soltanto eroica, delle nostre singole identità che si
fondono senza confondersi, come direbbe Meister Eckhart. Lo fanno in alto, ma
dall’alto, a loro volta, formano noi, rendendoci uomini e non individui consumanti.
Se questo è il presupposto, e sinceramente non ne vediamo altri che non restino
prigionieri del Caos, sappiamo anche che ottica imperiale significa altresì qualità,
autonomia, libertà e corpus.
Le qualità indicano il “quale”. Tutte le identità, sociali, culturali, antropologiche,
claniche, tribali, regionali, nazionali, si esprimono in qualità o prerogative. Una
logica imperiale, contraria per sua natura all’uniformazione, garantisce la difesa di
tutte le singole qualità, non solo le garantisce, ma le esalta. Quindi sia il nazionalismo,
sia il regionalismo, a questo livello, diventano compatibili oltre ad essere protetti.
Non sopravvivono però nell’accezione oggi più diffusa, che è quella della difesa dei
privilegi economici degli uni rispetto agli altri, né in quello della fuga indietro nella
storia per paura di volare, ma si confermano rigenerati nella mentalità vincente di
chi è sicuro di sé, dei suoi Lari e del suo divenire, un futuro che scrive armonicamente
con gli altri pur restando se stesso.
La visione imperiale è d’altra parte la sola che possa garantire l’unità nazionale in
un’epoca in cui lo Stato-Nazione è defunto, perché fa, di quest’unità nazionale oggi
alla deriva, un qualcosa che, essendo radicata piuttosto che istituzionalizzata, non
ha bisogno di essere tenuta in piedi con la colla né ricostruita come un golem con i
“codici di cittadinanza”. Tra l’altro, nell’era post-giacobina, anche le regioni,
intendiamo quelle con un passato e delle qualità proprie, non i distretti
amministrativi, possono tranquillamente convivere con l’idea di Nazione senza
sentirsi negate da essa e senza doverla forzatamente negare. La carta della
Völkische Europa che venne disegnata lo scorso secolo, a causa di una visione
fondata sull’essenza e sulla consapevolezza prima ancora che sui regolamenti, oggi
diventa improvvisamente compatibile con la difesa della nazionalità e con l’orgoglio
di appartenervi. Nella coscienza imperiale ognuno può essere rappresentato e si
può riconoscere a diversi livelli che non si elidono né si contrappongono. Regionale,
nazionale e imperiale sono dimensioni diverse che si completano vicendevolmente,
anche all’interno di ognuno di noi.
Un’assialità interiore tiene connesse tutte le verghe di un fascio. A questo livello di
consapevolezza e di disciplina non serve più il pullulare di codici, di regolamenti,
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Imperium Gabriele Adinolfi
di divieti che incessantemente si ripetono nel tentativo impossibile di tenere unite
le parti atomizzate di una civiltà in crisi di significati.
La logica che tiene coese le singole parti è la medesima che unisce tra loro i cives
dell’Impero: “massima libertà, massima responsabilità”. Il che garantisce
immancabilmente l’autonomia.
Autonomia significa, letteralmente, darsi la legge da soli, una cosa che sarebbe
deleteria e rovinosa, destinata a scadere in anarchia, in assenza di un collante
fortissimo e una coscienza precisa dei princìpi, dei valori, delle valenze, delle
gerarchie etiche, valoriali e spirituali che quelle leggi dettano in modo corretto.
Eppure oggi paradossalmente, senza autonomia, l’anarchia morale e l’ingiustizia a
tutti i livelli sono inevitabili.
In epoca di omologazione, quando cioè le leggi non provengono più dallo Ius e non
mirano innanzitutto al Diritto, ma si sono tramutate in Atti di regolamentazione
tendente all’uniformità, è palese che esse mettono sovente a rischio le identità, le
libertà e persino le economie e le proprietà senza con ciò produrre altro che una
forma dello stare insieme precaria, artificiale, nevrotica e angosciata. Vi si risponde
in due soli modi: andando progressivamente e inesorabilmente in rovina oppure
organizzandosi da soli, localmente, come ceto, come categoria sociale. L’idea
imperiale, non solo concettualmente ma anche storicamente, ha favorito e non può
non favorire le autonomie provviste di tutte le loro singole caratteristiche:
autonomie che l’imperialismo – violentandone il nome - intende invece soltanto
come cellule uniformi, replicanti di un tutto. L’idea imperiale detta infatti le
direttrici che consentono di realizzare le organizzazioni locali e quelle di categoria
in senso organico e armonico, non atomizzato e atrofico come accade in
Globalizzazione. Anche in questo ramo abbiamo una serie di proposte dettagliate
che sono state affrontate in altro luogo.
Infine il Corpus. La società organica, cui l’ideale imperiale è strettamente connesso,
non è composta da individui e masse, o da individui-massa, né da classi sociali
affastellate in modo informe e che traggono la propria forza solo dagli elementi
bruti che evocano con spirito negativo, ma dalla propensione a e dalla capacità di
fare corpo, da cui Corporazioni e Corporativismo, il cui significato esatto è
l’opposto di quello comunemente inteso, in quanto imposto come tale dai suoi
avversari.
Essere ognuno non un’ipotesi che si costruisce da sé – come suggeriscono la teoria
di genere e quello del codice di cittadinanza – bensì una personalità individuale ma
strettamente connessa alla propria eredità e alle proprie funzioni, interpretate non
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Gabriele Adinolfi Imperium
in senso meramente funzionale ma come parti di un’armonia cosmica, è l’alternativa
a ogni forma di mercantilismo materialista esistente o possibile.
L’ideale imperiale non può non articolarsi unendo all’Imperium, all’Auctoritas, alle
Qualità e all’Autonomia, il fare corpo sociale, nel senso letterale di Societas –
insieme di alleati – e di partecipanti a una Comunità Organica di Destino.
Dall’alto in basso, dalla potenza all’economia, dal territoriale al nazionale fino al
continentale, l’ideale imperiale espone, propone e vuole imporre un’alternativa
compiuta e assoluta.
Delineare un programma politico e legislativo sulla base di queste premesse non è
sufficiente perché viviamo in epoca di dis-sociazione, di post-democrazia e
d’intreccio di poteri e di anarchie.
Non è più il tempo della conquista dello Stato da cui, con i poteri infine acquisiti,
cambiare la società. Oggi è l’epoca del potere confuso e diffuso e dei luoghi
atomizzati, degli individualismi sociali che si estendono ai particolarismi geografici,
degli egoismi economici e lobbistici che si confrontano con i poteri forti,
scavalcando i poteri formali. E, per chi non riveste nessun ruolo nella società, ovvero
per la maggioranza, restano l’associazionismo assistenzialista e quello dei
consumatori.
Per agire in questa realtà non si può assolutamente attendere di concludere
un’ascesa elettorale ma lo si deve fare nel quotidiano, senza esitazione. Va fatto
sempre, ovunque, a qualsiasi livello, per ordinarlo ed organizzarlo, al fine di creare
un potere autonomo ma sempre centrato, in grado di resistere ai poteri
uniformanti e liberticidi. Questo lo si può fare solo immaginandosi e comportandosi
come Unità Imperiali.
Se l’idea imperiale sarà stata correttamente acquisita e metabolizzata, l’Impero
Invisibile sarà la nostra spina dorsale e la nostra stella polare e ci consentirà di agire
ovunque. Tracciando il solco e difendendolo con il gladio.
Questo ci conduce alla seconda esigenza della nostra epoca: quella del nostro foro
interiore.
L’era di omologazione planetaria lede, nega e soffoca le libertà. Lo fa nel nome della
libertà, anzi delle libertà. Le libertà sessuali e di genere, cui si sommano quelle
genetiche, malgrado le intenzioni proclamate, tendono a omologare e moralizzare
le trasgressioni che, così, però, risultano codificate anziché libere; al contempo,
intanto, spingendosi a negare perfino le identità genetiche e aprendo il campo alle
possibilità infinite, i loro mentori intendono recidere ogni radice e ogni legame con
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il profondo, sia da parte dei singoli che dell’intera comunità. I figli del progressismo
liberal che erano partiti con il “vietato vietare” stanno invece proibendo tutto ciò
che è sempre stato (dall’eros al fumo, dal bere alcool al mangiare maiale) per imporre
al suo posto un progetto mutante.
Dal punto di vista essenziale è la rivolta dell’Utopia contro il Mito, da quello del
simbolo e del riferimento si tratta dell’informe tellurico che cerca la sua rivincita
contro la Virilità Olimpica. Un vero e proprio scontro di civiltà – l’unico vero – di
cui bisogna essere consapevoli.
L’Impero è l’asse del Mito e della Virilità Olimpica.
“Il Mito – ci rammenta Ernst Jünger ne Il trattato del Ribelle - non è storia remota:
è realtà senza tempo che si ripete nella storia.” Di qui dobbiamo partire per cambiare
segno alla storia.
Tuttavia dobbiamo essere consci che viviamo sotto dittatura, ché non potrebbe
essere altrimenti quando le danze sono menate da chi cerca utopicamente di negare
le leggi del Cosmo.
