Subido por Loretta Guastafierro

Oplonti e le sue ville

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I LUOGHI DELL’ARTE
CITTÀ VESUVIANE
ANTICHITÀ E FORTUNA
Il suburbio e l’agro di Pompei,
Ercolano, Oplontis e Stabiae
ISTITUTO DELLA
ENCICLOPEDIA ITALIANA
FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI
ROMA
©
PROPRIETÀ ARTISTICA E LETTERARIA RISERVATA
ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA
FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI S.P.A.
2013
ISBN 978-88-12-0025-2
Ha contribuito con un servizio editoriale AdHoc s.r.l.
(per la revisione dei testi e delle didascalie, per la lavorazione degli indici:
Laura Buccino, Elena Cagiano de Azevedo, Mariano Delle Rose)
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE:
EMANUELE RAGNISCO - MEKKANOGRAFICI ASSOCIATI
FOTOLITO: VACCARI ZINCOGRAFICA
STAMPA: MARCHESI GRAFICHE EDITORIALI S.P.A.
Printed in Italy
ISTITUTO DELLA
ENCICLOPEDIA ITALIANA
FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI
PRESIDENTE
GIULIANO AMATO
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
LUIGI ABETE, FRANCO ROSARIO BRESCIA, PIERLUIGI CIOCCA,
MARCELLO DE CECCO, FERRUCCIO FERRANTI, PAOLO GARIMBERTI,
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MARIO ROMANO NEGRI, GIOVANNI PUGLISI,
GIANFRANCO RAGONESI, GIUSEPPE VACCA
AMMINISTRATORE DELEGATO
FRANCESCO TATÒ
COMITATO D’ONORE
FRANCESCO PAOLO CASAVOLA, CARLO AZEGLIO CIAMPI,
GIOVANNI CONSO
CONSIGLIO SCIENTIFICO
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LUCA SERIANNI, SALVATORE SETTIS, PIERGIORGIO STRATA,
GIANNI TONIOLO, GIOVANNA ZINCONE
COLLEGIO SINDACALE
GIANFRANCO GRAZIADEI, Presidente; MARIO PERRONE, GIANCARLO MUCI
FABIO GAETANO GALEFFI, Delegato della Corte dei Conti
CITTÀ VESUVIANE
ANTICHITÀ E FORTUNA
DIREZIONE SCIENTIFICA
PIER GIOVANNI GUZZO, GIANLUCA TAGLIAMONTE
REDAZIONE
Responsabile editoriale
Loreta Lucchetti
Cura redazionale e revisione
Paola Seu; Maria Isabella Pesce, Flavia Radetti
Segreteria
Pasqualina Leone
ATTIVITÀ TECNICO-ARTISTICHE E DI PRODUZIONE
ART DIRECTOR
Gerardo Casale
Disegni
Marina Paradisi; Paola Salvatori, Giuseppina Elia, Anna Olivieri
Produzione industriale
Gerardo Casale; Laura Ajello, Antonella Baldini, Graziella Campus
Segreteria
Aurora Corvesi, Carla Proietti Checchi
DIREZIONE EDITORIALE
Pianificazione editoriale e budget
Maria Sanguigni; Mirella Aiello, Alessia Pagnano, Cecilia Rucci
Segreteria
Maria Stella Tumiatti
INTRODUZIONE
Una catastrofe – una delle tante che coinvolsero e sconvolsero il territorio della Campania antica – è all’origine dell’unicità del territorio vesuviano, che conserva sotto spessi
depositi vulcanici la fotografia di un evento drammatico che provocò morte e distruzione,
ma al contempo conservò per la posterità – memore Goethe – un esteso frammento di
paesaggio antico: non solo città, come Ercolano e Pompei, travolte la prima da decine di
metri di fango ardente, la seconda da un diluvio di lapilli e cenere, ma una miriade di insediamenti residenziali e produttivi, che occupavano uno dei territori tra i più fecondi
dell’antichità.
Con un gioco di astrazione, tanto più necessario se alle trasformazioni del paesaggio
dovute agli eventi vulcanici si somma l’irresponsabile crescita urbanistica attuale, è
possibile immaginare la parte meridionale del cosiddetto ‘cratere’, il Golfo di Napoli,
compresa tra Ercolano e Capo Ateneo (Punta della Campanella), come un’accogliente
campagna popolata a perdita d’occhio, così come la descrive il geografo di età augustea
Strabone (V, 4, 8).
Certo, ben poco resta dell’amoenus sinus di Pompei ricordato da Seneca (Ep., XLIX,
1), nel quale convergevano i litorali di Sorrento e Stabia da un lato, di Ercolano dall’altro:
se l’avanzamento della linea di costa e il conseguente spostamento della foce del fiume
Sarno sono tra gli effetti più rilevanti dell’eruzione vesuviana, non è difficile immaginare
lo stretto rapporto che legava al mare, e fin dalle origini, la città di Pompei, le cui funzioni
commerciali traspaiono sempre dalle parole di Strabone (V, 4, 3), che la definisce «porto
di Nocera», quindi del comprensorio della valle del Sarno, ma anche di Acerra e Nola,
dunque della fascia territoriale della pianura campana gravitante sul fiume Clanis.
La vita di Pompei finisce bruscamente in età romana, ma inizia molti secoli prima.
Le sue origini si saldano con la storia del popolamento della piana del fiume Sarno fin
da epoca protostorica, quando piccoli centri, come il villaggio palafitticolo di Poggiomarino
(località Longola), sorto fin dall’Età del Bronzo in prossimità del fiume, o come i villaggi di San Valentino Torio, San Marzano, Striano, di cui conosciamo le aree funerarie
utilizzate tra l’Età del Ferro e gli inizi del VI secolo a.C., si disponevano in corrispondenza
delle zone asciutte della piana, nella quale i meandri del fiume creavano ampie aree
paludose, o nelle immediate prossimità del Sarno, che rappresentava, con la sua foce, un
importante scalo portuale e, con il suo corso, una facile via di penetrazione verso l’interno. Le fonti di età romana attribuivano questo territorio al mitico popolo dei Sarrasti
(Servio, Aen., VII, 738) e ricordavano il succedersi, al suo controllo, degli Oschi, dei
Tirreni, dei Pelasgi e dei Sanniti (Strabone, V, 4, 8).
XIII
Diffusamente abitata per tutta l’Età del Ferro, la piana è teatro di quel fenomeno che
porta in Campania, tra la fine del VII e gli inizi del VI secolo a.C., sotto l’impulso
determinante della componente etrusca, ad una concentrazione insediativa intorno ad
alcuni centri, che assumono un ruolo egemonico. Tra questi Pompei: le mura di fortificazione e i due santuari di Apollo, in prossimità della piazza pubblica, e di Atena ed
Ercole nel cosiddetto Foro Triangolare sono, allo stato delle conoscenze attuali, la manifestazione più evidente della nascita di un centro urbano politicamente dominante sul
territorio circostante nel quale, da questo momento in poi, a dimostrazione di un tipo di
sfruttamento agricolo che non prevede la stanzialità, le attestazioni di insediamenti a
carattere rurale sono rare.
Ben diverso il paesaggio che si delinea nel 79 d.C., quindi circa sette secoli dopo, così
come cristallizzato dall’eruzione del Mons Vesuvius, la cui vera natura sembra essere
sfuggita agli antichi abitanti: una serie di strade si irradiavano da Pompei nel territorio,
portando le principali a nord-ovest, verso Ercolano e Neapolis, a est verso Nuceria e, a
sud, verso Stabiae e il promontorio di Sorrento, luoghi questi ultimi dai quali Plinio il
Vecchio si dispose per osservare il fenomeno dell’eruzione. Almeno fin dal II sec. a.C.,
la campagna, sia lungo le pendici collinari, sia lungo la fascia costiera, è popolata da ville
di produzione al centro di poderi coltivati a uliveti e vigneti, da piccoli villaggi, ma
anche, soprattutto lungo la costa, da grandi ville residenziali di lusso.