“La maggioranza – continua Jünger - può contemporaneamente agire nella legalità
e produrre illegalità. (…) I soprusi possono farsi sempre più feroci e diventare veri
e propri delitti, contro determinati gruppi.”
D’altra parte questa presunta normalità, che oggi si definisce politicamente
corretta, non può tenersi in piedi se non identifica “minoranze, diversi da
perseguitare: va da sé che chiunque si distingua per doti ereditarie da un lato e per
talento dall’altro, non si sottrae a questo rischio.”
Chi si batta per la norma, per la giustizia e per la verità, non può dunque ignorare
di essere impegnato in una lotta impari nei confronti di chi non solo detta le regole
del gioco, ma continuamente bara.
E al tavolo di gioco egli non può non perdere. Può fare rapide, fuggevoli ed efficaci
incursioni ma non può trattenersi a lungo. Se lo fa deve saper perdere la posta e,
come nel Se di Kipling “ricominciare di nuovo dal principio senza mai fare parola
della propria perdita”.
La prima libertà e la prima autonomia, il primo potere e la prima potenza, risiedono
quindi nel non stare al gioco. Non dipendere, moralmente, economicamente o
psicologicamente, dalle necessità indotte dal Leviatano e non lasciarsi ipnotizzare
dalle sue paure è l’unica, immancabile, premessa per un atto liberatorio e di
rifondazione.
L’unica possibilità che il Ribelle imperiale abbia di prevalere, risiede innanzitutto
nella sua capacità di restare impermeabile a tutte le lusinghe e a tutte le minacce,
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Gabriele Adinolfi Imperium
di non perdersi quando si cimenta nei confronti, di non sentirsi attratto a parlare
la lingua o a compiere i gesti di chi non è come lui. Egli deve, agostinianamente,
saper essere in questo mondo senza essere di questo mondo.
Gli tocca, come suggerisce sempre lo Jünger, “passare al bosco” o, più precisamente,
e più oltre ancora, riuscire a essere egli stesso il bosco nel pieno della città.
Non si può però passare al bosco, e tanto meno essere bosco, se non si è recuperato
quel che di fiero si ha in sé, se non si sono riscoperte le radici che consentono al
fusto di ergersi dritto.
L’Imperium – che è assialità interiore prima di ogni altra cosa - è proprio quanto
consente che ciò avvenga.
Ragion per cui la risposta imperiale, che sarà popolare e comune, nasce come
risposta elitaria, ma di un’élite aperta, generosa, che si dona.
Ancora Jünger: “Saranno quindi delle élites a dare battaglia per una nuova libertà
– battaglia che esige grandi sacrifici e pretende un’interpretazione che non sia
impari alla loro dignità.”
Esse devono soprattutto essere consapevoli che “non si torna indietro verso il Mito,
il Mito lo s’incontra di nuovo quando il tempo vacilla sin dalle fondamenta, sotto
l’incubo di un pericolo estremo.”
Ernst Jünger ci richiama anch’egli ad essere sempre attivi e presenti “Il motto del
Ribelle è Hic et nunc – essendo il Ribelle uomo d’azione libera e indipendente.”
Hic et nunc, qui e ora. Queste due parole significano Imperium e garantiscono, se
sappiamo esserne all’altezza, la nostra libertà. Anche se essere liberi, ormai, non è
più un diritto ma un compito difficile, sempre meno gradito dalla gente, ma è un
impegno che dovremo assumere sulle nostre spalle, se non altro per la fedeltà verso
i nostri avi e per i nostri discendenti ai quali dobbiamo restituirla, la libertà, insieme
alla dignità.
Imperium, Hic et Nunc: per assicurare l’avvenire alla nostra gente, alle nostre nazioni,
alle nostre regioni, alla nostra Europa e per essere liberi, come gli uomini della
foresta e i cavalieri erranti.
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Imperium Gabriele Adinolfi
ESPAÑOL
Imperium no era sólo la fuente y el atributo de mando militar sino una prerrogativa
axial, como la espada, el fascio y el cetro, el cual, en tanto que tal, representaba el
eje del mundo. Éste estuvo ligado originariamente al Lictorio en la antigua Roma
monárquica, cuando asumir la realeza significaba sobre todo ser Rex et Pontifex y,
por tanto, ejercer de puente entre el mundo visible y el invisible y, ante todo, de polo
estable.
Quien se revestía con el Imperium detentaba un poder numinoso que, como explica
Mario Polia compendiando a Julius Evola, « determina qué cosas y eventos pasen
de la esfera de la posibilidad a la del existir, ya se trate de la victoria en la guerra o de
la fecundidad, de la salud o del ordenado sucederse de los ciclos estacionales ».
Del Imperium descendía la Auctoritas, estrechamente ligada al concepto y a la
función del verbo augere (augeo, es, auxi, auctum, augere), o bien a « acrecentar »
(riqueza, salud, fecundidad, etc.), de donde procede la palabra Augusto, como se
proclamó Octaviano, que para la historiografía es el fundador del Imperio.
« Augusto » fue, en efecto, en origen un adjetivo y se ha escrito « Augusto Augurio
Roma Condita ».
En lo que posteriormente se definirá como la fundación del Imperio, Augusto llevó
acabo un acto excelso, ligando las tradiciones de la Urbe a la necesidad de asumir la
centralidad universal. Casi inspirado por Jano bifronte, el hijo adoptivo de Julio
César logró soldar entre sí de manera indisoluble dos exigencias diferentes que se
dirigían a la búsqueda de un centro. La reforma del Consulado –que formalmente
continuó en vigor durante todo el Imperio– con la institución de un Princeps que
era sobre todo un Tribuno con poderes ampliados, respondía a las expectativas
romanas, mientras que las universales fueron satisfechas haciendo de este Princeps
un Divus que aseguraba la unión sagrada de un mundo que a un mismo tiempo
estaba unido y se mostraba diversificado, en cual todas las costumbres, todos los
dioses e incluso todas las leyes gozaban de plena liberad mientras no contradijeran
el Ius.
Nótese de pasada que Ius está vinculado al verbo iubere (iubeo, es, iussi, iussum, iubere)
que respecto a imperare, indica otra acepción de mandar, la de ordenar y disponer.
Se trata de la sabiduría normativa que proviene del Imperium.
Éstas son las peculiaridades del Imperio Romano, los atributos que históricamente
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Gabriele Adinolfi Imperium
lo preceden, en la medida en que estaban presentes también en la monarquía y la
República, y que lo distinguen de todas las formas sucesivas que se han inspirado
en él, incluso en las atribución des de títulos (Kaiser y Czar proceden de Caesar).
Son las características que, después, lo diferenciará de manera absoluta del
colonialismo y del imperialismo, que conllevan la pretensión de uniformarlo todo,
mientras que el Imperio, por el contrario, garantiza, defiende y exalta las
particularidades.
Lo hace desde un punto de vista religioso, cultural, moral e incluso social, puesto
que el propio fundamento del Imperio está ínsito el Cesarismo (o el Tribunado
augústeo) que se funda sobre el vínculo tribunicio entre Jefe y Pueblo y sobre la
salvaguardia de los más débiles.
De aquí partimos para dar respuesta a dos exigencias de nuestra época, una exterior
y otra interior.
La exigencia exterior es encontrar una vía de salida histórica a la actual crisis de
civilización y de identidad.
Por « vía de salida histórica » entendemos un camino que ha de identificar
necesariamente dentro de los márgenes de nuestra época y de sus exigencias. Las
dinámicas actualmente en curso son imperativas, la actitud a mantener frente a
ellas no es, ciertamente, una resistencia pasiva o una llamada nostálgica a lo que fue
y ya no es, sino que se trata de actuar para imponer un cambio de objetivo y de
significado a los acontecimientos, si es que consideramos que éstos no se están
sucediendo del modo correcto.
La época de la Globalización, del Mundialismo, de la confusión, del melting pot, de
la trans-nacionalidad y de la supra-nacionalidad está inexorablemente destinada a
ser también la era del imperialismo (o de los imperialismos vinculados entre sí en
función de una relación de unidad y escisión recíprocas) y a laminar toda libertad,
toda identidad y toda diferencia, quizás incluso en el nombre de la exaltación de las
diferencias que, sin embargo, se van homologando entre sí en un edificio ideal
construido a base de un conformismo moral gelatinoso, ya sea en el sentido de las
tradiciones, las costumbres, que en el de la rigidez ética, de ethos, el comportamiento.
Cuando decimos Imperio o hablamos necesariamente de una forma política
definida y precisa, sino de la recuperación de la axialidad imperial con todas sus
prerrogativas originarias, sin exclusión de ninguna.
No es posible plantear una alternativa al monstruo burocrático y tecnocrático del
federalismo uniformizador fuera de un impulso fundacional y normativo que, en
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Imperium Gabriele Adinolfi
el nombre de la Auctoritas y del Imperium, responda a las exigencias impuestas por
la llegada inexorable de la era de las dimensiones continentales, del Nomos satelital
del aire, del tiempo cero, no obstante garantizando y exaltando, todas las
especificidades.
¿Cómo?
No estamos proponiendo necesariamente la instauración de un Imperio
proclamado, como Emperador que se haga cargo de todos nosotros, sino la
necesidad de seguir una línea directriz que nos permita realizar nuestra Fundación,
o bien, trazar un Mundus y crear Orden.
Para disponerse a esta empresa es suficiente volver a vincularse al río cárstico que
corre desde aquel 467 de nuestra era, cuando el último Emperador romano, Rómulo
Augústulo, cedió el trono a Odoacro, a quien conocemos como rey de los hérulos,
pero que era, en efecto, el jefe de la tribu germánica que detentaba el secreto de las
Runas, del cual él era el Odowahkr, traducible más o menos como el gran maestro.
Desde entonces, desde aquel legado, el Imperium prosiguió discretamente en lo que
después se convertiría en el Eje Gibelino, ligando indisolublemente entre sí Roma
y Germania, su progenitor protohistórica, y asumiendo de un modo nuevo, menos
vistoso pero no por ello menos sólido, todas las valencias imperiales que desde
Constantinopla a San Petersburgo, desde Viena a Berlín, pasando por la París
napoleónica, se habrían expresado a través de los siglos.
Asumir el Eje imperial significa por tanto conocer reconocer los vínculos
prehistóricos e históricos entre los pueblos de Europa, de manera de poder
desarrollarlos al mismo en conexión y separadamente.
De un conocimiento y un reconocimiento tales deriva la capacidad de tomar
inevitablemente posición, rechazando las disputas particularistas de los recurrentes
chovinismos de tenderos que benefician a todo imperialismo pero no a nuestra
potencia, a nuestra unidad, a nuestras autonomías y nuestras libertades.
Una visión imperial pero no imperialista de Europa implica la disposición a
perseguir su potencia y a imaginar su desarrollo a este y al sur, sino con ello extraviar
su significado. Partiendo de la conciencia real de los orígenes y del arraigo en el
Mito, esta concepción define también los límites de la identidad y de la afinidad,
reconoce los contornos de la empatía y de la antipatía, que no pueden estar
determinados arbitrariamente por los gustos individuales del yo atomizado sino
sólo por lo que es y por lo que debe ser.
Partiendo de aquí se pueden delinear y desarrollar las soluciones para salir de la
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Gabriele Adinolfi Imperium
crisis contemporánea. No es éste el lugar para las propuestas –que hemos avanzado
varias veces en detalle y que no nos cansaremos de poner al día– pero sí el adecuado
para enfocar las fundamentales.
Razonar según una óptica imperial quiere decir estar fundamentados sobre una
axialidad interior, que siempre debe estar presente en nosotros y, por tanto, estar
animados por la idea de la trascendencia heroica, y no sólo heroica, de nuestras
identidades individuales que se funden sin confundirse, como diría el Maestro
Eckhart. Lo hacen en lo alto, pero desde lo alto, a su vez, nos marcan, haciendo de
nosotros hombres y no individuos abocados a la consunción.
Si éste es el presupuesto, y sinceramente no se perciben otros que no permanezcan
prisioneros del Caos, sabemos también que óptica imperial significa además
cualidad, autonomía, libertad y corpus.
Las cualidades indican el « cual ». Todas las identidades –sociales, culturales,
antropológicas, clánicas, tribales, regionales, nacionales– se expresan en cualidades
o prerrogativas. Una lógica imperial, contraria por su naturaleza a la uniformidad,
garantiza la defensa de todas las cualidades individuales, y no sólo las garantiza sino
que las exalta. Por tanto, tanto el nacionalismo como el regionalismo, a este nivel,
se hacen compatibles, además de ser protegidos. Sin embargo, no sobreviven en la
acepción más difundida hoy, que es la de la defensa de los privilegios económicos
de los unos respecto a los otros, ni en el de la fuga hacia atrás en la historia por miedo
a volar, sino que se confirman regenerados en la mentalidad victoriosa de quien está
seguro de sí mismo, de sus Lares y de su devenir, un futuro que escribe armónicamente
con los demás pero permaneciendo él mismo.
La visión imperial es, por otro lado, la única que puede garantizar la unidad nacional
en una época en la que el Estado-Nación ha muerto, porque hace de esta unidad
nacional hoy a la deriva, algo que, estando más radicada que institucionalizada, no
tiene necesidad de ser mantenida en pie con pegamento ni reconstruida como un
golem con los « códigos de ciudadanía ». Por lo demás, en la era post-jacobina,
también las regiones, entendemos las que poseen un pasado y cualidades propias,
no los distritos administrativos, pueden convivir tranquilamente con la idea de
Nación sin sentirse negadas por ésta y sin tener que negarla a su vez forzadamente.
La carta de la Völkische Europa que fue diseñada en el siglo pasado, a causa de una
visión fundada antes sobre la esencia y sobre la conciencia que sobre los reglamentos,
hoy se hace repentinamente compatible con la defensa de la nacionalidad y con el
orgullo de pertenecer a ella. En la conciencia imperial cada uno puede estar
representado y se puede reconocer a diversos niveles que no se eliden ni se
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Imperium Gabriele Adinolfi
contraponen. Regional, nacional e imperial son dimensiones diversas que se
complementan mutuamente, también en el interior de cada uno de nosotros.
Una axialidad interior mantiene conectadas todas las varillas de un fascio. A este
nivel de conciencia y de disciplina ya no sirve el pulular de códigos, reglamentos,
prohibiciones que incesantemente se repiten en la pretensión imposible de
mantener unidas las partes atomizadas de una civilización en crisis de significantes.
La lógica que mantiene unidas las partes individuales y la misma que une entre sí a
los cives del Imperio: « máxima libertad, máxima responsabilidad ». Lo que garantiza
inevitablemente la autonomía.
Autonomía significa, literalmente, darse la ley por uno mismo, una cosa que sería
deletérea y ruinosa, destinada a degenerar en anarquía en ausencia de un adhesivo
extremadamente fuerte y una conciencia precisa de los principios, de los valores,
de las valencias, de la jerarquía éticas, de valores y espirituales que aquellas leyes
dictan de modo correcto. Sin embargo hoy, paradójicamente, sin autonomía, la
anarquía moral y la injusticia a todos los niveles son inevitables.
En una época de homologación, cuando las leyes no provienen del Ius ni aspiran
ante todo al Derecho, sino que se han transmutado en Actos de reglamentación
tendentes a la uniformidad es evidente que con frecuencia ponen en peligro las
identidades, las libertades e incluso las economías y las propiedades sin con ello
producir otra cosa que una forma convivencia precaria, artificial, neurótica y
angustiada. A esto sólo se puede responder de dos modos diferentes: yendo de
manera progresiva e inexorable a la ruina u organizándose por sí solos, localmente,
como clase, como categoría social. La idea imperial, no sólo conceptualmente sino
también históricamente, ha favorecido y no puede dejar de hacerlo, las autonomías
provistas de todas sus características individuales: autonomías que el imperialismo
–violentando el nombre– entiende únicamente como células uniformes, replicantes
de un todo. La idea imperial dicta, en efecto, las directrices que permiten realizar
las organizaciones locales y las de categoría en sentido orgánico y armónico, no
atomizado y atrofiado como sucede con la Globalización. También en este apartado
contamos con una serie de propuestas detalladas que se han expuesto en otro lugar.
Por último el Corpus. La sociedad orgánica, a la que está estrechamente vinculado
el ideal imperial, no está compuesta por individuos y masas, o por individuos-masa,
ni por clases sociales hacinadas de modo informe y que obtiene su propia fuerza
sólo de los elementos brutos que evocan con espíritu negativo, sino de la propensión
a y de la capacidad de hacer cuerpo, de donde Corporaciones y Corporativismo,
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Gabriele Adinolfi Imperium
cuyo significado exacto es el opuesto al que se entiende comúnmente, en tanto que
ha sido impuesto por sus adversarios.
Ser cada uno no una hipótesis que se construye por sí –como sugieren la teoría de
género y el código de ciudadanía– sino una personalidad individual pero
estrechamente conectada a la propia herencia y a las propias funciones, interpretadas
no es sentido meramente funcional sino como partes de una armonía cósmica, es
la alternativa a toda forma de mercantilismo materialista existente o posible.
El ideal imperial no puede no articularse uniendo al Imperium, a la Auctoritas, a las
Cualidades y a la Autonomía, el hacer cuerpo social, en el sentido literal de Societas
–conjunto de aliados– y de participantes en un Comunidad Orgánica de Destino.
Delinear un programa político y legislativo sobre la base de estas premisas no es
suficiente porque vivimos en una época de dis-sociación, de post-democracia y de
trenzado de poderes y anarquía.
Ya no es el tiempo de la conquista del Estado desde el cual, con los poderes
finalmente obtenidos, cambiar la sociedad. Hoy es la época del poder confuso y
difuso y de los lugares atomizados, de los individualismos sociales que se extienden
a los particularismos geográficos, de los egoísmos económicos y lobbísticos que se
confrontan con los poderes fuertes, desbancando a los poderes formales. Y para
quien no juega ningún papel en la sociedad, es decir, para la mayoría, quedan el
asociacionismo asistencialista y el de los consumidores.