Da Porta Stabia, che si apre a metà circa del lato meridionale delle fortificazioni, una
strada conduceva dal pianoro soprelevato, su cui sorgeva Pompei, al ponte che permetteva
il guado del fiume e alla sua foce, dove era da ubicare la zona portuale. Qui, in un’area
altimetricamente molto più articolata di quella attuale, si erano sviluppati insediamenti
come quello in località Moregine, in prossimità di un’ansa fluviale, e come il cosiddetto
borgo marinaro, oltre a piccoli santuari: in località fondo Iozzino, su una collinetta a est
della strada, sorgeva il santuario dedicato a Cerere-Ecate e Giove Meilichio; su una
piccola collinetta più a sud, già frequentata nell’Età del Bronzo (località Sant’Abbondio),
un piccolo edificio su basso podio era dedicato al culto di Dioniso e Afrodite; in località
Bottaro, sulle dune costiere, il luogo di culto testimoniato da una stipe votiva era forse
da ricondurre a Nettuno.
Il paesaggio era caratterizzato dalla presenza di lagune e paludi a monte delle dune
formatesi parallelamente alla linea di costa; è in questa area che doveva ubicarsi la dulcis
pompeia palus, citata da Columella (X, 135) in prossimità delle saline di Ercole, che si
tende a situare più a nord, lungo la strada che usciva dalla Porta del Sale (Porta Ercolano), non a caso così denominata nelle iscrizioni osche. Su questo variegato paesaggio
incombevano, dalla rupe della città, a ovest il santuario di Venere, divinità alla quale il
dittatore Silla intitolò la colonia fondata all’indomani della guerra sociale (Colonia Veneria Cornelia Pompeianorum), e più a sud il santuario di Atena ed Ercole nel Foro
Triangolare, luogo chiave per la comprensione della storia della città.
Uscendo da Porta del Sale, una strada, basolata nel tratto più prossimo alla città, attraversava la necropoli monumentale e si dirigeva verso Ercolano; lungo il suo asse si
XIV
disponeva una serie di ville suburbane: la cosiddetta Villa delle Colonne a Mosaico, la
Villa di Cicerone, la Villa di Diomede, la Villa dei Misteri. Verso ovest, la strada attraversava o lambiva il pagus Augustus Felix suburbanus, un insediamento che recenti rinvenimenti confermerebbero ubicato nella periferia orientale della moderna Torre Annunziata. In questa direzione, e verso il Vesuvio, tanti erano gli impianti produttivi o di
stoccaggio e commercializzazione dei prodotti agricoli, come la Villa B di Torre Annunziata, attribuita a Lucius Crassius Tertius, mentre tutta la fascia a contatto con il
mare era interessata da una serie di ville di lusso tra le quali, a Oplontis, la Villa cosiddetta di Poppea.
A nord e nord-est di Pompei, verso le falde del vulcano, negli attuali comuni di
Boscoreale e Terzigno, decine di ville residenziali e di ville produttive popolavano la
campagna, informandoci sulle attività legate alla produzione dell’olio e del vino, delle
quali sono testimoni diversi autori antichi, come Catone, Varrone e Cicerone, titolari gli
ultimi due di proprietà sotto il Vesuvio. Se alcuni complessi – per esempio Villa della
Pisanella o Villa Regina – sembrano qualificarsi in connessione alle attività agricole,
come dimostra il ruolo rivestito al loro interno dagli impianti per la produzione del vino,
in altri – per esempio nella villa attribuita a Publius Fannius Synistor, dalla quale provengono splendide pitture di II stile – sembra prevalere il carattere residenziale. In molti
casi, tuttavia, come per la Villa dei Misteri, le due sfere risultano integrarsi: la presenza
di una pars rustica non modifica la definizione del complesso come villa d’otium, nella
quale grande cura era stata riservata non solo alla composizione architettonica, ma anche
alla decorazione pittorica che ne ha garantito, nel tempo, la notorietà.
Proseguendo verso nord-ovest, dispersi resti di ville e impianti suggeriscono che
analoga occupazione doveva riguardare la campagna intorno a Ercolano, meno nota di
quella di Pompei anche a causa dell’impenetrabilità, per potenza e consistenza, dei depositi vulcanici. Della città antica, dalla quale partì l’esplorazione del territorio vesuviano,
è oggi possibile percorrere un’area di circa 4,5 ettari, giacendo il resto al di sotto dell’edificato moderno; l’esplorazione e la risistemazione del fronte mare hanno restituito,
anche visivamente, il limite originario della città, l’antica spiaggia, prima che l’eruzione
spostasse la riva alcune centinaia di metri in avanti.
Seguendo il margine costiero della città, verso nord, si incontra Villa dei Papiri, uno
dei più straordinari complessi che sia pervenuto a noi, non tanto per la ricchezza della
residenza e dei suoi decori architettonici, pittorici e scultorei, quanto per gli oltre 1000
rotoli di papiro, che conservano pregiati testi filosofici di scuola epicurea. Il proliferare
delle ville marittime, ispirate al modello delle residenze imperiali e dell’aristocrazia romana sorte sul litorale di Baia, riguarda tutto l’arco costiero del Golfo di Napoli e trova
comune denominatore nella ricercatezza delle fogge architettoniche e planimetriche,
nella disposizione a terrazzi digradanti, nei fastosi e scenografici prospetti verso il mare,
nelle sofisticate architetture dei peristili, dei ninfei, delle piscine. Tutto ciò si ritrova in
quella straordinaria sequenza di residenze che bordano a Stabiae i margini del pianoro
di Varano, celebri per gli straordinari cicli pittorici e decorativi.
XV
La storia della riscoperta dei siti vesuviani, nelle cui pieghe è possibile leggere uno
dei capitoli più avvincenti della nascita dell’archeologia, è anche il racconto del formarsi
di un interesse che – grazie all’abitudine dei viaggi di scoperta e di conoscenza in Italia
e nel Sud Italia – finì a partire dal Settecento per trasformare il gusto delle corti e delle
aristocrazie europee, alimentando il mito dell’antichità. Un mito che ancora oggi resiste,
se milioni di visitatori giungono a visitare Pompei e affollano le numerose mostre che in
Europa e nel mondo, da decenni, sono state dedicate alle antichità vesuviane.
Significativamente, il volume si apre con la storia dei paesaggi e della trasformazione,
nel tempo, degli assetti del territorio e con la storia delle ricerche; un capitolo è riservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, la cui storia si lega alla dinastia dei
Borbone e al volerne essi fare il luogo per eccellenza della conservazione delle antichità
che dal Settecento si andavano ‘cavando’ dagli scavi delle città vesuviane.
Per volontà di Ferdinando IV di Borbone, l’edificio fu trasformato da Palazzo dei
Regi Studi in Museo, destinato a raccogliere l’eredità dell’Herculanense Museum allestito fin dalla metà del Settecento presso la Villa Reale di Portici; accanto alle antichità
vesuviane, l’edificio, il cui progetto di ristrutturazione fu affidato in un primo momento
all’architetto Ferdinando Fuga, avrebbe ospitato la Collezione Farnese, giunta ai Borbone come eredità dalla madre di Carlo III, Elisabetta Farnese, nonché la Quadreria, la
Libreria pubblica e la Scuola delle Belle Arti.
Attraverso le vicende del Real Museo Borbonico è possibile leggere tanta parte della
storia della città di Napoli e del Meridione d’Italia: alla sua direzione si trovano personaggi come Alexandre Dumas, nominato direttamente da Giuseppe Garibaldi all’indomani dell’Unità d’Italia, o come Giuseppe Fiorelli che, nella duplice veste di Direttore
del Museo divenuto Nazionale e Soprintendente agli Scavi, impostò su nuove basi la
ricerca archeologica a Pompei, anche attraverso l’ordinamento delle conoscenze pregresse.
Nei decenni successivi, e fino alla creazione dei tanti musei territoriali che oggi innervano i nostri territori, il Museo Archeologico svolse il ruolo di luogo di raccolta di
materiali provenienti da diverse parti del regno, fino a diventare, attualmente, uno degli
istituti museali più importanti d’Europa per l’eccezionalità delle sue collezioni e per la
rete di relazioni internazionali createsi nel tempo, grazie all’intensa attività di organizzazione di mostre e di prestiti di opere in tutto il mondo.
Iniziativa di grande pregio, sia per i contenuti scientifici sia per la veste editoriale, il
volume dedicato all’area vesuviana, al suburbio e all’agro pompeiano ha il merito di
riportare l’attenzione su quelli che, immeritatamente ed erroneamente, nell’immaginazione
collettiva rappresentano, a confronto con Pompei, siti minori.