Para actuar en esta realidad no se puede esperar en absoluto a lograr un ascenso
electoral sino que se debe hacerlo en lo cotidiano, sin titubeos. Hay que hacerlo
siempre, en todo lugar, a cualquier nivel, para ordenarlo y organizarlo, con el fin de
crear un poder autónomo, pero siempre centrado, susceptible de resistir ante los
poderes uniformadores y liberticidas. Esto sólo se puede hacer imaginándose y
comportándose como Unidades Imperiales. Si la idea imperial se asume y se
metaboliza correctamente, el Imperio Invisible será nuestra espina dorsal y nuestra
estrella polar y nos permitirá actuar en cualquier situación. Trazando el surco y
defendiéndolo con el gladio.
Esto nos conduce a la segunda exigencia de nuestra época: la de nuestro foro
interior.
La era de homologación planetaria vulnera, niega y sofoca las libertades. Lo hace
en nombre de la libertad, es más, de las libertades. La liberad sexual y de género, a
la que se suman las genéticas, a pesar de las intenciones proclamadas, tienden a
homologar y moralizar las transgresiones que, así, sin embargo, resultan codificadas
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Imperium Gabriele Adinolfi
en vez de libres; al mismo tiempo, llegando a negar incluso las identidades genéticas
y abriendo el camino a las posibilidades infinitas, sus mentores pretenden cortar
toda raíz y todo vínculo con lo profundo, tanto por parte del individuo como del
conjunto de la comunidad. Los hijos del progresismo liberal que habían comenzado
con el « prohibido prohibir » lo están prohibiendo a su vez todo lo que siempre ha
estado presente (desde el eros hasta el humo del tabaco, desde el beber alcohol hasta
comer cerdo) para imponer en su lugar un proyecto mutante.
Desde el punto de vista esencial es la revuelta de la Utopía contra el Mito, desde el
del símbolo y la referenciase trata de lo telúrico informe que busca su revancha
contra la Virilidad Olímpica. Un verdadero choque de civilizaciones –el único
verdadero– del que es necesario que seamos conscientes.
« El Mito » –nos dice Ernst Jünger en El tratado del Rebelde– « no es historia remota:
es realidad sin tiempo que se repite en la historia ». De aquí debemos partir para
cambiar el signo de la historia.
Sin embargo, debemos ser conscientes de que vivimos bajo la dictadura, que no
podría ser de otra manera cuando el baile es dirigido por que busca utópicamente
negar las leyes del Cosmos.
« La mayoría » – continúa Jünger – « puede actuar en la legalidad y al mismo tiempo
producir ilegalidades (...) Los atropellos pueden ser cada vez más feroces y
convertirse en verdaderos delitos contra determinados grupos ».
Por otra parte, esta presunta normalidad, que hoy se define políticamente correcta,
no se puede sostener en pie si no identifican « minoría, diferentes, a perseguir: es
evidente que cualquiera que se distinga por sus dotes hereditarias por un lado y por
su talento por otro no se sustrae a este peligro ».
Quien combata por la norma, por la justicia y por la verdad no puede ignorar estar
empeñado en una lucha desigual contra quien no sólo dicta las reglas del juego sino
que continuamente hace trampas.
Y en el tablero de juego no puede más que perderse. Puede realizar incursiones
rápidas, fugaces y eficaces pero no puede mantenerse por mucho tiempo. Si lo hace,
debe saber perder la apuesta y, como en el Si de Kipling « recomenzar de nuevo desde
el principio sin jamás hablar de lo que ha perdido ».
La primera libertad y la primera autonomía, el primer poder y la primera potencia,
residen por tanto en el no permanecer en el juego. No depender moralmente,
económicamente o psicológicamente de las necesidades inducidas por el Leviatán
y no dejarse hipnotizar por sus miedos es la única, imprescindible, premisa para
una acción liberadora y de refundación.
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Gabriele Adinolfi Imperium
La única posibilidad que el Rebelde imperial tiene de prevalecer reside ante todo
en su capacidad de permanecer impermeable ante todo halago y frente a toda
amenaza, de no perderse cuando se prueba a sí mismo en los enfrentamientos, de
no sentirse atraído a hablar la lengua y a realizar los gestos de quien no es como él.
Debe, agustinamente, saber estar en este mundo sin ser de este mundo.
Debe, como sugiere Jünger, « pasar al bosque » o, más exactamente, y más allá
todavía, lograr ser él mismo el bosque en medio de la ciudad.
Sin embargo, no se puede pasar al bosque, y mucho menos ser el bosque, sin ose ha
recuperado lo que hay de orgulloso en uno mismo, sin no se han descubierto las
raíces que permiten al tronco erguirse recto.
El Imperium –que es axialidad interior antes que cualquier otra cosa– es precisamente
lo que permite que esto se produzca.
Razón por la cual la respuesta imperial, que será popular y común, nace como respuesta
de elite, pero de una elite abierta, generosa, que se ofrece.
Siempre Jünger: « Serán por tanto las elites las que darán la batalla por la nueva
libertad, batalla que exige grandes sacrificios y aspira a una interpretación que nos
sea inferior a su dignidad ».
Estas elites deben ser conscientes de que « no se vuelve atrás hacia el Mito, el Mito
se encuentra de nuevo cuando el tiempo vacila desde sus propios cimientos bajo el
íncubo de un peligro extremo ».
Ernst Jünger no exige ser siempre activos y estar presentes: « El lema del Rebelde
es Hic et Nunc, siendo el Rebelde un hombre de acción libre e independiente ».
Hic et Nunc, aquí y ahora. Estas dos palabras significan Imperium y garantizan, si
sabemos estar a la altura, nuestra libertad. También si ser libres, hoy, no es un
derecho sino un trabajo difícil, nunca agradecido por la gente, pero es un empeño
que debemos cargar sobre nuestras espaldas, si no por otra razón, por fidelidad a
nuestros ancestros y a nuestros descendientes a quienes deberemos restituir la
libertad junto a la dignidad.
Imperium, Hic et Nunc: para asegurar el futuro de nuestro pueblo, de nuestras
naciones, de nuestras regiones, de nuestra Europa y para ser libres, como los
hombres del bosque y los caballeros andantes.
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Imperium Gabriele Adinolfi
FRANÇAIS
L’Imperium n’était pas seulement la source et l’attribut du commandement
militaire, mais également une prérogative « axiale », comme l’épée, le faisceau, le
sceptre, qui, en tant que telle, représentait l’axe du monde. Lequel fut originairement
associé au Licteur, dans l’ancienne Rome monarchique, quand assumer la Royauté
signifiait avant tout être Rex et Pontifex, et, par conséquent, servir de « pont » entre
le monde visible et le monde invisible, et, surtout, de pôle de stabilité.
Celui qui était investi de l’Imperium, détenait un pouvoir lumineux qui, comme
l’explique Mario Polia, résumant Julius Evola, « permet que choses et événements
passent de la sphère du possible à celle de l’existence réelle, qu’il s’agisse de la
victoire au combat ou de la fécondité, de la santé ou de la succession ordonnée des
cycles saisonniers. »
De l’Imperium descendait l’« Auctoritas », étroitement liée à l’idée et à la fonction
du verbe « augere » (augeo, es, auxi, auctum, augere), c’est-à-dire « augmenter » (richesse,
santé, fécondité, etc.), d’où vient le nom « Auguste », qu’adopta Octave, lequel fut,
pour l’historiographie, le fondateur de l’Empire.
Mais « auguste » fut à l’origine un adjectif, que l’on retrouve, par exemple, dans
l’inscription « Rome, fondée sur d’augustes augures ».
En ce que nous avons ensuite défini comme étant la fondation de l’Empire, Auguste
réalisa un acte d’une très grande portée, liant les traditions de l’Urbs à la nécessité
d’assumer la centralité universelle. Quasiment inspiré par Janus aux deux faces, le
fils adoptif de Jules César réussit à souder entre elles, de manière indissoluble, deux
exigences différentes, mais l’une et l’autre en recherche d’un Centre. La réforme
du Consulat – qui resta formellement en vigueur durant toute la durée de l’empire–,
avec l’institution d’un Princeps qui était avant tout un Tribun aux pouvoirs étendus,
répondait aux attentes romaines, tandis que d’autres, universelles, se voyaient
satisfaites dès lors que ce Princeps devenait également le Divus assurant l’union
sacrée d’un monde à la fois uni et divesifié, dans lequel toutes les coutumes, tous les
dieux, et jusqu’à toutes les lois, jouissaient d’une pleine liberté, à partir du moment
où ils ne contredisaient pas le Ius.
On notera en passant comment le Ius se relie au verbe « iubere » (iubeo, es, iussi,
iussum iubere) qui, par rapport à « imperare », indique une autre acception du verbe
« commander », celle d’ordonner, de disposer. Il s’agit ici de la sagesse normative qui
vient de l’Imperium.
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Gabriele Adinolfi Imperium
Telles sont les particularités et attibuts de l’Empire romain, qui existaient
historiquement avant lui, aussi bien à l’époque de la Monarchie qu’à celle de la
République, et qui ont également marqué toutes les formes politiques qui, ensuite,
se sont inspirées de lui, ce jusque dans l’attribution des titres (Kaiser et Czar
proviennent directement de Caesar). Par ailleurs, ce sont des caractéristiques qui
le différencient totalement du colonialisme et de l’impérialisme, lesquels affichent
clairement la prétention de tout uniformiser, alors que l’Empire, par contre,
garantit, défend et exalte les particularités.