La ricchezza della documentazione archeologica e l’unicità di ciascuna realtà trovano
nel volume una straordinaria occasione di sintesi scientifica, che nel fare il punto sullo
stato degli studi e grazie all’ausilio di un ampio e prezioso apparato iconografico tratto
dagli archivi della Soprintendenza, o appositamente realizzato, mette in risalto come,
ancora oggi, l’area vesuviana sia un crogiolo di progetti di ricerca nazionali e internazionali
di alto profilo.
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Un modo, quello espresso da questa iniziativa editoriale, di riaffermare il valore della
storia, della ricerca, della conoscenza del patrimonio archeologico, della sua corretta divulgazione, intento che non può non trovare la più piena adesione di quanti in questa
direzione – persone e istituzioni – hanno speso e continuano a spendere le proprie energie, credendo fermamente nella fondamentale quanto irrinunciabile funzione sociale
della cultura per il progresso del nostro Paese.
Teresa Elena Cinquantaquattro
Soprintendente Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei
XVII
SOMMARIO
Massimo Bray
Presentazione
Teresa Elena
Cinquantaquattro
Introduzione
XI
XIII
CITTÀ VESUVIANE. ANTICHITÀ E FORTUNA
Il suburbio e l’agro di Pompei, Ercolano, Oplontis e Stabiae
Pier Giovanni Guzzo
Le campagne di Pompei e l’eruzione
del Vesuvio
3
Stefano De Caro
La riscoperta delle città vesuviane
14
Valeria Sampaolo
Le acquisizioni delle antichità vesuviane
nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli
26
Ricostruire Pompei fuori Pompei.
Antichi allestimenti nel Museo di Napoli,
a Londra e a Parigi
34
Maria Rosaria Esposito
La collezione dei rami incisi
42
Valentin Kockel
Tre ville nel suburbio di Pompei: Villa di Cicerone,
Villa di Diomede, Villa delle Colonne a Mosaico
50
La Villa dei Misteri a Pompei
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Grete Stefani
Il territorio a sud di Pompei
Da Boscoreale a Boscotrecase
80
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Caterina Cicirelli
Terzigno
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Maria Paola Guidobaldi
Ercolano
Villa dei Papiri a Ercolano
Villa Sora a Torre del Greco
113
129
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Oplontis e le sue ville
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Andrea Milanese
Domenico Esposito,
Paola Rispoli
John R. Clarke,
Stefano De Caro,
Adele Lagi
JOHN R. CLARKE, STEFANO DE CARO, ADELE LAGI
Oplontis e le sue ville
∂
Dopo le prime esplorazioni compiute in età borbonica e poi nell’ultimo dopoguerra,
scavi sistematici condotti dall’allora Soprintendenza alle Antichità di Napoli e Caserta (e
poi da quella di Pompei) tra il 1964 e il 1984 hanno messo in luce larghi settori di due grandi
complessi denominati Villa A e Villa B, nell’area della città moderna di Torre Annunziata.
La Tabula Peutingeriana colloca una località chiamata Oplontis tre miglia a nord di Pompei,
sulla via per Ercolano e Napoli. Sebbene non vi sia menzione di essa in altre fonti antiche,
sembra che i due complessi A e B e altri resti (quale il portico rinvenuto tra di essi e noto
come Villa C) fossero in età romana parte di un agglomerato insediativo non urbano in una
località corrispondente a quella nota agli antichi come Oplontis.
Con l’avvio dell’Oplontis Project nel 2006, le ricerche nelle due ville sono riprese, sotto
la direzione di John R. Clarke e Michael L. Thomas dell’Università di Austin, Texas, e in
collaborazione con la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei,
allo scopo di condurre sistematicamente uno studio pluridisciplinare su entrambi i complessi.
L’edizione sarà realizzata essenzialmente in forma digitale, integrata da modelli 3D completamente navigabili e da un database onnicomprensivo.
Le recenti ricerche geofisiche effettuate dall’Oplontis Project sono valse a ricostruire
l’antico contesto topografico delle ville A e B. La prima si ergeva su un promontorio del
litorale alto m 13, affacciantesi su una piccola insenatura; la Villa B era invece collocata in
un’area più bassa, a solo m 2 o 3 s.l.m. Se il proprietario della Villa A godeva di un magnifico
panorama, quello della Villa B aveva, invece, un accesso diretto al mare. Queste diverse collocazioni topografiche erano state scelte in ragione delle differenti funzioni delle due
strutture: la Villa A era una grande residenza di piacere (otium), la B non era né una villa di
lusso né di produzione (villa rustica), ma una struttura commerciale (horreum), dove si raccoglievano e immagazzinavano prodotti agricoli – soprattutto vino – e li si preparava per la
spedizione.
LA VILLA A (COSIDDETTA DI POPPEA)
Sebbene si stimi che circa un quarto del complesso resti ancora da mettere in luce, la
Villa A conta già 99 stanze scavate, comprendendo in tal numero sia piccoli ambienti di
servizio sia anche vaste aree di giardino (56, 59, 98) e un’enorme natatio (96). La villa subì
un processo di trasformazione nel corso del tempo, da un nucleo iniziale di stanze sull’asse
definito dal grande salone, dal giardino chiuso e dall’atrio (21-20-4-5). I visitatori che
venivano dal mare vi saranno giunti, salendo per una serie di rampe e scale, da un
porticciolo privato, sistemato forse come le rampe della Villa di Arianna a Stabiae o quelle
della villa sotto il Castello di Baia. Da una terrazza in funzione di vestibolo saranno poi
entrati nell’atrio, ma questo aspetto non è più verificabile, perché l’area fu distrutta dalla
costruzione del canale del conte di Sarno nel XVI secolo. Dal lato della campagna l’ingresso
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100 m
PIANTA GENERALE DEGLI SCAVI: A) VILLA A; B) VILLA B; C) PORTICO
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avveniva tramite un bel viale assiale, messo in luce dagli scavi del giardino settentrionale:
esso conduceva esattamente al centro del prospetto del grande salone (21).
Il nucleo originale della villa è databile intorno al 50 a.C. Esso consta delle stanze di ricevimento e di intrattenimento che circondano il grande atrio, nonché di un grande quartiere
servile costruito su due piani intorno al peristilio (32). Una fontana sul lato occidentale di
questo peristilio prospetta su una grande stanza dotata di un altare, presso il quale il
paterfamilias avrà riunito l’intera familia, compresi gli schiavi, per sacrificare ai Lari, gli dei
protettori della dimora. La singolare decorazione ‘a strisce di zebra’ di questo peristilio che
copriva le pareti e i soffitti intendeva imitare con colori poco costosi una decorazione
marmorea, e si estende ai corridoi di servizio del corpo orientale della villa, designando le
aree riservate al transito del personale addetto al servizio dei padroni nelle stanze riccamente
decorate di questo settore.
Questa ala prese forma in una fase di grande attività edilizia sviluppatasi circa un secolo dopo la costruzione del nucleo occidentale della villa. L’elemento centrale di questo
quartiere era la natatio (96) (m 61 × 17), con un’infilata di stanze di intrattenimento disposte
sul suo lato occidentale. La più grande di esse, la sala (69), costituisce il centro della serie,
con due stanze gemelle più piccole (65 e 74) disposte simmetricamente ai due lati, secondo
un modello che ritroviamo nella contemporanea Domus Aurea di Roma. L’architetto che le
progettò creò per l’ospite che vi si intratteneva due tipi diversi di scenari: uno era sull’esterno, oltre la piscina, con una sequenza di statue poste ognuna davanti a un albero;
l’altro, tutto interno, su ognuno dei due lati lunghi della sala, si godeva attraverso le finestre
che si aprivano su una serie di giardinetti chiusi, con le pareti dipinte a motivi di giardino illuminati dall’alto a cielo aperto.
Un secondo gruppo di spazi d’intrattenimento si apriva all’estremità sud della natatio e
comprendeva un padiglione semiottagonale (78), dalla pianta molto simile a uno analogo
nella Villa San Marco a Stabiae, che guardava sulla terrazza a sud della piscina, e un lungo
padiglione a pergola (86), che doveva incorniciare delle magnifiche vedute del Golfo di
Napoli dall’alto del promontorio.
Resta incerto chi fosse il proprietario della villa, sebbene un’iscrizione dipinta su un’anfora
che menziona un (Sec)- o uno (Iuc)undo Poppaeae abbia fatto pensare a Poppaea Sabina, la
seconda moglie dell’imperatore Nerone. Altri hanno proposto che la villa sia appartenuta a
un membro della gens dei Poppaei, frequentemente attestata a Pompei. A ogni modo, al
momento dell’eruzione vesuviana del 79 d.C. la villa era quasi del tutto disabitata e
probabilmente il proprietario – della famiglia di origine o uno recente – stava vendendone gli
arredi più pregiati: restavano solo dieci delle colonne monolitiche in marmo grigio del
porticato sulla natatio (immagazzinate a una cinquantina di metri di distanza); molte delle
sculture sono state trovate fuori posto e gran parte dei preziosi rivestimenti di marmo delle
pareti delle sale del quartiere orientale era stata staccata.
Le decorazioni pittoriche e musive
Si sono fortunatamente conservati la decorazione in un elegante II stile di cinque stanze
del nucleo più antico (50 a.C.), sei frammenti di decorazioni di III stile di pari qualità (115 d.C.) e oltre cinquanta affreschi e pavimenti di IV stile. Alcune delle decorazioni di IV
stile sono nelle stanze del quartiere occidentale originario, ma la maggior parte di esse
appartiene al periodo della costruzione dell’ala orientale. Nella regione vesuviana le più
antiche decorazioni di IV stile si datano intorno al 45 d.C. e, considerando lo stato di
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OPLONTIS VILLA A
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20 m
PIANTA DELLA VILLA A CON INDICAZIONE CONVENZIONALE DEGLI AMBIENTI
145
Alix Barbet
Stabiae: Villa San Marco
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Agnes Allroggen-Bedel
Stabiae: Villa di Arianna
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Paola Miniero
Ville scavate nel Settecento
nel territorio di Stabiae
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Ville e fattorie:
da Carmiano a Santa Maria la Carità
177
Giovanna Bonifacio,
Anna Maria Sodo
TAVOLE
187
Indice dei nomi di persona
Indice dei nomi mitologici
Indice dei luoghi
Referenze iconografiche
Ringraziamenti
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985
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abbandono della villa nel 79 d.C., sembra probabile che essa non si sia mai ripresa dal disastroso terremoto del 62 d.C. In tal caso le decorazioni di IV stile che vediamo nella villa
sono del periodo 45-62 d.C.
La decorazione di II stile
La maggior parte della decorazione di II stile fu creata dalla stessa notevole bottega che
eseguì a Boscoreale quella della Villa di Publius Fannius Synistor. Come d’abitudine,
queste decorazioni grandiose adornavano gli ambienti di ricevimento e intrattenimento:
l’atrio (5); la sala da banchetto, o triclinium (14); la grande sala, o oecus (15); un piccolo oecus
(23) e un cubiculum (11).
Sia che fosse giunto dal lato del mare per le rampe sul promontorio o dalla campagna
attraverso gli scuri e lunghi corridoi (3 e 6) posti ai lati della sala con propylon (21) e del
giardino chiuso (20), l’ospite doveva essere colpito dalla grandiosità della decorazione dell’atrio. Sulle pareti a destra e a sinistra, colonnati in prospettiva inquadravano due grandi
false porte, una perfettamente frontale, l’altra di scorcio, come se fosse vista dal centro della
sala. Quale terza porta era probabilmente considerata quella, reale, che si apriva all’estremità
sud delle pareti, immettendo ai quartieri sui due lati dell’atrio. In ogni caso, questo schema
prospettico è costruito immaginando che lo spettatore si trovi sull’asse est-ovest accanto all’impluvio. L’illusionismo si estende alla rappresentazione delle porte, decorate con immagini
di Vittorie e sormontate da quadretti dipinti con motivi paesaggistici. Scudi metallici
decorati da ritratti a rilievo (le cosiddette imagines clipeatae) e i preziosi marmi del rivestimento
e delle colonne rivelano il desiderio del proprietario di trasformare la dimensione di questa
pur già enorme sala quasi nel vestibolo di una reggia, con porte che immettevano in stanze di
ricevimento ancora più sontuosamente decorate.
Il tono maestoso si estende dall’atrio al grande triclinium della villa (14), le cui pareti
laterali e quella di fondo erano decorate con immagini di ingressi a santuari. Alte ed elaborate colonne sorreggono un architrave definito da una doppia cornice in stucco, che inquadra un fregio d’armi. La sua spessa cornice superiore segna la transizione dalla parete al
soffitto, in origine a volta. Questo raro esempio di cornice in stucco in una stanza di II stile
ha l’importante funzione di accrescere l’illusione che l’ambiente sia un padiglione aperto
con colonne che sorreggono un soffitto. Tale effetto illusorio si estendeva al pavimento,
dove una soglia in mosaico a meandro policromo è posta in coincidenza con le lesene dipinte
sulle pareti. Le cornici in stucco, le lesene e i mosaici separano lo spazio interno, dove erano
collocati i letti per pranzare, dall’anticamera usata per il servizio. Lo spazio interno presenta
un tappeto centrale con un elaborato motivo a losanghe incorniciate da una rete di bende
immaginate in rilievo, come indicato dall’ombra portata. Nello spazio dell’anticamera di
servizio, il pittore dipinse degli ortostati in marmo giallo antico (marmor Numidicum), con
paesaggi monocromi nella zona inferiore sormontata da una composizione di vivaci marmi
policromi. Il mosaico pavimentale di questa zona è molto semplice, con un motivo a
reticolo, sicché la differenza di decorazione accompagna quella dei due spazi funzionali di
questa stanza a forma di U.
Un’eccezionale cura e varietà dei dettagli invita a un’osservazione ravvicinata della decorazione dipinta. Sulle pareti laterali le colonne che inquadrano l’ingresso ai santuari sono
immaginate di bronzo dorato e decorate a girali con fiori di pietre preziose, un lusso che
recenti rinvenimenti negli Horti Sallustiani a Roma hanno dimostrato essere non di pura
fantasia. Il visitatore poteva avere l’impressione di entrare realmente in questi santuari,
146
vedendo, oltre gli ingressi, un colonnato a due ordini che circondava un tempio rotondo,
entro cui si innalzava la statua di una divinità femminile. Stupisce la resa dei dettagli architettonici: ne è un esempio il capitello composito che sorregge un ressaut, che fa da posatoio
a una sfinge. Sulla parete di fondo, sul lato di un santuario con una statua arcaizzante di Artemide-Ecate su alto podio, l’artista ha rappresentato con accuratezza straordinaria un
canestro di fichi.
Sebbene gli scavatori abbiano potuto rimettere in luce solo la parete orientale della
stanza contigua, l’oecus (15), questa supera il triclinio (14) in dimensioni e splendore.
Quanto alle dimensioni, le sue pareti erano più alte di parecchi metri; la sala godeva attraverso le finestre sul lato sud di una splendida prospettiva sul Golfo di Napoli: certamente
esso era il gran salone di quest’ala occidentale. Il grande tripode dorato su alta base circolare, insieme alla torcia che giace per terra ai suoi piedi, ha fatto supporre che questa parete rappresenti la veduta di un santuario di Apollo, chiuso da un alto colonnato a due ordini. Tuttavia, come nella vicina sala da pranzo, l’artista ha inserito nella composizione diversi motivi tratti da varie fonti; sulle mensole tra le grandi colonne corinzie sono maschere
teatrali e pavoni, mentre all’architrave soprastante sono sospesi quadretti a sportello con
paesaggi marini. Colori vivaci, che comprendono pannelli di prezioso rosso cinabro e blu
egiziano, creano un effetto mozzafiato.
Sebbene fosse più piccolo sia del triclinio sia dell’oecus (15), l’oecus (23) era uno spazio
perfetto per il ricevimento e l’intrattenimento. A pianta quadrata, con un soffitto a volte
incrociantesi, esso permetteva agli ospiti una vista attraverso il portico sul giardino meridionale, mentre gli affreschi li dilettavano con prospettive in trompe-l’œil ispirate dalle
scenografie teatrali (le frontes scaenarum). Sulle pareti di destra e di sinistra, pilastri su
podio dividono la composizione in cinque sezioni. Le due più esterne sono dei padiglioni
che si proiettano in avanti rispetto al piano del muro, mentre al centro è una porta scenica.