Il le fait d’un point de vue religieux, culturel, moral ou encore social, vu que, dans
les fondations mêmes de l’Empire, est enraciné le « Césarisme » (ou « Tribunat
auguste »), lequel repose sur les liens tribuniciens existant entre la Tête et le Peuple,
ainsi que sur la sauvegarde des plus faibles.
Partons de là pour répondre à deux exigences de notre époque, l’une externe et
l’autre interne.
L’exigence externe consiste à trouver une voie de sortie historique à l’actuelle crise
de civilisation et d’identité.
Par « voie de sortie historique », nous entendons que celle-ci doit obligatoirement
être identifiée dans ce qui constitue la réalité de notre époque et de ses exigences.
Les dynamiques actuellement à l’oeuvre sont en effet dominantes, quoique l’on
puisse en penser, et ce n’est certainement pas en leur opposant une résistance
passive ou un rappel nostalgique de ce qui était et n’est plus, mais en agissant pour
imposer un « changement de signe » et de sens aux événements que l’on doit
répondre à ceux-ci, dès lors qu’ils ne vont pas dans la bonne direction.
L’époque de la Gobalisation, du Mondialisme, de la confusion, du melting pot, de la
transnationalité et de la « surnationalité » est inexorablement destinée à être
également l’ère de l’impérialisme (où d’impérialismes reliés entre eux par des
rapports d’unité et de concurrence tout en même temps) et à emporter chaque
liberté, chaque identité et chaque différence, peut-être au nom même de l’exaltation
de différences, que, cependant, on va homologuer en un édifice “idéal” fait d’un
conformisme moral gélatineux, que cela soit dans le domaine des moeurs et des
coutumes, ou dans celui de la rigidité éthique, de l’« ethos » et du comportement.
La seule alternative possible ? L’Empire.
Quand nous disons « l’Empire », nous ne parlons pas nécessairement d’une forme
politique définie et précise, mais de la récupération de l’axialité impériale avec
toutes ses prérogatives originelles, sans en exclure aucune.
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Imperium Gabriele Adinolfi
Il n’y a pas moyen de poser une alternative au monstre bureaucratique et
technocratique du fédéralisme uniformisateur, sinon en faisant référence à une
impulsion fondatrice et normative qui, au nom de l’Auctoritas et de l’Imperium,
réponde aux exigences imposées par l’avènement inexorable de l’ère des espaces
continentaux, du « Nomos » (ou ensemble des représentations culturelles) attaché
à la situation actuelle et du « temps zéro », tout en garantissant et en exhaltant toutes
les spécificités de cette impulsion fondatrice.
Comment ?
Nous ne sommes pas nécessairement en train de proposer l’instauration d’un
Empire proclamé comme tel, avec un Empereur en charge de notre avenir, mais
plutôt la nécessité de suivre une ligne directrice à laquelle notre Fondation devrait
se conformer, en vue de tracer, comme le fit Romulus, les limites d’un nouveau
« Mundus » et d’instaurer un Ordre.
Pour se préparer à cette entreprise, il est suffisant de se relier à nouveau au fleuve
karstique qui coule depuis 476 après J.-C., lorsque le dernier empereur romain,
Romulus Augustule, céda le trône à Odoacre, que nous connaissons comme Roi
des Hérules, mais qui était en fait le chef de la tribu germanique détenant le secret
des Runes, dont il était l’Odowahkr, mot que l’on peut traduire à peu près
correctement par le « grand maître ». A partir de ce moment-là, à partir de ce legs,
l’Imperium se poursuivit discrètement dans ce qui allait devenir l’Axe gibelin, liant
indissolublement entre elles Rome et l’Allemagne, son aïeule protohistorique, et
assumant, sur un mode nouveau, moins visible mais non moins solide, toutes les
valeurs impériales qui, de Constantinople à Saint-Pétersbourg, de Vienne à Berlin,
en passant par le Paris napoléonien, s’exprimèrent au cours des siècles.
Assumer l’Axe impérial signifie donc connaître et reconnaître les liens préhistoriques
et historiques entre les pôles européens concernés, de façon à pouvoir développer
ceux-ci tout à la fois séparément et harmonieusement.
D’une telle connaissance et d’une telle reconnaissance, dérive la capacité de prendre
une position correcte, en rejetant les disputes particularistes des récurrents
chauvinismes boutiquiers, qui servent les intérêts de chaque impérialisme, mais
certainement pas ceux de notre puissance, de notre unité, de nos autonomies et de
nos libertés.
Une vision impériale et non impérialiste de l’Europe implique la capacité de
rechercher sa puissance et d’en imaginer le développement à l’Est et au Sud, sans
pour cela en perdre de vue le sens profond. Il faut partir de la conscience réelle des
origines et de l’enracinement dans le Mythe, soit une démarche qui définit
23
Gabriele Adinolfi Imperium
également les limites de l’identité et des affinités, reconnaît les contours de
l’empathie et de l’antipathie, lesquels ne peuvent être arbitrairement déterminés
sur la base des penchants d’un moi atomisé, mais seulement sur la base de ce qui
est et devrait être.
En partant de là, on peut tracer le contour et développer les solutions pour sortir
de la crise contemporaine. Ce n’est pas le lieu de rappeler ces solutions -que nous
avons déjà présentées à plusieurs reprises dans le détail et dont la mise à jour serait
ici fastidieuse- mais plutôt celui de mettre au point les principes fondamentaux.
Raisonner dans une optique impériale veut dire être centré sur un axe intérieur, qui
doit rester toujours présent en nous, et, par conséquent, être animé de l’idée de la
transcendance héroïque, mais pas seulement héroïque, de nos identités
particulières, lesquelles se fondent sans se confondre, comme l’aurait dit Maître
Eckhart. Elles le font par le haut, mais de là, à leur tour, elles nous forment, en faisant
de nous des hommes, et non des individus dédiés à la consommation.
Si ceci constitue le fondement, et nous n’en voyons sincèrement pas d’autre qui ne
soit pas prisonnier du Chaos, nous savons également qu’« optique impériale »
signifie aussi qualités, autonomie, liberté et « corpus ».
Les qualités sont la marque de la personnalité. Toutes les identités, qu’elles soient
sociales, culturelles, anthropologiques, claniques, tribales ou régionales, s’expriment
en termes de qualités ou de prérogatives. Une logique impériale, contraire, de par
sa nature, à l’uniformisation, garantit la défense de toutes les qualités particulières,
et non seulement les garantit, mais aussi les exalte. Par conséquent, à ce niveau, le
nationalisme comme le régionalisme deviennent compatibles, en plus d’être
protégés. Ces qualités ne survivent évidemment pas dans l’acception plus diffuse
qui en est donnée aujourd’hui, celle de la défense des privilèges économiques des
uns par rapport aux autres, ou celle de la fuite en arrière dans l’Histoire, par peur
de s’envoler, mais bien dans la confirmation régénérée qu’en donne la mentalité
victorieuse de qui est sûr de soi, de ses Lares, de son devenir, un devenir qu’il écrit
harmonieusement avec les autres tout en restant lui-même.
La vision impériale est, d’autre part, la seule qui puisse garantir l’unité nationale,
en une époque où l’Etat-nation est défunt, parce qu’elle fait, de cette unité nationale
aujourd’hui à la dérive, un élément qui, en étant enraciné plutôt qu’institutionnalisé,
n’a pas besoin d’être recollé pour tenir debout, ni d’être reconstruit comme un
golem à l’aide de « codes de la nationalité ». Entre autres, dans l’ère post-jacobine,
les régions, si l’on entend par là celles qui ont un passé et des qualités propres, et
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Imperium Gabriele Adinolfi
non des districts administratifs, peuvent elles aussi cohabiter tranquillement avec
l’idée de Nation, sans se sentir niées par celle-ci et sans devoir nécessairement la
nier. La carte de l’Europe « Völkische », telle que l’on a pu la dessiner au siècle
dernier, sur la base d’une vision fondée sur l’essence et sur la conscience plutôt que
sur les règlements, devient aujourd’hui compatible, de manière imprévue, avec la
défense de la nationalité et avec l’orgueil de s’appartenir à soi-même. Dans la
conscience impériale, chacun peut être représenté et reconnu à différents niveaux,
qui ne s’élident pas ni ne s’opposent. Régionale, nationale et impériale, sont des
dimensions différentes, qui se complètent les unes et les autres, y compris à
l’intérieur de chacun d’entre nous.
Une axialité intérieure permet de maintenir ensemble toutes les « verges du
faisceau ». A ce niveau de conscience et de discipline, ne sert plus à rien le pullulement
de codes, de règlements et d’interdictions qui se répètent sans cesse, dans la
tentative impossible de maintenir ensemble les parties atomisées d’une civilisation
en crise de sens.
La logique assurant la cohésion de chaque partie avec l’ensemble est la même que
celle qui unissait entre eux les « cives » de l’Empire : « à maximum de liberté,
maximum de responsabilité ». Ce qui, immanquablement, garantit l’autonomie.