Anche qui l’occasionale disporsi di un canestro di frutta sul podio, nella sezione a destra,
rivela il gusto del pittore per il dettaglio aneddotico e nello stesso senso vanno, alla sommità dell’intera costruzione, tre vasi di vetro riempiti di frutta. Di fronte alla porta centrale è dipinto un piccolo altare portatile con un bruciaprofumi sopra, mentre sull’altare
corrispondente sulla parete opposta arde un sacrificio in un parafiamme rotondo. L’inserimento di immagini come queste, che non hanno attinenza con il teatro, ma intendono
ostentare l’abilità illusionistica del trompe-l’œil, milita contro un’interpretazione iconografica
monotematica. Se Romani come Plinio il Vecchio (Nat. hist., XXXV, 36, 65-66) ammiravano
il dipinto di Zeusi con i grappoli d’uva – così realistico che gli uccelli lo beccavano –,
sembra probabile che essi apprezzassero queste decorazioni di II stile tanto per il loro
effetto illusionistico quanto per le allusioni teatrali o regali. Non meno intrigante è la costruzione in cinque sezioni della parete di fondo, con un paesaggio in monocromo blu al
posto della porta, sormontato da una grande maschera tragica. L’artista, abile nella resa di
elaborate architetture teatrali, ha inventato complessi spazi architettonici che sembrano
aprirsi dietro il piano del muro.
Il cubicolo (11) è la più piccola stanza in II stile, intesa come ambiente per incontri
privati, per il riposo diurno, e forse anche per quello notturno. Gli artigiani che lavorarono
alla sua decorazione realizzarono un insieme ben riuscito di contrasti e complementarità di
mosaico, pittura e stucco per marcare la differenza tra le due alcove. Costituisce un unicum
un paesaggio nella lunetta dell’alcova settentrionale, oggi purtroppo quasi completamente
scomparso, ma di cui è stata possibile la ricostruzione digitale grazie a una fotografia in
bianco e nero del 1966. Il pittore che dipinse ad affresco la figura frammentaria di offerente
147
sotto il timpano è lo stesso che eseguì una simile figura per il cubicolo di Boscoreale, ora al
Metropolitan Museum of Art di New York.
Un frammento di un paesaggio di II stile nel corridoio tra l’atrio e questo cubicolo
mostra il virtuosismo del pittore nel ravvivare con figurette eleganti anche i più semplici
elementi architettonici.
Il III stile
La stanza (8), in origine il caldarium di un quartiere termale aggiunto tra il 10 e l’1 a.C.,
mostra il radicale cambio di gusto, cui è stato dato il nome di III stile, che si verificò negli
ultimi decenni del I secolo a.C. Se le rappresentazioni della profondità spaziale avevano
richiesto un impegno insolito dello spettatore, chiamato ad accettare immagini prospettiche
in trompe-l’œil che si proiettavano avanti o dietro il piano delle pareti reali, il III stile, propugnando la piattezza della parete dipinta, costituì una fase di apprezzamento disimpegnato.
Nell’ambiente (8) lo schema decorativo si estende verticalmente a una grande altezza, con la
parete divisa per mezzo di esili colonnine e architravi nastriformi in quattro zone orizzontali
e tre verticali. Edicole con copertura arrotondata inquadrano i pannelli centrali.
La stanza presenta tuttavia un dato particolare. Quando il proprietario della villa decise di
abolire il caldarium e trasformare lo spazio in un grande ambiente di ricevimento, fece
demolire il muro di fondo, aggiungendo una nicchia, e allo stesso tempo fece sfondare la precedente schola labri (la nicchia absidata dove era collocato il labrum) per aprirvi una grande
porta, che dava a ovest su una graziosa fontana posta al centro di un portichetto tetrastilo, un
elemento questo piuttosto frequente nei quartieri termali, come mostra, ad esempio, la Villa
dei Misteri. Lo stesso proprietario chiese al pittore di imitare con la massima fedeltà la
decorazione esistente, il che richiedeva di inventare un quadro centrale per la nicchia; ed egli
scelse, per accostarsi il più possibile al paesaggio bucolico sulla parete nord, una scena con
Ercole in un bosco, forse il giardino delle Esperidi. L’artista mostra di essere stato educato al
gusto del IV stile nell’esecuzione della zona superiore e nel soffitto della nicchia, per la cui
partizione usa i bordi di tappeto, un elemento specifico di questa fase pittorica che apparve
per la prima volta verso il 45 d.C. Questi bordi di tappeto incorniciano piccoli paesaggi,
nature morte e varie figure tipiche del repertorio del IV stile.
Sebbene mal conservata, la parete ovest dell’ambiente (25), un cubiculum accanto all’ingresso meridionale del peristilio, mostra dettagli di gusto miniaturistico, i cui schemi ricordano quelli della villa trovata sotto la Farnesina a Roma. I pilastri appiattiti dorati e
azzurri, che sorreggono fregi rosso cinabro e violetto, contrastano nettamente con le robuste
e ardite architetture illusionistiche di II stile.
Il IV stile
La maggior parte dei 51 schemi decorativi parietali di IV stile è piuttosto modesta e
consiste di decorazioni ‘a strisce di zebra’, che ripetono i vecchi schemi sintattici dei pannelli marmorei del I stile per i portici e i corridoi, e di ambienti monocromi. Nondimeno,
alcuni dei corridoi avevano ricevuto decorazioni fuori dall’ordinario. Gli archeologi hanno
potuto recuperare la maggior parte dei sette soffitti che si susseguivano a coprire il grande
corridoio con banconi (46), che va dal peristilio servile alla natatio. Essi erano decorati con
due schemi concentrici, uno avente al centro un ottagono, l’altro un rettangolo a estremità
concave.
148
Se la modesta decorazione ‘a strisce di zebra’ dei corridoi (46 e 76) indica che essi possono
aver avuto funzioni miste, per la servitù e per i membri della famiglia o per ospiti occasionali, la finezza della decorazione che attende il visitatore nel corridoio (81) suggerisce che
essa era intesa a impressionarlo. Finte finestre si aprono nei pannelli rossi della zona mediana, decorata con vignette di uccelli che beccano fichi. Appollaiato su uno dei davanzali
delle finestre è un altro dei numerosi pavoni che troviamo nella villa, molto deteriorato già al
momento della scoperta, nel 1976.
Purtroppo l’affresco di più alta qualità di IV stile è anche quello che più si è scolorito e
che ha subito i danni maggiori dal momento del suo rinvenimento: la delicata parete a fondo
bianco del muro di fondo del portico sulla natatio (60). Al centro del timpano nord è un
grazioso quadretto miniaturistico con un amorino che afferra le ali di un’anatra. Sottili viticci con minuscoli animali poggiati su di essi spuntano da canestri che contengono piume
di pavone. Essi si trasformano in canne dorate, che formano i bordi di grandi pannelli
bianchi con delicati paesaggi o nature morte al loro centro.
Le stanze più finemente decorate del quartiere orientale non utilizzavano affreschi, ma
materiali più costosi: i marmi pregiati provenienti da tutto il mondo romano. Quasi tutti
sono stati asportati dai pavimenti e dalle pareti della villa negli ultimi anni, insieme a colonne e capitelli marmorei. Recenti ricerche hanno permesso di ricostruire la decorazione
del più spettacolare di questi ambienti di ricevimento e da banchetto, la diaeta (78). Essa
non solo impiegava marmi pregiati nel pavimento, ma esibiva alle pareti, al di sopra di uno
zoccolo in marmo, un costoso rivestimento a pannelli di legno (il cui disegno è stato conservato nello strato del fango vulcanico consolidatosi), una combinazione per la quale
possiamo trovare un confronto solo nel Salone dei Marmi della Casa del Rilievo di Telefo a
Ercolano.
Se la decorazione a fondo bianco del portico (60), al pari delle pareti esterne della diaeta
(78), richiamava le creature che popolavano i giardini, i famosi giardinetti (87 e 70) che intramezzavano gli oeci del quartiere orientale portavano il gioco illusionistico un passo avanti, riproducendo in pittura, intorno a un piccolo spazio realmente coltivato, tutti gli elementi del giardino romano: le piante, le fontane, gli uccelli.
La decorazione scultorea
Delle 19 sculture di grande e medio formato che decoravano i giardini, 7 sono state trovate
fuori posto. Nessuno, inoltre, degli elementi architettonici in marmo (compresi i 30 capitelli
corinzi e le numerose colonne e le loro basi) era in sito, ossia nella propria funzione
originaria di elemento di sostegno. Pur con questi limiti, i marmi ci danno un’idea del gusto
del proprietario. La collezione includeva immagini dionisiache (un complemento perfetto per
le feste conviviali), statue ideali, ritratti. È altresì evidente la propensione tutta romana
per la simmetria e la rispondenza nella collocazione. Gli spettatori che guardavano alla fila
di statue e di erme lungo il lato est della piscina potevano ammirare il rispondersi delle due
erme di Eracle-Dioniso (inv. 72.742, 73.300) e delle due Nikai con le ali (perdute) aperte
nell’atto di atterrare (inv. 72.798, 73.302).
Anche le coppie di centauri e centauresse, benché trovate fuori posto sotto il portico
(33), erano concepite come pendants ed erano utilizzate come statue-fontane nel giardino
nord (56), dove una delle basi era rimasta in sito, un utilizzo testimoniato dalle pitture di
giardino della stessa villa. Come era da attendersi, il tema dionisiaco non si limitava alle
erme e ai centauri. Lo testimonia una squisita replica del ben noto gruppo di Pan ed
149
Ermafrodito (inv. 72.800), rinvenuta all’estremità sud della piscina: gli spettatori potevano
intrattenersi a discutere la dinamica della loro lotta e a speculare sulla duplice sessualità di
Ermafrodito, una creatura che costituiva anche un potente amuleto contro gli spiriti maligni
che si pensava vivessero nei giardini.
Tra le sculture ideali un bell’efebo di proporzioni prassiteliche (inv. 72.818) e un torso
probabilmente raffigurante Artemide (inv. 73.303) contribuivano alla varietà della passeggiata
lungo la natatio. L’elegante cratere-fontana (inv. 72.406) che dominava la terrazza a sud
univa i richiami all’arte classica greca con il dionisismo della rappresentazione dei danzatori
di pirrica. Due gruppi di guerrieri nudi, ognuno composto da due uomini armati affrontati
con un terzo che danza alla loro destra, decorano entrambi i lati del vaso. Essi indossano
elmi con una piccola visiera e una grande cresta che termina in lunghe penne curve che
ricadono sulle spalle. Il motivo risale a una danza attica legata al culto di Dioniso: Ateneo
(IV, 155b) ricorda che i danzatori erano ebbri.
Le quattro teste su pilastri che adornavano uno dei due sentieri diagonali nel giardino
nord (56) comprendevano una testa di Afrodite (inv. 71.321), un ritratto femminile (inv.
71.442) e uno di bambino (inv. 72.518), entrambi di età giulio-claudia, nonché la testa di un
Dioniso bambino (rubata negli anni Ottanta del Novecento). L’inserimento di ritratti di
persone reali nell’immaginario misto dionisiaco-mitologico lascia ipotizzare che nel giardino
potessero anche avere luogo cerimonie di commemorazione di membri della famiglia. Sebbene sia stato trovato fuori sito, nell’area (98), un secondo ritratto di bambino (inv. 73.299),
simile a quello rinvenuto nel giardino nord, doveva appartenere all’estremità nord della fila
di sculture lungo il lato est della natatio.
Nonostante il suo stato di abbandono, la Villa A di Oplontis ci fornisce una testimonianza
unica degli altissimi livelli di lusso propri dei più ricchi. In particolare, la raffinatezza delle
decorazioni, dimostrata dall’uso, unico, di colonne e capitelli di marmo, sottolinea la sua
importanza tra le molte ville che punteggiavano il Golfo di Napoli prima dell’eruzione del
Vesuvio.
LA VILLA B (COSIDDETTA DI LUCIUS CRASSIUS TERTIUS) O OPLONTIS B
La cosiddetta Villa B, posta a circa m 300 a est della Villa A, venne alla luce nel 1974,
durante le operazioni di scavo delle fondazioni di un nuovo corpo di fabbrica per la palestra
della scuola media G. Parini.
Ritenendo di aver rinvenuto una struttura di villa simile a quelle rustiche di Boscoreale
e Boscotrecase, gli archeologi in un primo momento chiamarono il sito Villa B. Sebbene
questa denominazione sia restata, oggi è tuttavia chiaro che, sia per morfologia della struttura sia per evidenza epigrafica, l’edificio non è una villa rustica, né è apparentabile ad alcun
genere di villa (qui sarà chiamata perciò Oplontis B). Nonostante sia situata molto vicino a
una lussuosa e appariscente villa di residenza, destinata all’otium, Oplontis B è nettamente
diversa da quella nell’evidenza conservataci ed è inoltre differente per funzione, essendo
essa un complesso volto al negotium, probabilmente al commercio del vino. Inoltre, la presenza di due strade nei pressi, e di quella che si può considerare una fila di case urbane a
nord, fa ipotizzare che Oplontis B fosse inserita in un piccolo insediamento di carattere semiurbano, forse proprio il nucleo di quello che la Tabula Peutingeriana chiama Oplontis, in
una situazione non molto diversa da Stabiae, che ancora nel 79 d.C. venerava il suo Genius,
e da Baia, che, pur sorta come insediamento di ville, in un’iscrizione tardoantica è ricordata
come civitas.
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OPLONTIS
botte
ghe
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az
zini
N
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20 m
N
0
20 m
B - OPLONTIS
PIANTA DELLA VILLA Bvilla
CON INDICAZIONE CONVENZIONALE DEGLI AMBIENTI
151
Un esame preliminare dei resti suggerisce che Oplontis B fu originariamente costruita tra
il II e i primi decenni del I secolo a.C., come mostra l’uso del tufo di Nocera nelle colonne,
tipico del periodo tardorepubblicano nell’area pompeiana. Restauri in laterizio nel porticato
e l’uso intenso dell’opus reticulatum – entrambi caratteristici dell’attività edilizia a Pompei
dopo il terremoto del 62 d.C. – suggeriscono un rinnovo dell’edificio negli anni che
precedettero l’eruzione del 79 d.C. La pianta del complesso è caratterizzata da un cortile
centrale circondato da un porticato a due piani di colonne doriche di tufo a fusto liscio,
intorno al quale sono stati scavati e restaurati più di settanta ambienti, su due piani. Al piano
terra, intorno ai quattro lati del cortile, si allineano degli ambienti a solaio piano, muniti
ognuno di una grande porta di ingresso; il piano superiore degli stessi ambienti prospettava
sul secondo ordine del colonnato, costituito da colonne di dimensioni minori. Molti confronti
sono possibili con i magazzini (horrea) dell’Italia romana (a Roma, Ostia, Porto, Puteoli e,
nel territorio pompeiano, con un edificio nel cosiddetto pagus maritimus); simili sono la
pianta a cortile rettangolare e il sistema della numerazione dei locali, iscritta in lettere
capitali rosse dipinte sugli architravi degli ingressi e procedente in senso antiorario a partire
dall’ingresso carraio, identificato al centro del lato orientale del cortile. Un’altra iscrizione
dipinta in rosso, in frammenti, anch’essa rinvenuta nel portico, ricorda un negot(iator).
Questi locali intorno al portico non erano decorati e mostrano a vista la tecnica edilizia, prevalentemente in opus incertum e opus reticulatum.
Nell’angolo nord-est del portico si sono rinvenuti i resti di una scala di legno, che portava
al piano superiore; le sue impronte sono ancora visibili sull’intonaco della parete. Nell’angolo
sud, una bassa costruzione dalle sottili pareti di pezzame di pietre, munita di una copertura
vegetale, ospitava la latrina. Sul lato meridionale dell’edificio, volti a sud, otto ambienti di
deposito a pianta rettangolare allungata e coperti da volte a botte si aprono su quello che
può essere stato un grande portico. A ovest sono, solo in parte esplorati, i resti di due
ambienti che appartenevano a un altro edificio. A nord una stretta stradina separava la costruzione originaria da quella che sembra una fila di case a due piani (anche queste solo parzialmente scavate), provviste di meniano. I carotaggi e le indagini georadar hanno mostrato
la presenza di una strada a est, in un’area ancora inesplorata. Si tratta probabilmente di una
strada in senso nord-sud, che costeggiava la facciata est del complesso, e sulla quale era
forse l’ingresso al cortile.
Oplontis B conserva pochi resti di decorazioni. Al piano terra vi è solo un semplice
intonaco bianco del tipo comunemente usato per gli spazi utilitari degli edifici romani.
Quello superiore, probabilmente per ambienti di abitazione, conserva alcuni semplici
schemi pittorici, per lo più databili al IV stile (45-79 d.C.), a campi colorati con bordi di
tappeto. Vi sono anche una pittura nilotica frammentaria, coperta in un secondo momento
da una pittura di IV stile, e un larario dipinto. In un’altra stanza si conserva un frammento
di uno schematico II stile (50 a.C. circa), residuo di una più antica fase decorativa.