Autonomie signifie, littéralement, se donner soi-même une loi, chose qui serait
délétère et ruineuse, destinée à provoquer l’anarchie, en l’absence d’une
connaissance et d’une adhésion à des principes, à des valeurs, à des hiérarchies
éthiques et spirituelles dont cette loi donne une représentation correcte.
Aujourd’hui pourtant, paradoxalement, sans autonomie, l’anarchie morale et
l’injustice sont inévitables à tous les niveaux.
En une époque d’« homologation », c’est-à-dire lorsque les lois ne proviennent plus
du « Ius » et ne visent pas avant tout à assurer le Droit, mais se sont transformées en
Actes de réglementation tendant à l’uniformité, il est évident qu’elles présentent
souvent un risque pour les identités, les libertés et même les économies et les
propriétés, ce sans rien produire d’autre qu’une forme de vivre ensemble précaire,
artificielle, névrotique et angoissée. On ne peut répondre à cela que de deux
manières : en allant progressivement et inexorablement vers une ruine totale, ou
bien en s’organisant soi-même, localement, en tant que classe et catégorie sociale.
L’idée impériale, non seulement conceptuellement, mais aussi historiquement, a
favorisé, et ne pouvait pas ne pas favoriser, les autonomies pourvues de toutes leurs
caractéristiques particulières : autonomies que l’impérialisme -en faisant violence
au nom dont il est issu- entend au contraire réduire seulement à l’état de cellules
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Gabriele Adinolfi Imperium
uniformes, simples répliques d’un tout. L’idée impériale dicte en effet les
orientations qui permettent de réaliser les organisations locales et catégorielles de
façon organique et harmonisée, et non pas atomisée et atrophiée, comme c’est le
cas dans le cadre de la Mondialisation. Dans ce domaine-là aussi, nous avons une
série de propositions détaillées qui ont été exposées en d’autres lieux.
Enfin, le « Corpus ». La société organique, à laquelle l’idéal impérial est étroitement
lié, n’est pas composée d’individus et de masses, ou d’individus-masses, ni de classes
sociales accumulées de manière informe et tirant leur force propre uniquement
d’éléments néfastes évoqués dans un esprit négatif, mais de la propension et de la
capacité à faire corps, d’où procèdent les Corporations et le Corporatisme, dont la
signification exacte est le contraire de celle communément admise et qui a été
imposée comme telle par ses adversaires.
Etre soi, non comme une hypothèse que l’on construit à partir de soi -comme le
suggèrent la théorie du genre et celle du code de la nationalité- mais bien plutôt
comme une personnalité à la fois individuelle et étroitement connectée à son
hérédité et à ses fonctions propres, interprétées non en un sens purement
fonctionnel, mais comme parties d’une harmonie cosmique, voilà quelle est
l’alternative à chaque forme de mercantilisme matérialiste réelle ou potentielle.
L’idéal impérial ne peut pas ne pas s’articuler avec l’Imperium, l’Auctoritas, les
Qualités et l’Autonomie, d’où il résulte un corps social conforme au sens littéral de
Societas, c’est-à-dire un ensemble d’alliés et de participants à une Communauté
organique de destin.
Du haut en bas, des cercles de puissance à ceux de la production, du territorial au
national, et jusqu’au continental, l’idéal impérial expose, propose et a la volonté
d’imposer une alternative achevée et absolue.
Tracer le contour d’un programme politique et législatif sur la base de ces
préliminaires ne suffit pas, parce que nous vivons à une époque de dissociation, de
post-démocratie et d’entrelacement de pouvoir et d’anarchie.
Nous ne sommes plus au temps où la conquête de l’Etat donnait des pouvoirs qui
permettaient de changer la société. Aujourd’hui, nous sommes dans une époque
de pouvoirs confus et diffus, d’aires géographiques atomisées, d’individualismes
sociaux qui s’étendent aux particularismes régionaux, d’égoïsmes de lobbies et
économiques qui se mesurent aux pouvoirs forts en contournant les pouvoirs
formels. Et, pour ceux qui ne jouent aucun rôle dans la société, c’est-à-dire pour la
26
Imperium Gabriele Adinolfi
majorité, il reste les associations d’assistance et de consommateurs.
Pour agir dans cette réalité, on ne peut absolument pas attendre d’achever une
ascension électorale, mais on doit au contraire travailler dans le quotidien, sans
hésitation aucune. C’est ce qu’il faut faire, toujours et partout, à tout niveau, en vue
d’ordonner et d’organiser celui-ci, afin de créer un pouvoir à la fois autonome et
centré, apte à résister aux pouvoirs uniformisateurs et liberticides. Cela, on ne peut
le faire qu’en se considérant comme des « Unités impériales » et en se comportant
en conséquence. Si l’idée impériale a été correctement acquise et métabolisée, c’est
ce que l’on pourra qualifier d’« Empire invisible » qui sera notre épine dorsale et
notre étoile polaire, et nous permettra d’agir partout. En traçant le sillon et en le
défendant avec le glaive.
Cela nous amène à traiter de la seconde exigence de notre époque : celle de notre
forum intérieur. L’ère de l’homologation planétaire nuit aux libertés, les nie et les
étouffe. Et elle le fait au nom de la liberté, voire au nom des libertés elles-mêmes.
La liberté sexuelle et du « genre », à laquelle s’ajoute celle de la génétique, en dépit
des intentions proclamées, tendent à homologuer et à moraliser les transgressions
qui, toutefois, se révèlent être codifiées plutôt que libres ; dans le même temps, en
les poussant à nier les identités génétiques mêmes et en ouvrant un champ de
possibilités infinies, leurs mentors entendent couper chaque racine et chaque lien
avec ce qui relève du domaine de la profondeur, que cela soit dans le cas d’une
personne singulière ou dans celui de la communauté tout entière. Les enfants du
progressisme libéral, qui étaient entrés en scène avec le slogan « Il est interdit
d’interdire ! », sont en train, au contraire, d’interdire tout ce qui a toujours été (de
l’éros à la cigarette, de boire de l’alcool à manger du porc), pour imposer à la place
un projet mutant.
Si l’on veut aller à l’essentiel, on se trouve là en face de la révolte de l’Utopie contre
le Mythe, de la recherche, par l’informe tellurique, de sa revanche contre la Virilité
olympienne et ce qu’elle représente, comme symbole et comme référence. Il s’agit
là, pour le coup, d’un véritable « choc de civilisations » – le seul qui existe réellement
– dont il faut absolument être conscient.
Et l’Empire, quant à lui, est l’axe du Mythe et de la Virilité olympienne.
« Le Mythe – nous rappelle Ernst Jünger dans Le Traité du Rebelle – n’est pas de
l’histoire ancienne : il est une réalité intemporelle qui se répète dans l’Histoire ».
C’est de là que nous devons partir, afin de changer le signe qui est aujourd’hui celui
de l’Histoire.
27
Gabriele Adinolfi Imperium
Toutefois, nous devons être conscients que nous vivons sous une dictature, et qu’il
ne peut en être autrement dès lors que ceux qui mènent la danse cherchent de
manière utopique à nier les lois du Cosmos.
« La majorité, continue Jünger, peut agir dans la légalité tout en produisant de
l’illégalité. (…) Les injustices peuvent se révéler de plus en plus féroces et devenir
de véritables délits à l’encontre de groupes déterminés ».
D’autre part, cette normalité présumée que l’on définit aujourd’hui comme
« politiquement correcte », ne peut se tenir debout si elle n’identifie pas des « minorités
différentes à persécuter : il va de soi que quiconque se distingue, d’un côté, par des
qualités héréditaires, et, d’un autre, par le talent, ne pourra se soustraire à ce risque. »
Qui se bat pour le respect de certaines règles, ainsi que pour la justice et la vérité,
ne peut donc ignorer s’être engagé dans une lutte inégale, non seulement en ce qui
concerne les règles du jeu, mais aussi parce que l’on y triche continuellement.
Il est à la table de jeu et il ne peut pas ne pas perdre. Il peut faire des incursions
rapides, fugitives et efficaces, mais ne peut tenir longtemps. Et s’il le fait, il doit
savoir s’attendre à perdre la mise et, comme dans le If de Kipling, « recommencer
du début une nouvelle fois, sans jamais faire cas de sa perte.
La première liberté et la première autonomie, le premier pouvoir et la première
puissance, consistent, par conséquent, à quitter la table de jeu. Ne pas dépendre,
moralement, économiquement ou psychologiquement des nécessités induites par
l’action du Léviathan, et ne pas se laisser hypnotiser par ses peurs est le seul et
immanquable préliminaire à un acte libératoire et de refondation.
La seule possibilité qu’ait le Rebelle impérial d’avoir l’avantage réside avant tout
dans sa capacité à rester imperméable à toutes les flatteries et à toutes les menaces,
de ne pas se perdre quand il se risque à des controverses, de ne pas se sentir attiré
à parler la langue ou à accomplir les gestes de qui n’est pas comme lui.
Il doit, tel un personnage augustéen, savoir être dans ce monde sans être de ce
monde.
Il lui faut, comme le suggère toujours Jünger, « faire retour à la forêt » ou, plus
précisément et plus radicalement encore, réussir à être lui-même la forêt, ce alors
qu’il est plongé au cœur de la ville.