Al di là della sua unicità di struttura fisica, forse l’aspetto più interessante di Oplontis B
è il fatto che questo sito ci ha conservato una serie di evidenze materiali per nuovi studi in
importanti settori relativi all’economia antica dell’area e al suo sistema sociale, compresi i
trasporti, l’approvvigionamento alimentare, le monete, i gioielli e i resti umani. Nel cortile
e nelle stanze del piano terra gli scavi hanno scoperto oltre 400 anfore. Forse le più interessanti erano quelle ancora disposte a cumulo nell’angolo nord-ovest del cortile. Il fatto
che queste anfore fossero state pulite e impilate capovolte ad asciugare indica che si
intendeva riutilizzarle nel sito. La stragrande maggioranza era del tipo Dressel 2-4, utilizzato
per lo più per il trasporto del vino. La scoperta, accanto a una colonna, di un fornello in
152
muratura su cui era poggiata una pentola di bronzo contenente della pece suggerisce che in
questo cortile degli operai preparassero le anfore per riempirle di vino, e forse di altri prodotti; un’iscrizione menzionante del liquamen optimum prodotto da un tal Sextus Aconius
Dorotheus ci dice che una di queste anfore vinarie era già stata riusata per il garum (la
famosa salsa fermentata di pesce) ed era in attesa del suo terzo riutilizzo. Un’altra iscrizione
dipinta su un’anfora menziona un certo Anicetus, forse un già noto commerciante di vino a
Pompei, e su altre vi sono tituli indicanti il tipo del prodotto, ad esempio, un vino di Lesbo.
Molte sono anche le anfore cretesi, adibite al trasporto di un famoso vino passito (glykò),
prodotto dai coloni di Capua impiantati da tempo nella zona di Cnosso e venuto in gran
moda a Roma.
Altrettanto importanti sono gli abbondanti resti organici. In alcune anfore, tra i residui di
vino, sono stati trovati semi d’uva. Se questi derivano dal mosto dell’anno, potrebbero essere
un argomento a sostegno della vecchia ipotesi, ora riproposta con nuovi argomenti da G.
Stefani, che la data dell’eruzione del 79 d.C. non cada al 24 agosto, ma nel mese di novembre. Le analisi paleobotaniche del fieno trovato a Oplontis B (dove forse serviva da cibo
per gli animali da trasporto, due equini, i cui corpi sono stati rinvenuti nell’ambiente 5 dell’ala nord del portico) hanno fatto molto progredire la nostra conoscenza della flora dell’antico
territorio vesuviano.
Gli studiosi di paleobotanica sono riusciti a identificare 27 delle 34 specie che crescono
oggi nella regione. Altri materiali organici comprendono nocciole, noci e una gran quantità
di melagrane acerbe, ammucchiate a seccare tra stuoie di paglia, forse per estrarne il tannino
usato nella lavorazione del cuoio, a dimostrazione che, oltre che per il commercio del vino, il
proprietario (o gli affittuari) del complesso lo usavano per la lavorazione, la conservazione e
la distribuzione di numerose altre merci.
La presenza di una cassaforte (arca) nel braccio est del porticato conferma la fonte giuridica (Digesto, I, 15, 3, 2) secondo la quale negli horrea privati erano presenti queste casseforti, al pari degli armadi (armaria) o delle stanze di deposito (cellae), attrezzature e spazi
più o meno grandi messi a disposizione degli affittuari. La cassaforte qui rinvenuta (inv.
85.179), di elegante fattura e protetta da un complesso meccanismo di chiusura, può essere
appartenuta al proprietario dell’horreum. Essa aveva una struttura in legno rivestita di fasce
di ferro e decorazioni in bronzo, con la firma iscritta degli artigiani: «Pythonymos, Pytheas
e Nikokrates, operai di Herakleides, fecero». L’elegante decorazione consiste di motivi a
intarsio e di appliques figurate in argento, rame e bronzo dorato, in uno stile tipico del
periodo tardoellenistico.
In un piccolo appartamento posto al piano superiore è stato rinvenuto un anello-sigillo
in bronzo, recante l’iscrizione L CRAS TERT (inv. 71.294). Sulla base di esso, come per le
case di Pompei, si è pensato che il proprietario del complesso, o in alternativa il suo gestore
(conductor), fosse un Lucius Crassius Tertius, forse legato ai Crassii di Ercolano. Verosimilmente apparteneva a una donna della famiglia di Tertius un cofanetto di legno trovato
nel crollo dal piano superiore. Esso conteneva gioielli d’oro e d’argento e un tesoretto di 200
monete, dal tardo periodo repubblicano fino a Vespasiano, utili a fornire informazioni sulla
circolazione monetaria, sull’inflazione e sul commercio regionale.
Uno dei rinvenimenti più importanti, che, se ben studiato, potrà fornire importanti dati su
questioni di rilievo, è la scoperta di 54 corpi umani nella stanza (10), uno dei grandi ambienti
a piano terra che si aprono sul portico sud. Gli individui raccolti in questa stanza cercarono
di sfuggire all’eruzione e aspettavano forse, come gli Ercolanesi, un soccorso dal mare;
furono invece sopraffatti dal gas caldo e dai vapori velenosi della prima ondata piroclastica
153
che colpì Oplontis B. Essi costituiscono una macabra testimonianza del costo in vite umane
preteso dal Vesuvio. Alcuni studiosi hanno pensato, in base al ritrovamento di questi corpi in
due gruppi, che essi appartenessero a due gruppi sociali distinti. Quelli sul retro dell’ambiente,
privi di monete o gioielli, sarebbero stati servi o schiavi, mentre quelli presso l’ingresso, sui
quali si trovarono molte monete e gioielli, sarebbero stati i loro padroni.
Lo studio della quantità, qualità, e tipologia dei gioielli in relazione agli scheletri che li
portavano suggerisce altre distinzioni sociali. Lo scheletro con il maggior numero di
elementi, ben 27, aveva beni di famiglia di grande qualità, inclusi un braccialetto d’oro (inv.
3401), un anello a teste di serpente (inv. 3403) e una collana a catena di oro e smeraldi (inv.
3412a). Lo scheletro 7 aveva meno oggetti, ma sempre di grande qualità, compreso un anello di globetti d’oro con una perla (inv. 3320) e un pendente di oro e smeraldi (inv. 3321). L’anello d’oro inciso con una testa di Mercurio, trovato sullo scheletro 14, potrebbe alludere
agli interessi nel commercio del proprietario. Accanto a questi pezzi rilevanti va anche
notato che alcuni individui, evidentemente più poveri, possedevano gioielli di valore assai
inferiore.
CONCLUSIONI
Con ogni probabilità, i siti delle ville A e B non saranno mai scavati completamente, ma
quello che è già venuto alla luce ci parla eloquentemente di lusso, piacere, commercio e produzione di beni nel Golfo di Napoli. Se l’uso raffinato del marmo, la collezione di sculture
e gli affreschi straordinari della Villa A ci danno un’idea del modo di vivere dei più ricchi,
gli ambienti utilitari, e tuttavia ben progettati, di Oplontis B, pieni di anfore e prodotti
agricoli, ci ricordano – come il quartiere servile della Villa A – del lavoro che dava origine
alla ricchezza romana. Confidiamo che gli sforzi attuali per conservare, documentare e
pubblicare questi siti permetteranno alle future generazioni di guadagnare una più profonda
comprensione delle dinamiche della antica vita romana.
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L. Fergola, Oplontis e le sue Ville, Pompei 2004; M.L. Thomas, J.R. Clarke, New evidence for
154
the history. Setting, and reconstruction of Oplontis Villa A at Torre Annunziata, «Journal of
Roman Archaeology», XXIV, 2011, pp. 370-381; J.R. Clarke, The Villa of Oplontis. A ‘born
digital’ project, in The Preservation of Complex Objects (POCOS), I. Visualisations and
simulations, a cura di J. Delve et al., Portsmouth 2012, pp. 54-65 (E-Book: http:
//www.pocos.org/images/pub_material/books/pocos_vol_1.pdf).
155
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea
veduta del peristilio servile (32) con la fontana
801
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea
veduta della piscina da sud-ovest
802
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea
gruppo marmoreo di Pan ed ermafrodito nel luogo di rinvenimento,
la terrazza all’estremità sud della piscina
803
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea
ingresso al grande salone (21) dal giardino nord
804
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea
porticato del giardino nord
805
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, atrio (4) con decorazione parietale dipinta in IV stile
veduta verso ovest del corridoio (9)
806
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, atrio (4) con decorazione parietale dipinta in IV stile
veduta verso nord del corridoio (6)
807
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, atrio (5)
veduta generale con l’impluvium
808
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, atrio (5), parete ovest
decorazione dipinta in II stile
809
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, atrio (5), parete ovest
decorazione dipinta in II stile con finta porta
810
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, atrio (5), parete ovest
decorazione dipinta in II stile
particolare della finta porta con figura di Vittoria
811
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, atrio (5)
decorazione parietale dipinta in II stile, con quadretto di paesaggio
812
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, atrio (5)
decorazione parietale dipinta in II stile
particolare con imagines clipeatae
813
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, triclinio (14)
veduta zenitale del pavimento musivo
814
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, triclinio (14)
particolare della soglia del pavimento musivo decorata a meandro policromo
815
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, triclinio (14)
decorazione a finti marmi commessi della zona inferiore della parete
particolare con figura di amorino
816
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, triclinio (14)
decorazione parietale dipinta in II stile, particolare con ingresso al santuario
817
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, triclinio (14)
decorazione parietale dipinta in II stile
particolare con statua di divinità femminile entro una tholos
818
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, triclinio (14)
decorazione parietale dipinta in II stile
particolare delle colonne che inquadrano l’ingresso al santuario,
di cui una in bronzo dorato ornata da girali con fiori di pietre preziose
819
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, triclinio (14)
decorazione parietale dipinta in II stile
particolare con capitello composito che sorregge un ressaut con sfinge
820
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, triclinio (14)
decorazione parietale dipinta in II stile
particolare con canestro di fichi
821
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (15), parete est
decorazione dipinta in II stile, particolare della metà sinistra
822
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (15), parete est
decorazione dipinta in II stile, particolare della metà destra
823
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (15), parete est
decorazione dipinta in II stile, particolare con pavone
824
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (15), parete est
decorazione dipinta in II stile, particolare con torcia
825
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (15), parete est
decorazione dipinta in II stile
particolare con bucrani di antilope e ghirlanda
826
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (23), parete ovest
decorazione dipinta in II stile
827
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (23), parete ovest
decorazione dipinta in II stile
particolare con maschera tragica
828
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (23), parete ovest
decorazione dipinta in II stile
particolare delle architetture teatrali
829
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (23), parete nord
decorazione dipinta in II stile
830
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (23), parete nord
decorazione dipinta in II stile
particolare con canestro di frutta su podio
831
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (23), parete nord
decorazione dipinta in II stile
particolare con vaso di vetro pieno di frutta
832
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, oecus (23), parete sud
decorazione dipinta in II stile
particolare con altare acceso
833
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, cubicolo (11), alcova nord
decorazione parietale dipinta in II stile
834
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, cubicolo (11), alcove nord ed est
decorazione parietale dipinta in II stile
835
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, cubicolo (11), alcova nord
decorazione parietale dipinta in II stile
particolare con figura di offerente
836
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, corridoio tra cubicolo (11) e atrio (5)
decorazione parietale dipinta in II stile
frammento con paesaggio
837
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, ex calidarium (8)
decorazione dipinta in III e IV stile della parete est con la nicchia aggiunta
838
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, ex calidarium (8), parete est
decorazione dipinta della nicchia
particolare del quadro in IV stile con Ercole nel giardino delle Esperidi
839
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, ex calidarium (8), parete est
decorazione dipinta della nicchia
particolare della fascia superiore in IV stile con quadretto di paesaggio e pavone
840
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, ex calidarium (8), parete est
decorazione dipinta della nicchia
particolare del soffitto in IV stile con nereide su bue marino
841
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, corridoio (46)
decorazione dipinta in IV stile
particolare del soffitto con ottagono centrale
842
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, corridoio (81), parete nord
decorazione dipinta in IV stile
particolare di un pannello della fascia mediana con uccello che becca dei fichi
843
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, portico (60)
decorazione parietale dipinta in IV stile
particolare con canestro contenente viticci popolati da animali e piume di pavone al centro
844
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, peristilio servile (32)
decorazione parietale dipinta in IV stile ‘a strisce di zebra’
845
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea
veduta di una serie di finestre dei giardinetti (viridaria)
con le pareti decorate con pitture da giardino
846
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, viridarium (70), parete nord
decorazione dipinta in IV stile
particolare con cratere utilizzato come fontana e volatili
847
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, viridarium (70), parete est
decorazione dipinta in IV stile
particolare con fontane dal sostegno conformato a centauro e a sfinge
848
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, viridarium (87), parete nord
decorazione dipinta in IV stile
849
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, viridarium (87), parete est
decorazione dipinta in IV stile
850
OPLONTIS
Villa A cosiddetta di Poppea, viridarium (87), parete est
decorazione dipinta in IV stile
particolare con uccello che si abbevera alla fontana
851
OPLONTIS
Statua di Nike in atto di atterrare
marmo; fine del I secolo a.C. - inizi del I secolo d.C.
dalla Villa A, lato est della piscina
Oplontis, Ufficio Scavi
852
OPLONTIS
Statua di Nike in atto di atterrare
marmo; fine del I secolo a.C. - inizi del I secolo d.C.
dalla Villa A, lato est della piscina
Oplontis, Ufficio Scavi
853
OPLONTIS
Erma di Eracle-Dioniso
marmo; I secolo d.C.
dalla Villa A, lato est della piscina
Oplontis, Ufficio Scavi
854
OPLONTIS
Statua di efebo
marmo; I secolo d.C.
dalla Villa A, lato est della piscina
Oplontis, Ufficio Scavi
855
OPLONTIS
Testa-ritratto femminile
marmo; età giulio-claudia
dalla Villa A, sentiero diagonale nel giardino nord
Oplontis, Ufficio Scavi
856
OPLONTIS
Testa-ritratto di bambino
marmo; età giulio-claudia
dalla Villa A, sentiero diagonale nel giardino nord
Oplontis, Ufficio Scavi
857
OPLONTIS
Cratere-fontana decorato con danzatori di pirrica
marmo; I secolo d.C.
dalla Villa A, terrazza a sud della piscina
Oplontis, Ufficio Scavi
858
OPLONTIS
Statua-fontana di centauressa
marmo; I secolo d.C.
dalla Villa A, portico (33), in origine pertinente alla decorazione del giardino nord
Oplontis, Ufficio Scavi
859
OPLONTIS
Cassaforte con firma in greco degli artigiani
legno rivestito di fasce di ferro
con decorazioni in rame, argento e bronzo dorato; I secolo a.C.
dalla Villa B, braccio est del porticato
Boscoreale, Ufficio Scavi
860
OPLONTIS
Cassaforte con firma in greco degli artigiani
particolare della decorazione con protome leonina tra due protomi di eroti
e quadretto con maschera silenica entro girali e tralci di vite
861
OPLONTIS
Anello con gemma incisa raffigurante un busto di Mercurio
oro e calcedonio; I secolo d.C.
dalla Villa B, stanza (10), scheletro 14
Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Medagliere
Anello-sigillo con il nome iscritto di L(ucius) Cr(as)s(ius) Ter(tius)
bronzo; I secolo d.C.
dalla Villa B, piccolo appartamento al piano superiore
Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Medagliere
862
OPLONTIS
Braccialetto, particolare del castone decorato a rilievo con Venere e un erote
oro; I secolo d.C.
dalla Villa B, stanza (10), scheletro 27
Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Medagliere
863
OPLONTIS
Collana a catena con vaghi ovoidali alternati a prismi esagonali
oro e smeraldi; I secolo d.C.
dalla Villa B, stanza (10), scheletro 27
Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Medagliere
864
OPLONTIS
Collana costituita da 4 catenine unite alle estremità da borchie a calotta
oro; I secolo d.C.
dalla Villa B, stanza (10), scheletro 27
Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Medagliere
865
a
b
c
d
OPLONTIS
Orecchini (a), pendente di collana (b) e anelli (c-d)
oro e conchiglie (a); oro e smeraldi (b); oro (c); oro e perla (d); I secolo d.C.
dalla Villa B, stanza (10), presso alcuni scheletri
Napoli, Museo Archeologico Nazionale, Medagliere
866
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