On ne peut pas faire retour à la forêt, et encore moins être la forêt elle-même, si
l’on n’a pas récupéré ce que l’on a de fier en soi, si ne sont pas redécouvertes les
racines qui permettent au tronc de se dresser tout droit.
La première manifestation de l’Imperium – qui est une axialité intérieure avant tout
autre chose- consiste justement à accepter que les choses se déroulent ainsi.
28
Imperium Gabriele Adinolfi
Et c’est la raison pour laquelle la réponse impériale, qui sera d’une nature
profondément populaire, naîtra sous la forme d’une réponse élitaire, mais provenant
d’une élite ouverte, généreuse, qui se donne.
Encore Jünger : « Il s’agira, par conséquent, d’élites aptes au combat pour une
nouvelle liberté – un combat qui exige de grands sacrifices et également une
interprétation conforme à la dignité de ces élites. »
Celles-ci doivent par-dessus tout être conscientes que « si l’on ne se retourne pas
vers le Mythe, on le rencontre de nouveau, le Mythe, quand le temps vacille sur ses
fondations, sous le cauchemar d’un péril extrême. ».
Ernst Jünger nous appelle également à être toujours actifs et présents : « La devise
du Rebelle est Hic et Nunc » – le Rebelle étant l’homme d’une action libre et
indépendante. »
Hic et Nunc, ici et maintenant. Ces deux mots signifient Imperium et sont, si nous
savons être à la hauteur, la garantie de notre liberté. Même si être libre, désormais,
n’est plus un droit mais un devoir difficile, de moins en moins apprécié des gens, un
engagement que nous devons assumer au moins par fidélité à nos aïeux et en
pensant à nos descendants, à qui nous devons la restituer, la liberté, avec la dignité.
Imperium, Hic et Nunc : pour assurer l’avenir des nôtres, de nos nations, de nos
régions, de notre Europe, et pour être libres, comme les hommes de la forêt et les
cavaliers errants.
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Gabriele Adinolfi Imperium
ENGLISH
Imperium was not only the source and the attribute of the military command in
Rome, but an axial prerogative, like the sword, the fasces and the sceptre, which,
as such, represented the Axis of the world. It was originally connected to Lictorian
fasces in ancient Roman monarchy, when, to take the kingship meant especially to
be Rex et Pontifex, and so to act as a bridge between the visible and the invisible, and
especially as a firm pole.
Who took the Imperium held a numinous power that, like Mario Polia summing
Julius Evola says “allows things and events to pass from the sphere of possibility to
the one of existence, whether of victory in war or fertility, health or the ordered
succession of seasons”.
The Auctoritas descended from the Imperium. They are closely related to the
concept and function of the augere verb (augeo, es, auxi, auctum, augere) that means
“to increase” (wealth, health, fertility, etc.), from which the word Augustus comes
from, as Octavian proclaimed himself. Historiography considers Octavian as the
founder of the Empire.
Augustus was in fact originally an adjective and it was written “Augusto Augurio Roma
Condita”.
In what we would have defined as the foundation of the Empire, Augustus
performed a sublime act by binding the traditions of the Urbs with the need to
assume universal centrality. Almost inspired by the double-faced Janus, the adopted
son of Julius Caesar was able to weld together indissolubly two different needs both
looking for a centre. With the Consulate reform, which formally remained in force
throughout all the age of the empire, and with the establishment of the figure of a
Princeps, who was primarily a Tribune with expanded powers, he fulfilled Roman
expectations. Meanwhile universal expectations were satisfied making this Princeps
the Divus that ensured the sacred union of a world that was at the same time united
and diversified, in which all costumes, every god and even all laws enjoyed full
freedom, provided they did not contradict the Ius.
Note, by the way, that Ius binds to the verb iubere (iubeo, es, Iussi, iussum iubere)
that compared to imperare, indicates another meaning of commanding, to order,
to dispose. This is the legislative wisdom that comes from the Imperium.
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Imperium Gabriele Adinolfi
These are the peculiarities of the Roman Empire, of the attributes that historically
precede it, as they were also present both in the Monarchy and in the Republic,
and that distinguish it from all subsequent forms that were thereafter inspired even
in the attributions of titles (i.e. Kaiser and Czar both come from Caesar). These are
the characteristics that differentiate it totally from colonialism and imperialism,
that have both the pretence to standardize everything, whereas the Empire, on the
opposite, provides, protects and enhances peculiarities.
It does so from a religious, cultural, moral and even social point of view, as in the
very fundament of the Empire there is the concept of Caesarism (or Augustan
Tribunat), which is based on the relationship between the tribunitian Leader, the
Emperor, and the People and on the defence of the weakling.
Let us start from this point to respond to two needs of our time, an outer need and
an inner one.
The exterior need is to find an “historical” way out of the current crisis of civilization
and identity.
For “historical way out”, we mean that such a way out must necessarily be identified in
the flow of our era and of its needs. Current involved dynamics are prevailing, what
can be expressed with respect to them is certainly not a passive resistance or a nostalgic
reminder of what was and is no more, but it is a urge for action to force a change of sign
and meaning to events, if we believe that these do not go the right way.
The era of Globalization, of Globalism, of confusion, of the melting pot, of the transnational and the supra-national, is certainly destined to be the era of imperialism
(or of those imperialisms that are connected to each other in relations of unity and
mutual spin-off), sweeping away all types of freedom, all identities and all
differences, and maybe, all of this in the name of the exaltation of differences that,
however, are endorsing each other in an ideal building made of a gelatinous moral
conformism, both in the sense of mores, costumes, and in the stiffness of ethics,
from ethos, behaviour.
The only alternative? The Empire.
When we say Empire, we are not necessarily talking about a definite and precise
political form, but of the retrieval of Imperial Axiality with all of its original
prerogatives, without exception.
There is no other way to set an alternative to the technocratic and bureaucratic
monster, of levelling federalism outside of a founding and law-creating thrust,
which, in the name of Auctoritas and Imperium, may answer to the inexorable
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Gabriele Adinolfi Imperium
demands, imposed by the advent of the era of continental dimensions, of the air
satellite Nomos, of the time zero, however, ensuring and enhancing all specificities.
How?
We are not necessarily suggesting the establishment of a proclaimed Empire, with
an Emperor to be in charge of all of us, but rather the need to follow a guideline
that may allow us to make our own Foundation, that is to say, to trace a Mundus
and to set an Order.
To begin this venture, we must reconnect ourselves to the karst river that flows
since 476 AD. That year, the last Roman emperor, Romulus Augustus, gave the
throne to Odoacer, known as King of the Heruli, but who was in fact the head of
the Germanic tribe that held the secret of the runes, of which Odoacer was the
Odowahkr, translated more or less as the grand master. Since then, and, the Imperium
discreetly continued from that legacy, in what would have later become the
Ghibelline Axis. This inextricably linked Rome and its protohistoric ancestor
Germany, with each other, assuming all the Imperial valences that, from
Constantinople to St. Petersburg, from Vienna to Berlin, passing by the Napoleon’s
Paris, would have been expressed through the centuries, in a new way, less boisterous
but nevertheless very solid,
Therefore, rising the imperial Axis means to know and to recognize the prehistoric
and historical links between the poles of Europe, so that they can develop at the
same time in conjunction and separately.
From such knowledge and such recognition comes the ability to unfailingly taking
position, rejecting the particularistic quarrels of recurring small-minded
chauvinisms who do the good of all sorts of imperialisms but not of our own power,
our unity, our autonomy and our freedom.
An imperial and not imperialistic vision of Europe implies the willingness to pursue
its power and to imagine its development in the east and in the south, without
thereby loosing meaning. If it starts from the real awareness of the origins and
roots in Myth, this concept also defines the limits of identity and affinity, it
recognizes the contours of empathy and of antipathy, which cannot be determined
arbitrarily by the individual tastes of the atomized ego, but only by what it is, and
that should be.
Starting from here, you can define and develop solutions for the escape from the
contemporary crisis. This is not the place for the proposals - which we have
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Imperium Gabriele Adinolfi
advanced several times in detail and of which we never get tired of updating - but
it is suitable to focus on fundamentals.
Thinking from an imperial point of view, means being focused on an inner axiality,
which must always be present in us, and, therefore, animated by the idea of heroic
transcendence, and not only heroic, of our individual identities that merge without
melting, as Meister Eckhart would say. They do this at the top, but from above, in
turn, form us, making us men and not consuming individuals.
If this is the premise, and I honestly do not see other premises who do not remain
prisoners of Chaos, we also know that imperial perspective means, autonomy,
freedom and corpus.
Qualities indicate the qualis, the “what”, the substance. All identities, social,
cultural, anthropological, clanic, tribal, regional, national, express themselves in
qualities or prerogatives. An imperial logic, for its own nature contrary to levelling,
guarantees the protection of all individual qualities, not only it guarantees but exalts
them. So both nationalism and regionalism, at this level, become compatible in
addition to being protected. They do not survive in the most widespread
connotation of today, which is to say the defence of economic privileges of one
respect another, neither in an escape, back into history for the fear of flying. They
confirm themselves regenerated in the winning mentality of those who are selfconfident, confident in their own Lari and in their becoming, in a future that they
harmoniously write with others while remaining themselves.
The imperial vision is on the other hand the only one that can guarantee national
unity in a time in which the nation-state is dead, because it makes this national
unity today adrift, something that, being rooted rather than institutionalized, does
not need to be held together with glue or rebuilt as a golem with “Codes of
citizenship”. Incidentally, in the post-Jacobin era, even regions, we mean those with
a past and with qualities and not the mere administrative districts, can safely live
with the idea of nation without feeling denied and without having to forcibly deny
it. The map of Völkische Europa designed during the last century, because of a
vision based on the essence and awareness even before the set of rules and
regulations, now suddenly becomes compatible with the defence of nationality and
with the pride of belonging. In imperial consciousness, each can be represented
and recognized at different levels, neither cancelling, nor opposing each other.
Regional, national and imperial are different sizes that complement each other,
even within every one of us.
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Gabriele Adinolfi Imperium
An inner axiality keeps connected all the rods of the fasces. At this level of awareness
and of discipline there is no longer need of the proliferation of codes, regulations,
prohibitions that constantly repeat themselves in the impossible attempt to hold
together the atomized parts of a civilization in crisis of meaning.
The logic that keeps together the single parts is the same that unites the cives of
the Empire: “maximum freedom, maximum responsibility”. Which invariably
guarantees autonomy.
Autonomy means, literally, to give oneself one’s own law, something that would be
harmful and ruinous, destined to fall in anarchy, in the absence of a strong cement
and a precise awareness of the principles and of the values, of ethics, of value and
spiritual hierarchies that those laws dictate in the proper manner.
Yet today, paradoxically, without autonomy, moral anarchy and injustice at all levels
are inevitable.
In an era of conformism, when rules do not come more from the Ius, and they do
not primarily aim at the law, but have been transformed into regulatory acts, which
tend to uniformity, it is clear that they often threaten identities, freedoms,
economies and properties, thereby only a way of being together that is precarious,
artificial, neurotic and anxious. There are only two ways to respond: going gradually
and inexorably towards ruin or organizing yourself, locally, as a class, as a social
category. The imperial idea, not only conceptually but also historically, has favoured
and can only encourage the autonomies provided with all their individual
characteristics: autonomies that imperialism - raping the very name - rather means
only as uniform cells, replicating a whole. The imperial idea dictates in fact the lines
that permit local organizations and unions to grow in an organic and harmonious
way, not atomized and atrophied as in Globalization. Also in this branch, we have
a number of detailed proposals which were addressed elsewhere.
Finally, the Corpus. The organic society, which the imperial ideal is closely related
to, is not made up of individuals and masses, or mass-individuals, nor formless
piled-up social classes that draw their strength only by brute elements that evoke
with negative spirit. It is made by the propension-to and the ability-at creating a
Corpus, a “body”, from which the words corporation and corporatism, whose exact
meaning is the opposite of what is commonly understood, as imposed as such by
its opponents.
Everyone should not to be a self-built hypothesis - as suggested by the gender
theory and that of the codes of citizenship - but an individual personality, closely
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Imperium Gabriele Adinolfi
linked to its heritage, and to its rightful role; not interpreted in purely functional
sense, but as parts of a cosmic harmony. This is the alternative to all forms of
materialistic commercialism existing or possible.
The imperial ideal cannot be articulated by joining the Imperium, the Auctoritas, the
Quality and Autonomy, to the capacity of forming a social body, in the literal sense
of Societas - set of allies - and participants to a Community of Organic Destiny.
From top to bottom, from power to economy, from the territorial to the national,
to the mainland, the imperial ideal exhibits, offers and wants to impose an
accomplished and absolute alternative.
Shaping a political and law-making program based on these premises is not enough,
because we live in the era of dis-association, of post-democracy and of the
intertwining of powers and forms of anarchy.
It is no longer the time of the conquest of the State from which, with finally
acquired powers, change society. Today is the era of confused and diffuse power
and, of atomized areas, of social individualism, which extends to geographical
particularities, of economic and lobby-type egoisms that confront themselves with
the “strong powers”, bypassing formal powers. In addition, for those who do not
play any role in society, that is to say the majority of people, the only possibility left
is welfare and consumers forms of association.
To act in this reality we cannot possibly wait to conclude any sort of electoral ascent
but we must do it in everyday life, without hesitation. It should always be acted,
anywhere, at any level, to order it and organize it, in order to create an autonomous
power, that is always centred, able to withstand the all-levelling freedom-destroying
powers. This can be done only imagining and acting as Imperial Units.
If the imperial idea will be successfully acquired and metabolised, the Invisible
Empire will be our backbone and our guiding star and will allow us to act everywhere.
Tracing the furrow and defending it with the sword.
This leads us to the second need of our age: our inner-self.
The era of planetary levelling, damages, denies and suppresses freedom. It does so
in the name of liberty, indeed of “the liberties”. Sexual and gender freedom, to which
we should add genetic freedom, despite the declared intentions, tend to standardize
and moralize transgressions that, however, become codified instead of being free.
In the meantime, by denying even genetic identities and opening the field to endless
possibilities, their mentors intend to sever all ties with any root to the profound,
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Gabriele Adinolfi Imperium
this both from the side of the individual and of the entire community. The sons of
liberal progressivism that had started with the “forbidden to forbid” motto are
rather forbidding everything that has always been (from eros to smoking, from
drinking alcohol to eating pork) to impose in its place a sort of mutant project.
From the fundamental point of view, this is the revolt of Utopia against Myth, from
the point of view of symbols and of reference, this it is shapeless Tellurism that
seeks its revenge against Olympic Virility. A real clash of civilizations - the only true
one – of which we need to be aware.
The Empire is the axis of Myth and of Olympic Virility.
“The Myth - reminds us Ernst Jünger in the “Treaty of the Rebel” –is not past history
it is a timeless reality that repeats itself in history”. Hence, we must start from here
to change the sign of history.
However, we must be aware that we live under dictatorship, because it could not
be otherwise, when the dances are led by those, who are utopically striving to deny
the laws of the Cosmos.
“The majority – continues Jünger - can simultaneously act within the law and
produce lawlessness. (...) The abuse may become more and more fiercer, and turn
to real crimes against certain groups”.
On the other hand, this alleged normality, that today is called political correctness,
cannot stand up if it does not identify “minorities, the non-conforming, to
persecute: it goes without saying that anyone really standing out for hereditary
qualities, on the one hand and talent on the other, is not exempt from this risk”.
Who fights for the norm, for justice and for truth, cannot therefore be unaware of
being engaged in an unequal struggle against those who do not only dictates the
rules of the game, but is constantly cheating.
And at this gaming table he can only loose. He can make quick, fleeting and effective
raids but, cannot stand long. If he does so he must know that he will lose the stake,
as in Kipling’s “If” he shall have to “start again at beginnings - And never breathe a
word about the loss”.
The first freedom and the first autonomy, the first power and the first might, remain
in not playing the game. Do not depend, morally, economically or psychologically,
from the needs induced by the Leviathan and do not to be mesmerized by his induced
fears. This is the only, inevitable, premise for a liberating act of re-foundation.
The only chance that the Imperial Rebel has to prevail, lies primarily in his ability
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Imperium Gabriele Adinolfi
to remain untouched by all forms of flattery and by all threats, not to get lost when
he engages in confrontations, not to feel attracted in speaking the language or
making gestures of those who are not like him. He must, Augustinianly, know how
to be in this world but, without being of this world.
As Jünger suggests, he has to “pass to the forest” or, more precisely, and still further,
be able to be himself the woods in the middle of the city.
However, you cannot go to the woods, and even less, be the woods themselves, if
you have not recovered the proudness within yourself, if the roots that allow the
stem to stand up straight have not been rediscovered yet.
Imperium - which is interior axiality before anything else - is precisely what allows
this to happen.
This is the reason why the imperial answer, which will be popular and common,
shall be born as an elitist answer, but coming from an open elite, generous, and
self-giving.
Again Jünger: “There will be then elites that will battle for a new freedom - the
battle that demands great sacrifices and demands an interpretation that must not
be less of their dignity.’
They should in particular be aware that “there is no turning back towards the Myth;
the Myth is met again when the very foundations of time waver from the ground,
under the threat of an extreme danger.”
Imperium, Hic et Nunc: per assicurare l’avvenire alla nostra gente, alle nostre nazioni,
alle nostre regioni, alla nostra Europa e per essere liberi, come gli uomini della
foresta e i cavalieri erranti.
Ernst Jünger also calls us to be always active and present “The motto of the Rebel
is “Hic et Nunc” - being the Rebel a man of free and independent action.”
Hic et Nunc, here and now. These two words mean Imperium and guarantee, if we live
up to them, our freedom. Although if being free, now, is no longer a right but a difficult
task, more and more less accepted by people, but it is a commitment that we must
take on our shoulders, if only this should be for loyalty to our ancestors and to our
descendants, to whom we have to return both freedom as well as the dignity.
Imperium, Hic et Nunc: to ensure the future of our people, our nations, our regions,
our Europe and to be free, like the men of the forest and knights errant.
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λ
QUADERNI LANZICHENECCHI
2016
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